Post on 04-Aug-2020
La crisi del moderno:
Nietzsche e Baudelaire
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I re di un paese piovoso.
Baudelaire, Nietzsche e il tempo del moderno.
Mostrare che Nietzsche non è un “fulmine a ciel sereno” che dal cielo dei filosofi giunge
sulla terra, ma che tanto il pensiero genealogico-decostruttivo quanto l’oltreuomo e l’eterno
ritorno (soprattutto quest’ultimo) si inscrivono all’interno di ciò che possiamo chiamare la
modernità’.
1) Che cos’è la modernità, il moderno?
Non va confusa con la categoria storica che si fa normalmente iniziare dalla rivoluzione
francese: qui la modernità è una categoria filosofica ed estetica, per cui non deve stupire se
verranno avvicinati e comparati, in una sorta di corto circuito temporale, autori come Leopardi e
Montale, Poe e Kafka, Nietzsche, Benjamin e Baudelaire, Dostoevskij.
Quali sono i tratti caratterizzanti la modernità?
1) Secondo Baudelaire,
la modernità è un deserto di uomini che si estende in un infinito dai tratti inafferrabili,
perché la sua essenza è il transitorio, il fuggitivo, il contingente (Il pittore della vita
moderna)
la modernità è la chiara percezione che il mondo non è più concepibile come totalità ma è
frammentato, polverizzato, ha perso ogni riferimento stabile e tagliato ogni ponte con il
passato. In una parola, il moderno è il tempo dell’evanescenza dei limiti del mondo, come
ha testimoniato Montale in uno degli Ossi di seppia:
Sensi non ho; né senso. Non ho limite
Il moderno è il tempo dell’insensatezza del mondo, in cui non esiste più progresso, in cui il
futuro lungi dall’essere certo è, al contrario, una prospettiva ansiogena e angosciosa.
E’il mondo dello spleen, l’umor nero, l’umore “atrabiliare” (spleen in inglese significa
milza), malinconico nel suo uniforme grigiore: FdM, LXXVIII
2) Se il limiti del mondo sono evanescenti, le interpretazioni e gli orizzonti del mondo stesso
si moltiplicano: Nietzsche scrive che
Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto fatti” – direi: no, proprio
i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto in
sé; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere. “Tutto è soggettivo”, dite voi; ma già
questa è un’interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto
con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. E’ infine necessario mettere ancora
l’interprete dietro l’interpretazione? (id., Frammenti postumi)
Ancora, Montale in una composizione celebre prende atto che non c’è più alcun orizzonte, e
che la vita umana è una tensione continua tra il vuoto, il non senso e un orizzonte che è
illusione:
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Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Ma anche il sonetto, celeberrimo, di Baudelaire, in cui è possibile applicare legami
analogici (e non più semplicemente logico-scientifici) alla natura stessa, al di là delle
opposizioni della ragione che procede per identità e non-contraddizione:
La Natura è un tempio dove colonne viventi
Talvolta lasciano uscire confuse parole;
l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che si confondono in lontananza,
in una cupa e profonda unità,
vasta come l’oscurità e come la luce,
profumi, colori e suoni si rispondono.
[…]
3) La crisi delle ideologie e dei miti dell’illuminismo, dell’idealismo, del positivismo: l’idea
di progresso, di un finalismo dell’agire umano lasciano il posto alla desolazione di un paese
piovoso, come dice Baudelaire in un altro dei FdM (Spleen, LXXVII), in cui l’uomo è
tiranneggiato dal sentimento per eccellenza della modernità, la Noia, il taedium vitae di cui
parlava già anche Leopardi nel Canto notturno del pastore errante dell’Asia.
Il carattere prevalente di un mondo “palustre” che ha perduto consistenza è la precarietà,
l’atopia, poiché tutto sembra preso da un senso di vertigine (la vertigine del moderno,
appunto), in quanto i sentieri che ci apparivano sicuri diventano ora labili, evanescenti: ci
sentiamo totalmente “desituati”, spiazzati rispetto ai consueti contesti di esperienza: quella
del “mal di mare” diventa un’immagine molto usata:
Ho un’esperienza e non scherzo dicendo che è un mal di mare in terra ferma. (Kafka,
Racconti)
La caratteristica di questo mondo è la transitorietà. Da questo punto di vista i secoli non
hanno alcun vantaggio sull’attimo fugace. La continuità di tale stato transitorio non può
dunque offrirci alcun conforto…Ora, se io voglio combattere questo mondo, devo
combatterlo nella sua caratteristica fondamentale, vale a dire nella sua transitorietà.
(Kafka, Diari)
…una sensazione molto simile al mal di mare, una quasi paralisi… (Nietzsche, lettera a
Eiser, gennaio 1880)
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Le cose che noi crediamo essere durature sono in quanto tali pure finzioni. Se tutto scorre,
la transitorietà è una qualità e la durata e l’immortalità sono solo un’illusione. (Nietzsche,
frammenti postumi)
La percezione che il mondo stia franando in un declino inarrestabile è bene espressa da
Nietzsche in un frammento postumo:
Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non
potrà più venire diversamente: l’avvento del nichilismo…Tutta la nostra cultura europea si
muove già da gran tempo con una tensione torturante che cresce di decennio in decennio,
come se si avviasse verso una catastrofe: inquieta, violenta, precipitosa…
4) La crisi dell’Io inteso come logos, ragione immanente hegeliana che governa il mondo o
ragione cartesiana che delimita nettamente il confine tra sanità e follia o, ancora, l’Io penso
kantiano che fa del soggetto un puro occhio rappresentativo: tutto questo viene messo a
confronto con il corpo, la grande ragione nietzscheana di cui l’Oltreuomo rappresenta
l’espressione più evidente: vedi più oltre.
5) Di tale disgregazione, prolificazione di orizzonti e sensi la città è il simbolo per eccellenza.
La grande metropoli è la metafora della evanescenza di cui si diceva sopra: priva di limiti,
enorme, tortuosa e labirintica come il mondo, prolifera come un cancro che inghiotte lo
spazio a disposizione… Eppure, la città assume dignità letteraria, diventa protagonista della
poesia di Baudelaire, in quanto simbolo della modernità:una sezione dei FdM si intitola
Quadri parigini, e descrive la vita di Parigi con un occhio ai diseredati, agli umili, ai
marginali.
Il cigno (FdM, LXXXIX).
La città rappresenta la moltiplicazione degli orizzonti:
E’ piacevolissima la stessa luce veduta nelle città, dov’ella è frastagliata dalle ombre, dove
lo scuro contrasta in molti luoghi con il chiaro, dove la luce in molte parti degrada appoco
appoco, come sui tetti […] A questo piacere contribuisce la varietà, l’incertezza, il non
vedere tutto, il potersi perciò spaziare con l’immaginazione riguardo a ciò che non si vede.
Leopardi, Zibaldone, 12 settembre 1821)
Leopardi aveva già evidenziato l’esperienza del limite nell’Infinito; ma nel passo
riportato va oltre: da un orizzonte a una molteplicità di orizzonti che frastagliano la luce
della città mescolandola alla notte. Le cose non appaiono più nella loro nitidezza,
nettamente ritagliate, ma piuttosto nel loro lato d’ombra, di incertezza.
La metropoli rimanda immediatamente ad un altro elemento che è cifra della modernità: la
folla, intesa come massa amorfa, anonima, in cui le differenze si perdono e si cade
nell’anonimia, nella mancanza di identità, nella omologazione, nel livellamento di
gusti e opinioni. La folla, la massa è la grande protagonista della modernità, si impone
autorevolmente ai letterati dell’ottocento e anch’essa costituisce uno degli orizzonti
molteplici secondo Leopardi:
E’ piacevolissimo ancora la vista di una moltitudine innumerevole, come delle stelle, o di
persone, un moto molteplice, incerto, confuso, irregolare, vago che l’animo non possa
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determinare, né concepire de finitamente e distintamente come quello di una lotta
(Leopardi, Zibaldone, 12 settembre 1821)
Una città come Londra, dove si può camminare per ore intere senza arrivare neppure
all’inizio di una fine, ha qualcosa di sconcertante. […] Già il brulichio delle strade ha
qualcosa di spiacevole e fastidioso, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. […]
Queste centinaia di migliaia di persone […] si sorpassano in fretta, come se non avessero
nulla in comune, nulla a che fare fra loro […] L’indifferenza brutale, la chiusura insensibile
di ciascuno nei propri interessi privati, appare tanto più ripugnante e offensiva quanto più
alto è il numero di individui addensati in breve spazio. (F.Engels, La situazione delle classi
lavoratrici in Inghilterra)
E.A.Poe fu studiato e tradotto da Baudelaire: il tema della folla lo si ritrova già in uno dei
racconti di Poe, che si intitola proprio L’uomo della folla:
Guardavo i passanti en masse, ne consideravo gli impersonali rapporti. […] La maggior
parte, e di gran lunga, di coloro che passavano, avevano un’aria soddisfatta, da gente
pratica, e pareva non curarsi d’altro che di aprirsi una strada in mezzo alla folla. Fronti
aggrottate, occhi mobili, svelti, se qualche passante li urtava, senza dar segno si
raggiustavano i vestiti e procedevano senza indugio. Altri […] parlavano da soli,
gesticolavano, quasi la stessa calca della folla li facesse sentire in solitudine. (E.A.Poe,
L’uomo della folla, passim)
Angoscia e spavento sono i sentimenti dei primi che fissarono la folla in volto: la folla ha
qualcosa di barbarico e nello stesso tempo di meccanico: l’uniformità del vestire,
dell’espressione, del comportamento rende gli uomini dei perfetti atomi isolati dal
contesto che li circonda.
Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente
diversamente va da sé al manicomio. (Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Il motivo della folla, la critica alla democrazia americana nella sua versione ottimistico-
progressista, in cui l’opinione pubblica, l’opinione della massa ignorante, è tiranna,
sono motivi che non potevano non colpire Baudelaire. Nei Fdm e nello SdP sono
innumerevoli i riferimenti al “brulichio” della città, alla presenza segreta della massa,
sempre “inscritta” nelle liriche baudelairiane:
Il crepuscolo della sera (FdM, XCV)
Il crepuscolo del mattino (FdM, CIII)
Le folle (SdP, XII)
Il crepuscolo della sera (SdP, XXII)
Anche Montale, negli Ossi di seppia:
[…] ci riporta il tempo/nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra/soltanto a pezzi […] (I
limoni):
Prega per me/allora ch’io discenda altro cammino/che una via di città,/nell’aria persa,
innanzi al brulichio/dei vivi […] (Incontro).
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6) Infine, il tempo: la modernità è il “tempo che ci si disfa tra le mani”; nello spazio della
metropoli, il tempo ha la misura del “prestissimo”, della velocità che tutto inghiotte, in cui le
impressioni si cancellano immediatamente, in cui il passare del tempo porta con sé il senso
dello sbriciolamento, del deperimento:
La modernità attraverso l’immagine del nutrimento e della digestione. […] Il tempo di
questa irruzione è il prestissimo; le impressioni si cancellano […] Subentra una specie di
adattamento a questo eccessivo accumularsi delle impressioni: l’uomo disimpara ad agire,
si limita ormai a reagire agli eccitamenti dall’esterno […] (Nietzsche, Frammenti postumi)
Baudelaire ha condotto una sua personalissima e continua lotta contro il tempo dissipatore.
L’orologio è uno degli emblemi della modernità, un “dio sinistro”, spaventoso,
impassibile, insensibile, che indica l’attrazione irresistibile verso l’abisso della morte:
Il nemico (FdM, X)
Il gusto del nulla (FdM, LXXX)
L’orologio (FdM, LXXXV)
Contro la maledizione del tempo, sarà necessario individuarne una possibile
“redenzione”: vedi più oltre.
2) Lo Zarathustra di Nietzsche e il paese del nichilismo.
Se di questo “paese piovoso” Baudelaire è il cantore, Nietzsche ne è il filosofo. Il mondo
che ha smarrito i propri limiti è il mondo in cui Dio è morto, il paese del nichilismo in cui il
viandante, lo spirito libero viaggia alla ricerca di nuove terre, una volta lasciatosi alle spalle il
vecchio mondo:
Via sulle navi, filosofi! (Nietzsche, La gaia scienza, af.289)
Benjamin diceva che per Baudelaire pensare è alzare le vele: entrambi, il poeta e il filosofo,
concepiscono il pensiero come un viaggio per mare, un pensiero che muove verso l’estremo e verso
l’ignoto. Entrambi soffrono di quello che si può chiamare l’orrore del domicilio, la necessità di
abbandonare un mondo che ormai irrimediabilmente in declino.
Invito al viaggio (FdM, LIII)
Viaggio a Citera (FdM, CXVI)
Il viaggio (FdM, CXXVI)
La morte di Dio è il presupposto di fondo che va tenuto presente nella lettura di Così parlò
Zarathustra, che affronta il problema delle conseguenze della morte di Dio.
Il celebre aforisma 125 della Gaia scienza annuncia la morte di Dio:
L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del
mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché
proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben
nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran
confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è
andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino
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all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a
sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo
noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito
nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte,
sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i
becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo
abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e
di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi
detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? […] Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che
verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai
siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo
sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra
la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il
mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è
ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. […] Si racconta ancora che l’uomo folle abbia
fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem
aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere
invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri
di Dio?”. (La gaia scienza, af.125)
Non si tratta di una dimostrazione metafisica dell’inesistenza di Dio o di una considerazione
di ordine psicologico: è la constatazione che non c’è più alcun Dio che ci possa salvare, che oltre
gli uomini c’è solo il nulla, che non abbiamo più bisogno della “bella favola” di Dio una volta
preso atto delle menzogne millenarie e della vera natura del mondo.
Con la morte di Dio N. ha voluto riassumere in una formula radicale l’irruzione del
nichilismo nel mondo moderno, ossia il riconoscimento della nullità delle fondamenta su cui il
mondo occidentale ha edificato se stesso.
Il nichilismo europeo non appare all’improvviso, ma viene anticipato da Schopenhauer:
Schopenhauer fu il primo ateo dichiarato e irremovibile che noi tedeschi abbiamo avuto: è qui lo
sfondo della sua inimicizia con Hegel […] l’ateismo assoluto, onesto, è appunto il presupposto
della sua problematica, in quanto è una vittoria finale e faticosamente conquistata dalla coscienza
europea, in quanto è l’atto più ricco di conseguenze di una bi millenaria educazione alla verità, che
nel suo momento conclusivo si proibisce la menzogna della fede in Dio […] ecco che subito ci si
viene avvicinando, spaventosamente, il quesito di Schopenhauer: ha dunque l’esistenza in generale
un senso? – quel quesito che soltanto per essere compreso e sentito in tutta la sua profondità avrà
bisogno d’un paio di secoli. (La gaia scienza, af.357)
La gaia scienza si conclude, e con essa la fase illuministica nietzscheana, con la
consapevolezza che una fase della storia dell’umanità si è conclusa, anche se ci vorranno ancora
numerose generazioni prima che si possa spazzare via definitivamente dall’orizzonte umano
l’ombra di Dio:
Il più grande avvenimento recente – che "Dio è morto", che la fede nel Dio cristiano è divenuta
inaccettabile – comincia già a gettare le sue prime ombre sull'Europa. A quei pochi almeno, i cui
occhi, la cui diffidenza negli occhi è abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto
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che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in
dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più crepuscolare, più
sfiduciato, più estraneo, più "antico". Ma in sostanza si può dire che l'avvenimento stesso è fin
troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione dei più perché possa
dirsi già arrivata anche solo notizia di esso; e tanto meno poi, perché molti già si rendano conto di
quel che veramente è accaduto con questo avvenimento – e di tutto quello che ormai, essendo
sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa era stato costruito, e in essa aveva trovato il
suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea. Una
lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, tramonti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi: chi già
da oggi potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo da diventare maestro e veggente di
questa mostruosa logica dell'orrore, da essere il profeta di un ottenebramento e di un'eclisse di
sole, di cui probabilmente non si è ancora mai visto sulla terra l'uguale?… Perfino noi, per nascita
divinatori d'enigmi, noi che siamo in attesa per così dire sulle montagne, piantati fra l'oggi e il
domani, tesi entro l'opposizione tra oggi e domani, noi primogeniti e figli prematuri del secolo
venturo, noi che già dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno l'Europa: com'è che
perfino noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto
senza preoccuparci e temere per noi stessi? Siamo forse ancora troppo soggetti alle più immediate
conseguenze di questo avvenimento – e queste più immediate conseguenze, le conseguenze per noi,
contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non sono per nulla tristi e rabbuianti, ma
piuttosto come un nuovo genere, difficile a descriversi, di luce, di felicità, di ristoro, di
rasserenamento, d'incoraggiamento, di aurora…
In realtà, noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che "il vecchio Dio è morto", ci sentiamo come
illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia,
di presagio, d'attesa – finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non
è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni
pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci
sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così "aperto". (La gaia scienza,
af.343)
Gli ultimi due aforismi della Gaia scienza mostrano che il terreno è seminato e pronto per la
filosofia di Zarathustra, il profeta della nuova umanità:
La grande salute. Noi uomini nuovi, senza nome, difficilmente comprensibili, noi figli precoci di un
avvenire ancora non verificato – abbiamo anche bisogno di un nuovo mezzo per un nuovo scopo,
cioè di una nuova salute, una salute più vigorosa, più scaltrita, più tenace, più temeraria […] Un
altro ideale ci precede correndo, un prodigioso ideale, tentatore, ricco di pericoli […] l’ideale di
uno spirito che […] gioca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro, buono, intangibile, divino
[…] un ideale che apparirà molto spesso disumano, se lo si pone, a esempio, accanto a tutta la
serietà terrena fino a oggi esistita […] (La gaia scienza, af.382)
3. Chi è Zarathustra?
- Un tipo d’uomo, una possibile modalità dell’essere uomo, una possibilità finora mai
esistita. Zarathustra è la sintesi di concrete possibilità di essere uomini, basate su presupposti
non più morali, astratti ma fisiologici, materiali: la grande salute…
- Una figura storica: è il fondatore di una religione nell’antica Persia, dunque un uomo che
ha posto i valori della morale come assoluti. Proprio il fatto di essere stato il primo a
commettere questo errore fatale, ne fa anche colui che riconosce tale errore e cerca di
emendarne gli uomini:
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Zarathustra fu il primo a vedere nella lotta tra il bene e il male la vera ruota che spinge le cose – è
opera sua la traduzione della morale in termini metafisici, in quanto forza, causa, fine in sé. […]
Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere anche il
primo a riconoscere quell’errore […] La morale che supera se stessa […] i moralisti superano se
stessi diventando il loro opposto – me stesso – questo significa il nome di Zarathustra sulla mia
bocca. (Nietzsche, Ecce homo)
- L’uomo dai mille volti: Zarathustra ha tanti volti, una molteplicità di aspetti, è una
integrazione e una sintesi di differenti tensioni in un mondo che sta prendendo
consapevolezza della morte di Dio:
Indovino Annientatore Creatore Scopritore (mare) Danzatore-Ridente Uomo che vola-Vincitore
(Nietzsche, Frammenti postumi 1882-1884)
In Z. la grande sintesi di colui che crea, che ama, che distrugge (Nietzsche, Frammenti postumi
1884-1885)
Tu contraddici oggi ciò che hai insegnato ieri. Però ieri non è oggi, disse Z. (Nietzsche, La gaia
scienza, af.373)
Nelle intenzioni di Nietzsche, Zarathustra vive fino in fondo tutte le contraddizioni senza
preoccuparsene.
- Il senza Dio:
Orsù! Questa è la mia predica: io sono Zarathustra il senza Dio, che dice: “chi è più di me senza
Dio, onde io possa godere dei suoi insegnamenti?” (CPZ, Della virtù che rende meschini)
La professione d’ateismo di Z è una forma di onestà, in quanto riconosce che dietro il
mondo non ce n’è un altro fittizio:
essi [i fondatori e i maestri di religione] odiano furiosamente l’uomo della conoscenza e la virtù
nuovissima che si chiama: onestà. (CPZ, Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo)
L’uomo folle dell’aforisma 125 è un provocatore, esattamente come Z: nel rivolgere
l’accusa di avere ucciso Dio agli stessi uomini, fa ricadere su di essi le conseguenze del
delitto, cioè la perdita del fondamento di tutte le costruzioni di senso e di tutti i valori.
Il compito di Z è rendere visibile la portata enorme e incalcolabile dell’uccisione di Dio, di
cui gli uomini non sono ancora consapevoli: ne è prova il vecchio, l’eremita che Z incontra
all’inizio del primo libro, ancora ignaro del fatto che Dio è morto.
- L’alfiere di un contro-progetto: Z supera la grande nausea che egli prova per l’uomo, per
la sua incompiutezza, per la sua piccolezza e meschinità nell’avere accettato gli inganni
della morale; supera lo schifo che egli prova in nome del tentativo di redimere questa stessa
umanità alla luce di nuovi valori:
La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia
una transizione e un tramonto. (CPZ, Prefazione di Zarathustra)
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Zarathustra ha dominato anche la grande nausea per l’uomo: per lui l’uomo è un essere senza
forma, un materiale, una brutta pietra che ha bisogno dello scultore. (Nietzsche, Ecce homo)
A voi tutti, che soffrite per la grande nausea come me, per i quali il vecchio Dio morì e ancora
nessun dio nuovo giace in fasce nella culla – a voi tutti il mio spirito malvagio e mago demoniaco è
benevolo. (CPZ, Il canto della melanconia)
Nel mettere in opera il suo grande contro-progetto, Zarathustra pone in discussione tutto
quanto è esistito fino ad oggi: egli mette in opera il NO!, il suo atteggiamento è quello di
una nuova giustizia:
E’ necessaria invece una nuova giustizia. E una nuova parola d’ordine. E nuovi filosofi. Anche la
terra della morale è rotonda. Anche la terra della morale ha i suoi antipodi. Anche gli antipodi
hanno diritto all’esistenza. C’è ancora un altro mondo da scoprire: e più d’uno. Via sulle navi,
filosofi! (Nietzsche, La gaia scienza, af. 289)
- Creatore/distruttore: seduto tra tavole antiche e spezzate (chiaro riferimento alle tavole
delle leggi mosaiche, anch’esse spezzate una prima volta dall’ira di Mosè), Zarathustra
pronuncia queste parole:
Quando venni dagli uomini, li trovai assisi si di un’alterigia antica: si credevano tutti di sapere da
lungo tempo che cosa fosse bene e che cosa male per l’uomo. […] Io disturbai queste abitudini
sonnacchiose, quando mi misi a insegnare: che cosa sia buono, che cosa cattivo, non lo sa nessuno:
- a meno che non sia uno che crea! (CPZ, Di antiche tavole e nuove)
Il tema del creare è presente anche in un’opera successiva allo Zarathustra, Al di là del
bene e del male:
Ma i veri filosofi sono coloro che comandano e legiferano […] essi protendono verso l’avvenire la
loro mano creatrice e tutto quanto è ed è stato diventa per essi mezzo, strumento, martello. Il loro
“conoscere” è creare, il loro creare è una legislazione, la loro volontà di verità è volontà di
potenza. Esistono oggi tali filosofi? Sono già esistiti tali filosofi? Non devono forse esistere tali
filosofi? (Nietzsche, Al di là del bene e del male)
Naturalmente, tale creazione implica un dinamismo che comprende anche la fase della
distruzione, dell’abbattimento degli antichi valori, di un filosofare con il martello. La
saggezza dionisiaca è una forma di intesa con questa dinamica del creare/distruggere:
“Non con la collera, bensì col riso si uccide” – così tu dicesti una volta. Oh Zarathustra, pieno di
segreti, tu distruttore senza collera, tu santo pericoloso […] (CPZ, La festa dell’asino)
- Il danzante: la danza e il riso sono i caratteri di Dioniso, ma anche della leggerezza.
Zarathustra non è un personaggio titanico, tormentato; anche se ha un compito gravosissimo,
un compito fatale, è nondimeno uno spirito leggero. E’ questa la differenza tra un filosofo e
un dotto:
Zarathustra il danzatore, Zarathustra il lieve, che fa cenno con le ali, uno che è pronto a spiccare il
volo e intanto ammicca a tutti gli uccelli, disposto e pronto a volare, beato nella sua levità […]
(CPZ, Dell’uomo superiore)
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E non saprei che cosa lo spirito di un filosofo potrebbe desiderare di più che essere un buon
ballerino. La danza, infatti, è il suo ideale e anche la sua arte […] (La gaia scienza, af.381)
- Poeta mentitore: in bocca a Zarathustra la parola poeta ha una valenza ambigua.
Da una parte, la paradossale autodesignazione di Zarathustra come poeta che mente indica
la funzione antidogmatica, antifideistica di Zarathustra, che vuole scuotere le coscienze,
non vuole discepoli ma compagni, amici. Ricordiamo che alla fine della prima parte
dell’opera, Zarathustra ritorna sulla montagna, rendendosi conto che gli ultimi uomini non
hanno orecchi ancora pronti per ascoltarlo:
Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari. […] Voi non avevate ancora trovato voi
stessi: ecco che trovaste me. Così fanno tutti i credenti; perciò ogni fede vale così poco. (CPZ,
Della virtù che dona, 3)
Dall’altra, però, il poeta è colui che genera “illusioni estetiche”, che può generare con
l’immaginazione delle “prospettive”, che può “configurare” il possibile in mancanza di
certezze metafisiche. Il profetismo oracolare di Zarathustra si lega a quest’immagine del
poeta-veggente:
Oh, se i poeti volessero ridiventare quel che devono essere stati una volta: veggenti, che ci
raccontano qualcosa del possibile! […] Se volessero farci sentire qualcosa anzitempo delle virtù
future! O di virtù che non esisteranno mai sulla terra, benché potrebbero esistere in qualche luogo
del mondo […] Dove siete voi, astronomi dell’ideale? (Nietzsche, Aurora.)
[…] in quanto poeta, solutore di enigmi e redentore della casualità, insegnai loro a creare
nell’avvenire e a redimere nella creazione tutte le cose che furono. […] (CPZ, Di antiche tavole e
nuove)
- Il verace spirito libero: l’ambiente in cui vaga Zarathustra è il deserto o la montagna, tutti
luoghi sfavorevoli alla vita e nei quali ci si può facilmente smarrire: Nietzsche allude al fatto
che lo spirito libero mette in discussione tutte le certezze, allontana dai sentieri consueti,
dalle prospettive rassicuranti accettate come universalmente vere e vincolanti. Lo spirito
libero è, così, il nemico dei cosiddetti “giusti”:
Verace – così io chiamo colui che va nel deserto, dove gli dei non sono, e ha spezzato il suo cuore
venerante. […] Ma colui che è odioso al popolo come un lupo per i cani: è lo spirito libero, il
nemico della catena, il non-adoratore, randagio per i boschi. Cacciarlo dal suo rifugio – questo ha
sempre significato per il popolo “senso del giusto”: contro di lui esso aizza i suoi cani dalle zanne
più aguzze. (CPZ, Dei saggi illustri, passim)
Infine: Zarathustra può essere definito anche per contrasto dalle figure che appaiono in
CPZ:
- i saggi illustri: gli “universalmente conosciuti e famosi” depositari del sapere, coloro che si
oppongono alla sapienza selvaggia di Zarathustra;
- il coscienzioso dello spirito: colui che esercita sì lo spirito critico e indagatore, ma per
paura dell’incertezza e desiderio di sicurezza; l’adoratore dei fatti;
- i dotti: coloro che pretendono di avere conoscenze al di sopra delle prospettive personali
degli uomini; ad essi si oppone Zarathustra, il filosofo, per il quale ogni sapere trae origine
da “confessione spontanea”;
La crisi del moderno:
Nietzsche e Baudelaire
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- gli uomini della conoscenza pura: gli osservatori indifferenti e oggettivi della realtà, i
“contemplativi immacolati” cui Zarathustra contrappone il proprio amore, una conoscenza
interpretativa e prospettica cui contribuisce tutto il corpo, non solo l’intelletto
kantianamente inteso. La conoscenza non deve escludere tutti i fattori fisiologici e patologici
dell’animale uomo.
4. Chi è l’Oltreuomo?
Nel Prologo di Così parlò Zarathustra, il profeta annuncia l’avvento dell’Oltreuomo:
Io vi insegno l’Oltreuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. […] Che cos’è l’uomo per
la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per
l’Oltreuomo, un ghigno o una dolorosa vergogna. […] L’Oltreuomo è il senso della terra. Dica la
vostra volontà: sia l’Oltreuomo il senso della terra. Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra
e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Un tempo il sacrilegio contro Dio
era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto […] Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è
oggi la cosa più orribile. […] L’uomo è un cavo teso tra la bestia e l’Oltreuomo, un cavo al di
sopra dell’abisso. […] La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si
può amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non
tramontando, poiché essi sono una transizione. (Così parlò Zarathustra, prologo, 3-4, passim)
Morti sono tutti gli dei: ora vogliamo che l’oltreuomo viva. – questa sia un giorno, nel grande
meriggio, la nostra ultima volontà. (Zarathustra, Della virtù che dona)
L’Oltreuomo è colui che è mosso da una disposizione gioiosa e dionisiaca verso la vita e la
realtà, caratterizzato da un pessimismo non paralizzante e deprimente ma piuttosto da un fatalismo
gioioso e fiducioso: l’Amor fati di cui parla N. non conduce alla rassegnazione ma all’assunzione
attiva del peso e delle contraddizioni della vita, senza chiudere gli occhi di fronte all’orrore della
realtà:
Non appena non si crede più in Dio e nella destinazione dell’uomo per l’aldilà, l’uomo diventa
responsabile di tutto ciò che vive. (Frammenti postumi 1885-1887)
L’Oltreuomo va oltre i confini (il termine uber significa tanto “sopra” quanto “oltre”) fissati
dall’ipotesi metafisica che, sottomettendo gli uomini a un presunto dover-essere ancorato al
concetto di Dio, ha generato solo uomini inferiori e malati, che si sono accontentati di sé e hanno
inibito la propria volontà.
In particolare, l’Oltreuomo si caratterizza per la sua fedeltà alla terra: morto Dio, l’unica
realtà è la vita terrena, la dimensione mondana dell’immanenza. L’umanità deve fare ritorno alla
terra e rimanerle fedele, senza cullare illusioni di speranze ultraterrene: non vi è più un “mondo
dietro al mondo” che funga da riparo eterno al divenire. L’Oltreuomo deve volgersi alla terra con lo
stesso fervore con cui l’ultimo uomo si rivolgeva a Dio, perché è nella terra, nella Grande Madre
degli antichi che l’Oltreuomo può ritrovare le proprie origini e la propria natura più vera.
Lo űber dell’Oltreuomo è “il più” della corporeità, che la ragione della scienza e della
letteratura classica ammettevano solo in quanto oggetto di conoscenza, ma mai come il soggetto
stesso di un sapere: tutto il soggetto, nella sua complessità, pensa (e non solo l’Io penso kantiano,
intelletto astratto e categoriale): Zarathustra, Dei dispregiatori del corpo (pp.33 sgg.)
L’Oltreuomo indica il carattere costitutivamente trascendente dell’uomo, una freccia che
anela all’altra riva: finché l’umanità non era consapevole della morte di Dio, questa tensione alla
trascendenza era rivolta all’aldilà e produceva infedeltà alla terra, ascesi, disprezzo del corpo,
La crisi del moderno:
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malattia dell’anima: in tal modo l’uomo diventava infelice e lacerato. La possibilità dell’Oltreuomo
apre alla salute riconquistata, alla guarigione dell’anima, al risanamento della frattura tra essa e
il corpo. Sulla possibilità di questa metamorfosi, si veda il primo discorso della prima parte dello
Zarathustra: Delle tre metamorfosi (pp.23-25)
5. La redenzione dalla maledizione del tempo.
Come di diceva sopra, il moderno percepisce il tempo come maledizione, come energia
dissipatrice, come tempo del prestissimo (Nietzsche) che impedisce il fissarsi delle impressioni.
L’ossessione temporale in Baudelaire risulta sia dall’analisi di ogni singolo testo, sia
attraverso l’aggregazione di vari frammenti di vari testi, attorno a questo che può essere considerato
uno dei nuclei tematici della raccolta FdM. Come redimerci dal tempo?
Una possibilità è quella dell’attimo in cui compare, ingiustificata, improvvisa ed enigmatica,
la bellezza (o la felicità): A una passante (FdM, XCIII). E’ l’esperienza dello choc, gioioso o
sgradevole, descritta da Benjamin nel suo saggio su Baudelaire e Parigi. Se la riflessione, con
Freud, ha il compito di difendere la coscienza dall’eccesso di stimoli che producono, appunto, lo
choc sensoriale, allora Baudelaire fa di questo choc l’esperienza centrale della propria lirica; la sua
è una poesia che ha “intravisto degli spazi vuoti” di esperienza e lì vi ha inserito le sue poesie
Oppure, Ubriacatevi (SdP, XXXIII):
In Nietzsche, la redenzione dal tempo lineare della cultura giudaico-cristiana avviene
attraverso la dottrina dell’eterno ritorno dell’uguale:
Il peso più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella
più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai
riviverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte e non ci sarà in essa mai niente di nuovo,
ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e
grande della tua vita dovrà far ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure
questo ragno e questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo attimo e io stesso.
L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta – e tu con essa granello di
polvere!" - Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha
parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immane, in cui questa sarebbe stata la tua
risposta: "Tu sei un dio, e mai intesi cosa più divina!"?
Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e
forse ti stritolerebbe; la domanda che ti porresti ogni volta e in ogni caso: "Vuoi tu questo ancora
una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure,
quanto tu dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che
quest'ultima eterna sanzione, questo suggello? (La gaia scienza, af.341)
Quello riportato è il primo, celeberrimo testo in cui N. annuncia l’idea dell’eterno ritorno;
solo tre anni più tardi, nel terzo libro dello Zarathustra (La visione e l’enigma), ne darà
un’esposizione compiuta.
Condizionato dalla concezione greca e orientale della ciclicità del tempo, N. recupera la
concezione per cui lo scorrere del tempo non è governato da provvidenza o logica (cfr. Hegel) ma è
privo di sensi ultimi, di finalità immanenti o trascendenti. Nella concezione ciclica del tempo di
Anassimandro, Empedocle e Eraclito (Il tempo è un fanciullo che gioca a dadi col mondo)
La crisi del moderno:
Nietzsche e Baudelaire
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“l’innocenza del divenire” fa sì che tutto debba ritornare, che la ripetizione sia necessità e che nulla
di veramente nuova accada mai. Il futuro è la semplice ripetizione di ciò che deve ritornare.
Rispetto alla concezione lineare del tempo di matrice giudaico-cristiana, per la quale ogni
istante ha senso solo in quanto inserito in una direzione di senso cha va dal principio (la creazione)
alla fine (la fine del tempo e l’avvento del Regno di Dio), in quella dell’eterno ritorno non c’è
possibilità di orientarsi nel tempo, poiché non ci sono più né principi né scopi, non c’è progettualità
ma l’eterno fluire perennemente identico a se stesso.
In altri termini: ogni istante del tempo ciclico possiede interamente in sé il proprio senso,
in quanto libero dalla unidirezionalità del tempo cristiano: allora, bisogna vivere ogni attimo in
modo da potere desiderare di riviverlo un’infinità di volte.
Ciò che importa a N. non è la dimostrabilità scientifica dell’eterno ritorno, ma la possibilità
che tale concezione, anche solo ipotizzata, sollevi dubbi e domande sulle conseguenze che
potrebbe avere sulla vita dell’uomo:
Esaminiamo come ha agito su di noi il pensiero che qualcosa si ripete (l’anno per esempio, oppure
le malattie periodiche, la veglia e il sonno etc.). Se la ripetizione circolare è anche solo una
probabilità o una possibilità, anche l’idea di una possibilità può sconvolgerci e trasformarci, non
solo i sentimenti o determinate aspettative! In che misura ha agito la possibilità della dannazione
eterna! (Frammenti postumi)
…per quanto sul teatro del mondo cambino i drammi e le maschere, gli attori sono sempre i
medesimi.Sediamo insieme e parliamo…proprio allo stesso modo migliaia d’anni fa altri sono stati
così a sedere…L’apparato per il quale non ci rendiamo conto di tutto ciò è il tempo.(Schopenhauer,
Parerga e Paralipomena)
Ma la nostra terra si è forse riprodotta un bilione di volte: questo ciclo forse si è già ripetuto
un’infinità di volte, e sempre allo stesso modo…Una noia da morire… (Dostoevskij, I fratelli
Karamazov)
Nell’intera durata del tempo, grandi ondate di fondo sollevano, dalle profondità delle ere, le
medesime collere, le medesime tristezze, le medesime prodezze, le medesime manie, attraverso le
generazioni sovrapposte. (Proust, Il tempo ritrovato)
Chi è colui che può volere la ripetizione di ogni istante della propria vita? Non certo l’uomo
comune, quello del gregge, il nano schiacciato dallo spirito di gravità che perseguita l’uomo
europeo; bensì l’Oltreuomo, colui che costruisce attimi di esistenza talmente intensi da meritare
di essere voluti come eternamente ritornanti. Per volere ciò si deve essere felici, potere
dispiegare liberamente la propria volontà di potenza sul mondo, ormai non più gravata dal peso
delle morali menzognere. L’eterno ritorno mostra così il suo duplice significato: estremizzazione
del nichilismo da un lato, nuova condizione di felicità per l’uomo dall’altro.
Il nesso inscindibile tra eterno ritorno e volontà è bene espresso da Nietzsche nello
Zarathustra, Della redenzione (pp.160-165)
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I re di un paese piovoso.
Baudelaire, Nietzsche e il tempo del moderno.
Testi letti e/o commentati
1) La modernità è un deserto di uomini che si estende in un infinito dai tratti inafferrabili, perché la sua essenza è il
transitorio, il fuggitivo, il contingente (Baudelaire, Il pittore della vita moderna)
2) Sensi non ho; né senso. Non ho limite (Montale, Ossi di seppia)
3) Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto fatti” – direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì
solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto in sé; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere.
“Tutto è soggettivo”, dite voi; ma già questa è un’interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di
aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. E’ infine necessario mettere ancora l’interprete dietro
l’interpretazione? (id., Frammenti postumi)
***
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.(Montale, Ossi di seppia)
***
La Natura è un tempio dove colonne viventi
Talvolta lasciano uscire confuse parole;
l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che si confondono in lontananza,
in una cupa e profonda unità,
vasta come l’oscurità e come la luce,
profumi, colori e suoni si rispondono.
[…] (Baudelaire, Corrispondenze)
6) Ho un’esperienza e non scherzo dicendo che è un mal di mare in terra ferma. (Kafka, Racconti)
7) La caratteristica di questo mondo è la transitorietà. Da questo punto di vista i secoli non hanno alcun vantaggio
sull’attimo fugace. La continuità di tale stato transitorio non può dunque offrirci alcun conforto…Ora, se io voglio
combattere questo mondo, devo combatterlo nella sua caratteristica fondamentale, vale a dire nella sua transitorietà.
(Kafka, Diari)
8) …una sensazione molto simile al mal di mare, una quasi paralisi… (Nietzsche, lettera a Eiser, gennaio 1880)
9) Le cose che noi crediamo essere durature sono in quanto tali pure finzioni. Se tutto scorre, la transitorietà è una
qualità e la durata e l’immortalità sono solo un’illusione. (Nietzsche, Fframmenti postumi)
10) Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più venire
diversamente: l’avvento del nichilismo…Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con una
tensione torturante che cresce di decennio in decennio, come se si avviasse verso una catastrofe: inquieta, violenta,
precipitosa…(Nietzsche, Frammenti postumi)
11) E’ piacevolissima la stessa luce veduta nelle città, dov’ella è frastagliata dalle ombre, dove lo scuro contrasta in
molti luoghi con il chiaro, dove la luce in molte parti degrada appoco appoco, come sui tetti […] A questo piacere
contribuisce la varietà, l’incertezza, il non vedere tutto, il potersi perciò spaziare con l’immaginazione riguardo a ciò
che non si vede. (Leopardi, Zibaldone, 12 settembre 1821)
La crisi del moderno:
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12) E’ piacevolissimo ancora la vista di una moltitudine innumerevole, come delle stelle, o di persone, un moto
molteplice, incerto, confuso, irregolare, vago che l’animo non possa determinare, né concepire de finitamente e
distintamente come quello di una lotta (Leopardi, Zibaldone, 12 settembre 1821)
13) Una città come Londra, dove si può camminare per ore intere senza arrivare neppure all’inizio di una fine, ha
qualcosa di sconcertante. […] Già il brulichio delle strade ha qualcosa di spiacevole e fastidioso, qualcosa contro cui
la natura umana si ribella. […] Queste centinaia di migliaia di persone […] si sorpassano in fretta, come se non
avessero nulla in comune, nulla a che fare fra loro […] L’indifferenza brutale, la chiusura insensibile di ciascuno
nei propri interessi privati, appare tanto più ripugnante e offensiva quanto più alto è il numero di individui addensati
in breve spazio. (F.Engels, La situazione delle classi lavoratrici in Inghilterra)
14) Guardavo i passanti en masse, ne consideravo gli impersonali rapporti. […] La maggior parte, e di gran lunga, di
coloro che passavano, avevano un’aria soddisfatta, da gente pratica, e pareva non curarsi d’altro che di aprirsi una
strada in mezzo alla folla. Fronti aggrottate, occhi mobili, svelti, se qualche passante li urtava, senza dar segno si
raggiustavano i vestiti e procedevano senza indugio. Altri […] parlavano da soli, gesticolavano, quasi la stessa calca
della folla li facesse sentire in solitudine. (E.A.Poe, L’uomo della folla, passim)
15) Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sé al
manicomio. (Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Il crepuscolo della sera (FdM, XCV)
Il crepuscolo del mattino (FdM, CIII)
Le folle (SdP, XII)
Il crepuscolo della sera (SdP, XXII)
16) […] ci riporta il tempo/nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra/soltanto a pezzi […] (Montale, I limoni):
17) Prega per me/allora ch’io discenda altro cammino/che una via di città,/nell’aria persa, innanzi al brulichio/dei vivi
[…] (Montale, Incontro).
Il nemico (FdM, X)
Il gusto del nulla (FdM, LXXX)
L’orologio (FdM, LXXXV)
18) Via sulle navi, filosofi! (Nietzsche, La gaia scienza, af.289)
Invito al viaggio (FdM, LIII)
Viaggio a Citera (FdM, CXVI)
Il viaggio (FdM, CXXVI)
19) L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al
mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti
di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un
bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e
ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è
andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come
abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per
strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si
muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di
fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito
nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non
dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo
dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto!
Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più
sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi
questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare?
[…] Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione,
ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e
rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la
sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo
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enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli
uomini. […] Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi
abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere
invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”. (La gaia
scienza, af.125)
20) Schopenhauer fu il primo ateo dichiarato e irremovibile che noi tedeschi abbiamo avuto: è qui lo sfondo della sua
inimicizia con Hegel […] l’ateismo assoluto, onesto, è appunto il presupposto della sua problematica, in quanto è una
vittoria finale e faticosamente conquistata dalla coscienza europea, in quanto è l’atto più ricco di conseguenze di una
bi millenaria educazione alla verità, che nel suo momento conclusivo si proibisce la menzogna della fede in Dio […]
ecco che subito ci si viene avvicinando, spaventosamente, il quesito di Schopenhauer: ha dunque l’esistenza in generale
un senso? – quel quesito che soltanto per essere compreso e sentito in tutta la sua profondità avrà bisogno d’un paio di
secoli. (La gaia scienza, af.357)
21) Il più grande avvenimento recente – che "Dio è morto", che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile –
comincia già a gettare le sue prime ombre sull'Europa. A quei pochi almeno, i cui occhi, la cui diffidenza negli occhi è
abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche
antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più
crepuscolare, più sfiduciato, più estraneo, più "antico". Ma in sostanza si può dire che l'avvenimento stesso è fin troppo
grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione dei più perché possa dirsi già arrivata anche
solo notizia di esso; e tanto meno poi, perché molti già si rendano conto di quel che veramente è accaduto con questo
avvenimento – e di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa era stato
costruito, e in essa aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale
europea. Una lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, tramonti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi: chi già da
oggi potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo da diventare maestro e veggente di questa mostruosa logica
dell'orrore, da essere il profeta di un ottenebramento e di un'eclisse di sole, di cui probabilmente non si è ancora mai
visto sulla terra l'uguale?… Perfino noi, per nascita divinatori d'enigmi, noi che siamo in attesa per così dire sulle
montagne, piantati fra l'oggi e il domani, tesi entro l'opposizione tra oggi e domani, noi primogeniti e figli prematuri
del secolo venturo, noi che già dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno l'Europa: com'è che perfino
noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto senza preoccuparci e
temere per noi stessi? Siamo forse ancora troppo soggetti alle più immediate conseguenze di questo avvenimento – e
queste più immediate conseguenze, le conseguenze per noi, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non
sono per nulla tristi e rabbuianti, ma piuttosto come un nuovo genere, difficile a descriversi, di luce, di felicità, di
ristoro, di rasserenamento, d'incoraggiamento, di aurora…
In realtà, noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che "il vecchio Dio è morto", ci sentiamo come illuminati dai raggi di
una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d'attesa – finalmente
l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le
vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso;
il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così "aperto". (La gaia
scienza, af.343)
22) La grande salute. Noi uomini nuovi, senza nome, difficilmente comprensibili, noi figli precoci di un avvenire ancora
non verificato – abbiamo anche bisogno di un nuovo mezzo per un nuovo scopo, cioè di una nuova salute, una salute
più vigorosa, più scaltrita, più tenace, più temeraria […] Un altro ideale ci precede correndo, un prodigioso ideale,
tentatore, ricco di pericoli […] l’ideale di uno spirito che […] gioca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro, buono,
intangibile, divino […] un ideale che apparirà molto spesso disumano, se lo si pone, a esempio, accanto a tutta la
serietà terrena fino a oggi esistita […] (La gaia scienza, af.382)
23) Zarathustra fu il primo a vedere nella lotta tra il bene e il male la vera ruota che spinge le cose – è opera sua la
traduzione della morale in termini metafisici, in quanto forza, causa, fine in sé. […] Zarathustra ha creato questo
errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere quell’errore […] La morale che
supera se stessa […] i moralisti superano se stessi diventando il loro opposto – me stesso – questo significa il nome di
Zarathustra sulla mia bocca. (Nietzsche, Ecce homo)
24) Indovino Annientatore Creatore Scopritore (mare) Danzatore-Ridente Uomo che vola-Vincitore (Nietzsche,
Frammenti postumi 1882-1884)
25) In Z. la grande sintesi di colui che crea, che ama, che distrugge (Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885)
26) Tu contraddici oggi ciò che hai insegnato ieri. Però ieri non è oggi, disse Z. (Nietzsche, La gaia scienza, af.373)
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27) Orsù! Questa è la mia predica: io sono Zarathustra il senza Dio, che dice: “chi è più di me senza Dio, onde io
possa godere dei suoi insegnamenti?” (CPZ, Della virtù che rende meschini)
28) essi [i fondatori e i maestri di religione] odiano furiosamente l’uomo della conoscenza e la virtù nuovissima che si
chiama: onestà. (CPZ, Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo)
29) La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione
e un tramonto. (CPZ, Prefazione di Zarathustra)
30) Zarathustra ha dominato anche la grande nausea per l’uomo: per lui l’uomo è un essere senza forma, un materiale,
una brutta pietra che ha bisogno dello scultore. (Nietzsche, Ecce homo)
31) A voi tutti, che soffrite per la grande nausea come me, per i quali il vecchio Dio morì e ancora nessun dio nuovo
giace in fasce nella culla – a voi tutti il mio spirito malvagio e mago demoniaco è benevolo. (CPZ, Il canto della
melanconia)
32) E’ necessaria invece una nuova giustizia. E una nuova parola d’ordine. E nuovi filosofi. Anche la terra della
morale è rotonda. Anche la terra della morale ha i suoi antipodi. Anche gli antipodi hanno diritto all’esistenza. C’è
ancora un altro mondo da scoprire: e più d’uno. Via sulle navi, filosofi! (Nietzsche, La gaia scienza, af. 289)
33) Quando venni dagli uomini, li trovai assisi si di un’alterigia antica: si credevano tutti di sapere da lungo tempo che
cosa fosse bene e che cosa male per l’uomo. […] Io disturbai queste abitudini sonnacchiose, quando mi misi a
insegnare: che cosa sia buono, che cosa cattivo, non lo sa nessuno: - a meno che non sia uno che crea! (CPZ, Di
antiche tavole e nuove)
34) Ma i veri filosofi sono coloro che comandano e legiferano […] essi protendono verso l’avvenire la loro mano
creatrice e tutto quanto è ed è stato diventa per essi mezzo, strumento, martello. Il loro “conoscere” è creare, il loro
creare è una legislazione, la loro volontà di verità è volontà di potenza. Esistono oggi tali filosofi? Sono già esistiti tali
filosofi? Non devono forse esistere tali filosofi? (Nietzsche, Al di là del bene e del male)
35) “Non con la collera, bensì col riso si uccide” – così tu dicesti una volta. Oh Zarathustra, pieno di segreti, tu
distruttore senza collera, tu santo pericoloso […] (CPZ, La festa dell’asino):
36) Zarathustra il danzatore, Zarathustra il lieve, che fa cenno con le ali, uno che è pronto a spiccare il volo e intanto
ammicca a tutti gli uccelli, disposto e pronto a volare, beato nella sua levità […] (CPZ, Dell’uomo superiore)
37) E non saprei che cosa lo spirito di un filosofo potrebbe desiderare di più che essere un buon ballerino. La danza,
infatti, è il suo ideale e anche la sua arte […] (La gaia scienza, af.381)
38) Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari. […] Voi non avevate ancora trovato voi stessi: ecco che
trovaste me. Così fanno tutti i credenti; perciò ogni fede vale così poco. (CPZ, Della virtù che dona, 3)
39) Oh, se i poeti volessero ridiventare quel che devono essere stati una volta: veggenti, che ci raccontano qualcosa del
possibile! […] Se volessero farci sentire qualcosa anzitempo delle virtù future! O di virtù che non esisteranno mai sulla
terra, benché potrebbero esistere in qualche luogo del mondo […] Dove siete voi, astronomi dell’ideale? (Nietzsche,
Aurora.)
40) […] in quanto poeta, solutore di enigmi e redentore della casualità, insegnai loro a creare nell’avvenire e a
redimere nella creazione tutte le cose che furono. […] (CPZ, Di antiche tavole e nuove)
41) Verace – così io chiamo colui che va nel deserto, dove gli dei non sono, e ha spezzato il suo cuore venerante. […]
Ma colui che è odioso al popolo come un lupo per i cani: è lo spirito libero, il nemico della catena, il non-adoratore,
randagio per i boschi. Cacciarlo dal suo rifugio – questo ha sempre significato per il popolo “senso del giusto”: contro
di lui esso aizza i suoi cani dalle zanne più aguzze. (CPZ, Dei saggi illustri, passim)
42) Io vi insegno l’Oltreuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. […] Che cos’è l’uomo per la scimmia? Un
ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per l’Oltreuomo, un ghigno o una dolorosa
vergogna. […] L’Oltreuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia l’Oltreuomo il senso della terra. Vi
scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Un tempo
il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto […] Commettere il sacrilegio contro la terra, questa
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è oggi la cosa più orribile. […] L’uomo è un cavo teso tra la bestia e l’Oltreuomo, un cavo al di sopra dell’abisso. […]
La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un
tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione. (Così parlò
Zarathustra, prologo, 3-4, passim)
43) Morti sono tutti gli dei: ora vogliamo che l’oltreuomo viva. – questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra
ultima volontà. (Zarathustra, Della virtù che dona)
44) Non appena non si crede più in Dio e nella destinazione dell’uomo per l’aldilà, l’uomo diventa responsabile di tutto
ciò che vive. (Frammenti postumi 1885-1887)
Zarathustra, Dei dispregiatori del corpo (pp.33 sgg.) Zarathustra: Delle tre metamorfosi (pp.23-25)
A una passante (FdM, XCIII).
Ubriacatevi (SdP, XXXIII):
45) Il peso più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle
tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai riviverla ancora una volta e ancora
innumerevoli volte e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e
ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà far ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e
successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo attimo e io stesso.
L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta – e tu con essa granello di polvere!" - Non ti
rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una
volta un attimo immane, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio, e mai intesi cosa più divina!"?
Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe;
la domanda che ti porresti ogni volta e in ogni caso: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?"
graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto tu dovresti amare te stesso e la vita, per
non desiderare più alcun'altra cosa che quest'ultima eterna sanzione, questo suggello? (La gaia scienza, af.341)
Zarathustra (La visione e l’enigma)
46) Esaminiamo come ha agito su di noi il pensiero che qualcosa si ripete (l’anno per esempio, oppure le malattie
periodiche, la veglia e il sonno etc.). Se la ripetizione circolare è anche solo una probabilità o una possibilità, anche
l’idea di una possibilità può sconvolgerci e trasformarci, non solo i sentimenti o determinate aspettative! In che misura
ha agito la possibilità della dannazione eterna! (Frammenti postumi)
47) …per quanto sul teatro del mondo cambino i drammi e le maschere, gli attori sono sempre i medesimi.Sediamo
insieme e parliamo…proprio allo stesso modo migliaia d’anni fa altri sono stati così a sedere…L’apparato per il quale
non ci rendiamo conto di tutto ciò è il tempo.(Schopenhauer, Parerga e Paralipomena)
48) Ma la nostra terra si è forse riprodotta un bilione di volte: questo ciclo forse si è già ripetuto un’infinità di volte, e
sempre allo stesso modo…Una noia da morire… (Dostoevskij, I fratelli Karamazov)
49) Nell’intera durata del tempo, grandi ondate di fondo sollevano, dalle profondità delle ere, le medesime collere, le
medesime tristezze, le medesime prodezze, le medesime manie, attraverso le generazioni sovrapposte. (Proust, Il tempo
ritrovato)
Zarathustra, Della redenzione (pp.160-165)
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Testi di Baudelaire (nella traduzione di A.Prete, ed. Feltrinelli) da
I fiori del male (F.d.M.)
e
Lo spleen di Parigi (S.d.P.)
LXXVIII Spleen (FdM)
Quando il cielo discende greve come un coperchio
sull’anima che geme stretta da noia amara,
e dell’ultimo orizzonte stringendo tutto il cerchio
ci versa un giorno cupo più della notte nera;
quando la terra è fatta un’umida segreta,
entro cui la Speranza, pipistrello smarrito,
con le sue timide ali sbatte sulle pareti,
e va urtando la testa sul soffitto marcito,
quando la pioggia spiega le sue immense strisce
imitando le sbarre d’un carcere imponente,
e un popolo di ragni, silenzioso e viscido,
tende le reti in fondo a queste nostre menti,
d’improvviso campane esplodono furiose,
lanciando verso il cielo un gridio tremendo,
come anime che, erranti, senza patria, pietose,
mandino un inatteso, ostinato, lamento.
-Funebri cortei, senza la musica e i tamburi,
lenti solcano l’anima. La Speranza, lo sguardo
vinto, piange, e l’Angoscia, che è dispotica e dura,
sul mio capo già chino pianta ora il suo stendardo.
LXXVII Spleen (FdM)
Somiglio al re d’un paese piovoso, re impotente,
anche se ricco, giovane eppure già cadente,
dei precettori ha in odio i sussiegosi gesti,
s’annoia con i cani come con le altre bestie.
Niente lo rallegra, non caccia né falcone,
né il popolo che muore di fronte al suo balcone.
Del diletto buffone la grottesca ballata
Non distrae la sua mente, che è crudele e malata […]
IV Corrispondenze (FdM)
La Natura è un tempio e ha colonne viventi
che un mormorar confuso di parole riversano;
l’Uomo va, e foreste di simboli attraversa
che lo scrutano con occhi familiari e intenti.
Come lunghi echi che da lontano si fondono
in una tenebrosa unità e immensa,
profonda come notte e come luce intensa,,
i profumi i colori i suoni si rispondono.
Al Lettore (FdM)
In mezzo ad avvoltoi basilischi scorpioni,
vipere linci scimmie sciacalli, in mezzo a mostri,
che grugniscono latrano s’avventano con rostri,
nell’infame serraglio di vizi e di passioni,
uno ce n’è più basso più maligno più immondo
che volentieri senza gesto alcuno né chiasso
della terra farebbe un immenso sconquasso
e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo:
la Noia. Un pigro pianto per oscuro fardello,
sfumacchia io narghilè sopra morti e patiboli.
Di quel mostro impalpabile tu sai, lettore, i triboli,
ipocrita lettore, mio simile, fratello.
LXXXIX Il Cigno (FdM)
[…] La vecchia Parigi ormai scompare
(d’una città la forma veloce si rinnova,
più rapida, ahimé, del cuore d’un mortale);
e vedo nella mente un campo di baracche,
capitelli sgrossati, colonnini, erbe e blocchi
di macigni, verdastri per le pozze e per l’acque,
di tra i vetri un confuso ciarpame brilla agli occhi. […]
XCV Il crepuscolo della sera (FdM)
[…]
Ecco intanto dei demoni: maliziosi, nell’aria
si levano pesanti, come gente d’affari,
sbatacchiano nel volo su tettoie e persiane.
E nell’incerto lume che il vento scompone
la Prostituzione ora nelle strade s’accende
e come un formicaio in mille vie si spande;
dappertutto si scava un suo passaggio occulto,
come fosse un nemico che s’accinge all’assalto,
si affanna nelle viscere della città di mota
come un verme che il cibo al corpo umano roda.
Si sente, qua e là, il soffiar di cucine,
il guaire dei teatri, il ronfar di orchestrine;
nelle taverne, che amano divertimenti vari,
s’affollano puttane, con magnaccia e compari,
e i mariuoli, incapaci di star fermi un’ora,
vogliono cominciare presto il loro lavoro,
forzare casseforti e porte e serramenti
per sbarcare il lunario e vestire le amanti.
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CIII Il crepuscolo del mattino FdM)
Ecco, qua e là le case prendevano a fumare.
Le puttane dormivano un sonno grigio e inerte,
con le palpebre livide, le bocche semiaperte,
mentre le mendicanti dai seni freddi e vizzi
soffiavan sulle dita e sui languenti tizzi.
Era l’ora che in mezzo al gelo ed agli stenti
S’aggravano le doglie delle partorienti.
Come un singhiozzo infranto da sanguinose schiume
Lungi il canto del gallo lacerava le brume,
un gran mare di nebbia bagnava gli edifizi
e i moribondi davano nel chiuso degli ospizi
a singulti ineguali i loro estremi rantoli.
Rincasava il gaudente, dalle fatiche affranto.
X Il nemico (FdM)
[…]
O dolore! Ecco il tempo, che divora la vita,
e l’oscuro Nemico che ci smangiucchia il cuore
si rafforza col sangue della nostra ferita.
LXXX L’amore del nulla (FdM)
[…]
Ecco, il Tempo m’inghiotte pur che un istante volga,
come alta neve u gelido corpo in cammino. Miro
dall’alto il globo compiere lentamente il suo giro,
ma non cerco rifugio che conforto mi porga. […]
LXXXV L’orologio (FdM)
Orologio, sinistro iddio, imperturbato,
il dito in alto, dice minaccioso: “Ricorda!”
I guizzanti Dolori negli inquieti precordi
Come in un giusto bersaglio saranno conficcati.
Vaporoso il piacere dilegua in lontananza,
come silfide che tra le quinte svanisce.
Ogni istante la parte di delizie sminuisce
date a ciascuno in dono nella sua esistenza.
Per tremila e seicento volte all’ora il Secondo
va insinuando: Ricorda! E l’Adesso, con voce
d’insetto: “Sono il Già-Stato”, dice veloce,
prosciugo la tua vita con la mia tromba immonda. […]
XCIII A una passante (FdM)
La strada era assordante, urlava tutt’intorno.
esile ed alta, in lutto, regina dolorosa
una donna passò, con la mano fastosa
sollevando il vestito, di trine e balze adorno.
Leggera, nelle gambe una scultorea grazia.
Negli occhi suoi, cielo ove s’annuncia l’uragano,
bevevo,come quello ch’è fatto ossesso e strano,
la dolcezza che incanta, il piacere che strazia.
Un lampo…poi la notte! Bellezza fuggitiva,
che con un solo sguardo la vita m’hai ridato,
non ti vedrò più dunque che nell’eterna riva?
Altrove, in lontananza, e tardi, o forse mai!
Non so dove tu fuggi, tu non sai dove vado,
io t’avrei certo amato, e tu certo lo sai!
Ubriacatevi! (SdP, XXXIII)
Bisogna esser sempre ubriachi. Tutto sta in questo: è
l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del
Tempo che rompe le vostre spalle e vi inclina verso la
terra, bisogna che vi ubriachiate senza tregua.
Ma di che? Di vino, di poesia o di virtù, a piacer
vostro, ma ubriacatevi.
E se qualche volta, sui gradini d'un palazzo, sull'erba
verde d'un fossato, nella mesta solitudine della vostra
camera vi risvegliate con l'ubriachezza già diminuita o
scomparsa, domandate al vento, all'onda, alla stella,
all'uccello, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto
ciò che geme, a tutto ciò che ruota, a tutto ciò che
canta, a tutto ciò che parla, domandate che ora è; e il
vento, l'onda, la stella, l'uccello, l'orologio, vi
risponderanno: "È l'ora di ubriacarsi! Per non esser
gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi;
ubriacatevi senza smettere! Di vino, di poesia o di
virtù, a piacer vostro."
Le folle (SdP, XII)
Moltitudine, solitudine: termini uguali e convertibili
per il poeta attivo e fecondo. Chi non sa popolare la
sua solitudine, non sa nemmeno essere solo in una
folla indaffarata.
Il crepuscolo della sera (SdP, XXII)
Ma dall’alto della montagna giunge al mio balcone,
attraverso le nuvole trasparenti della sera, un grande
urlio, che nasce da una folla di grida discordanti, che
lo spazio trasforma in una lugubre armonia, come
quella della marea che sale, o di una tempesta che
inizia.
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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
1) I testi di Nietzsche citati sono in edizione Adelphi, nella versione di G.Colli e M.Montinari;
2) R.Schmidt e C.Spreckelsen, Così parlò Zarathustra. Guida e commento, Garzanti 1998;
3) F.Rella, Miti e figure del moderno, Feltrinelli 1993;
4) W.Benjamin, Baudelaire e Parigi, in id., Angelus Novus, Einaudi 1982;
5) C.Baudelaire, I fiori del male, trad. di A.Prete, Feltrinelli 2003;
6) C.Baudelaire, Lo spleen di Parigi, trad. di F.Rella, Feltrinelli 1992.
Inoltre, nella sezione Podcast del sito internet della casa editrice Feltrinelli
(http://www.feltrinellieditore.it/PodcastHome) sono disponibili alcune lezioni in formato mp3 di
Antonio Prete sui Fiori del male e su Giacomo Leopardi.