Locale globale - Enciclopedia einaudi [1982]

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ENCICLOPEDIA EINAUDI [1982] LOCALE GLOBALE Jean Petitot — LOCALE/GLOBALE pag.4 Massimo Galuzzi — DIFFERENZIALE pag 11 Pierre Delattre FUNZIONE pag.53 Jean Petitot — INFINETESIMALE pag.62 LOCALE/GLOBALE pag.102 SISTEMI DI RI FERI MENTO pag.134 Andrea Milani — STABILITÁ/INSTABILITÁ pag.144 Guido Stampacchia — VARIAZIONE pag.162

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E NCICLOPEDIA EINAUDI [ 1 982 ]

LOCALE GLOBALE

Jean Petitot — LOCALE/GLOBALE pag .4

Massimo Galuzzi — DIFFERENZIALE pag 11Pierre Delattre — FUNZIO NE pag.53

Jean Petitot — INFINETESIMALE pag.62LOCALE/GLOBALE pag.102

S ISTEMI DI R I F ER I ME N T O pag.134Andrea Milani — STABILITÁ/INSTABILITÁ pag.144

Guido Stampacchia — VARIAZIONE pag.162

Locale /globale I c)2 '53 Locale /globale

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differenziale 5 3 2 7 8 3 2 4funzioni 3 ' 3 6 3 ' 4 3 3 2 2 4 8 • z 2 4 Io 7 7 4

infinitesimale 4 3 3 4 5 s 5locale/globale 5 4 S 4 5 7 I 3 2 3 7 S S I 4 3 7 S 5sistemi di riferimento 2 3 z 5 3 2 z 5 8 6 6 6 5 z 7

stabilità(instabilità 6 6 3 4 () 2 4 2 6 5 3 3 3 I z 6 3 Svariazione I 3 4 2 2 2 8 4 7 6 2 3 5

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differenziale 4 3 ' 4 4 3 3 3 7funzioni 2 5 4 3 5 5 5 2 7 5 z Z 9 4 2 3 3 2

infinitesimale 6 4 3 3 zlocale/globale 4 4 z 4 6 5 2 3 6 5 7 4 6 4 6 6 6 z 6

sistemi di riferimento 64 6 S

3 3 2 3 4 I 2 3 2 3 3 4 3 7 2 I 4 5 4 2 4 24 3

stabilità /instabilità 2 3 2 z 4 2 77 5

2 2 3 3 2 8 6 5 4 5 2 4 2 4. 5 5variazione 2 2 z 3 6 4 2 2 3 6 4 4 4 4 6 2 2 7

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sistemi di riferimento sistemi di stabilità/riferimentolocale/globale 3differenziale 6 s

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infinitesimale 2 3 2 globale

funzioni 3 S7 5

7 6 6stabilità/instabilità 2

variazione 3 5 infinitesimale

ambiguità allegoriacompetenza/esecuzione codice

Locale/globade fonetica immagine avanguardia Locale/globalegrammatica metafora classico

concetto analogia e metafora lessico segno cfincaesistenza argomentaxione lingua significato filologia bello/bruttoessere interpretazione lingua/parola simbolo letterxtwa creatività'l.',fit ","„

, fenomeno linguaggio manieraforma metrica espressione

astraito /concreto poetica fantasticodialettica idea semantica alfabeto retorica

identità/differenza proposizionee giudizio sens%ignificato gUStoascolto imitazione

mediazione traduzione gesto immaginazione anthroposopposiiione/contraddizione universali/particolari lettura progetto cultura/culture

qualità/quantità atti linguistici luogo comune riproduzione/riproducibilità etnocentrismitotalità dicibile/indicibile orale/scritto discorso sensibilità natura/cultura

uno/moltidecisione enunciaxione comunicazione parola finzione spazislità

distribuzione statistica presupposizione e allusione errore ritmo generi artigianatodato referente informazione scrittura

giochi narrazione/narratività artistaetica voce acculturazionestileinduzione statistica attribuzione

filosofla/filosofie civiltàprobabilità tema/motivo oggetto

ragione antico/moderno futurorappresentazione statistica testo

razionale/irrazionale catast~ : - == calendario produzione artistica selvaggio/barbaro/civilizzatoteoria/pratica soggetto/oggetto decadenza armonia coloreuguaglianza escatologia escrementimelodia

caos/cosmo valori p eriod~ =,=. ­. età mitiche disegno/progetto fertilitàritmica/metrica visionecurve e superfici infinito vero/falso tempo/temporxlità genesi abbigliamento nascita educazione

scalageometria e topologia macrocosmo/microcosmo volontà passato/presente canto sensi generazioni

suon%umore coltivazioneinvariante mondo progress%eazione colpo sessualità infanzia

alchimianatura storia tonale/atonale danza vecchiaia morte cultura inaterialeastrologia atlante amore industria ruraleosservazione maschera

cabala collezione desiderio vita/mortemoda materiali

deduzione/prova reale elementi documento/monumento credenze erosornamento prodottiequivalenza unità armi

difierenziale esoterico/essoterico fossile isteria clinicadialetto scenaformalizzazione frontieramemoria angoscia/colpa cura/normalizzazionefunzioni pulsione

logica enigmainfinitesimale rovina/restauro guerra castrazione e complesso esclusione/integrazione

fiaba soma/psiche fuocopossibilità(necessità znalisifsintesi imperi censura farmaco/droga~ we cannibalismo sonno/sogno homoreferenza/verità anticipazione funzione nazione mostro identificazione e transfert follia/deliriodài

sistemi di riferimento ricorsivita ipoteai misura tattica/strategia popolare inconscio medicina/medicalizzazione manofmanufattoproverbi divino tecnicastabilità/instabilità matematiche „... modello alienazione nevrosi/psicosi normale/anormale

tradixioni crei utensilevariazione metodo,"!ij'fs, r struttura piacere salute/malattiacoscienza/autocoscienzacentrato/acentrato ("l',, teoria/modello

demagogia iniziazione

combinatoriaimmaginazione sociale discriminazione sintomo/diagnosi

magia demoni ahmcntanoncgrafo pace repressione ateo messia agonismoapplicazioni servo/signore divinazionc animaleterrore chierico/laico millennio cenmoniale casta

assioma/postulato labirinto caso/probabilità cucinauomo tolleranza/lntolleranxa mito/rito donnachiesa persona festacontinuo/discreto rete causa/e/fatto utopia mythos/fogna endogamia/esogamia domesticamentotortura diavolo pur%mpuro feticciodipendenza/indipendmua abaco certezza/dubbio violenza origini fameeresia religione famigliadivisibilità algoritmo g loCOcoerenza vegetale

libertino sogno/visione incestoluttodualità approssimazione convenzione cstegorie/categorizzazione libro stregoneria regalità maschile/femminileinsieme calcolo determinato/indeterminato conoscenza matrimoniopeccato l'ttorazionale/algebrico/trascendente numera empiria/esperienza coppie filosofiche parentela

simmetria zero sacro/profano caccia/raccoltaesperimento disciplina/discipline santità borghesi/borghesia tote donoatruttme matematiche legge enciclopedia burocrazia economia uomo/donna eccedentetrasformnioni naturali ( categorie libertà/necessità innovazione/scoperta classi formazione economico-socialemetafisica pastoriziacontadini lavorocontrollo/retroazione insegnamento primitivonaturale/artificialenergia invenzione consenso/dissenso ideologia modo di produzione reciprocità/ridistribuzioneopcratività egemonia/dittatura masse proprietà

analogicofdigitale equilibrio/squilibrio rappresentazioneparadigma intellettuali

interazione ricerca pmlctanato riproduzioneautoma previsione e possibilità libertàsistematica e classificazione rivoluzione transizione abbondanza/scarsitàintelligenza artificiale ordine/disordine riduzione maggioranza/minoranzamacchina bisognoorganizzazione ripetizione partiti consumoprogramma semplice/complesso scienza politica ccumulazione impostasimulazione statenill apprendimento amministrazionespiegazione capitale lussostrumento soglia autoregolazione/equilibrazione comunitàrificabilità/falsificabilità cervello

vincolo comportamento cognizione confiitto CI'Ist oro e argentoCostltUZÉORC

e condizionamento induzione/deduzione consuetudine élite distribuzione pesi e misure

controllo sociale innato/acquisito diritto democrazia/dittatura fabbricagergo produzione/distribuzioneastronomia emozione/motivazione istinto giustizia norma gestione ricchezzagrUppocosmologie scambio

atomo e molecola mente operazioni istituzioni patto marginalità imperialismo

gravitazione conservazione/invarianza percezione responsabilità potere opinione impresa SPTCCO

luce entropia quoziente intellettuale potere/autorità povertà mercato

materia pubblico/privato mercefisica propaganda

spzaio-tempo atmosfera cellula società civile monetafr /ca poorza/campo ruol%tatuslitosfera adattamento + difierenziamento h abitazione stato socializzazione pianificazione

moto evoluxiono z' immunità N acqua • ocietà profittoparticella

lasmmutazione/selezione ~ individualità biologica ambiente .spazio sociale rendita

( p asma polimorfismo r integrazione /I cifiàsole salariouniverso propagazione

quantispecie I invecchiamento l' clima utilità

/relatività / organismo g ecumene valore/plusvalore

reyeriibilità/irreversibilità I regolazione<r' insediamento agricoltura

cataliii migrazione città/campagnastato fisico I sviluppo e morfogenesi w

coloniemacromolecole paesaggiometabolismo popolazione commercio

industriaomeostasi regioneeredità risorseorganico/inorganico spazio economico

suoloosmosi gene sviluppo/sottosviluppoterravita genotipo/fenotipo

razza territoriosangue villaggio

Locale/globale~ndon (trad.

Differenziale, Funzioni, Infinitesimale,i t. Ei­ Locale/globale, Sistemi di riferimento, Stabilità/instabilità,

Variazione

L'opposizione+locale/globale+ è una di quelle opposizioni fondamentali che,come quelle tra il discreto e il continuo o tra il finito e l'infinito, sono proteiformie intervengono a tutti i livelli della riffessione e della pratica matematica. È unaopposizione portante, organizzatrice e distributrice il cui contenuto è sia concet­tuale sia tecnico. Si può dire che è un'opposizione dotata di un eminente valorecategoriale.

Questa opposizione fa parte della lingua naturale ed è spontaneamente uti­lizzata per indicare situazioni certamente diverse ma la cui intuizione è relativa­mente unitaria. Se ne darà qualche esempio scelto a caso fra i molti.

Si è iniziato l'articolo «Locale/globale» di questa Enciclopedia con alcune ri­Ressioni informali sulla struttura semantica di un lessico. Si tratta di un esempiotipico. In questo caso si utilizza il termine 'locale' per parlare di campi semanticiristretti e ben articolati come il campo semantico dei colori, o degli utensili dicucina, o di sottodiscipline di una certa scienza, ecc. In particolare, gli articoli diquesta Enciclopedia sono, relativamente al tutto che essa costituisce, delle orga­nizzazioni locali. Si vede che l'accezione del termine 'locale' ricopre qui due pro­blemi. In primo luogo quello delle classificazioni, dato che ogni campo semanti­co consiste nella classificazione secondo una regola di una certa varietà. E inoltrequello del livello di osservazione scelto per operare la classificazione. Per precisa­re un poco questa accezione tassonomica, si consideri l'esempio del sistema fono­logico di una lingua. Questo sistema può essere considerato in un primo mo­mento come l'insieme degli «atomi » fonetici. Questo insieme, che si suppone bendefinito su basi fisico-audioacustiche, svolge il ruolo di una totalità di elementiconsiderati analoghi, omogenei rispetto alla loro natura, anche se non equivalentil'uno all'altro. Si tratta in qualche modo di un quadro globale di riferimento. Sipotrebbe allora credere che, detto J questo insieme, se p è un «atomo» fonetico,vale a dire un suono fonetico elementare come una consonante o una vocale, l'ap­proccio formale della tassonomia associata a J si riduca allo studio della relazio­ne di appartenenza insiemistica pe J. Ma non è affatto vero. Un tale approcciosarebbe di una povertà estrema. Infatti i suoni fonetici elementari sono formeaudioacustiche che possono variare in modo continuo e che sono dunque defor­mabili. Ciò significa che lo spazio P è naturalmente munito di una topologia (cfr.l'articolo «Geometria e topologia») che definisce una relazione di vicinanza trai suoni fonetici elementari. E per di piu la percezione non è sensibile a tutte leproprietà di questi suoni fonetici elementari. Come hanno mostrato numeroseesperienze effettuate in questi ultimi quindici anni, la percezione fonetica è ca­tegoriale. Ciò significa quanto segue. Si consideri una sequenza di N st imoli(una dozzina) (sn ..., s>) che conduca in modo progressivo per esempio dalla sil­

Sistematica locale 34z 343 Locale/globale

laba [pa] alla sillaba [ba] in una lingua in cui la diflerenza sordo/sonoro [p]/[b] Ci si trova in questo caso in presenza di una esemplificazione del paradigmasia pertinente. Si sottopongano allora dei soggetti a test di identificazione e di strutturalista. L'approccio strutturalista consiste essenzialmente nell'interpreta­

discriminazione. I primi test consistono nel domandare ai soggetti, ai quali si re le tassonomie in termini di categorizzazione come sistemi di rapporto, vale a

presenta una serie aleatoria di occorrenze degli s;, di riconoscere ogni occorrenza dire in termini di sistemi di discontinuità che scompongono in domini (in classicome [pa] o fba]. I secondi test consistono nel domandare ai soggetti, ai quali si di equivalenza) un certo spazio topologico. Ciò è valido in particolare per i campi

presenta una serie aleatoria di coppie (s,, s;+,) di stimoli successivi, se distinguo­ semantici. In quest'ottica il locale si riferisce agli elementi del sistema e il globale

no i due stimoli proposti. Mediante una statistica delle risposte, i test di identi­ al sistema stesso. E il postulato strutturalista del primato del criterio relazionale

ficazione conducono a risultati scontati a priori. Si ottiene una risposta di zoo per dell'identità sul criterio sostanziale (del primato della differenza sull'identità, cfr.cento di [pa] e di o per cento di [ba] per i primi stimoli sn..s>, una risposta di

l'articolo « Identità/differenza») ribadisce che, quanto al valore, è il globale chexoo per cento di [ba] e di o per cento di [pa] per gli ultimi stimoli s>...sv, e la determina il locale. Questo punto di vista si oppone risolutamente al punto di vi­

percentuale delle risposte [pa] crolla catastroficamente per essere rimpiazzatasta riduzionista e «atomista» secondo cui gli elementi del sistema hanno un'esi­

dalla risposta [ba] nella zona intermedia. Si ottiene cosi un'interfaccia (una fron­ stenza autonoma e si aggregano per interazione in un sistema globale a partire

tiera) K che separa la categoria [pa] dalla categoria [ba]. In compenso i risultati dalle loro proprietà intrinseche.

dei test di discriminazione conducono a risultati che hanno molto sorpreso i fone­ Per ritornare alla struttura dei lessici e delle enciclopedie, si vede che il pro­tisti. Se si considera una percezione continua (non categoriale) come quella dei blema è quello dell'estensione, del prolungamento, dei campi semantici e quello

colori, è un fatto chiaro e appartenente all'esperienza usuale come si possano al­ dei loro incollamenti. Il campo semantico che, in ciò che precede, funzionava co­

trettanto bene distinguere due sfumature di rosso o di arancione vicine quanto me un quadro di riferimento globale inducente una categorizzazione, funzionauna tinta rosso-arancione da una tinta arancione-rosso. La scomposizione del ora come un campo locale suscettibile di estendersi e di intersecarsi con altri

campo dei colori in categorie etichettate da nomi è di natura linguistica e pratica­ campi locali. Si entra in questo caso in una problematica completamente diversa

mente non influisce affatto sulle capacità percettive di discriminazione. Ma non in cui si tratta di aggregare dei domini locali. Ognuno di noi ha sperimentato co­

succede la stessa cosa nel caso della percezione fonetica. I test di discriminazione me le carte geografiche possono essere incollate in modo da formare una carta

mostrano che non esiste discriminazione intracategoriale. Si possono discriminare globale. Questa esperienza elementare rende manifesta l'eminente relatività del­

soltanto stimoli vicini separati da K, vale a dire riconosciuti come differenti. È in la dialettica del locale e del globale. Fssa rende anche manifesta l'importanza del

questo senso che la percezione è categoriale. Essa è subordinata all'identifica­ livello di osservazione scelto. Semplificando i dati, per esempio usando l'astra­zione. Come dicono i fonetisti, si effettua su basi assolute. La percezione catego­ zione nel caso semantico, è possibile ridurre un sistema globale a una situazio­

riale è un fenomeno percettivo di primaria importanza. Essa spiega come un ne locale.

flusso acustico continuo può essere percettivamente discretizzato e diventare per Nel suo sviluppo, la matematica ha incontrato problemi analoghi, ma datociò stesso il supporto di un codice. Si vede che la percezione fonetica manifesta che gli oggetti matematici sono oggetti costruiti, ha potuto dare un contenuto

essenzialmente la categorizzazione dello spazio topologico P dei suoni fonetici tecnico e operatoriale ai diversi aspetti della dialettica del locale e del globale. Essa

elementari con un sistema K di discontinuità (cfr. l'articolo «Continuo/discreto») ha potuto, in numerosi casi, rispondere in modo specifico, esplicito e profondoche vi definiscono una sorta di «geografia» (domini separati da frontiere). I do­ a problemi come i seguenti: in quale misura delle condizioni locali impongono

mini di J delimitati da K sono i fonemi del sistema. Questi fonemi sono classi proprietà o comportamenti globali? In quale misura la struttura globale imponedi equivalenza di suoni fonetici elementari chiamati anche allofoni. reciprocamente delle condizioni locali? In quale misura c'è equivalenza tra de­

Si capisce molto bene con questo esempio l'importanza dei concetti struttu­ terminazione locale e determinazione globale> Quali sono i metodi di passaggio

ralisti introdotti da Saussure e sviluppati da Jakobson e Hjelmslev (cfr. l'articolo dal locale al globale? Come si può localizzare una situazione? ecc.«Struttura»). Come classe di equivalenza di allofoni, un fonema non può avere Questi diversi problemi sono di una complessità cosi proliferante che non èuna definizione puramente audioacustica. Esso è definito dal suo valore, vale a possibile, in un articolo di sintesi come questo, neppure enumerarne semplice­

dire dall'estensione del suo dominio in J . Ora, dato che questa estensione è de­ mente i diversi aspetti. Ci si limiterà dunque, in modo estremamente rudimen­

terminata dal sistema globale di interfaccia K, un fonema non ha un'esistenza tale e, purtroppo, tecnicamente molto vago, a ripercorrere alcuni problemi svi­

isolata, Esso non esiste se non in modo relazionale per mezzo delle sue relazioni luppati in modo piu preciso negli articoli +Differenziale+, +Funzioni+, +Infini­

con gli altri elementi del sistema. Se si associa ad ogni dominio una «capitale», tesimale+, +Locale/globale+, +Sistemi di riferimento+, +Stabilità/instabilità+ ecioè un allofono prototipico che occupa approssimativamente il baricentro del do­ +Variazione+.

minio stesso, si può dire che i prototipi costituiscono gli elementi del sistema, cioèil suo aspetto locale, ma che, quanto al valore, il sistema globale è implicitamentepresente in ciascuno degli elementi.

Sistematica locale 344 345 Locale /globale

morfismi, le applicazioni biiettive (cfr. gli articoli «Insieme» e «Applicazioni»),i. La g eometria dello spaziofisico. Il primo livello che manifesta una certa coesione è il livello topologico. I morfi­

smi associati sono le applicazioni continue e gli isomorfismi, detti anche omeo­Ogni nostra esperienza pratica conferma che lo spazio fisico è localmente eu­ morfismi, le applicazioni biiettive bicontinue (cfr. l'articolo «Geometria e topo­

clideo. Il primo esempio storico di passaggio dal locale al globale è fornito dal­ logia»). Se si incollano pezzi di R" mediante gli omeomorfismi si ottengono spazil'estrapolazione di Euclide che postula che, globalmente, lo spazio è ancora eu­ detti «varietà topologiche». Un livello piu vincolante di quello topologico è ilclideo. Questa estrapolazione si esprime assiomaticamente con il famoso assioma livello differenziabile. Dato che R" è uno spazio vettoriale normato, sef : U~ V èdelle parallele che è un giudizio sintetico a priori caratteristico della geometria e un'applicazione continua tra due aperti di R", si può dire quando è differenzia­che la rende irriducibile alla logica. Con la comparsa delle geometrie non eucli­ bile (cfr. l'articolo «Differenziale»). I morfismi associati a questo livello di strut­dee (iperboliche ed ellittiche), si è preso coscienza del fatto che esistono molti tura sono dunque le applicazioni difFerenziabili e gli isomorfismi, detti anche dif­spazi globali che i ) sono omogenei, cioè possiedono ovunque la stessa struttura, feomorfismi, sono le biiezioni bicontinue differenziabili insieme alle loro inverse.e z) sono localmente euclidei. Questi spazi omogenei sono caratterizzati dalla Se si incollano pezzi di R" con diffeomorfismi si ottengono spazi detti «varietàloro curvatura (positiva per gli spazi ellittici e negativa per gli spazi iperbolici ) e differenziabili », i quali costituiscono il principale esempio di spazi ottenuti conla loro omogeneità è descritta con il gruppo di invarianza. Di qui l'idea fonda­ un processo di incollamento.mentale, dovuta a Felix Klein, di caratterizzare una geometria con il suo gruppo Per costruzione, le varietà differenziabili sono localmente triviali (cfr. l'arti­di invarianza e con le proprietà invarianti sotto l'azione di questo gruppo (cfr. colo +Locale/globale+) poiché sono localmente diffeomorfe a spazi standard R".gli articoli «Geometria e topologia», «Invariante»). Esse si distinguono dunque soltanto globalmente. Se si vuoi tentare di classi­

Se si abbandona la condizione di omogeneità, si arriva a una situazione piu ficarle a meno di diffeomorfismi, occorre di conseguenza costruire degli inva­generale che Riemann è stato il primo a immaginare chiaramente. Si tratta di rianti differenziabili (cioè invarianti per diffeomorfismo) e cercare di trovare unaspazi la cui metrica varia, vale a dire la cui struttura euclidea tangente cambia lista abbastanza ricca di invarianti affinché i loro valori, data una varietà M, sia­con il punto considerato. Ciò implica che non c'è piu gruppo di invarianza nel no sufficienti a caratterizzare M. Un tale programma si scontra con terribili dif­senso precedente, in altre parole che gli «osservatori » locali non possono piu «co­ ficoltà che sono ancora lungi dall'essere risolte. Ma alcune idee si impongono inmunicare». Per ristabilire la «comunicazione», occorre fare la sintesi del punto modo naturale. La prima idea è quella di determinare quali vincoli impone undi vista di Klein e del punto di vista di Riemann. Questa sintesi è essenzialmente livello di struttura inferiore a un livello di struttura superiore. Il livello insiemi­dovuta a Cartan. Essa è fondamentale per la relatività generale. stico non impone quasi nessun vincolo. Infatti l'unico invariante insiemistico ri­

spetto alle biiezioni è il numero cardinale, e tutte le varietà «normali» hanno lapotenza del continuo. In compenso il livello topologico è di grande importanza.

z. 1 l i ve lli di struttura e la dialettica locale/globale. Se M e N sono due varietà differenziabili diffeomorfe, sono a fortiori omeomorfein quanto varietà topologiche. Si può dunque cominciare tentando di classificare

Ciò che caratterizza la geometria moderna è l'estrema estensione del concetto le varietà topologiche per poi classificare, essendo dato un tipo topologico, ledi spazio e la ricchezza delle procedure di costruzione di spazi. Questa diversi­ strutture differenziabili che sono compatibili con esso (supponendo che ne esista­ficazione proliferante del «genere» spazio in «spazi » pone dei problemi di classi­ no, il che esige che il tipo topologico considerato non sia troppo «patologico»).ficazione che sono stati e sono tuttora uno dei fattori determinanti del progresso Lo strumento principale per classificare le varietà topologiche è la topologiaconcettuale della geometria. algebrica (detta inizialmente topologia combinatoria ) inventata da Poincaré. Essa

Si citerà ora una procedura di costruzione che è fondamentale pur essendo comprende due rami principali, la teoria dell'omotopia e la teoria dell'omologia­elementare. Essa consiste nel partire da pezzi di spazi standard (in generale gli coomologia. La teoria dell'omotopia parte da una semplice osservazione. Ciò chespazi R") e nell'incollarli. Se U e V sono due pezzi, l'incollamento consisterà nel­ distingue tra loro le forme globali delle varietà è in particolare il modo in cuil'identificare un sottopezzo U' di U con un sottopezzo V' di V. Questa identifi­ sono «bucate» o comprendono dei «vuoti ». Il miglior modo per misurare questecazione significa che si considera un isomorfismo tra U' e D'. Ma la nozione di caratteristiche topologiche globali di una varietà topologica M (e piu in generaleisomorfismo è una nozione fondamentalmente relativa, Essa dipende dal livello di uno spazio topologico) è quello di « immergere» mediante applicazioni conti­di struttura considerato. Ora gli spazi standard R" sono naturalmente muniti di nue f ; Sn ~ M delle sfere di dimensione n in M e di cercare di contrarie in un pun­strutture sempre piu «rigide», sempre piu vincolanti, che costituiscono una ge­ to. Se la «sfera»f($") comprende un «buco», allora questo buco farà ostruzionerarchia di livelli, ciascun livello essendo associato a(e anche caratterizzato da) un alla contrazione. Se per esempio, partendo da un punto base xo di una sfera S',tipo di applicazione, di morfismo, tra spazi. Il livello di base è il livello insiemi­ un «osservatore» dipanando un filo descrive un cammino qualunque che ritornastico che è il meno vincolante. I morfismi associati sono le applicazioni e gli iso­ in x~ (un tale cammino chiuso si chiama laccio ed è un'applicazione continua

Sistematica locale 346 347 Locale /globale

f : S'~ S ) egli potrà riportare tutto il filo in x~ facendolo scivolare sulla superfi­ la topologia algebrica) studiando il loro comportamento in rapporto alle proce­cie di S'. Una tale deformazione di un laccio si chiaina «omotopia». Se in corn­ dure standard di costruzione e di decomposizione degli spazi (sottospazi, spazipenso, camminando su un toro, l'osservatore descrive un laccio facendo il giro quoziente, spazi prodotto, fibrazioni, ecc.). A partire dal momento in cui si di­di un meridiano o di un parallelo, non potrà piu contrarre il laccio corrispon­ spone di tali strumenti per trattare il livello topologico si cercherà di sapere indente in un punto. La sfera è uno spazio senza omotopia in dimensione i men­ quale misura questo livello vincola i livelli gerarchicamente superiori e in parti­tre il toro è uno spazio che possiede omotopia in dimensione i e ciò per ragioni colare il livello differenziabile. Data una varietà topologica M, si cercherà di clas­globali. Similmente, se l'osservatore camminando su un piano al quale è stato sificare le strutture differenziabili su M che inducono la sua struttura topologica.tolto un punto a descrive un laccio che circonda questo punto, non potrà con­ L'idea principale è quella di tradurre queste strutture con classi di omotopia ditrario, poiché l'assenza del punto a fa ostruzione. Anche un piano senza un pun­ applicazioni tra spazi associati a M e di applicare i metodi della topologia alge­to è dunque uno spazio che possiede omotopia in dimensione i ma questa volta brica.per ragioni locali. D'altra parte se l'osservatore descrive un laccio nello spazio a Oltre questi metodi di topologia algebrica si è stati condotti ad inventare me­tre dimensioni Rs senza il punto a, potrà sempre contrario perché dispone di una todi corrispondenti direttamente al livello differenziabile e che sono l'oggettodimensione supplementare che gli permette di scansare a. Rs ­(a) è dunque uno della topologia differenziale. Tra questi occorre citare prima di tutto la teoria dispazio senza omotopia in dimensione r. Ma è intuitivo che una sfera Sa che com­ Morse e il cobordismo. Poiché la classificazione delle varietà a meno di omeo­prende a in Rs non potrà essere contratta in un punto, poiché l'assenza di a le fa morfismi è troppo complicata, s'indebolisce la nozione di omeomorfismo consi­ostruzione. Rs ­(a) è dunque uno spazio che possiede omotopia in dimensione derando due varietà M e N come equivalenti (cobordanti ) se esse costituiscono ilz. La scoperta principale di Poincaré è che, dato uno spazio M, se si considerano bordo di una stessa varietà W. Questa equivalenza è operatoriale nellamisura ini lacci a meno di omotopia (cioè se si considerano come equivalenti due lacci de­ cui, come ha mostrato Thom, l'insieme delle classi di equivalenza può essere mu­formabili con continuità l'uno nell'altro ) e se si compongono due lacci concate­ nito di una struttura di gruppo. Quanto alla teoria di Morse, essa consiste nell'a­nandoli (percorrendoli uno di seguito all'altro ), si ottiene sull'insieme delle classi nalizzare le applicazioni differenziabili f : M~R di una varietà M nella retta rea­di omotopia dei lacci una struttura algebrica di gruppo. Questo gruppo, detto le. Tale teoria è presentata nell'articolo «Locale/globale» (cfr, anche «Applicazio­gruppo fondamentale o gruppo di Poincaré di M e indicato con it, (M), è il pri­ ni »). L'idea direttrice è che, benché una tale funzionef : M ~ R possa essere estre­mo esempio di invariante algebrico utile alla classificazione delle varietà. Di fatto mamente complicata, tuttavia è relativamente semplice quando è strutturalmen­il gruppo fondamentale di uno spazio topologico M non è soltanto un invariante te stabile, vale a dire di tipo differenziabile invariante per piccole deformazioni. Itopologico, ma un invariante del tipo di omotopia. Esso variafuntorialmente con due teoremi di base della teoria sono da una parte il teorema di Morse che af­M (si veda l'articolo «Trasformazioni naturali / categorie»). Si definiscono nello ferma che, se M è compatta, f è strutturalmente stabile se e solo se i suoi puntistesso modo i gruppi di omotopia ir<(M) in dimensione superiore. critici sono non-degeneri (il che implica che siano isolati ) e i suoi valori critici

Si vede come un invariante algebrico come il gruppo fondamentale inter­ sono tutti distinti (caratterizzazione geometrica della stabilità strutturale), e dal­viene nel problema della classificazione. Dato che w, è un funtore della catego­ l'altra il teorema (corollario del teorema di trasversalità di Thom ) che affermaria degli spazi topologici puntati nella categoria dei gruppi, ogni omoemorfismo che le applicazioni strutturalmente stabili sono dense(e anche generiche) datoh : M ~ N tra due spazi topologici induce un isomorf ism h~ : xi (M) ~ ir i(N) tra i che ogni applicazione è approssimabile da una applicazione strutturalmente sta­loro gruppi fondamentali. Se dunque it, (M) e it,(N) non sono isomorfi, M e N bile. Considerevolmente sviluppata da Thom, questa teoria è alla base della teo­non possono essere omeomorfi. Per esempio, dato che la sfera Ss non possiede ria delle catastrofi (cfr. l'articolo «Locale/globale»: nozione di dispiegamentoomotopia in dimensione r mentre il toro T la possiede, Ss e T non possono esse­ universale). Nella misura in cui le applicazioni stabili (dette anche di Morse)re omeomorfi. Reciprocamente si cercherà di classificare gli spazi topologici che f : M ~R sono quelle che permettono di definire una presentazione ad anse di M,hanno gli stessi gruppi di omotopia. tale teoria ha avuto un ruolo determinante nella dimostrazione di Smale del teo­

Quanto all'omologia, è inizialmente una tecnica combinatoria adattata agli rema dell'h-cobordismo che è il primo grande risultato che riguarda la congettu­spazi muniti di una triangolazione (cfr. l'articolo «Geometria e topologia»). Essa ra di Poincaré.consiste nello studiare i cicli di uno spazio (cioè le catene di bordo nullo) modulo La congettura di Poincaré (una delle grandi congetture del secolo) domandai bordi (cioè i cicli che sono bordi di catene). L'omologia è strettamente legata in quale misura, per le sfere S", il livello omotopico-omologico determina il livel­all'omotopia. Considerando le forme lineari sulle catene, si definiscono dual­ lo topologico : se M è una varietà compatta di dimensione n semplicemente con­mente i gruppi di coomologia. nessa(rri(M) = o) e che hai'omologia di S", è M omeomorfa a S"> La congettu­

L'interesse principale dei gruppi di omotopia, di omologia e di coomologia ra è vera per n = z (dimostrazione elementare). Smale ha dimostrato che è veraè di essere oggetti algebrici che misurano la struttura globale degli spazi e che va­ per n) g. La tecnica è un teorema sul cobordismo. Si dice che due varietà M e Nriano funtorialmente. Si può svilupparne un calcolo (che costituisce l'oggetto del­ sono h-cobordanti se sono il bordo di una varietà l4' e se le inclusioni canoniche

Sistematica locale 348 349 Locale/globale

M~ We N~ Ws ono delle equivalenze di omotopia. Il teorema di Smale afferma sano il contenuto del gruppo di articoli qui esaminato e sono affrontati in altriche se dimM = dim¹ g e s e M e N sono semplicemente connesse, allora un articoli dell'Enciclopedia.h-cobordismo W è necessariamente triviale, c ioè diffeomorfo a M xI. C iò im­plica che M e N sono diffeomorfe. La tecnica consiste nel partire da una funzionedi Morse su W definendo una presentazione ad anse e nel mostrare come si pos­ Equazioni differenziali e analisi globale.sano sopprimere progressivamente le anse (cfr. l'articolo Unità delle matemati­che in questo stesso volume dell'Enciclopedia). Una delle teorie in cui la dialettica+locale/globale+ è maggiormente impor­

La considerazione delle funzioni di Morse porta al problema della classifica­ tante è la teoria delle equazioni differenziali. Innumerevoli problemi concretizione delle applicazioni differenziabili f : M~N tra due varietà qualunque(Mp (fisica, chimica, biologia, ecc.) conducono a sistemi di equazioni differenziali de­pR). Queste applicazioni non sono localmente triviali quando possiedono delle finiti nel modo seguente. Il sistema considerato è definibile con un numero finitosingolarità. L' idea è quella di tentare i ) di caratterizzare geometricamente e di

xi .. xe di coordinate che descrivono una varietà differenziabile M di dimen­classificare le applicazioni strutturalmente stabili in modo da controllare le cause sione N detta spazio delle fasi del sistema. Uno stato istantaneo del sistema èd'instabilità; z ) di mostrare che le applicazioni stabili sono generiche, cioè che dunque rappresentato da un punto x di M e l'evoluzione del sistema a partire daogni applicazione è stabilizzabile con una piccola deformazione ; 3) di classificare una condizione iniziale x~e M con un cammino x (t) in M che parte da x~. Asse­le applicazioni instabili con un grado crescente di instabilità; 4 ) di utilizzare dei gnare una legge di evoluzione significa assegnare, in ogni punto x di M, un vetto­metodi di riduzione alla dimensione finita (tecnica dei getti) considerando le ap­ re velocità dx/dt in funzione di x e di t : dx/dt = f(x, t). Questo vettore velocità èplicazioni che hanno lo stesso tipo differenziabile di uno dei loro getti di ordine un vettore tangente in x a M, c ioè un vettore dello spazio vettoriale tangentefinito ; 5) di trattare questi problemi prima localmente (mediante germi di appli­ T M di M in x. Sef non dipende dal tempo (il sistema di equazioni differenziali ècazioni) e poi globalmente (cfr. gli articoli «Locale/globale», «Applicazioni» e detto allora autonomo ), assegnare una legge di evoluzionef equivale dunque ad+ Funzioni+). assegnare una sezione del fibrato tangente TM di M. In generale si suppone che

questa sezione sia differenziabile. Ma essa può essere piu analitica o algebricase M è una varietà analitica o algebrica.

I livelli analiticz' e algebrici. Data una sezione differenziabile X (x) di TM (detta anche campo di vettorisu M), si chiama traiettoria del campo X una curva differenziabile di M para­

Una delle caratteristiche del livello differenziabile è che non esiste solidarie­ metrizzata dal tempo t, la quale, in ogni punto x di M, ammette X (x) come vet­tà tra il locale e il globale. Di qui l' importanza cruciale della stabilità strutturale tore velocità. Il primo teorema fondamentale della teoria afferma che se xp E M èche restaura tale solidarietà. Non accade affatto la stessa cosa per quanto riguar­ una condizione iniziale, esiste sempre localmente una e una sola traiettoria pas­da i livelli molto piu vincolanti, analitico e algebrico, in cui al contrario il locale sante per x„ (principio del determinismo). Il secondo dice che sotto condizionidetermina il globale. In questo caso le principali tecniche di passaggio dal loca­ abbastanza generali (per esempio se M è compatta) esiste anche sempre una ele al globale sono il prolungamento analitico e la coomologia a valori in un fascio una sola traiettoria globale (cioè parametrizzata da t = — ~ a t = +~). In questo(cfr. gli articoli «Geometria e topologia», «Invariante», «Trasformazioni natu­ caso si può associare a X ciò che viene chiamato il suo flusso, vale a dire un'entitàrali / categorie»). Esiste, a partire dai lavori pionieristici di Riemann, una gran globale che sintetizza l'insieme delle traiettorie. Infatti se te R, a xe M si può as­quantità di relazioni di dipendenza e di determinazione reciproca tra i livelli to­ sociare il punto x, raggiunto alla fine del tempo t sulla traiettoria uscente da x.pologico, differenziabile, analitico e algebrico. Per esempio una sottovarietà ana­ Per t fissato, l'applicazione p, : M~ M che a x associa x, è un diffeomorfismo dilitica di uno spazio proiettivo P" (C) è algebrica (teorema di Riemann per le cur­ M, in altre parole un elemento cp,e DiffM in cui Di ffM è i l gruppo di Lie deive e teorema di Chow per le varietà generali ). Il genere di una curva algebrica diffeomorfismi di M. È facile verificare che p~ è l'identità di M e che i diffeo­piana che è il suo invariante topologico maggiore è derivabile dal grado della cur­va (formula di Riemann). Esso vincola anche il numero di forme difierenziali di morfismi p, soddisfano rp,. o p, =cp,,+,. In altre parole l'applicazione di t ~q>, è

prima specie indipendenti (teorema di Riemann che stabilisce un legame tra li­ un morfismo di gruppi di Lie tra il gruppo additivo di R e DiffM. Reciproca­

vello topologico, livello differenziabile e livello analitico ). La coomologia di una . dq),mente, assegnata iI~ si può ritrovare X, poiché X è la «derivata» — del

varietà differenziabile è esprimibile a partire dal teorema di Stokes in termini di morfismo ili in t = o. i = O

forme differenziali sulla varietà (teorema di De Rham). Se la varietà è analitica, Se si discretizza il tempo, si può considerare il diffeomorfismo cp=q>i e ap­essa è anche esprimibile, ma lo è in termini di forme armoniche (teoria di Hodge prossimare il sistema dinamico rii con la successione iterata q" di y.che collega il livello differenziabile e il livello analitico), ecc. Tutti questi temi Mentre per lungo tempo si è cercato di trovare formule esplicite per le traiet­che costituiscono il cuore della geometria analitica e algebrica moderna oltrepas­ torie di un sistema dinamico X, dopo Poincaré si cerca di comprendere qualita­

I3

Sistematica locale 35o 35i Locale /globale

tivamente la struttura del flusso 4 associato (cfr. l'articolo «Qualità/quantità»). attraversando campi instabili (teoria della biforcazione). Si tratta di un pro­

Perciò si è portati a distinguere un approccio locale e un approccio globale. A gramma immenso, di una tremenda complessità, che si trova in parte esposto

priori si può pensare che, essendo dato un sistema dinamico X su M, le sue negli articoli +Differenziale+ e + Stabilità/instabilità+.

traiettorie siano immersioni (o almeno applicazioni iniettive) di R in M. Ma ciòè falso perché alcune traiettorie possono essere critiche. Sono possibili due casi.O la traiettoria è ridotta a un punto xo e allora questo punto, detto punto critico Meccanica hamiltoni ana.

di X, è un punto di equilibrio del sistema. Per questo è necessario e sufficienteche X si annulli in xo. Oppure la traiettoria è chiusa, vale a dire periodica. Dato Tra le equazioni differenziali, quelle che provengono dalla meccanica classi­

che si può mostrare che, in un punto x e M in cui X(x) / o, X è localmente triviale ca sono molto particolari. In questo caso il sistema è rappresentato da un numero

(cioè riducibile a un campo costante in un sistema appropriato di coordinate lo­ finito di coordinate generalizzate qi, ..., q„che percorrono uno spazio (detto spa­

cali), si vede che lo studio di X si scompone in tre parti: zio delle configurazioni ) M e dai momenti p„ . .., p„associati. Lo spazio delle fasidel sistema è allora il fibrato cotangente T~M di M C o m e è stato mostrato da

i ) Lo studio locale di X nell'intorno dei suoi punti critici. Hamilton, le equazioni differenziali del secondo ordine (del tipo dell'equazionez) Lo studio semilocale di X nell ' intorno delle sue traiettorie periodiche. di Newton f = my) che regolano l'evoluzione del sistema, sono allora traducibili3) Lo studio globale di X che comprende la configurazione delle sue traietto­ in un formalismo canonico. Se H (q, p) è l'energia del sistema, energia indipen­

rie critiche e lo studio dinsieme delle sue traiettorie non critiche. dente dal tempo, e se il sistema è conservativo (non dissipativo, senza attrito),Per quanto riguarda il primo punto, la tecnica di base consiste, in un punto le equazioni di evoluzione sono date dalle celebri formule di Hamilton (dq/dt =

critico x~ di X, nello studiare il campo lineare X, tangente in x~ a Xe nel cercare = òH/òp, dp/dt= ­ òH/òq). Ciò implica non soltanto la conservazione dell'e­

sotto quali condizioni X è equivalente nell'intorno di xo alla sua parte lineare. nergia, ma la conservazione del volume dello spazio delle fasi (teorema di Liou­Se non si ha questo caso, si cercheranno allora (come nello sviluppo di Taylor ville). Questo fatto è fondamentale perché implica l'impossibilità per un siste­

delle funzioni ) delle approssimazioni piu sottili. Per quanto riguarda il secondo ma hamiltoniano di possedere attrattori e, con ciò stesso, l'esistenza di forti pro­

punto, si cercheranno in primo luogo dei criteri che permettano di garantire l'e­ prietà di ergodicità.

sistenza di traiettorie periodiche in un certo dominio di M. Data una tale traiet­ Essendo conservativi, i sistemi hamiltoniani sono strutturalmente instabili.

toria y~, lo studio di X nell'intorno di y~ si riduce ad uno studio locale. Sia infatti Si pone dunque il problema di sapere come si stabilizzano quando si introduce

W una piccola sezione trasversa a y~ in x~. L'applicazione che ad ogni punto x della dissipazione. D'altra parte, se ci si limita ai campi hamiltoniani, alcuni cam­

di W associa il punto x' in cui la traiettoria uscente da x interseca per la prima pi diventano stabili. Ma non tutti. Tra i campi instabili restano in particolare i

volta W è un diffeomorfismo di W che ammette x~ come punto fisso. È dunque campi detti integrabili che possiedono un numero massimale di integrali primi

sufficiente analizzare questo diffeomorfismo nell'intorno di xo per comprendere indipendenti. Si pone dunque il problema di sapere come un campo integrabile

la struttura di X nell' intorno di yo. Per quanto riguarda il terzo punto, si cerche­ può stabilizzarsi all'interno della classe dei sistemi hamiltoniani. È la teoria delle

rà di analizzare i vincoli che la topologia di M impone alla ripartizione delle perturbazioni (cfr. l'articolo «Stabilità /instabilità»).traiettorie critiche. Ma si cercherà soprattutto di analizzare il comportamento Si noterà infine che il formalismo hamiltoniano consiste nel pensare la mec­

asintotico delle traiettorie non critiche cosi come. la stabilità delle traiettorie. In­canica in analogia con l'ottica geometrica. Ora, è noto che in ottica i raggi lumi­

tuitivamente una traiettoria è stabile se ogni traiettoria generata da una condi­nosi non sono nient' altro che le geodetiche per una struttura riemanniana che

zione iniziale prossima a uno dei suoi punti le resta indefinitamente prossima. esprime le proprietà ottiche del mezzo. Succede la stessa cosa in meccanica. Le

Questa stabilità è essenziale per le applicazioni perché è quella che assicura che traiettorie definite localmente con le equazioni di Hamilton possono anche esse­

il determinismo matematico ideale del campo ha un senso concreto (cfr. l'arti­ re definite globalmente a partire da un principio variazionale detto principio di

colo+ Stabilità/instabilità+). Esistono infatti dei sistemi in cui tutte le traiettorie minima azione (cfr. l'articolo +Variazione+). Si tratta in questo caso di una delle

sono instabili e che dunque sono sistemi matematicamente deterministici e tutta­ piu spettacolari equivalenze tra determinazione locale e determinazione globale.

via concretamente stocastici.Infine si cercherà di applicare allo studio qualitativo dei sistemi dinamici il

paradigma catastrofista sviluppato per lo studio delle applicazioni differenziabili 6, Co nclusione.

(cfr. l'articolo +Locale/globale+). Si cercherà in particolare di caratterizzare geo­metricamente Ia stabilità strutturale dei campi (da non confondere con la stabi­ Queste poche elementari generalità sulla dialettica del locale e del globale

lità delle traiettorie ), di studiare la ripartizione dei campi stabili tra i campi qua­ rinviano evidentemente soltanto ad alcuni di questi aspetti. Per maggior com­

lunque cosi come le possibilità di passare da un tipo di campo stabile a un altro pletezza, occorrerebbe parlare in particolare: i) dell'intervento di questa dialet­

Sistematica locale 35z

tica in aritmetica e in teoria dei corpi di classe : si tratta in questo caso infatti diun esempio particolarmente sorprendente, profondo e operatorio di transfert diuna concettualità dal suo dominio di origine a un dominio che, apparentemente,le è estraneo (si veda l'articolo +Locale/globale+) ; z) del ruolo considerevole chehanno le considerazioni qui appena abbozzate nell'analisi funzionale e in parti­colare nella teoria delle equazioni alle derivate parziali cosi fondamentale per lafisica (cfr. gli articoli +Differenziale+ e +Funzioni+) ; 3) delle tecniche di localiz­zazione e di globalizzazione in algebra commutativa, tecniche fondamentali perla geometria algebrica.

Si spera che queste osservazioni siano sufficienti a mostrare che l'opposizionelocale/globale possiede un eminente valore categoriale, costituendo uno dei puntifocali di ciò che Lautman chiamava l'unità (concettuale) della matematica. [J. P.].

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Differenziale747Differenziale problemi erano stati trattati in maniera empirica dai costruttori medievali.

Poi per opera di molti scienziati quali Galileo, Edme Mariotte, Robert Hookeed altri, erano state formulate leggi matematiche di natura sperimentale. Ora,con l'aiuto potente del nuovo calcolo differenziale, è possibile formulare questi

I l termine 'differenziale' è molto usato nella matematica, da solo od in problemi in termini di equazioni differenziali.connessione ad altri termini. Si parla ad esempio di calcolo differenziale, di Vanno ancora citati due problemi importanti del secolo xvnt: i l problemadifferenziale di una funzione, di equazione differenziale, di forma differenziale. della forma della Terra e quello della verifica della legge di attrazione gravita­

In questo articolo verranno trattate le equazioni differenziali e le forme zionale di Newton. Poiché entrambi questi problemi sono connessi con i ldifferenziali. Per gli altri significati con i quali il termine viene usato, il lettore comportamento del pendolo e questo viene descritto con una equazione dif­è rimandato ai rispettivi articoli. ferenziale, si capisce come lo studio di essa debba dar luogo ad importanti

L'articolo «Differenziale» è suddiviso in quattro paragrafi nei quali, in sviluppi.sostanza, si esplica una suddivisione tra equazioni difFerenziali e forme dif­ Va ancora citato un importantissimo campo di ricerche, e questo non soloferenziali. I pr imi tre paragrafi — equazioni differenziali ordinarie, equazioni nel secolo xvttt, ma anche successivamente : quello della meccanica celeste. In­alle derivate parziali, calcolo delle variazioni — sono da riferirsi alla prima fatti la meccanica celeste è stata la prima scienza le cui leggi siano state espres­parte, il quarto è interamente dedicato alle forme differenziali. Questa suddi­ se come equazioni differenziali.visione viene effettuata per ragioni di chiarezza espositiva, ma può anche giu­ Partendo da considerazioni sulle soluzioni di queste equazioni differenzialistificarsi con una relativa indipendenza dei due argomenti. In effetti, mentre si è stati in grado, conoscendo certe informazioni circa la posizione e la velocitàle equazioni differenziali sorgono contemporaneamente al calcolo differenziale, dei corpi ad un dato istante, di predire il verificarsi di certi fenomeni naturali,le forme differenziali sono molto piu recenti, in quanto la loro origine si colloca come le eclissi. Naturalmente questi successi della meccanica celeste hannotra la fine del secolo scorso e l'inizio del nuovo secolo, avuto una parte importante nella creazione di un modo di vedere scientifico.

La suddivisione dei tre paragrafi iniziali, invece, è totalmente di carattere Si può dire che il determinismo, enunciato per la prima volta esplicitamenteespositivo. Infatti i problemi che vi si trattano sono di natura molto simile, da Laplace, abbia avuto in essa il suo fondamento.In molti casi — ad esempio nell'equazione delle corde vibranti — si passa da La seguente citazione, tratta dall'Essai philosophique sur ics probabilitésuna formulazione nell'ambito della teoria delle equazioni differenziali ordinarie potrebbe essere utilizzata come «manifesto» del determinismo: «Un'Intelli­ad una formulazione come equazione alle derivate parziali. Spesso poi, nella genza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata larisoluzione di un problema, si passa da un campo all'altro. Ad esempio il natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di piuproblema della brachistocrona si formula nell'ambito del calcolo delle varia­ fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbezioni e conduce poi ad un'equazione differenziale ordinaria. nella stessa formula i movimenti dei piu grandi corpi dell'universo e dell'atomo

Le prime equazioni differenziali ordinarie compaiono in matematica alla piu leggero : nulla sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbefine del secolo xvn e sono perciò quasi contemporanee al sorgere del calcolo presente ai suoi occhi» [r8r4, trad. it. p. 243].differenziale. In effetti esse sono già presenti in opere di Leibniz e di Newton, Non potrebbe esservi formulazione piu esplicita! Ma anche il proseguimentocioè di coloro che tradizionalmente sono indicati come i fondatori di questo di essa è molto interessante, poiché mostra appunto come l'astronomia con icalcolo. suoi successi si ponga a fondamento di questa concezione filosofica. «Lo spirito

Naturalmente non si può parlare all'inizio di una «teoria» delle equazioni umano offre, nella perfezione che ha saputo dare all'astronomia, un pall idodifferenziali ordinarie; esse compaiono occasionalmente e sporadicamente nel­ esempio di quest'Intelligenza. Le sue scoperte in meccanica e in geometria,l'opera dei singoli ricercatori. Tuttavia ben presto vengono trattate con mol­ unite a quella della gravitazione universale, l'hanno messo in grado di abbrac­ta maggiore sistematicità. Si può dire che già nel secolo xvttt si configura ciare nelle stesse espressioni analitiche gli stati passati e quelli futuri del sistemauna teoria delle equazioni differenziali come un oggetto unitario all'interno del del mondo» [ibid.].calcolo differenziale. Nel secolo xtx e successivamente questa teoria acquisterà Poiché le leggi della meccanica celeste sono formulate mediante equazionisempre maggiore consistenza e sistematicità, ma non altererà sostanzialmente differenziali, si capisce bene l'importanza che esse vengono ad avere.la sua natura. Con questo non si vuole sostenere, naturalmente, che le equazioni differen­

Le ricerche intorno alle equazioni differenziali sono motivate all' inizio e ziali — come qualsiasi altra teoria matematica — possano porsi a fondamento dinel secolo successivo da numerosi problemi fisici. Vanno citati anzitutto quelli una concezione filosofica. È certo, però, che la teoria delle equazioni differen­relativi alla teoria della elasticità: si tratta di trovare la forma od il movimento ziali è uno degli strumenti piu importanti per l'indagine e la formulazione deidi travi, funi, piastre, ecc. sottoposte a sollecitazioni di varia natura. Questi problemi fisici. Ancora dalla meccanica celeste proviene, verso la fine del se­

Differenziale 748 749 DifFerenziale

colo scorso, un importante impulso per la evoluzione della teoria delle equa­ di soluzioni oscillanti, collegate a fenomeni meccanici nei quali le oscillazionizioni differenziali. erano un fenomeno da evitare. Nel campo della radio-fisica e della radio­

Un problema fondamentale della meccanica celeste è quello degli n corpi, ingegneria si ha spesso il fenomeno contrario: è molto importante generare

cioè della determinazione del movimento di n corpi di masse date soggetti oscillazioni. Poiché spesso i dispositivi utilizzati per generare oscillazioni sonoall'attrazione gravitazionale. Si tratta di una idealizzazione del movimento del indipendenti dal tempo, si capisce come, descritti con equazioni differenziali

sistema solare. Questo problema può essere tradotto in un sistema di equazioni che nella maggior parte dei casi non sono lineari, diano luogo a sistemi auto­differenziali nomi, non-lineari, appunto.

d ' La esigenza di una teoria qualitativa delle equazioni differenziali fu avvertitacon grande chiarezza da Henri Poincaré, il quale ebbe a scrivere: «Lo studiocompleto di una funzione comprende due parti: i ) una parte qualitativa (per

che, per la sua forma particolare — nelle f; non compare il tempo — viene detto cosi dire) o studio geometrico della curva definita dalla funzione, z ) una partesistema autonomo. quantitativa o calcolo numerico dei valori della funzione.

In base al teorema di esistenza ed unicità, le equazioni della meccanica «Cosi per esempio, per studiare una equazione algebrica si comincia con

celeste — essendo dotate di molte proprietà specifiche, quale ad esempio l'esi­ il ricercare, con l'aiuto del teorema di Sturm, quale è il numero delle radicistenza di un integrale dell'energia — ammettono una ed una sola soluzione, reali: è la parte qualitativa; poi si calcola il valore numerico delle sue radici

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quando vengano specificate le condizioni iniziali in un certo istante di tempo. cio che costituisce lo studio quantitativo della equazione.

Da un certo punto di vista, quindi, noi «abbiamo» la soluzione del problema ; «Allo stesso modo, per studiare una curva algebrica, si comincia con ilC( ))

si tratta di integrare il sistema. Ma «integrare il sistema» in questo caso può costruire q u esta curva, come si d ice nel corso di M atematiche Speciali,

voler dire molto poco. Infatti anche nei casi fortunati in cui questo è possibile cioè si cercano i rami di curva chiusa, i rami infiniti eccetera. Dopo questo

con funzioni elementari, si ottengono espressioni cosi complicate da essere pra­ studio qualitativo della curva se ne possono determinare esattamente un certo

ticamente inutilizzabili. numero di punti. È, naturalmente con la parte qualitativa che si deve abbordare

Anche il tentativo di fornire la soluzione mediante sviluppi in serie si rivela la teoria di ogni funzione ed è per questo che il problema che si presenta ininefficace, poiché le serie-soluzione possono convergere cosi lentamente da es­ primo luogo è costruire le curve definite dalle equazioni differenziali... D'altro

sere del tutto inutil i . lato questo studio qualitativo avrà di per sé un interesse di prim'ordine...

Poi, i metodi che abbiamo accennato sono in linea di principio insoddisfa­ Prendiamo per esempio il problema dei tre corpi: non ci si può domandare se

centi dal punto di vista dell'astronomia, anche quando venissero potenziati con uno dei corpi resterà sempre in una certa regione del cielo o se potrà allontanar­

i moderni strumenti di calcolo. Infatti la richiesta tipica, in questo caso, non è sene indefinitamente ; se la distanza dei corpi aumenterà o diminuirà all'infinito

quella di avere soluzioni in un dato intervallo, ma di avere soluzioni in grande. o se resterà compresa entro certi limiti> Non ci si possono porre mille questioni

Si pone cosi uno dei temi piu importanti della teoria qualitativa delle equa­ di questo genere che saranno tutte risolte quando si saprà costruire qualitati­

zioni differenziali: determinare le proprietà delle soluzioni direttamente dalle vamente le traiettorie dei tre corpi>» [i9oi, ed. i9z8 p. xxii ].equazioni differenziali, senza passare attraverso le soluzioni. In precedenza egli aveva anche osservato: «Una teoria completa delle fun­

Vanno segnalati tuttavia due casi nei quali la situazione è diversa: il caso zioni definite dalle equazioni differenziali sarebbe di grande utilità in un gran

importantissimo dei due corpi che verrà trattato in un apposito paragrafo, numero di questioni di matematica pura o di meccanica. Purtroppo, è evidente

mostrando come dalla legge di Newton si deducano le leggi di Keplero, e la che, nella grande generalità dei casi che si presentano, non si può integrare

soluzione particolare del problema dei tre corpi data da Lagrange ( I772). queste equazioni con l'aiuto di funzioni già conosciute, per esempio con l'aiuto

La soluzione di Lagrange mostra la possibilità di un movimento uniforme di funzioni definite con le quadrature. Se ci si volesse dunque restringere ai

lungo orbite circolari, in un piano fisso, a partire da una configurazione nella casi che si possono studiare con integrali definiti o indefiniti, il campo delle

quale i tre corpi occupano i vertici di un triangolo equilatero. Questa soluzione, nostre ricerche sarebbe singolarmente diminuito, e l'immensa maggioranza del­

giudicata poco significativa dallo stesso Lagrange, ha trovato interesse recente­ le questioni che si presentano nelle applicazioni resterebbe insolubile.

mente poiché si è osservato come il Sole, Giove, ed i pianeti del gruppo troiano «È dunque necessario studiare le funzioni definite dalle equazioni differen­

formino approssimativamente un triangolo equilatero, Diviene cosi importante ziali in se stesse e senza cercare di ricondurle a funzioni piu semplici, cosi

studiare il comportamento di soluzioni «vicine» a quella lagrangiana. come si è fatto per le funzioni algebriche, che si era cercato di r icondurre ai

Un contributo importante all'evolversi della teoria qualitativa delle equa­ radicali e che si studiano ora direttamente, cosi come si è fatto per gli integrali

zioni differenziali verrà, nel xx secolo, da radio-fisica e radio-ingegneria. dei differenziali algebrici, che ci si è sforzati per lungo tempo di esprimere in

Nella teoria classica si poneva in maniera naturale il problema dell'esistenza termini finit i» [i88i, p. 375].

DIBerenziale 75o 75r Differenziale

Anche le equazioni alle derivate parziali, come le equazioni differenziali di questa tesi, ed era invece aspramente osteggiata da molti dei migliori mate­ordinarie, sono quasi contemporanee al sorgere del calcolo differenziale. matici del tempo, quali Eulero e d'Alembert. Questa polemica ebbe molta

È molto importante rilevare questo fatto. I problemi del calcolo differen­ importanza per lo svi luppo del concetto di f unzione e praticamente segnòziale sono quasi tutti presenti fin dall ' inizio anche se talvolta, naturalmente, l'inizio di quell'ordine d'idee che condusse alla serie di Fourier.in forma rudimentale. Problemi di equazioni differenziali ordinarie, di equa­ Il fatto cui si è accennato — di come un'equazione alle derivate parzializioni alle derivate parziali, di calcolo delle variazioni, di calcolo integrale, possa presentarsi come una formulazione piu «sofisticata» di un problema­ecc. sono presenti nell'opera dei r icercatori del secolo xvur «tutt i assieme». può suggerire l'idea che la teoria delle equazioni alle derivate parziali sia una

Con i successivi sviluppi del calcolo differenziale, questi argomenti si dif­ generalizzazione della teoria delle equazioni differenziali ordinarie; e questoferenzieranno in teorie separate; ognuno di questi argomenti diverrà oggetto in un certo senso è vero, non foss'altro che per il fatto che un'equazione differen­di trattazioni specialistiche, ed anzi si porranno anche ulteriori suddivisioni. ziale ordinaria è una particolare equazione alle derivate parziali. Però il fattoOggi, per esempio, abbiamo interi trattati sulle equazioni alle derivate parziali che una teoria possa essere considerata una generalizzazione di un'altra nondi un particolare tipo, come le equazioni ellittiche, trattati sulle funzioni­ esaurisce affatto il problema del rapporto tra le teorie, il quale va inteso in modosoluzione di una particolare equazione differenziale, sulle funzioni ellittiche, dialettico, e non di semplice subordinazione.sui polinomi di Legendre. Per esempio — in un altro contesto — una struttura matematica molto im­

Però, per intendere bene lo sviluppo ed il concetto del calcolo differenziale portante, quella di categoria, è un caso particolare di un'altra struttura, quellaoccorre avere ben presente come queste teorie siano suddivisioni di una unità ori­ di grafo, ma questo non significa affatto che la teoria delle categorie possa inginaria e non oggetti diversi scollegati fra loro, come può succedere di pensare qualche modo essere vista come un caso particolare della teoria dei grafi.quando se ne affronta lo studio su trattati organizzati in maniera specialistica. Vi sono dei problemi tipici di teoria delle categorie assolutamente impensabili

Anche per le equazioni alle derivate parziali le maggiori motivazioni si in termini di grafi.hanno all'inizio in riferimento a problemi fisici. Cosi per le equazioni alle derivate parziali si può osservare come i numerosi

In effetti la teoria delle equazioni alle derivate parziali risente in maniera successi ottenuti con i l metodo della separazione di variabili, che riducononotevolissima dei contatti con la fisica. Infatti la fondamentale «classificazione» l'equazione ad un sistema di equazioni differenziali ordinarie, suggerirà, versodelle equazioni alle derivate parziali — della quale si vedranno nel ) z.z gli la metà dell'Ottocento, l'opinione che un'equazione alle derivate parziali siaaspetti tecnici, soprattutto in r i ferimento alle equazioni del secondo ordine­ una formulazione compatta di un sistema di equazioni differenziali ordinarieè fondata sulla diversa natura dei fenomeni fisici che vengono descritti. Si e che quindi la teoria delle equazioni alle derivate parziali debba subordinarsivedrà come le equazioni alle derivate parziali possano suddividersi in «iper­ a quella delle equazioni differenziali ordinarie.boliche», «ellittiche» e «paraboliche». Le prime descrivono fenomeni di pro­ Dopo questo accenno alla teoria delle equazioni differenziali ordinarie e apagazione ondosa: tipica in questo senso è l'equazione della corda vibrante, quella delle equazioni alle derivate parziali, qualche considerazione ora suo piu in generale l'equazione delle onde. Le equazioni paraboliche descrivono un'importante categoria del pensiero matematico, l'opposizione lineare /non­invece fenomeni di lenta diffusione: ancora tipica in questo senso è l'equazione lineare. Essa si esplica in vari campi della matematica; si parla di equazionidel calore. Delle equazioni ellittiche si tratterà in maniera abbastanza detta­ differenziali lineari e non-lineari, di equazioni alle derivate parziali lineari egliata nel $ z.g, cui è rimandato il lettore che voglia farsi un'idea precisa dello non-lineari, di equazioni algebriche lineari e non-lineari. Per cogliere dunquestretto contatto esistente tra matematica e fisica, e al tempo stesso della natura nella sua specificità il senso di questa opposizione occorre riferirsi alle tratta­delle equazioni ellittiche. Basterà qui osservare che esse descrivono fenomeni zioni tecniche che verranno date successivamente. Tuttavia è certamente utilestazionari. premettere qualche osservazione.

Tornando ad un'argomentazione piu legata alla tecnica della descrizione La trattazione «lineare» di un p roblema si r i ferisce «grosso modo» admatematica, si vuoi qui osservare come, talvolta, un problema fisico, trattato una sua fase preliminare, nella quale vengono effettuate notevoli semplifica­dapprima in forma drasticamente semplificata, dia origine a un'equazione dif­ zioni, e questo non è certo peculiare della matematica, poiché in ogni scien­ferenziale ordinaria. Trattato poi in f o rma meno schematica, esso fornisce za si considerano, dapprima, modelli semplificati. Ma ciò che è t ipicamen­un'equazione alle derivate parziali. Un esempio molto i l luminante è quello te riflesso nella opposizione lineare/non-lineare è la consapevolezza di comedell'equazione delle corde vibranti. un piccolo incremento quantitativo, pur alterando il fenomeno esaminato,

Questo problema è anche importante poiché diede origine nel xvrrr secolo non ne alteri il comportamento «qualitativo». Si parla in questo caso di «per­a un'aspra polemica, la quale riguardava in sostanza la possibilità di rappresen­ turbazione» del procedimento lineare. Un maggiore incremento quantitativotare una funzione arbitraria mediante una serie trigonometrica. Questa possi­ altera invece sostanzialmente il fenomeno in esame. Si passa alla fase non­bilità era sostenuta da Daniele Bernoulli, il quale portava motivi fisici a sostegno lineare. Nel caso poi che un fenomeno venga descritto in forma differenziale

Differenziale 75z 753 Differenziale

— la differenziazione essendo in effetti un procedimento di l inearizzazione —, Le equazioni di Lagrange verranno trattate piu avanti () 3.3), insiemesi ha che la prima fase esplicativa è «lineare» in senso tecnico, descritta cioè con il principio di Hamilton. Anche quest'ultimo è di grandissima importanzacon algoritmi di primo grado. Nelle fasi piu approfondite tale particolarità va per la grande quantità di fenomeni meccanici, elettromagnetici, di relativitànaturalmente perduta. Questo fenomeno verrà descritto con un esempio molto che riesce a riassumere. Va osservato tuttavia come quest'ultimo principiosemplice — l'equazione di sviluppo della popolazione — nel paragrafo introdut­ fu inteso, dallo stesso Hamilton, cosi come è inteso ancor oggi, con un ruolotivo alle equazioni differenziali. assai piu modesto di quanto non pensasse Maupertuis. Non si tratta di cogliere

Anche il calcolo delle variazioni, all'inizio, era indistinguibile dal calcolo una legge universale della natura, ma semplicemente un punto di vista unitariodifferenziale vero e proprio. I nomi d i m o lt i dei matematici che possono per descriverne i fenomeni. Questo fatto è spiegabile osservando come, quandoriguardarsi come i fondatori del calcolo differenziale sono legati ai pr imi Hamilton elabora le sue teorie matematiche (intorno al 183o), sia ormai soprav­problemi classici del calcolo delle variazioni. Un pr imo problema fu posto venuto un completo mutamento negli ideali e nelle prospettive scientifichcdallo stesso Newton: quello della forma migliore da dare ad un oggetto che rispetto al secolo xviir. L ' indagine intorno ai fenomeni naturali ha acquistatodebba muoversi in un fluido per vincerne la resistenza. Un altro problema una molto maggiore problematicità.molto celebre (cfr. $ 3.'i) fu posto da Giovanni Bernoulli nel 1696 sugli «Acta Si è già avuto occasione di osservare come le forme differenziali si presentinoEruditorum»: quello della brachistocrona. Soltanto nel secolo xvin, con Eulero in matematica in epoca abbastanza recente, precisamente verso la fine del se­e Lagrange, il calcolo delle variazioni diverrà una disciplina autonoma. colo scorso.

Va osservato ancora come nel secolo xvni i l calcolo delle variazioni verrà Il maggiore contributo, se non addirittura l'«invenzione» della loro teoria,a legarsi a principi scientifici e fi losofici di grande importanza riassumibili proviene da Elie Cartan, il quale ebbe occasione di considerarle in connessionenella formulazione di leggi naturali che esprimono in qualche modo l'«econo­ al «problema di Pfaff». Sarà quindi opportuno illustrare brevemente questomicità» della natura. problema. Sia una «forma differenziale»

Già nell'antichità classica si trovano formulate leggi naturali di questo tipo.Ad Erone si deve la legge seguente: la luce, proveniente da una sorgente P u>= X,dx,+X , dhg+.. .+X gdx„si riflette su uno specchio R e giunge ad un punto Q in modo che il percorso in cui Xi , ..., X„ sono funzioni delle variabili xi, ..., x„; e si consideri l'equa­PRQ sia il piu breve possibile. zioneLa formulazione di leggi naturali nello stesso ordine di idee, sia in casi

u>= Xidxi+X ~dxs+... +X~dx„ = o.specifici sia come principi generali, dall'antichità classica trascorre in tutta latradizione scientifica fino al secolo xvn. A partire da questo periodo, la possi­ Può succedere che la forma differenziale u> sia esattamente il differenziale dibilità di disporre di strumenti matematici piu potenti permette di formulare una funzione f(x» x~> ..., x„), avendosi in tal caso Xi = òf/òx i, . .., X „ = òf/òx~dei «principi» piu generali e penetranti. oppure, piu in generale, può essere Mu>=df. In questo caso la piu generale

Il principio del minimo tempo di Fermat è in accordo con la legge di rifra­ «soluzione» dell'equazione u>=o è data da f(x„ . . . , x„) = cost. Però può ac­zione della luce. Se V, e v, rappresentano le velocità della luce in due mezzi cadere che u> non sia pensabile in questo modo, ossia che non esista alcuna Mdifferenti ed i e r r appresentano gli angoli d'incidenza, da questo principio tale che Mu>= df. Che senso bisogna dare allora ad un'equazione del tiposi deduce la legge

siri 'L Vi X ,dh,+X , dh,+ . . .+ X „ d k „ = ol

sili r v s Verso la fine del Settecento Eulero, nelle Institutiones calculi integralis, con­Anche la dinamica newtoniana — che stabilisce come la linea retta, cioè la siderando la particolare equazione

piu breve distanza, sia il moto naturale di un corpo — può interpretarsi come Pdx+ Qdy+Rdx = oun principio nello stesso ordine di idee.

Una prima formulazione di un pr incipio di portata molto generale, tale conclude senz'altro che quest'equazione è priva di senso se non vi è un mol­da potersi ritenere esplicativo di gran parte dei fenomeni naturali, fu formula­ tiplicatore M in modo che M(Pdx+Qdy +Rdz) sia un differenziale, Affermato da Maupertuis: il principio di minima azione. Questo principio, formulato perentoriamente; «Se non esistesse un tale moltiplicatore l'equazione differen­dall'autore in maniera non ancora del tutto chiara dal punto di v ista mate­ ziale proposta sarebbe assurda» [1768, III , p. 9] .matico, sebbene completamente intelligibile dal punto di vista filosofico, fu Il punto di vista di Eulero è perfettamente corretto ; se però s'intende comeutilizzato con successo soprattutto da Lagrange, per ricavare le sue celebri soluzione, nel caso ad esempio delle tre variabili, una superficie, cioè una so­equazioni di movimento. luzione data da un'unica equazione. Tra la fine del Settecento e l'inizio del­

Differenziale 754 755 Differenziale

l' Ottocento s'imporràtuttavia la necessità d'intendere le soluzioni in maniera Come si vede, Cartan introduce accanto alle forme differenziali anche l'ope­piu generale. Ad esempio, nel caso dell'equazione considerata da Eulero, si razione di derivata; oggi si preferisce chiamarla «differenziale esterno». Nelpotrebbero cercare soluzioni di dimensione minore, ad esempio delle curve. seguito, quando si tratterà delle forme differenziali () 4) verranno impiegateCosi l'equazione dy — zdx = o, che non ha soluzioni nel senso di Eulero, ha la terminologia e la notazione moderne.

come soluzioni nel nuovo senso le curve date dalle due equazioni y = f(x) e Concludendo, va ribadita la necessità di considerare il calcolo differenzialez = f' (x) con f funzione arbitraria. Si hanno dunque come soluzioni infinite di cui si è delineato qualche aspetto, come un oggetto unitario inseparabilecurve, ottenute al variare di f; la soluzione in senso classico appare ora come d!a!la sua evoluzione, la quale sola, permettendo di cogliere le linee di sviluppo,corrispondente al particolare fenomeno per il quale queste curve dovrebbero può guidare le ulteriori ricerche.descrivere una superficie.

Verso l'inizio dell'Ottocento Pfaff pose in forma chiara questo punto divista. Data l'equazione r. Equ azioni differenziali.

Xr dxr+ X» dx»+ .. + Xn dxn= o

r.r. Esempi, definizioni.si tratta di verificare non se essa ha soluzioni del tipo f(x„x » , ..., x„) =cost ,

ma piuttosto di cercare le soluzioni di dimensione massima. Pfaff ebbe modo di Un primo esempio fondamentale è dato dalla dinamica del punto materiale.mostrare come un'equazione in zn o zn — r variabili ha sempre come soluzione Questo esempio è implicito nei Principia di Newton, nel quale libro l'autoreun sistema di equazioni (varietà integrali ) in numero non piu grande di n. preferi non servirsi del calcolo differenziale, giudicandolo non sufficientementeNel caso delle tre variabili si hanno soluzioni rappresentate da al piu due rigoroso. Se x, y, z indicano le coordinate di un punto P di massa m il qualeequazioni, cioè almeno delle curve. Il problema fu affrontato successivamente è sottoposto ad una forza f di componenti f„ f „ f » e se s'immagina ulterior­da molti dei migliori matematici i quali diedero importanti contributi soprattutto mente che il sistema sia variabile in funzione del tempo t, si hanno le equazioniper quanto riguarda la esprimibilità delle soluzioni. [Per la storia del problemadi Pfaff durante l' Ottocento si può consultare ad esempio Forsyth r8qo. Per

d'x d'y d z— = mf, — = mf = mf .

una trattazione in un certo senso conclusiva cfr. Goursat rqzz].Come si è visto sopra, l'introduzione delle forme differenziali è dovuta

ad Elie Cartan, il quale scrive nell'articolo Sur certaines expressions différentiellesSe, come in molti casi, s'immagina che la forza f abbia componenti che dipendo­

et le problème de Pfaff: « Il presente lavoro costituisce una esposizione del pro­no dalla posizione del punto, dalla velocità e dal tempo, le equazioni possono esser

blema di Pfaff fondata sulla considerazione di certe espressioni differenzialiposte nella forma:

simboliche, intere ed omogenee in rapporto ai differenziali di n variabili, con d'x / dx dy dz

i coefficienti funzioni qualsiasi di queste variabili. Queste espressioni posso­ dt' 'I, ' ' ' ' d t ' d t ' d t

no essere sottoposte alle regole ordinarie del calcolo a condizione di non scam­biare l'ordine dei differenziali in un prodotto. Il calcolo di queste quantità è,

d'y f dx dy dz

insomma, quello delle espressioni differenziali che sono poste sotto un segno di dt' '( ' ' ' ' d t ' d t ' d t

integrale multiplo. Questo calcolo presenta numerose analogie con il calcolodi Grassmann; è dunque identico al calcolo geometrico di cui si serve Burali­Forti in un l i bro recente... dt' ( ' ' ' ' dt ' d t ' dt

«Nel caso di una espressione di primo grado di Pfaff, si può associarleun'altra espressione differenziale di secondo grado, che è un covariante in e si ottiene ciò che si dice un sistema di equazioni differenziali del secondo

rapporto ai cambiamenti di variabile e che non è altro che il covariante bilineare ordine.

di Frobenius e di Darboux. Io la chiamo la derivata della espressione di Pfaff. Un altro esempio, tra i primi presentatisi nella storia del calcolo differen­

Ma grazie alla nozione delle espressioni differenziali simboliche, questo cova­ ziale, è dato dalla isocrona. Si tratta di trovare una curva lungo la quale un

riante è il primo termine di una successione di covarianti simbolici di terzo, pendolo impieghi lo stesso tempo nel fare una oscillazione completa tanto

quarto, ... grado che si deducono dalla espressione di Pfaff e dalla sua derivata scivolando lungo un arco lungo quanto scivolando lungo un arco breve.

con delle moltiplicazioni; esse costituiscono la derivata seconda, terza, ... della Giacomo Bernoulli nel r6go ottenne l'equazione differenziale della curva

espressione di Pfaff, la derivata p-esima essendo di grado p +r» [ r8b!q, ed. nella forma:

Gauthier-Villars p. 5o5]. vb'y a' dy=V— a dx

Differenziale 756 757 Differenziale

Dall'uguaglianza dei due differenziali, Bernoulli concluse che gli «integrali» costituita al tempo iniziale, t = o, da n membri, e si indichi con y(t) il numero

(termine usato per la prima volta ) dovevano essere uguali e cosi ne concluse degli individui al tempo t. Ovviamente y(t) è un numero intero, tuttavia si

la soluzione: farà l'ipotesi che y (t) sia una funzione continua e differenziabile di t. Si sup­(baby — za )V b y a— ~= pb'v a x ponga inoltre che la rapidità di cambiamento della popolazione al tempo t

dipenda solamente dallo stato della popolazione al tempo t e non da quantoSi tratta, come è noto, di una cicloide. accade prima. Esattamente, si supponga che in un intervallo di lunghezza hUn altro esempio, dovuto ancora a Giacomo Bernoulli, è quello della vi sia la probabilità p che ogni individuo faccia nascere un nuovo individuo.

brachistocrona. Dati nel piano due punti P e Q (fig. t ), si tratta d'individuare Da queste ipotesi si ottiene:la linea che deve percorrere un corpo pesante per scendere da P a Q nel minortempo possibile. Se si assume il riferimento come nella figura indicata si trova y(t+h) — y(t) =p.h y ( t )

facilmente che il tempo necessario per percorrere il tratto PQ è dato da e allora

j']/ r +y" y(+ ) — y(t)— p.y( ).

Si tratta perciò di determinare una funzione y (x) in modo che questo in­Da questa equazione, facendo tendere h a zero, si ha l'equazione difFerenzialey' = p y (t). Si osserva ora molto facilmente che

tegrale abbia valore minimo. Come si vedrà trattando del calcolo delle varia­zioni, questa condizione dà luogo all'equazione differenziale y '(t) d— = ­ log (y(t))

z ~y /s y" y (t) d t

~ (~+s") e perciòd

ossia d log(y(t)) =pI

= C cioèv z('+x")l'g(y(t)) =pt +C

da cui si ottiene ancora come soluzione una cicloide (cfr. oltre, ) g.z). Il fatto y(t) = e" ' '

che i due problemi diano luogo alla stessa soluzione fu naturalmente accoltocon molto stupore e fu oggetto di vivaci scambi di corrispondenza, secondo La costante C che compare nella formula trovata può essere ricavata osser­l'uso dell'epoca. vando che per t =o deve essere y (o)= n e perciò y (o)= co =n. Si ha quindi:

Ecco ora un esempio assai piu moderno, illustrato con maggiori dettaglipoiché è assai semplice ed al tempo stesso si presta bene ad una discussione y(t) = n er'.

metodologica.Si consideri una popolazione di organismi di una certa specie, la quale sia

Questa è quindi la soluzione del problema che ci siamo posti. La soluzioneci dice che la popolazione cresce esponenzialmente al crescere di t. Si osserviperò come questo risultato non è affatto legato alla natura del problema checi siamo posti, è semplicemente il frutto di drastiche semplificazioni. Con di­verse ipotesi si potrebbero ottenere equazioni difFerenziali ben differenti, in­terpretabili in maniera opposta! Se supponiamo, ad esempio, che i mezzi disussistenza diminuiscano al crescere della popolazione, possiamo assumere l'i­potesi

y'(t) =p y(t)-v y'(t)

introducendo il fattore «malthusiano» ­ (? y' (t). Cosa significa l'introduzioneFigura r. di questo fattore? Fin tanto che y (t) si mantiene «piccola» la quantità ys(t)Problema della brachistocrona: un corpo pesante deve percorrere la linea PQ nel piu

può essere trascurata, e sostanzialmente il fenomeno è governato da una equa­

breve tempo possibile. zione simile a quella che abbiamo considerata in precedenza. La cosa divie­

Differenziale 758 759 Differenziale

ne sostanzialmente diversa quando non è piu possibile trascurare la quantità y(t) = e ', cioè una famiglia di funzioni. Solo successivamente si è detc<­ptyC

yz(t); allora il fattore — q yz(t) altera il comportamento in modo essenziale.minata una soluzione particolare imponendo una condizione iniziale : y (o) = n.

Questa equazione fornisce un esempio tipico di come un fenomeno possaQuesto fatto è del tutto generale: la soluzione di un'equazione differenziale i.

d a esse re descritto in modo lineare, successivamente «perturbato» e poidata da una famiglia di funzioni. Con maggiore precisione si può dire c!u

divenire un t ipico fenomeno non-lineare. In questo caso, l'equazione, va i aquesta famiglia dipenderà da tanti parametri quanto è l'ordine della piu alt;<

in prima approssimazione,derivata che compare nell'equazione differenziale. Prima di dare a queste os­servazioni una forma piu precisa e rigorosa mostriamo con un ultimo esempi<>

y'(t) = P.y(t) come, viceversa, da una famiglia di funzioni dipendente da un parametro si

corrisponde alla descrizione lineare. L'equazionedetermini un'equazione differenziale.

Si consideri la famiglia delle circonferenze con centro nell'origine di uny'(t) =p y(t)-v y ' ( t ) sistema di riferimento cartesiano xe +y»=),. Se in questa equazione si pens;i

considerata per y (t) sufficientemente piccolo corrisponde alla descrizione per­la y come funzione della variabile x e si deriva rispetto ad x, si ha zx +zyy' = o

turbata. Infine la stessa equazione considerata per y (t) qualsiasi corrisponde e quindi si ottiene l'equazione differenziale y' = ­ (x/y).al fenomeno non-lineare. La figura z dovrebbe essere esplicativa di quanto

Prima di procedere è ora necessario dare un certo numero di definizioni

esposto. Volendo esplicitare dal punto di vista matematico il caso non-linearee fissare una certa terminologia.

e calcolando, sempre assumendo come valore iniziale y (o)=n, la soluzione, DEFINIzIQNE, Un'equazione differenziale del primo ordine è una relazione del­si trova uesta volta la forma f (x, y, y') = o, or/ef è una funzione definita in un certo insieme Q <-Rs.

nPy (t)<­

(p — nq) e- p'+ nq'Per soluzione di quest'equazione differenziale s'intende una funzione y (x)tale che si abbia identicamente f(x, y(x), y'(x)) = o.

Questa soluzione, per q = o, si riduce a quella precedente. Se quo il comporta­ In modo analogo si definisce un'equazione differenziale di ordine n come

mento della soluzione è notevolmente diverso. Si ha per esempio una relazione della forma f(x, y, y', ..., y'"') =o ove questa volta la funzionef è definita su un sottoinsieme di R"+'.

pl im y( t ) = — . Per soluzione generale (o integrale generale) dell'equazione differenzialetW+oo di ordine n s'intende una funzione y = (x, c„c„ . . . , c„) dipendente da n para­

La popolazione, invece di crescere indefinitamente, tende a stabilizzarsi intornometri indipendenti, tale che y soddisfi identicamente l'equazione differenzia­

a v ore P/q.l alore p /q. La trattazione non-lineare è dunque sensibilmente diversa!le. Ad esempio: se si considera l'equazione differenziale del secondo ordine

//

L'esempio presentato si presta bene ad un'ulteriore osservazione. a­. Dal­ y = o, questa ha per soluzione generale y=cix +cs. Una soluzione che si

l'equazione differenziale y' (t) =p y(t ) s i è r i cavata la soluzione generale ottenga dalla soluzione generale assumendo certi valori ci, c„ . .., c„v iene detta

integrale particolare.Nell'esempio molto semplice considerato, y" = o, la soluzione generale

descrive tutte le soluzioni. Questo però, in generale, non accade. Vi possonoTeoria lineare essere delle soluzioni dell'equazione differenziale che non sono ottenibili nella

forma di integrali particolari. Questo può succedere, per esempio, per valorilimite dei parametri che compaiono nella soluzione generale. Si consideri adesempio la famiglia di parabole xs+Xy = o. A questa famiglia appartiene anche

Teoria non-lineare(per X~ ~) la retta y=o . I n effetti, se si elimina il parametro A si ottienel''equazione differenziale xy' + zy = o, la quale ha anche la soluzione y = o. Que­sta soluzione non è un'integrale particolare.

I.z. Equazioni differenziali elementari.

Perturbazione In questo paragrafo vengono considerati alcuni esempi di equazioni dif­

Figura z.ferenziali, tra i piu semplici e tra i pr imi presentatisi storicamente.

L'opposizione lineare/non-lineare e la perturbazione.Equazione a variabili separabili: quando l'equazione differenziale ha la

Differenziale 76o 76r Dtfferenzrale

forma f(x)+g(y)y' =o, il p roblema della ricerca della soluzione generale sirisolve immediatamente nella forma r 3. Teoremi di esistenza.

f f (t) dt+ g ( t ) dt= cost. Come si è accennato all'inizio, le prime equazioni differenziali considerate

XQ fioerano direttamente collegate a problemi fisici, ed era quindi chiaro come, sequeste equazioni riflettevano correttamente la realtà fisica, non vi dovessero

Equazione differenziale lineare: è un'equazione della forma y' +f(x)y+ essere ubbi sull'esistenza di soluzioni. In molti casi semplici, poi, queste so­

+g (x)= o. Se si effettua la sostituzione y =pq, si ha y' =p'q+q'p; sostituendo uzioni erano calcolabili direttamente mediante quadrature.nell'equazione diflerenziale si ottiene Il problema della «esistenza» della soluzione di una equazione differenziale

(P'q+q'P)+f(x)Pq+g (x)= osi pone verso la fine del Settecento ed i primi anni dell'Ottocento quando lac asse di equazioni differenziali considerate diviene molto piu estesa e com­

Riorganizzata l'espressione nella formapren e anche equazioni di un tipo che non può essere immediatamente ricon­otto ad un problema fisico, ma che pare perfettamente analogo a quello di

P (q'+f(x) q)+P'q+ g (x)= o equazioni differenziali che invece sono ottenute a partire da problemi fisici.

è ora possibile scegliere la funzione q in modo che q'+f(x)q = o, ed a tal fineIl tentativo di risolvere equazioni alle derivate parziali mediante sostituzioni

basta osservare che q'fq è la derivata di log ~q~. Determinata cosi la funzione qg umerose equazioni diflerenziali non incontrate in pre­

e tornando all'equazione differenziale, si ottiene semplicemente p'q +g(x) = o,cedenza. Ad esempio, se si considera l'equazione delle onde (cfr. oltre ( z )

che si risolve immediatamente. Note le due funzioni p e q è data la y da pq. ò2u ò'u ò2u r ò2uEquazione di Riccati: è un'equazione della forma ,+ — + — ­— ­

òx' òy ' òx2 c2 òt'

y'+ f(x) y2+g (x) y+ h(x)= o. la ricerca di soluzioni della forma

Questa equazione è molto importante per due motivi. Essa è stata ottenutada Jacopo Riccati effettuando un cambiamento di variabili, a partire da una

u = u(r, 9, x, t) = R (r) 0 (p) g(x) T (t)

equazione del secondo ordine: è dunque uno dei primi esempi di tentativi di conduce al sistema di equazioni differenziali:risolvere un'equazione differenziale riducendone l'ordine con un cambiamentodi variabili. In secondo luogo l'equazione di Riccati non può, in generale, d'R r dR m 2

essere risolta mediante integrazione. Negli esempi considerati in precedenza,— + — — — — R+n2R = o

l'equazione differenziale, dopo un certo numero di manipolazioni, era ricon­dotta ad una forma tale che la ricerca delle soluzioni comportava semplicemente d20

una o piu integrazioni. Si poteva quindi immaginare che questo fatto fosse= — nt 0'

d@2

del tutto generale; che una scelta opportuna della sostituzione da effettuareriducesse l'equazione ad una risolubile elementarmente, cioè mediante inte­

d2Zq 2g

grazioni. Ora questo fatto si dimostra impossibile: l'equazione di Riccati non dx2

può essere risolta mediante integrazione. Va notato, tuttavia, che se si conosceuna soluzione particolare p, si può trovare la soluzione generale. Infatti con il

d2T— = ­ c2P2 T

cambiamento di variabili y =p +z l 'equazione si riduce ad una di Bernoulli. dt'

Non sembra necessario aggiungere ulteriori esempi di equazioni differen­ n =p — q.ziali integrabili elementarmente perché, chiara ormai la problematica, il lettoreinteressato può fare riferimento a testi specializzati [cfr. per esempio Coddingtone Levinson rq55]. Per lo stesso motivo non si tratterà neppure delle equazioni

La prima equazione, riscritta con variabili x ed y è x y" +xy'+(x — n')y=o,ed è nota come equazione di Bessel.

differenziali lineari in generale. In modo analogo si ottiene l'equazione differenziale di Legendre, a partiredall'equazione di Laplace, cioè l'equazione

(r — x )y" — zxy'+n(n+ r)y = o.

Differenziale 76z 763 Differenziale

Entrambe queste equazioni appartengono al tipo piu generale tesca, Cosi, se è data una singola equazione differenziale, operando in qucst<>

a(x)y" +b(x)y'+c(x)y = o. modo, si può, in un certo senso, aggirare l'ostacolo di un teorema di esistcnz;>.Ma il problema diviene di natura completamente diversa quando il patrimoni<>

Se per le equazioni di Bessel e di Legendre l'esistenza di soluzioni può essere di equazioni differenziali si arricchisce al punto tale da considerare equazio<>ichiara per motivi fisici, non vi è ragione di supporre la stessa cosa per questa differenziali con un grande grado di arbitrarietà. In questo momento la pn>­

ultima equazione. Nasce cosi la problematica dei «teoremi di esistenza». blematica dei teoremi di esistenza si pone con tutto il suo vigore.

Questa problematica, naturalmente, non si pose all'improvviso con chia­ Questo è un buon esempio di come un incremento quantitativo all'intern<>

rezza. Il patrimonio di equazioni differenziali non fu arricchito di colpo in­ di una teoria dia luogo ad un incremento qualitativo.

troducendo uno studio sistematico delle equazioni differenziali. Dapprima ci si Va notato ancora come, nello stesso periodo e per ragioni sostanzialmente

limitò a studiare gli esempi che si ritenevano significativi. Per questi, anche analoghe, si pone la problematica dei teoremi di esistenza anche all'intern<>se non era possibile fornire le soluzioni in forma chiusa, cioè mediante funzioni dell'algebra. Infatti i teoremi per l'esistenza di radici di un'equazione algebrica

elementari, era tuttavia possibile indagare la natura delle soluzioni mediante della formauno studio diretto dell'equazione differenziale. In tal modo era implicitamente a„x" + a„ ix" + ... + ai x+ ap osuperato il problema dell'«esistenza» delle soluzioni, le quali venivano descrit­te con grande accuratezza! Nacquero cosi le «funzioni speciali», come le fun­ si collocano tra la fine del Settecento ed i primi anni dell'Ottocento.zioni di Bessel; i polinomi di Legendre, ecc. Si presentano ora tre possibili dimostrazioni del teorema di esistenza: un

Si mostrerà ora, con un esempio molto semplice, come sia possibile descri­ primo metodo di Cauchy, noto anche come metodo dei poligoni; un secondovere le proprietà delle soluzioni direttamente dall'equazione differenziale. Si metodo, pure dovuto sostanzialmente a Cauchy, basato sugli sviluppi in serie ;consideri l'equazione differenziale del secondo ordine y"+y =o. Questa, co­ e infine il metodo di Peano-Picard.

me si verifica immediatamente, ha le due soluzioni indipendenti sinx, cosx. Si tratteranno in maniera schematica i primi due metodi, mentre si entreràS'immagini tuttavia di non conoscere queste soluzioni e di volerle dedurre in maggiori dettagli per quello di Peano-Picard, che si è certamente affermatodirettamente dall'equazione differenziale. Posti y' =y» e y =y„ l ' equazione è come il piu importante ed è quello sviluppato nella maggior parte dei testiallora equivalente al sistema moderni sulle equazioni differenziali.

y« = — yi Un primo teorema di esistenza fu dato da Cauchy nei suoi Exercices d'analyseper l'equazione differenziale del primo ordine y' = f(x,y). Questo metodo,

yi =y». molto legato alla evidenza geometrica, utilizza sostanzialmente la stessa idea

Da questo sistema si ricava immediatamente la proprietà fondamentale delle che è contenuta nella definizione dell'integrale come limite di somme. Si sup­

soluzioni. Si ha infatti: ponga di voler calcolare la soluzione dell'equazione differenziale nell'inter­

zyiyi+ zy»yp = 0vallo (xp xp+8) (ove 8 è definito opportunamente a partire dall'equazionedifferenziale. Si veda, per esempio come è calcolato quando viene illustrato

e quindi: il metodo di Peano-Picard), supponendo che la soluzione cercata y (x) assuma

— (yb+y»)= oin xp il valore yp. Se nell'equazione differenziale si pongono i valori xp,yp

Cx al Posto di x ed y si ha un valore numerico f(xp, yp) che è l'inclinazione dellaretta tangente nel punto (xp, yp). Si consideri ora una suddivisione dell'inter­cioè

y«i+y~ s­— cost.vallo (xp, xp+<>) mediante certi punti x«=ap<a,<a»« ... a„ = xp g <>. In cor­rispondenza ai valori a, è possibile calcolare per ricorrenza y;+, ­— y;+f (a;, y;),

Se ora si assumono le condizioni iniziali y, (o)= o e y» (o)= i, si ha esattamente ove, naturalmente, yp=y (xp). Si passi ora a considerare la poligonale di verti­ci P; = (a,,y;) (cfr. fig. 3) e sia y(x) l 'equazione che definisce questa poligo­

yl+yl = i nale. Si dimostra che se si fa tendere a o la massima distanza a;+,— a; questapoligonale definisce una soluzione dell'equazione differenziale. Le ipotesi che

che è la proprietà fondamentale delle due funzioni y = sinx, y = cosx.

È chiaro come in tal modo non si è «dimostrata» l'esistenza di soluzioniCauchy poneva per fare questa dimostrazione erano la continuità dellaf(x, y)e della f„(x, y). In seguito fu d imostrato da Lipschitz come queste ipotesi

dell'equazione differenziale, ma è anche chiaro come quanto si è osservato fossero eccessive. Egli pose in evidenza l'essenzialità della condizione, chiamatacirca le eventuali soluzioni l 'abbia resa completamente plausibile, al punto oggi con il suo nome — condizione di Lipschitz — che verrà illustrata qui ditale da far diventare il problema intorno alla loro esistenza di natura pedan­ seguito.

765 DifferenzialeDifferenziale 76y

MP„

e il suo sviluppo: F (x, y) =g s(x — xo)" (y — yo)>, Si consideri ora la serie­soluzione dell'equazione

P, dY— = F(x, V)dx

di cui è agevole mostrare la convergenza utilizzando il fatto che F (x, V) èdata in modo esplicito. Si dimostra come questa serie domini termine a termine

xp Qp op ap a„ = Xp +8 la serieI l

Figura 3.Metodo dei poligoni per determinare la soluzione di una equazione differenziale. yo+yo( xo)+ l (x xo) + "

da cui si conclude la convergenza richiesta.DEFINIzIQNE. Sia f (x, y) definita nel dominio del piano x, y dato dalle disegua­ E ora, il metodo di dimostrazione di Peano-Picard. Per poter trattare la

glianze (x — xo~ <a e ~y — y) < b. Si dirà che in tale dominio f(x, y) è lipschitziana dimostrazione in maniera piu dettagliata, occorre un enunciato rigoroso :rispetto a y se esiste una costante A tale che

TEoREMA. Data l'equazione differenziale y' = f (x, y) con la condizione inizialeIf(xr. y1) — f(xi y.)l<Alyi — y.l. y(xo) =yo, supponiamo che per xo<x<x o +a, yo — b<y<yo+b, l a funzione

Le ipotesi del teorema possono essere ridotte alla continuità ed alla lipschitzia­ f(x, y) sia continua e verifichi la condizione di Lipschitz ~ f(x, y, ) — f(x, ys)~ <

nità, rispetto alla variabile y. L'essenzialità di questa condizione viene bene in <A~y,— ys), Allora esiste un numero 8 (B<a, che si determina nel corso della

luce dimostrando il teorema di esistenza, ad esempio con il metodo di Peano­ dimostrazione) in modo che in (xo, xo+8) il sistema ha una ed una sola soluzione

Picard. y(x) che verifica la condizione iniziale y (xo)=yo.

La seconda forma del teorema di esistenza di Cauchy è data supponendo Gli elementi essenziali della dimostrazione sono i seguenti:la f(x, y) analitica nell'intorno di un certo punto (xo,yo). Naturalmente inquest'ipotesi si cerca una soluzione analitica. La dimostrazione è ancora molto I) si sostituisce all'equazione differenziale l'equazione integrale equiva­naturale. Se l'equazione ammette una soluzione, questa è della forma lente

I / I I I

y(x) =yo+yo (x-xo)+ ­ '(x - xo)'+ ' ( x — xo)'+­ y(x) =yo+ f(t,y(t))dt;»p

dove yo, yo"', ... sono determinati dal l 'equazione differenziale. Si t ratterà II) si considera la formula ricorrente

quindi di mostrare come questa serie definisca effettivamente una funzione, y. (x) =yoossia che sia una serie convergente. Si osservi come il metodo di considerarela serie scritta sopra come una soluzione dell'equazione differenziale sia pre­ y„+,(x) =y,+ f(t,y,(t))dt;sente fin dalle origini del calcolo differenziale, come metodo di calcolo della »p

soluzione. La grande differenza dell'atteggiamento di Cauchy, dovuto allaesperienza delle serie divergenti, è che ora egli avverte con chiarezza che il

Ill ) si dimostra che y„ (x) converge ad una funzione V (x);punto essenziale è quello di mostrare la convergenza della serie.

Iv) in corrispondenza f *, f(t,y„(t)) converge a f» f(t, V(t)) dt;La linea della dimostrazione è la seguente. Poiché f(x, y) è analitica nel v) allora dall'equazione

punto (xo, yo), vi sono due cerchi di raggi r, ed rs in modo che, se x ed y veri­ y»p+l(x) =yo+ f(t, y»p(t))dtficano le diseguaglianze ~x — xo~ <ri e ~y — yo~ <ro allora f(x, y) è analitica. »p

In particolare essa è superiormente limitata da una costante M. Ora, si con­siderino la funzione facendo tendere m a ~, s i o t t iene l'equazione

»

(* — *o) (, x — xo) V(x) =y,+ f(t, Y(t))dt.

»p

Differenziale 766 767 Differenziale

Si tratterà poi di dimostrare l'unicità della soluzione trovata, il che si com­ È ora possibile dimostrare che T risulta essere una contrazione e di qui seguepie in maniera abbastanza agevole. l'esistenza e l'unicità della soluzione.

La dimostrazione che è stata accennata del teorema di esistenza ed unicità Come conclusione di questo paragrafo, qualche osservazione.utilizza un metodo dimostrativo che va molto al di là dell'applicazione specifica r) Il metodo esposto, che permette di ricavare una soluzione in un intornofatta: il principio del punto fisso. Nella forma che viene utilizzata per la dimo­ destro di xo, si estende in modo ovvio ad un intorno sinistro di xo. Si puòstrazione di questo teorema, esso è dovuto a Banach (rc)zz), mentre l'idea della quindi immaginare la soluzione definita per (xo — s, xo+s).sua applicazione alle equazioni differenziali per dimostrare teoremi di esistenza z) I metodi or ora illustrati per l'equazione differenziale del primo ordine siè dovuta a Birkhoff e Kellog [rc)zz]. Si vuoi qui rianalizzare la dimostrazione estendono senza difficoltà a sistemi di equazioni differenziali del primo ordine,alla luce di questo principio, perché esso costituisce una tecnica dimostrativa e quindi ad un sistema di equazioni differenziali di ordine qualsiasi, poichéfondamentale. Si vedrà in seguito come anche altri teoremi, ad esempio quello vi è equivalenza fra un'equazione differenziale di ordine superiore al primo edi Bendixon sui sistemi autonomi, possano ricondursi ad applicazioni del prin­ un sistema di equazioni differenziali del primo ordine. Infatti data l'equazionecipio del punto fisso.

Sia X uno spazio metrico completo ove d indica la distanza, e sia Q un y(n) f(x y y > y'> y (n — 1))chiuso di X. Sia poi T : Q~Q u na t rasformazione di Q in sé. Un punto x,che sia soluzione dell'equazione T (x) = x viene detto un punto fisso. Si ha ora basta porre y =y „ y ' = y 2 , . . ., y 'n ' =y , e s i ha i l s istema

il seguente: Iyl = y 2

TEoREMA. Sia T una contrazione, cioè una applicazione che soddisfad(T(x), T(y)) <ad(x,y) con a< r (indipendente da x ed y). Allora esiste un uni­co x per il quale T(x) = x . yn — r= y n

y' = f ( y , - » . )Dimostrazione : Sia xp un punto arbitrario di Q ; si ponga x„~r T(x ),

Allora, essendo anche x„ = T(x„ , ) s i ha g) I teoremi di esistenza visti sopra, in particolare quello di Peano-Picard,garantiscono l'esistenza di una soluzione localmente. In altre parole la soluzione

d(xny(> xn) <ad(xn> xn r) è determinata in un intorno del Punto xo: (xo — 8, xo+8). Naturalmente se nele quindi punto xo+8 non cadono le ipotesi del teorema di esistenza, la soluzione può

d(x„yr x„) <and(xr> xo). essere prolungata a xp+8+8r e cosi via. Tuttavia, anche se le ipotesi del teo­rema di esistenza continuano a valere, può succedere che la successione

Di qui è facile dedurre che [x„) è una successione fondamentale. Essendo X xp+ 8 xp+ 8+ 8r xp+ 8+ 8r + 82 "• abbia limite finito, cioè che la soluzione

completo esiste un x tale che x„~x. Si vede poi immediatamente che T (x) = x. non sia ulteriormente prolungabile. Si ha infatti l 'esempio ben noto (cfr.L'unicità della soluzione segue dal fatto che, ammesso per assurdo che vi sia Tricorni [x(l6r]) dell'equazione differenziale che definisce le iperboli del tipoun'altra soluzione x', deve allora essere

Iy =

d(x, x') = d(T(x), T(x')) <ad(x, x')

il che è assurdo, poiché a< r. Se si considera l'integrale passante per il punto (xo,yp), ossiaSi può applicare ora questo teorema al caso che interessa nel modo se­

guente. PostoIx — xp+­

T(y(x)) =yo+ f(t,y(t))dt, yoSp

questo non è prolungabile oltre il punto xp ­ (r/yp). Tuttavia l'equazione dif­al posto di X si consideri lo spazio delle funzioni continue definite in [xo, xo+a] ferenziale che corrisponde a questa famiglia di iperboli è y' +y'= o che noncon la norma presenta in questo punto alcuna singolarità.

Ily(x) II= m» Iy(x)l y) La soluzione di un'equazione differenziale ordinaria dipende con con­ap(ap, ap+a] tinuità dai dati. Si ha in effetti i l teorema seguente:

Differenziale 768 769 Differenziale

TEOREMA. Sia y' = f(x,y) un'equazione differenziale che ha per soluzione in la quinta successiva; il re, la terza; il si, ... e cosf via. Se si assume come defini­(xo — 8, xo+8) una curva y(x) tale che y(xo) =yo. Se y (x) è una soluzione zione di suono musicale il prodotto di vibrazioni periodiche e regolari, si può

y(xo) =yo+o, al lora per lx — xol(8 si ha esprimere matematicamente questo fatto con: «Ogni data forma regolare,periodica, di vibrazione (ogni suono) può sempre prodursi come somma di

ly(x) — y(x)l(~ e " vibrazioni semplici, aventi periodi che sono uguale a quello dato, doppio,triplo, ... e cosi via». Questo fatto, che ogni suono sia scomponibile come

ove la costante A è quella che corrisponde alla condizione di Lipschitz per la fun­ somma di altri suoni, spiega la natura, «il t imbro» del singolo suono. Lazione f(x, y). «purezza», la «semplicità» che associamo al suono del flauto, corrispondono

alla relativa assenza di suoni concomitanti con quello fondamentale; come si

I.4. Teoria di Sturm e L iouville. dice, all'assenza di «armonici». La diversa qualità sonora del violino va inveceascritta alla ricchezza di armonici che accompagnano le sue note. Si vedrà

Una tecnica importante per la r isoluzione delle equazioni alle derivate piu avanti come la teoria di Sturm e Liouville fornisca un supporto matematicoparziali, come si vedrà ad esempio nel caso dell'equazione delle onde, consiste ai risultati dati in modo qualitativo.nel metodo della separazione delle variabili. Questo metodo riconduce la risolu­ In questo paragrafo ci si riferirà ad un'equazione del secondo ordine dellazione dell'equazione originaria alla risoluzione di un certo numero di equazioni formadifferenziali ordinarie. Poiché in generale i problemi che conducono ad equa­ ( I ) y" + P (x) y'+Q(x) y= ozioni alle derivate parziali hanno assegnate condizioni al contorno, si ottengo­no analogamente, per le equazioni differenziali ordinarie che si ricavano, delle Occorre dunque premettere qualche risultato sulle soluzioni di questa equa­

condizioni al contorno. Ad esempio, per un'equazione del secondo ordine zione.

del tipo y" +P(x)y'+Q(x)y =o si r i cerca una soluzione per la quale sia DEFINIzIQNE. Due soluzioni y, (x) edy2(x) dell'equazione (I) sono dette dipen­y(xo) =yo, y (x,) =y,. Una tipica richiesta di questo tipo compare per l'equa­ denti se una di esse è ottenibile dall'altra moltiplicandola per una costante. Sonozione della corda vibrante, ove le condizioni precedenti significano che s'im­ dette indipendenti in caso contrario.

maginano fissati due punti della corda. TEOREMA. Se y, (x) ed y 2(x) sono soluzioni indipendenti dell'equazione diffe­In generale la tecnica della separazione delle variabili comporta l'introdu­ renziale y" +P(x ) y'+Q(x) y = o nell'intervallo [a, b], allora ogni altra soluzio­zione di un parametro e le equazioni differenziali che si ottengono hanno ne è della forma c,yr (x)+c2y2(x).soluzioni solamente per certi valori particolari del parametro (autovalori ).Le soluzioni corrispondenti (autofunzioni ) possiedono importanti proprietà Dimostrazione: h chiaro come ciy i (x)+c2y 2(x) sia una soluzione delladi ortogonalità che verranno analizzate successivamente. Per illustrare e moti­ equazione differenziale. Occorre quindi solamente dimostrare come ogni solu­vare il tipo di analisi al quale si perviene, verrà utilizzato appunto l'esempio zione sia di questa forma. Sia dunque y (x) una soluzione. Per dimostrare cheimportante della corda vibrante. esistono due costanti cr e c2 per le quali y (x) = ci yr(x)+c» y2(x) basta che per

L'analisi del suo movimento fu motivata storicamente dalla necessità di qualche punto xo di [a, b] si abbiacapire la natura dei suoni musicali. D'Alembert, al quale si deve un metodo i yi(xo)+c.y. (x.) =y (xo)brillantissimo per la risoluzione dell'equazione della corda vibrante — sostan­zialmente il capostipite della tecnica della separazione delle variabili —, era

ci yr'(xo)+" y2(xo) = y' (xo)in contatto molto stretto con Rameau e con le sue idee. Egli infatti è autore perché in tal caso y (x) e c,y,(x)+c iy2(x) sono due soluzioni con lo stessodegli Eléments de musique théorique et pratique suivant les principes de M. Rameau, valore iniziale e lo stesso valore per la derivata prima.Affinché il sistema siail che testimonia appunto la sua attenzione ai problemi musicali ; ma in generale risolubile, occorre allora chesi può dire che l ' interesse per questa problematica è condiviso da tutti gl ienciclopedisti. Basti pensare ai Principes généraux d'acoustique di Diderot, o yi(xo) y2(xo)

=yi (xo) y2(xo) — y2(xo) yl(xo)alla Lettre sur la musiquefrangaise di Rousseau, yl(xo) y2(xo)

S'immagini, dunque, la corda vibrante come una corda di v iol ino, adesempio quella accordata sul sol. Se essa viene strofinata con un archetto, si

sia diverso da zero. Si consideri ora la funzione di x, W (yr,y2) =y,y2 — y»yi

ode naturalmente la nota sol, ma essa è accompagnata anche da altri suoni, c he viene detta il wronskiano di y „ y 2 (dal nome del matematico polacco

di altezza sempre maggiore e di decrescente intensità. Sono udibili distinta­Wronski). Poiché

mente l'ottava del suono fondamentale, cioè ancora un sol; la dominante, cioè ff"=y y2' +y iy2-y y l' -y 2yi =yiy2' - y 2y l'

Differenziale 77r Differenziale77o

tenendo conto del fatto che y, e ys sono soluzioni dell'equazione differenziale, Allora in x sia y, che yr sono diversi da zero; e similmente in P sia ys che y,'cioè sono diversi da zero, Inoltre yr deve avere segni oPPosti in x ed in $, Poiché,

yl'+Pyl+ Qy l = ose è crescente nel primo caso, deve essere decrescente nel secondo e viceversa.M a allora anche ys deve avere segno opposto in c ed in ). Poiché y~ è continuays'+Pys+ Qys= o deve annullarsi in un punto tra z e P. La funzione y, non può annullarsi piu

moltiplicando la prima equazione per y, e la seconda per y„s i ha di una volta tra a e P, altrimenti, scambiando i ruoli di y, e di y~, si avrebbeche x e P non sarebbero zeri consecutivi.

y.yr'+ y . y r '+ Qysyr= o L'equazione differenziale y" +P(x) y'+Q(x) y = o, può porsi nella formay ry2 + y l y 2 +Qyly2 u"+q(x) u = o che sarà utile per enunciare un altro importante teorema. Basta

da cui sottraendo : porre y = uv e sostituire nell'equazione. Si ha allora

(yrys' — y y>')+P(y ys — y yr) = o (uv" + zu'v'+u"v)+P(uv'+ u'v)+ Quv = oe alloraossia

dW(y,) y,) p W ( )u"v+(zv'+Pv) u'+(v" +Pv'+Qv) u = o.

dx Ponendo zv' +Pv = o e ricavando una soluzione

e quindi e — i JPds

W = ce t+~l'equazione si riduce alla forma richiesta.

e se ne conclude che W (y„y~) o è identic™ ~~~ Z~~o ~~ [a, b] oppure non si È ora possibile enunciare ilannulla mai. Si osserva facilmente che se yr e y~ sono soluzioni indipendenti, TEQREMA. Data l'equazione u" +q(x) u=o, se q(x) <o ed u(x) è una soluzioneil loro wronskiano non può essere identicamente zero, e si conclude cosi che è non banale, allora u(x) ha al piu uno zero.possibile determinare c, e cs.

Si torni ora a considerare l'equazione differenziale y" +P (x) y'+ Q(x) y = o. La dimostrazione di questo teorema si può effettuare con metodi elementariSi è già osservato come questa equazione non sia, in generale, risolvibile in come il teorema precedente. Molto importante è anche il seguentetermini di funzioni elementari. Tuttavia è stato mostrato, con un esempio, TEOREMA. Sia y (x) una soluzione non banale dell'equazione y" +q(x) y = o,quello dell'equazione y" +y = o, come sia possibile ricavare importanti in­ ove q(x) è una funzione positiva. In un intervallo chiuso [a, b], y(x) può avereformazioni sulle soluzioni direttamente dall'equazione differenziale. L'equa­ solamente un numero finito di zeri.zione y" +y = o è esplicativa anche di un altro fenomeno che si riferisce allesoluzioni dell'equazione differenziale generale. Sappiamo che le due soluzioni Dimostrazione: Si supponga per assurdo che ci siano infiniti zeri in [a, b].sin x, cos x hanno una disposizione particolare dei loro zeri: precisamente, Esiste dunque, per la compattezza di questo intervallo, una successione ditra due zeri successivi di una funzione cade uno zero dell'altra. Questo risultato zeri x„~x~. Poiché y (x) è continua si haè di natura generale. Si ha infatti i l seguente teorema, detto di separazione:

y(xo) = l im y(x„) = oTEOREMA (S™ ) . Se y, (x) e ys(x) sono due soluzioni indipendenti dell'equa­ ed anchezione y"+P(x) y'+Q(x)y = o, allora gli zeri di questefunzioni sono distinti

e si succedono alternatamente. ,( ) l . y ( . ) — y(xo)s„-+$0 xn — xo

Dimostrazione: Poiché y, e ys sono soluzioni indipendenti, il loro wron­skiano non si annulla e, poiché è continuo, avrà segno costante, per esempio Da questo risultato segue che y (x) è la soluzione nulla, contro quanto sup­positivo, È chiaro come yr e ys non possano avere uno zero in comune, altri­ posto.menti, indicato con u questo zero, si avrebbe yr (x) ys(u) — ys(u) yt(a) ­= o. Sia­ Un altro teorema molto importante, sempre dovuto a Sturm, è il cosiddettono ora c e $ due zeri di y,; si ha in corrispondenza teorema del confronto, Ancora una volta l'idea direttrice si fonda sulla con­

siderazione di un fatto elementare. Se si considerano le due equazioniyr(~) ys(~) — y~(~) y>(~)= — y~(~)y>(~)v o

y "+y = oed anche:

yr(P) y2(P) y2([1) yr([1)= — y2(P) yl(P) +y"+nsy= o

Differenziale 772 773 Di8erenziale

le soluzioni della seconda equazione y = sin nx, y = cos nx oscillano piu rapi­ Si aggiunga a conclusione del paragrafo che cosi come le funzioni sin x,damente, se n) i, naturalmente, di quelle della prima. Questo risultato è ancora sin zx, ..., sin nx, cioè le autofunzioni dell'equazione differenziale y" +)y = o ,una volta paradigmatico del comportamento dell'equazione generale. possono essere usate per lo sviluppo in serie di Fourier, allo stesso modo si

TEoEElvu. Siano date le due equazioni differenziali può pensare di sviluppare una funzione f(x) che soddisfi alle condizioni inizialidell'equazione differenziale, mediante le autofunzioni soluzioni dell'equazione

y" +q(x)y = o differenziale, cioè: f(x) = a i y i (x)+a»ys(x)+...+a„y„(x)+... Se si moltiplicaz " i r ( x ) z= o per q(x) y„e si integra termine a termine (formalmente), si ha che il coefFiciente

n-esimo è dato daove r(x) e q(x) sono funzioni positive tali che q(x))r(x). Allora se y(x) e z(x) b bsono soluzioni non banali delle due equazioni, y (x) si annulla almeno una volta aa ­— — q(x)y n( ) f(x) dx con ma= q(x) yn(x) dx.tra due zeri successivi di z (x). +n a a

A conclusione di questo paragrafo, vengono ora enunciati alcuni fra i prin­ Lo sviluppo che abbiamo cosi determinato, detto sviluppo di Sturm-Liouville,cipali risultati della teoria di Sturm-Liouville per l 'equazione contenente il è valido per classi molto vaste di funzioni, ma un'analisi dettagliata delle con­parametro X dizioni di validità va al di là dello scopo della nostra esposizione.

y"+P(x) y'+X Q(x)y = o.i.5. Equazioni differenziali nel campo complesso. Teoria delle singolarità.

Questa equazione, moltiplicando per un conveniente fattore, può ricondursialla forma In tutto il secolo xix si osserva una tendenza generale all'introduzione della

d I dy] variabile complessa in vari settori della matematica.— [p(x) ­)+Z q(x) y= o

dxj In geometria, la necessità di una buona sistemazione della teoria dell'inter­sezione spinge a considerare punti a coordinate complesse. Anche nel campo

Moltiplicando infatti per M (x) si ottiene dell'analisi si evidenziano importanti proprietà difficilmente spiegabili senzaricorrere alla variabile complessa.

My" + MPy'+ AMQy = o. In effetti la possibilità di rappresentare una funzione mediante sviluppiin serie è legata alla collocazione dei punti singolari, e una funzione «reale»

Supponendo che dM /dx = MP, cioè M = et+"* l'equazione si riduce alla forma può avere punti singolari nel piano complesso.richiesta. Le condizioni al contorno dell'equazione possono ora supporsi del Nel campo delle equazioni differenziali vi sono poi molti motivi specificitipo : che spingono ad interpretare le variabili come numeri complessi.

y'(a)+(zy(a) = o (c) o, P>o, a<b Si osserva intanto che nel vasto patrimonio di equazioni differenziali dely'(b)+P y(b)= o secolo xrx solamente pochi tipi di equazioni differenziali possono essere risolti

a partire dalle funzioni elementari con un numero finito di passaggi. UnaI risultati fondamentali ottenuti da Sturm e L iouville possono ora rias­ delle tecniche fondamentali, presente fin dall'inizio del calcolo difFerenziale,

sumersi in è quella di ricercare la soluzione mediante serie di funzioni, ed i problemi di

i) Il problema ha una soluzione non banale solamente se il parametro convergenza si trattano con maggiore facilità nel campo complesso,

A ha un valore scelto in una successione X,<A,<X»« .. . X„ c h e d i­ Inoltre, molte importanti equazioni differenziali come quelle di Bessel e

verge a + ~. La soluzione corrispondente a X = X„è unica a meno di Legendre e l'equazione ipergeometrica, contengono delle singolarità che sono

un fattore moltiplicativo. Se come condizioni al contorno invece delle importanti caratteristiche dell'equazione differenziale ; ancora, le serie-soluzione

(i ) si assume y (a) =y (b) = o, allora la soluzione che corrisponde a X„ nell'intorno dei punti singolari si trattano piu agevolmente nel campo complesso.

ha esattamente n — i zeri nell'intervallo aperto (a, b). Due nomi sono soprattutto legati allo sviluppo in questo senso della teoria

rt) Se le soluzioni corrispondenti a 'n„vengono indicate con y„, allora si delle equazioni differenziali : Fuchs e Riemann. Nelle pagine seguenti di questo

ha la proprietà di ortogonalità paragrafo si accennerà ad alcune delle loro idee e dei loro risultati.Va notato, anzitutto, che lo studio si limitò, almeno all'inizio, alle equazioni

fb differenziali lineari, cioè della formaq(x)y.~y„dx = o se m p n .

a «e(n)yp (z) «e(n — 1)+ +p (z) ~

Differenziale 774 775 Differenziale

Questo sostanzialmente per due motivi, perché la maggior parte delle equazioni altrimenti le soluzioni di partenza non sarebbero indipendenti. In altra re paro­differenziali che interessano, come appunto quelle citate, rientrano in questa e, i sistema di soluzioni «c], ..., 2]]„è sottoposto a una trasformazione lineareforma e poi perché l'equazione differenziale lineare ha la caratteristica im­ quando si considera una curva chiusa che non contiene punti singolari. Si os­

portante che i suoi integrali hanno singolarità solamente ove i coefficienti serva come queste trasformazioni lineari costituiscono un gruppo, che viene det­

presentano singolarità. Come corollario di questo fatto si ha che l'equazione to gruppo di monodromia dell'equazione differenziale.differenziale lineare non può avere singolarità variabili. Si è già visto l'esempio 'idea di Riemann si esprime dicendo che le proprietà delle funzioni definitesemplicissimo dell'equazione y'+y 2= o la quale tuttavia ha delle soluzioni che dall'equazione differenziale sono espresse dal gruppo di monodromia piuttosto

possiedono delle singolarità variabili. Per le equazioni differenziali lineari si che dall'equazione differenziale stessa.ha invece : Riemann mostrò come, assegnate n funzioni un i formi f in i te e contin

saiTEQREMA. Se i coegcienti P, (z),P2(z), ...,P„(z) sono regolari per ~z — a~(R,

sa vo che in punti eccezionali, e assegnato un gruppo di trasformazioni su di

allora esiste un'unica soluzione 2]](z) regolare per ~z — a~(R.esse come illustrato piu sopra, fosse possibile costruire un'equazione differen­ziale avente per soluzioni le funzioni assegnate. Questo argomento, trattato da

La dimostrazione di questo teorema si ottiene semplicemente particolariz­ Riemann in forma particolare, diede luogo al «problema di Riemann» che fuzando a questo caso la dimostrazione generale del teorema di esistenza ed risolto in maniera completamente soddisfacente da Hilbert ( ]c]o5).unicità visto in precedenza. Va osservato tuttavia il fatto molto importante Contrariamente a Riemann, Fuchs considerò invece direttamente l'equa­

che la soluzione definita per z = a può essere estesa in un cerchio che ha per zione differenziale, con l'obiettivo di ottenere nell'intorno dei punti singolari

raggio R la minima distanza dai punti singolari. Ne segue, con il principio sviluppi in serie che ponessero in luce la natura di questi. Si consideri, per

del prolungamento analitico, che la soluzione può essere estesa in ogni regione semplicità, il caso di un'equazione del secondo ordine «v" +p(z) «o'+q(z) «o= oche non contenga punti singolari. (ancora si può osservare come questo caso contenga molti esempi interessanti:

E ora, brevemente, l'approccio di Riemann. Se z =a è un punto regola­ la equazione di Bessel, la equazione di Legendre e quella ipergeometrica).re, allora in un intorno di a è possibile esprimere la soluzione generale nella Si supponga che il punto singolare in esame sia posto nell'origine e che esista

forma un cerchio S che non contiene altri punti singolari. Come è stato osservato

«o= C]«c1+ C2202+ ... + CnWn se si considerano un punto z = a in S e una curva chiusa che non contengal'origine che inizia e termina in a, le due soluzioni fondamentali sono sotto­

ove 2]]n ..., 2]]„sono n soluzioni fondamentali. Se ora si considera una curva poste ad una trasformazionechiusa che inizi e termini in a e che non contenga punti singolari, si possonoprolungare le soluzioni lungo questa curva partendo e ritornando in a. Se «o, ~1(z) = a11 «c](z) +a» 2]]2(z)è una soluzione, poiché procedendo lungo la curva «c, mantiene questo carat­ ~2(z) a 21 ro] (z) + a„«]], (z).tere, al ritorno in a si avrà che la soluzione trasformata n],'. è data da Ci si può ora porre il problema se sia possibile determinare una soluzione che

n'; =a,2]]]+a22]]2+" +a , «] ' . risulti inalterata quando si considera una curva come sopra, ma si vede facil­mente come in generale questo non sia possibile; ed allora si può chiedere

In generale si avrà quindi un nuovo sistema di soluzioni la condizione meno restrittiva che una soluzione sia alterata semplicemente

~1 a11%] + a]2&2+ ... + a]n&n/ per un fattore moltiplicativo. Questo, considerando una soluzione della forma

) «o](z)+p 2o2(z) conduce alla richiestaK2 = a21W1+ a22202+ ... + a2 20

( )+ ( ))+ i 1 ( ( )+ „ , ( ) )= k[~,( )~p. ( )]

~n n]~1 + n2~2+ '' '+ n n ~ n cioè al sistema

(a„— k)) + a„p. = oove dev' essere

a]2~+ (a22 — k)i1 = o11 12 "' a l n

che è risolubile se e solo sedet

a ]1 — k a 2 1= O .

ann a12 a22 — k

Differenziale 776 777 DifFerenziale

Si supponga che l'equazione di secondo grado che si deduce uguagliando a Una caratterizzazione importante delle singolarità regolari che fa r i feri­zero questo determinante abbia due radici distinte k i, ks. Scelto un nuovo mento solo ai coefficienti p (z) e q(z) è fornita dal seguente teorema di Fuchs:sistema fondamentale di soluzioni in z =a, u i i (z) sia la soluzione che viene IEoREivDI (Fuchs). Una condizione necessaria e sugciente af/inché z = o siamoltiplicata per k„ sos (z) quella che risulta moltiplicata per ks. una singolarità regolare dell'equazione ro"+p(z) ro'+q(z) ui =o è che z p (z)Si osservi ora che la funzione z — i' risulta anch' essa moltiplicata per un e zs q(z) siano regolari in z = o.fattore costante, esattamente e '~ quando si considera una curva che cir­conda l'origine. Si può tener conto di questo fatto per far si che la funzioneui, (z) z — > risulti inalterata quando si considera una curva chiusa che circonda I.6. Equazioni differenziali non-lineari: teoria qualitativa.l'origine. Dovrà essere quindi: ki e - "' i '= I e c ioè

I Per illustrare alcuni sviluppi della teoria abbondantemente motivata dap = —. log k,.

27nquanto detto nella introduzione ci si riferirà al caso semplice di due equazioni

Se dunque si considerano pi = ( i /zsci) log k i e ps = ( i /zeri) log ks, si ha che le dx dy— = P(x, y)

due funzioni uii (z) z — » e so,(z) z ~z sono monodrome in S. Esse ammettono dt„— = Q(.,y),

dunque uno sviluppo in serie di Laurent, cioè ove P e Q sono supposte continue e differenziabili con continuità in una certa

sv,(z) =z» P anziregione S del piano (x, y). Con queste ipotesi si ha che per ogni punto (xii, yo)e per ogni to con — ~ <tp< +~ esiste esattamente una soluzione x =p (t),y = )(t) con xe = ~p(t~), yo= )(to) la quale è definita per tutti i valori t in un

ws (z)= z~>Q b~z • certo intervallo (~, T). Un risultato molto semplice e molto importante è fornitodalla proposizione seguente :

Nel caso invece in cui le due radici k, e k, siano uguali si ricavano le soluzioni: pRoposIzIQNE. Se S~S è una regione chiusa e limitata contenuta in S ese x = q (t), y = $(t) è una soluzione definita in (w, T) tale che il punto (p(t),ui (z) = z»$a z"$(t)) è in S per tutti i t e (~, T), allora ~= — ~ e T = +~.

ws(z) = z>zg b„z" +k to,(z) log(z). Si prendano ora in esame alcune proprietà importanti delle soluzioni delsistema :

Questi risultati dicono che nel caso di un punto singolare di un'equazione lineare I) Se x =<p(t), y = g(t) è una soluzione del sistema definita in (v, T) allo­del secondo ordine è possibile descrivere esattamente la natura dell'eventuale ra x =<p(t+C), y =g( t+C) è ancora una soluzione in (v — C, T — C). In­polidromia delle soluzioni: essa proviene o da un fattore del tipo z> oppure fatti, ovviamente,da logz. d(V(t+ C))Ci si ponga ora il problema di determinare gli sviluppi in serie che dànno = P(9)(t+C), $(t+C))origine alle soluzioni fondamentali. L' idea che si presenta naturale — e cheappartiene a tutta la tradizione del calcolo differenziale — è quella di sostituirenell'equazione differenziale e di r icavare in tal modo i coefficienti a„, b„. R

d(V~(t+ C))d C Q(V(t+C), $(t+C)).

chiaro come le equazioni risultanti contengano infinite incognite. Quello che èimportante è che esse sono trattabili solamente nel caso che lo sviluppo in Maserie di Laurent contenga un numero finito di termini negativi. Questo pone dq) (t+ C) dry (t+ C)una differenza molto importante per la forma delle soluzioni e spinge a dare d(t+C) dtla seguente

DEFINIzIoNE. Una singolarità isolata z = a di un'equazione differenziale è det­ d)(t+C) d) ( t~C)ta regolare se esiste una costante k tale che d(t+ C) dt

lim te (z) (z — a)~= o.Z-+S e quindi x =p (t+C), y =g( t+C) è una soluzione.

Differenziale 778 779 DifFerenziale

n) Due soluzioni x =q>(t), y =g(t) e x =>p(t+C), y = f( t+C) possono l'intorno del punto singolare è il medesimo comportamento che presentereb­be il sistemaessere viste come soluzioni con condizioni iniziali gli stessi valori xo, yo

e un diverso to. dy— = A (x — xo)+B(y — yo)

I?r) Viceversa due soluzioni x = <p(t), y =g(t) con gli stessi valori inizialixo,yo ed un diverso to, possono essere ottenute l'una dall'altra sosti­ dxtuendo t+C a t . = C(x — xo)+D(y — yo)

Da queste osservazioni segue facilmente che, se si associa ad una soluzionex = p (t), y = $(t) la sua «traiettoria», cioè il grafico nel piano (x, y) della curva

e dunque è possibile ridursi allo studio di questo sistema semplificato. Se si

definita dalle equazioni parametriche x = p (t), y = $ (t), si ha :suppone, per comodità, che il punto singolare sia nell'origine, si ottiene infineil sistema

Iv) Due soluzioni che differiscono solamente per la scelta del valore inizia­ dyle to, definiscono la stessa traiettoria.

— = Ax+Bydt

v) Per ogni, punto della regione S vi è esattamente una traiettoria delsistema. dx

— = Cx +Dy.dt

L'interpretazione geometrica della quale ci si è serviti per i l lustrare i puntirv) e v) è molto importante. Le soluzioni del sistema si interpretano come curve Questo sistema, con una trasformazione lineare non singolare, può essere ri­sopra un certo piano (x,y), che viene detto piano delle fasi. Queste curve dotto a uno dei t ipisono descritte al variare del tempo t. Se x= q>(t), y = $(t) è una certa soluzione, dy

=si ha

— = kydh

dV(t) d4(h)P(V(t), $(t)) C­— Q(V(t), $(t)) dx

— = xCh

e dunque P e Q descrivono la velocità delle traiettorie. È naturale allora chia­mare un punto (a, b) ove sia P(a, b) = Q(a, b)= o un punto di equilibrio. Se dypensiamo di ricavare dal nostro sistema l'equazione differenziale ad esso equi­

— = x +yCh

valentedy dx dy Q( x , y) dx

— = X

dt dt dx P (x, y) dh

Si giustifica dunque per un tale punto (a, b) anche la denominazione di punto dy— = x +kysingolare. Ch

È naturale che lo studio dei punti singolari abbia molta importanza per dxindagare il comportamento delle traiettorie del sistema. Questo studio si — = kx — y.effettua con relativa facilità se nell'intorno di un punto singolare (xo,yo) il dt

sistema può porsi nella forma Si consideri ad esempio il primo sistema. Ad esso si associa l'equazione

dy—,=~ ( — .)+B(y — y.)+p( — o y — y.) — = k­

dx x

dx la quale ha integrale generale dato da log lyl = k loglxl+cost, ossia— = C(x — x,)+D(y — yo)+<(x xo y — y.)dt y = clxl'.

Avendo ora l 'equazione esplicita delle traiettorie, si può studiare, in corri­

caso infatti è possibile dimostrare che il comportamento delle traiettorie nel­ spondenza ai vari valori di k, il tipo di singolarità. Per k) o tutte le traiettorie

Differenziale p8o y8i Differenziale

passano per o, e la singolarità viene detta un nodo. Se invece h(o , s i ha TEQREMA (test di Dulac per le regioni semplicemente connesse). Si conside­limy =~ e quindi una situazione del tipo ri il sistemaSAO

dx— = P(x, y)dt

dyQ(x, y)dt

e supponiamo che sia definito in una regione G semplicemente connessa. Sia B (x, y)Questa singolarità prende il nome di colle. In modo analogo si analizzano le una funzione continua definita in G per la quale la quantitàaltre singolarità. ò

Come è stato osservato, l'esistenza, o la non-esistenza, di punti singolari — (B(x, y) P(x, y))+ — (B(x, y) Q(x,y))ha grande importanza per determinare l'andamento delle traiettorie. Si capiscequindi come sia molto significativo il seguente non cambia segno. Allora non vi sono curve chiuse semplici che si possano ottenere

TEOREMA (Bendixon). Sia C una traiettoria del sistema corrispondente ad una come unione di traiettorie del sistema.

soluzione periodica (un ciclo). Allora nella regione limitata da C vi è almeno un Dimostrazione : Per assurdo sia l ' u n a t a le curva. A l lora l ' integralepunto singolare. J i ( — BQdx+BPdy) è nullo, poiché se x=y (t), y =g(t) sono le equazioni

Si accenna la dimostrazione di questo teorema, senza entrare in troppi di I", con o( t ( T si ve r i f ica, con una sostituzione diretta, come sia nullodettagli, poiché è interessante osservare come anch' essa, come il teorema di l'integrando. D'altro canto, applicando la formula di Green, si haesistenza ed unicità, si possa far discendere da un teorema del punto fisso.Occorre esattamente il seguente teorema: o = ( — BQ dx+BP dy) = — BP+ — BQ dxdy,

TEQREMA (Brouwer). Una trasformazione continua f : D~D, ove D è un do­minio omeomorfo ad un disco, ha almeno un punto fisso. ove Q è la regione limitata da 1. Poiché la quantità

Ora, tornando alla dimostrazione del teorema di Bendixon, si osservi che ò òuna traiettoria che abbia come punto iniziale (x~,ye) contenuto in C è a sua — (»)+ — (BQ)volta totalmente contenuta in C, per la proprietà v ), e dunque è definita per òx òy

ogni valore di t. Di conseguenza, fissato(xe, yo) vi è una traiettoria con y (o) = x~, deve avere segno costante, si ha una contraddizione.$(o) =ys. Ora, fissato un valore t, si può considerare il punto (q( t), $(t)) In particolare, dal teorema precedente, ponendo B (x, y) = x, si ha il «testsulla traiettoria per (xs,y~). Tenendo fisso t e lasciando variare (x~,y~), si di Bendixon». Se (òP/òx)+(òQ/òy) è di segno costante, non vi sono traiettorieottiene un'applicazione della regione interna a C (che occupa il ruolo di D chiuse.del teorema citato) in se stessa. Ora, per il teorema citato, quest'applicazione Come si è già avuto occasione di osservare, un altro problema importanteavrà un punto fisso, in altre parole un punto (x„y,) tale che la traiettoria che nel campo delle equazioni differenziali non-lineari è quello della stabilità delle«parte da esso» ritorna dopo il tempo t. Se ora si fa tendere t a o, si ottengo­ soluzioni.no traiettorie percorse in tempi sempre piu brevi. Sia t„ ta, ... una successione Si tratta qui di decidere, esprimendosi in termini intuitivi, se una traiet­di valori di t che tende a zero, e siano(x...y„), (x...y,,), ... i corrispondenti toria, nello scorrere del tempo, manterrà le stesse caratteristiche o cambieràpunti fissi. Da questa successione si può estrarre una successione convergente in maniera sostanziale ; esprimendosi in termini astronomici, ad esempio, se unad (x",y") . È ora del tutto intuitivo, ed è agevole dimostrarlo, come (x~,y~) satellite continuerà a ruotare attorno ad un pianeta o si allontanerà indefini­sia il punto singolare richiesto, tamente.

Questo teorema può anche essere interpretato come un test per l'esistenza Naturalmente vi sono molte altre possibilità di comportamento per unao meno di t raiettorie chiuse. In effetti se in una data regione non vi sono soluzione che corrispondono a molteplici definizioni di s tabilità: stabilitàpunti singolari, in questa non possono esservi traiettorie chiuse, altrimenti si senz'altro, stabilità asintotica, stabilità uniforme, ecc. Si preciseranno in ter­contraddirebbe al teorema dimostrato. mini matematici solamente le due definizioni di stabilità e di stabilità asin­

Un altro risultato in questo senso è dato dal totica.

Differenziale y8z p8g DISerenziale

DEFINIzIQNE. Una soluzione(x (t), y (t)) del sistema di equazioni differenziali dy l— = f,(t,y,+x,(t),y,+x,(t)) — f,(t, x,(t), x,(t))(che supponiamo in forma generale, poiché per questa definizione non interviene

il fatto che sia autonomo)dx

dy=— = f~(t, yi+xi(t), y~+xe(t)) — f,(t, x,(t), x,(t)) ;

d= f( y t)

e infinedy— = f~{x, y, t) dydt dt

=g ( ty y )

definita i (to, +~) è detta stabile se per ogni s)o esiste un 8)o ta le che ogni dy~soluzione (x(t), y(t)) che, definita per t = to, soddisfa alla diseguaglianza = l '(t y y )

( (4) — (4))'+{y(4) — y(to))'<8 con gi (t, o, o) =g~ (t, o, o) = o.Con questa semplificazione, si illustra un importante risultato ottenuto da

è definita per t) to e soddisfa ulteriormente per ogni t) to la diseguaglianza Ljapunov.

(x(t) — x(t))'+(y (t) — y (t))'~ s. Questo risultato si fonda sulla osservazione intuitiva che se l'energia totaledi un sistema fisico ha un minimo locale in un certo determinato punto di

La definizione di stabilità asintotica è invece la seguente: equilibrio, allora la configurazione di equilibrio è stabile. Si consideri dunqueil sistema

DEFINIzloNE. La soluzione (x(t), y(t)) è detta asintoticamente stabile se è sta­ xlbile, e se, per ogni soluzione (x(t), y(t)) che soddisfa alla limitazione contenuta — = f,(x„x,)nella definizione di stabilità, vale ulteriormente

dx,— = f, (x„x,)dt

In genere, per studiare la stabilità di una soluzione, si effettua una notevole (la dimostrazione si ripeterebbe inalterata per n-variabili e nell'esempio suc­semplificazione, di natura analoga a quando, studiando un punto singolare cessivo si applicherà il teorema nel caso generale; la dimostrazione nel caso didi una funzione, si trasporta questo punto nell'origine; nel caso in esame, si due variabili tuttavia è completamente esplicativa), e sia (o, o) un punto criticopuò supporre di esaminare la soluzione identicamente nulla (ossia un punto isolato. Sia F = (xi(t), xz{t)) una traiettoria del sistema in una regione conte­critico in (o, o)). Si consideri il sistema nente (o, o) e sia E(xi, x~) una funzione continua con derivate continue in ta­

le regione. Lungo F si ha:dx,— = f,(t, x„x,)dt dE òE òx, òE dx , òE òE

dt ò x , dt òx, dt òx, ' ò x , 'dx,— = f~(t> x,) x~)dt Supponendo ora che E(o, o) = o, si dirà che E è definita positiva se E (x„x~) ) o

p er (x„ x , ) p (o, o); si d irà che è semidefinita positiva se E(x„ xs )) o p e r(ove si sono indicate le variabili con x„xs per suggerire che la considerazio­ (x„x~) /o. Si dirà poi che E è una funzione di Ljapunov se è definita positivane si può estendere ad un numero qualsiasi di variabili xi , x~, ..., x„ ). Sia e se(x,(t), xz(t)) una soluzione. Posti yi xi xi (t) e yg =xg — xz(t), òE òE

— f i + — fadyi dxi dx i (t) òx, òx, '

= f, (t> x,) x,) — fi (t> x, (t)> xz(t))dt dt dt è semidefinita negativa. Questa richiesta equivale a dE/dt(o e dunque E èdy, dx, dx, (t) non-crescente lungo F. Fissando l'attenzione su un intorno dell'origine, ove

= f,(t>xi,xa) — fa(> i ( ) 2 ( ) )dt dt dt s'immagina tracciata F, si chiede in sostanza che E (che generalizza l'energia

totale) abbia un minimo. È ora possibile enunciare il seguente teorema:e quindi

Differenziale 78 785 Differenziale

TEQREMA. Se esiste una funzione di Lj apunov E(x„x , ) per il sistema attratta da una grande massa M (il Sole) e si supponga che M eserciti una forza

dxtf diretta da m verso M (moto centrale). Anche l'accelerazione sarà allora diretta

— = f (x,x ) nello stesso modo. Se P è la posizione occupata da m, si ha dunque, indicandocon v e a r ispettivamente la velocità e l'accelerazione,

dx,— = fs(xt x.) (P — O) p,a= odt cioè

allora il punto critico (o, o) è stabile. Se inoltre la funzione E (xr, xs) ha la pro­ d— [(P — O) R v] = oprietà ulteriore che la funzione dt

òE òE il che implica— f t + — fsdx, dx , ' (P — O) nv= c

sia definita negativa, allora il punto critico è asintoticamente stabile. (c costante). Il moto avviene dunque in un piano passante per O e perpendi­colare al vettore c, in altre parole si tratta di un moto piano. Sarà dunque con­

Dimostrazione: Ci si l imita alla prima parte dell'enunciato. Sia U un in­ veniente particolarizzare in tal senso la scelta del riferimento. Ancora pertorno chiuso di (o, o) ove E sia definita. Poiché E è continua e positiva, avrà semplificare i calcoli si utilizzerà il sistema di coordinate polari.un valore minimo m in U . Poiché E(o, o) = o ed E è continua, è possibile Con riferimento alla figura 5 si ha r = r u „ do v e u, è i l vettore unitariotrovare un intorno U' ove sia E (x„xa)(m. Sia ora (xt(t), xs(t)) una traiettoria diretto nella direzione di r. E poicon (xt(tp) xa(tp))E U Al lora E(x(tp),y(tp))(m e Poiché E è definita negativasi ha dE/dt(o ed allora E(t)(E ( tp). Ne segue che la traiettoria (x] (t) xa(t)) u„ = i cos&+j sin8non può lasciare l'intorno U' . us = ­ i sin&+j cos&

Da questo teorema si possono trarre importanti conseguenze, ad esempio e quindiper le equazioni di movimento di Hamilton () 3.3). Si enuncia il risultato nel du„ dupcaso di un massimo anziché di un minimo. Considerando un sistema olonomo — = up — = ­ ud& d&conservativo ove q; siano le coordinate generalizzate e p; i momenti, se T indical'energia cinetica (che è una forma quadratica definita e positiva nelle p; ) e Si ha allora, per la velocità e per l'accelerazione,U = U(q„qs, ..., q„) indica l'energia potenziale, si hanno le equazioni di mo­vimento dr d& dr

v = — = r — u@+ — udq; òH dt dt dt

H(q p) = T — Ud t ò p ;

dp; òHdt ò q;

Assumendo che in q, = q, = ... = q„= o vi sia una posizione di equilibrio e cheU abbia un massimo, allora U è definita negativa e H è definita positiva. Siponga E = H. Poiché H non dipende da t, si ha dH /dt = o. Se ne conclude chese nella posizione di equilibrio l'energia potenziale ha un massimo, l'equilibrioè stabile.

O

I.7. I l moto kepleriano.

In questo paragrafo si accennerà a come sia possibile dedurre le leggi diKeplero a partire dalla legge di attrazione di Newton. Schematizzando il pro­ Figura 4.

blema, si consideri (fig. 4) una piccola particella di massa m (un pianeta) Una particella di massa m (un pianeta) è attratta da una grande massa M (il Sole).

Differenziale 786 787 Differenziale

cioè la seconda legge di Keplero: i l raggio vettore r descrive aree uguali intempi uguali.

Si osserverà come questa legge sia in realtà solamente una legge del motocentrale, poiché si è supposto semplicemente fs = o. Si supponga ora che, inaccordo con la legge gravitazionale di Newton, sia

f„ = ­ GFigura g.

Il moto kepleriano è descritto agevolmente in coordinate polari. Dalla seconda equazione si ha allora (ponendo GMm = k)

Scrivendo la forza f agente su m nella forma f= f„u, ( fq = o perché f è centrale),si deduce dalla seconda legge di Newton: Si ponga ora al posto di r la variabile z = r /r e si usi & invece di t come variabile

indipendente. Si ha allorad z k— + z = — .ha'

d r d&La soluzione generale di questa equazione è data da

kAllora z = A sin&+B cos &+- h2

dr der — +2 ­ — = O.

dt' dt dt e, prendendo il riferimento in modo che per & =o sia

Moltiplicando per r si ha dz daz— = O — ( Od'& dr d& d& d&'rs +2r — • — = o,drs dt dt si ha A = o, B) o. Posto nuovamente r= r/z si ottiene

cioè h2

k

Il che significa r + cos&

,d&rs — = h (costante). ossia, ponendo e= Bh'/k,dk h'

Si consideri ora l'area A =A (t) descritta dal raggio vettore r. Si ha kr =

r+ecos&'dA = r '­,d&

2 e si ha dunque l'equazione di una ellisse, cioè la prima legge di Keplero:

e quindi si ottienel'orbita di un pianeta è una ellisse della quale il Sole occupa uno dei fuochi.

d& r La terza legge di Keplero viene dedotta agevolmente dalle prime due : i qua­dA = — rs — dt = - h dt . drati dei periodi di rivoluzione sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori.

2 d t 2 La grande semplicità con la quale all'interno della meccanica newtoniana

Da questa relazione infine si conclude si deducono le leggi di Keplero, ricavate da questi sperimentalmente con pa­zienti e laboriosissimi calcoli, convincerà certamente il lettore della grande « for­

A (t,) — A (t,)= ­ h (t, — t,) za persuasiva» con la quale essa s'impose ai contemporanei.Tuttavia, ancora cento anni dopo Hegel rimprovererà al «barbaro» Newton

Differenziale p88 789 Differenziale

l'uso del concetto di forza come esplicativo di alcunché. Ecco due passi assai si ha xz ­— k(l/n). Se si indica con u< lo spostamento della k-esima massa, l'equa­significativi. Nella lettera a Goethe del z4 febbraio i8zr, si trova: «Vedo invece zione ottenuta da Giovanni Bernoulli era

Newton, e dopo di lui tutt i i fi sici, afferrare qualsiasi fenomeno complesso e d 'uq / n a ) »perdersi completamente in esso, e cosi imbrigliare il cavallo per la coda, percosi dire. È accaduto a tal proposito che essi presentassero delle circostanze

d' ( l / ( ' ~+~-'»del tutto indifferenti allo stato primitivo della cosa... come se fossero le condi­ dove si pone aa= lT/M, indicando con T la tensione che è supposta costante,zioni della cosa stessa — e ammassarvi, costringervi e introdurvi dentro tutto e M la massa totale.ciò che si trova davanti e dietro» [ i835, trad. it. p. zoi]. D'Alembert, successivamente, si pose il problema della corda «continua».

Ancora, nell'Enciclopedia [r8goj : «L'idea di raggi luminosi discreti e sem­ Una maniera naturale era quella di concepire la corda come formata da infinitiplici, o di particelle e fasci di essi, dei quali deve consistere una luce limitata pezzi, sostituendo u> con u (t, x) e l/n con h,x. In tale ipotesi l'equazione dinella sua espansione, fa parte di quelle barbariche categorie, che Newton in Bernoulli si r iscrive:ispecie ha rese dominanti nella fisica» (trad. it. I , p. z45).

Questa polemica tra Hegel e Newton viene spesso considerata con molta a'~ ,[u(t, x+mx) — zu(t, x)+u(t, x — Ax)sufficienza, soprattutto da parte degli scienziati, i quali, immersi nella viva òt' (h,x)'dialettica della scienza, sono spesso su posizioni filosofiche assai ingenue eprofondamente antidialettiche. Ma a che cosa si contrappone in realtà Hegel>

Facendo tendere Ax a o, si ottiene l'equazione:

Piu che contro Newton, la critica hegeliana è rivolta contro gli sviluppi successividella filosofia newtoniana, in altre parole contro il meccanicismo e il suo portatoestremo, il determinismo. In esso Hegel non poteva non vedere che un'atroceparodia dello Spirito che liberamente si autodetermina. ove ora a' = T /cr, o essendo la massa per unità di lunghezza. Supponendo la

Sarebbe assai interessante seguire per tutto l' Ottocento e fino ai nostri corda fissata agli estremi, si hanno le condizioni ulteriori u (t, o) = o e u(o, l) = o.giorni lo sviluppo ed il progressivo decadere delle posizioni deterministiche, Se si suppone poi che al tempo t = o la corda abbia una configurazione assegnatama andremmo assai al di là dello scopo di questo articolo. Ci si limita semplice­ da una certa funzione f(x), si ha la condizione ulteriore u(o, x ) = f(x). Ancora,mente a ricordare l'evoluzione di pensiero che si è avuta intorno al problema si può assumere la condizione che ogni particella abbia all'istante t = o velocitàdegli n corpi. nulla, e dunque

Dopo la risoluzione del problema dei due e dei tre corpi, le difficoltà in­sormontabili relative al problema dei quattro corpi hanno cominciato adingenerare l'idea della necessità di un approccio diverso, ad esempio di tipostatistico. Ma questo approccio genera come conseguenza il vanificarsi delle La soluzione della (i ) fu trovata da d'Alembert in maniera molto abile,posizioni deterministiche. Che importa dove sta il singolo corpo ad un dato osservando che la soluzione generale di un'equazione del tipo ( i ) è della formaistante> Ben altri parametri occorrono per descrivere il movimento globale! u(t, x) =y (at+x)+ $ (x — at). Questa osservazione è suggerita dal fatto cheNon si può non riconoscere un notevole valore nella polemica citata alla posi­ una funzione del tipo cp(at+x) prende nel punto x all'istante t il valore che es­zione hegeliana. sa prende nel punto x+at al l ' istante o. Se s'immagina che tp(at+x) rappre­

senti in ogni istante la forma globale della corda, essa è ottenuta da p (x) conla traslazione — at. In altre parole tp(x+at) rappresenta un'onda che si propa­

Equazioni alle derivate parziali.

z.i. Esempi, definizioni.

Si veda come primo esempio quello dell'equazione delle corde vibranti.Questo problema era stato considerato da Giovanni Bernoulli i l quale avevatrattato una corda vibrante come formata da n oggetti puntiformi pesanti,ugualmente distanti, congiunti da tratti di corda perfettamente elastici senza O

peso. In tale ipotesi, se s'immagina una corda di lunghezza I, disposta sull'asse Figura 6.

delle ascisse, come nella figura 6, e si indica con x> l'ascissa della k-esima massa, La corda vibrante.

a6

Differenziale 79o 79 I Differenziale

ga verso sinistra con velocità a. In modo analogo s'interpreta $(x — at) co­ La soluzione di questo problema fu data da d'Alembert anche con un altrome un'onda che si propaga verso destra. Pensare ad una soluzione del tipo metodo, quello della separazione delle variabili. Questo metodo, come si è

qi (x+at)+$(x — at) equivale quindi a pensare ad una soluzione come due già avuto occasione di vedere trattando delle equazioni differenziali ordinarie,onde che si propagano in direzioni opposte, il che è abbastanza plausibile dal diverrà una tecnica fondamentale per la risoluzione delle equazioni alle derivate

punto di v ista fisico. Posti ora x + a t = X, x — at = Y, cioè x = (X+ Y)/z, parziali. Da esso verranno dedotte molte equazioni differenziali ordinarie dit= l /a[(X — Y)/zj si ha: grande importanza, come quelle di Legendre, di Jacobi e altre. I l metodo

consiste in questo: si cerca una soluzione u che sia della formaà à2 à2 à2 à2

òx òX àY ' àx' àX' ò X òY à Y' u(x, t) = f(x) g(t)

Sostituendo nell'equazione differenziale, si ottiene :

òt="

(òx òY]' " " à t 2 ='(òX 2 ' òx ò Y + ò Y 2J f"(x) I g" ( t )

Allora si ha: f(x) a' g(t)à2

4a' àt' àx' òX àY' Questa equazione è soddisfatta nel modo piu generale se si pone

f"(x) I é "(t)e l'equazione assume la forma semplicissimaf(x) a' g(t)

ò'ucioèòX àY'

f"(x)+~'f(x) = o g"(t ) + ~ ' a 'g ( t)= o

Questa equazione si risolve immediatamente, òu/òX=q (X), e quindi u =

= q>(X) + g ( Y). Sostituendo si ha infine u = q>(x+ at) + $ (x — at). La condi­ Le soluzioni generali di queste equazioni differenziali sono:

zione u (t, o) = o dà f(x) = A cos mx+B sin uixo = q)(at) + $ ( — at),

g(t) = C cos ant+D sin aut.cioè, posto t ' = at, p( t ' ) = — $( — t') e quindi Imponendo al prodotto f(x) g(t) le condizioni al contorno si ottiene A = o,

u = qi(at+x) — qi (at — x). A cos u l+ B sin ml = o ; e cioè, se non si vuole u identicamente nulla, sin uil = o,cioè ni = nrr. Allora ui deve essere della forma nlr /l.Poi, osservando che anche u (t, l) = o, si ha Per ogni numero intero n si ha dunque la soluzione

<p (at+ l) — rp (at — l)= o,nn anse anlr

cioè u = sin — x A c o s t +B sin tR l 'Rl R

. qi(at+l) =q (at — l)

e dunque qi è periodica in at+x, di periodo zl. Dalla condizione la quale, ponendo A„ = ) „cos y» B „ = ­ X„sin y» può scriversi nella forma

àu= o

à t l= O

u =7, sin — x cos(a — tp~ l.

si ha ancora Se ora si forma la serie

q" (x)= q'' ( — x) nrr / nrr

e cioè ip (x)= — qi( — x). Allora u(o, x) =qi (x) — qi ( — x)=qi (x)+q(x)= zqi(x).s=ps = /k sic — s ccs s — yy S)l 1

Essendo u (o, x) = f(x) si ha z>p(x)= f(x). Finalmente questa, data la linearità dell'equazione (purché questa serie sia convergente),I I darà ancora una soluzione. Tenendo conto delle ulteriori condizioni iniziali si

u(t, x) =­ f(at+x) — — f( — at+x).2 2 r icavano 7„, y„e qu indi Ai» B„. Precisamente si trova che B„ =o e che gli

Differenziale 79z 793 Dtfferenzrale

A„ ( in termini moderni) sono i coefficienti dello sviluppo in serie di Fourier ove k è la costante di Newton. La forza esercitata dal corpo ha allora le com­di f(x). Piu in generale, se si fosse assunto come condizione iniziale ponenti :

òu(t, x) =g (x) fx = ­ k p dk dy dzòt t= a

anche i B„sarebbero risultati i coefFicienti di Fourier dello sviluppo di g(x). f i = ­ k p dx dy dxUn altro esempio molto importante è quello costituito dall'equazione di

Laplace.Come si è già avuto occasione di accennare, uno dei maggiori problemi del fz = ­ k p , dx dy da.

secolo xvxir è la determinazione dell'attrazione gravitazionale che una massaesercita su un'altra (Sole, pianeti). Quando si considerano due corpi molto Ora, invece di trattare separatamentefz, f~, fz, si può introdurre la funzionedistanti, questo problema può essere schematizzato pensando a due corpipuntiformi. Se però quest'ipotesi non è piu plausibile, come nel caso dellaTerra e di un corpo nell'atmosfera terrestre, occorre tenere in considerazione

U(X, Y; Z) = — dx dy dzr

anche la forma dei corpi.Si consideri il caso semplice di un corpo esteso T che eserciti una certa e da questa si riottengono f~, fi, fz con

determinata attrazione su una particella, che si suppone puntiforme, M (fig. 7). òv r òv i òVSe s'immagina che l'attrazione gravitazionale che si esercita su M sia la somma òx k f x òy

= j f i yz kfz.delle attrazioni che esercita ogni particella di T possiamo scrivere in forza dellalegge di Newton, con i simboli usati nella figura, le componenti della forza che La funzione V cosi introdotta viene detta potenziale. Il vantaggio di lavo­la particella di volume dx dy dx esercita su M: rare con questa funzione — a parte il significato fisico molto importante che si

riesce a collegarle — è che in tal modo si utilizza una sola funzione, anziché tre.X — x

f~ = ­ kp , dxdyd> Nota U, si calcolano poi le componenti della forza calcolando le derivate,Il fatto principale riguardo alla funzione U (poiché il calcolo diretto di essa

Y — y non è molto agevole) è che essa verifica l'equazione alle derivate parzialif~ = ­ kp d h dy d z

r2 ò' V ò'U ò'Uò X' ò I " 2 òZ '

Z — afz = kp d xdy da ' il che ha spinto a uno studio sistematico di quest'equazione. Laplace in par­

ticolare diede importanti contributi al suo studio, ed essa è nota oggi, in effetti,come equazione di Laplace.

Come si è visto, si giunge a quest'equazione considerando la funzione U!

le 'dcui derivate forniscono le componenti della forza richiesta. Que t'd d'u es iea, ifar disar iscendere le componenti di una forza da una funzione potenziale, era giàstata utilizzata in altri settori della matematica da Daniele Bernoulli e da Eulero.

M= (X, Y,Z) Se si considera un fluido in movimento e u, v, to indicano le componentidella velocità di una particella in un punto, Eulero aveva mostrato come sidovesse ritenere la quantità dU=u dx +v dy+to dx un di fferenziale esatto.L'ipotesi che durante il movimento non si crei e non si distrugga materia siesprime con l'equazione differenziale

ò u òv ò t o— + — + — =oòh òy

Figura 7.

Rappresentazione dell'azione di ogni particella di T su M. e tenendo conto del fatto che dev' essere

Differenziale 794 795 Differenziale

òv òv òv nel tempo e se ne indichi con f(x, y, z) la densità. Se ancora si indica conu= ­ v = ­ 'W =­òy òz T(x, y, z) la temperatura nel generico punto (x, y, z) si ha l'equazione

ò'T ò ' T ò' Tsi ottiene ancora l'equazione differenziale alle derivate parziali à,,+à , + à , , - f ( x y z).

ò'U ò ' U ò' U— + — + — = o .àx» òy « òzs

chiaro come per determinare una soluzione si debbano ancora assegnarecerte condizioni iniziali. Indicando con S la superficie del corpo considerato,

L'equazione del calore fu ottenuta da Fourier considerando il problema una prima richiesta molto naturale può essere

di determinare la temperatura T in un corpo omogeneo ed isotropo come una (r) T(x,y, z) =a (x,y, z) pe r ( x ,y, z)eS,funzione T (x, y, z, t). Sulla base di principi fisici, egli pervenne all'equazionealle derivate parziali cioè di assegnare la temperatura sulla superficie esterna. Un'altra richiesta

ò'T ò' T à»T òT altrettanto naturale può però essere quella di assegnare il flusso di calore+ + ­ = k'­ attraverso S; cioè, se si indica con v il vettore normale ad S di chiedere che

àx« àys àz» òtàT(x,y, z)

Trattando successivamente il problema in un caso particolare, cioè prenden­ (z) — b (x, y, z) p e r ( x, y, z) c S.

do in considerazione una sbarra rettilinea di lunghezza l isolata, Fourier con­sidero l'equazione Le richieste (r) e (z) costituiscono appunto i problemi di Dirichlet e di Neu­

mann.— = k ' ­ò'T , òT

Dall equazione di Poisson, come caso particolare, per f(x,y, z) =o, s i11>

òx' riottiene l'equazione di Laplace:

con le condizioni in iziali T( o , t) = o, T(o, l) =o per t ) o , u ni t amente a ò'T ò ' T ò' TT(x, o) = f(x) per o(x < l . Ut i l izzando ancora il metodo di separazione delle — + — + — = o .variabili, cioè ricercando una soluzione della forma T(x, t) =u (x) v(t), si arriva

àx» òy» òz»

alle equazioni differenziali È ancora molto importante il caso di un'equazione di due variabili u (x, y)u" (x)+Xk'u(x) = o che verifichi l'equazione di Laplace, cioè

v'(t)+) v(t) = o. ò 'u ò ' u— + — = o .

Le soluzioni generali si ottengono con un t ipo d' indagine analogo a quelloòx» òy'

svolto per l'equazione delle corde vibranti e quindi non si proseguono qui i Se infatti f(z) = f(x+iy) =u (x,y)+i v (x ,y) è una funzione analitica, u e vcalcoli. Va citato tuttavia un fatto molto importante. Tenendo conto della sono soluzioni dell'equazione di Laplace. In questo caso si dice che u e v sonocondizione iniziale T (x, o) = f (x), Fourier si trovò a considerare un'uguaglianza funzioni armoniche.del tipo Come ultimo esempio, si citano le equazioni di Navier-Stokes, che regolano

g a„sin nx = f(x) il movimento piano di un flu ido viscoso non comprimibile non ttn =l orze. Indicando con u (x, y, t), v(x, y, t) le componenti orizzontale e verticale

la quale lo spinse ad affrontare il problema generale (già postosi in effetti perdella velocità, con p (x,y, t) e p(x,y, t) la pressione e la densità, è possibiletrovare una costante p. in modo tale che si abbia

il caso dell'equazione della corda vibrante) della possibilità di esprimere unafunzione qualsiasi mediante una serie di funzioni trigonometriche, cioè, come Puc+ Puu~+ pvu, +p~ = 1l, (u„+u„„)si dice oggi, «in serie di Fourier». pv t+ p«.+ pvv„+p„ = p.(v,.+ v„„)

Un problema molto simile di diffusione termica conduce all'equazione di u +v„ = o.Poisson. Questo esempio è molto importante, poiché per esso si presenta conmolta chiarezza la significatività di due tipi di r ichieste iniziali, note rispetti­ In generale queste equazioni sono di difficile integrazione. Esse si possono

vamente come problema di Dirichlet e problema di Neumann. semplificare notevolmente se si assume che il fluido sia in moto «lento». InSi supponga assegnato un corpo nel quale vi siano sorgenti di calore costanti tal caso si ha infatti che il termine p (uu„+vu„) nella prima equazione e il ter­

DifFerenziale 796 797 Differenziale

mine p (uv~+ vv„) della seconda equazione possono essere trascurati e si ha cosi si puo pensare che l equazione ò'u /òxi = o sia ottenuta come caso limite quandoil sistema si fa divenire f =o. È quindi naturale pensare che le soluzioni delle due equa­

pui+px = p ( $$+uwu) zioni ebbano essere nello stesso numero. Questo ragionamento, per nulla ri­

pvi+py = V (vxx+vvv) goroso, ovrebbe tuttavia essere d'aiuto per capire il fenomeno generale.

u +v„ = oCome si è avuto occasione di osservare negli esempi preliminari dell'equa­

zione della corda vibrante, dell'equazione di Laplace, di quella del calore e di

il quale può essere trattato assai piu agevolmente.quella di Poisson, un'equazione differenziale non si presenta in forma astratta

Gli esempi dati dovrebbero ora avere rese completamente chiare le defini­come «data l'equazione... trovare l'integrale generale». Piuttosto l'equazione

zioni che seguono.— che, come si è visto, si può formulare in rapporto ad un problema fisico­è accompagnata da certi dati, le cosiddette «condizioni al contorno», che si

DEFINIzIQNE. Si dice equazione alle derivate parziali di ordine n un'espressione pongono in maniera naturale accanto all'equazione stessa. Questi dati costi­del tipo tuiscono una parte essenziale del problema. Ad esempio, la dipendenza con­

òu òu ò2u à"u 3 tinua e differenziabile della soluzione dai dati — che è un'ovvia necessità se simi x ò >' " >ò xò 2>" > òXi X X i X

vuole dare un'interpretazione fisica della soluzione — non vale, in generale,per le equazioni alle derivate parziali. Questo può essere illustrato con il seguenteesempio di Hadamard.

Per soluzione di quest'equazione s'intende una funzione u (x„x 2, ..., xm) che, so­stituita nell'espressione insieme alle sue derivate parziali, la renda identicamente

Si consideri l'equazione di Laplace (in due variabili)

soddisfatta. ò»u òeu— + — =o

Se ad esempio si considera l'equazione ò 2u/òx2= o, si ricava da questa òx2 ày2

uguaglianza òu/àx= f(y), e quindi u(x,y)=x f(y)+g(y). La soluzione cosi con le condizioni iniziahtrovata è la piu generale soluzione dell'equazione alle derivate parziali, nelsenso che ogni soluzione dell'equazione può essere espressa in questa forma.

òu( sin nxòy ' n

In generale, per un'equazione alle derivate parziali arbitraria — come del restoaccade per un'equazione differenziale ordinaria — non è possibile dare una for­ Questa equazione ha l unica soluzione anahtica

mula che esprima tutti gl' integrali dell'equazione. Però ancora si può defini­I

re l'integrale generale come una formula che esprima con sufficiente grado di u(x, t) = ­ Sh(ny) sin nx.generalità le soluzioni dell'equazione. Si può cosi dare la definizione:

n2

DEFINIzIoNE. Si dice integrale generale di un'equazione alle derivate parzialiQuando n~~ il v io re in iziale per y=o tende a zero uniformemente e la

una formula che, con eventualmente qualche eccezione, esprima la totalità deglisola soluzione del sistema

integrali dell'equazione data. ò 'u ò ' u— + — =o

Dal semplice esempio illustrato, si osserva come l'equazione ò'u/òx2= o,che è del secondo ordine, abbia una soluzione che dipende da due funzioni òuarbitrarie. Questa circostanza è del tutto generale, poiché vale la proprietà: u(x, o) = ­ (x, o) = o

àyl'integrale generale di un'equazione di ordine n dipende da n funzioni arbitrarie.Di questo fatto si può dare un'illustrazione di natura qualitativa. È chiaro come è u(x,y) = o. D'altro lato la soluzione u (x,y) non tende a zero per n ~~ .per l'equazione ò"u/òxi=o la soluzione dipenda in effetti da n funzioni. Se Questo esempio suggerisce che i dati iniziali assunti per l'equazione

ora si considera un'equazione alle derivate parziali che sia ponibile in forma ò 'u ò ' unormale e cioè risolvibile rispetto ad una delle derivate di ordine massimo, — + — =oad esempio xi (la quale ipotesi non è molto restrittiva), e si considera l'equazione àx' ày '

nella forma non sono ben scelti. Si motiva cosi la nozione di problema ben posto (nozione= f x i r " r x m» " '

ancora dovuta a Hadamard).possibile considerare in astratto il problema della ricerca della soluzione

Differenziale 79g 799 Differenziale

nel modo seguente: Sia dato un certo spazio funzionale (cioè uno spazio che u;(x„ . .., x~) che soddisfa al sistema, alle condizioni iniziali, ed è analitica in unha per elementi funzioni ) V. In esso si assegnino certi dati, cioè certe funzioni intorno di x , = a i , X,=a s ,..., x~ i= a~ 1, X~ = o .

f„ f „ . . . , f„. Si cerchi ora una soluzione u appartenente ad uno spazio fun­zionale 8'.

Non si esporra la dimostrazione di questo teorema ; si può osservare tuttavia

Il problema è ben posto quando i) fissati comunque i dati f„ . . . , f„, esistecome essa possa effettuarsi con il metodo della funzione maggiorante, come

una ed una sola soluzione u; e z) la soluzione è stabile, ossia dipende con con­ nel caso delle equazioni differenziali ordinarie.

tinuità dai dati.Ma anche per quanto riguarda l'esistenza delle soluzioni si ha un compor­ z.z. Equazioni del secondo ordine. Classificazione.

tamento diverso per le equazioni alle derivate parziali rispetto alle equazio­ni differenziali ordinarie. L'esistenza di soluzioni e l 'unicità valgono infatti

È stato mostrato nelle pagine precedenti come l'esistenza e il buon com­

in condizioni determinate. Per ottenere buoni teoremi occorre eseguire unaportamento delle soluzioni di un'equazione alle derivate parziali siano legati,

classificazione delle equazioni alle derivate parziali (cfr. $ z.z), cioè, in sostanza,in maniera essenziale, alla forma specifica dell'equazione stessa. Ne consegue

occorre tenere in maggior conto la specificità dell'equazione che si considera.che una trattazione sistematica delle equazioni alle derivate parziali deve ne­

Si ha però un risultato di carattere generale molto importante, il teorema dicessariamente compiersi attraverso classificazioni delle equazioni stesse in tipi

Cauchy-Kowalesky, il quale può essere formulato per un sistema di equazioniomogenei, tenendo anche conto dei dati iniziali come parte essenziale per questaclassificazione.

del primo ordine in forma normale, ove si assumono come incognite certefunzioni u; (x i , , x„). I dat i in iziali, in questo caso, vengono assunti nella

Poiche le equazioni alle derivate parziali che maggiormente intervengono

forma nota come «problema di Cauchy», anzi vengono formulati come unnelle applicazioni sono equazioni del secondo ordine, soprattutto se lineari o

problema di Cauchy particolare.semilineari, ci si l imiterà a trattare questo caso. Si può osservare, del resto,

Il problema di Cauchy è una generalizzazione naturale del problema deiche tutti gli esempi considerati in precedenza rientrano in questa trattazione.

dati iniziali per i sistemi di equazioni differenziali ordinarie o equivalentementeUn'equazione alle derivate parziali viene detta semilineare quando in essa

per una equazione differenziale ordinaria di ordine n. Se è data un'equazionele derivate di ordine massimo compaiono linearmente, ossia, nel caso dell'equa­

differenziale di ordine n, per determinare una soluzione y(x) occorre assegnare,zione del secondo ordine,

in un punto X«, il valore y (X«) ed i valori delle prime n — r derivate y'( X«), ..., ò'uy" '(xo)­

Se si considera un'equazione alle derivate parziali di ordine n, in due va­riabili x, y, verrà naturale chiedere che la funzione incognita z(x,y), che si

L'L equazione è invece lineare se tutte le derivate compaiono linearmente, ossia

può interpretare come una superficie dello spazio x, y, z, e le sue derivate fino se è della forma

all'ordine n — i abbiano assegnati valori lungo una linea F dello spazio. Se siconsidera invece un'equazione in m variabili x„. . . , x, s i t ratterà di assegnare ) ~7 (x , . ..,x„) +/Bs(xi,...,x„ ) +c(x,...,x)u+i valori lungo una superficie ad m — i dimensioni. Nel caso trattato dal teoremasuccessivo, il quale si riferisce ad un sistema di equazioni del primo ordine in +f(x i " x ) = oforma normale (è sempre possibile trasformare un'equazione in forma norma­le di ordine qualsiasi in un tale sistema), si considereranno assegnati i valori

Per semplificare, si utilizzerà la scrittura (i) anche quando l'equazione è linea­re, in tal caso la

sulla particolare ipersuperficie data dall'iperpiano x = o.òu òu

TEoREMA (Cauchy-Kowalesky). Si considen il sistema in forma normale f x„ x „ ... , x„, —, . . ., —, u"'òx,' ' ' òx„'

ò u,- j òui— '= f; Xi» . " X ~ > ul> " >=va pensata in modo che l 'equazione abbia complessivamente la forma (z).

xi È chiaro come una parte essenziale, per quanto riguarda un'equazione allederivate parziali dei tipi considerati, sia da attribuirsi ai coefficient' A " (

e si consideri il problema di Cauchy che consiste nell'assegnare sull'iperpianoi 17(xi, XS>..., x„) delle derivate seconde.

x,„ = o le condizioni u; (xi x„ . . . , x „o ) = cp;(x„..., x~, ) e si supponga ancora Un suggerimento per semplificare lo studio dell'equazione alle derivateche lefunzioni f; siano analitiche in un intorno del punto xi = ai, ..., x i = a parziali proviene dalla geometria. Se infatti si considera il cambiamento dix,„ = o, che lefunzioni <p; siano analitiche in un intorno del punto xi = ai, ...,

x „, , = a,„, . A l l ora esiste una ed una sola n-upla di funzioni analitiche coordinate dato da Xe =gai;X; l'equazione si riduce alla formal

Differenziale 8oo 8oi Differenziale

In questo caso la possibilità di ridurre l'equazione a forma canonica è legataal comportamento delle «caratteristiche», cioè dei due sistemi di curve definitidall'equazione differenziale

In altre parole, i coefficienti delle derivate seconde si comportano come quellidella forma quadratica: gA;;x«x;. Una tecnica fondamentale per lo studio del­

A (dy)'+ zB dx dy+ C (dx)' = o

le forme quadratiche consiste nel determinare il cambiamento di coordinate inossia

modo che la forma quadratica sia ridotta a forma canonica, ossia alla forma dy B + ~ B ' A C­m dxg +X' m<n

l Si hanno le seguenti possibihta

ove il numero dei termini con segno positivo e negativo è determinato dalla i ) B' — AC(o: l' equazione viene detta ellittica.«legge d'inerzia delle forme quadratiche». Se dunque si considera un punto z) B2 — AC) o: l'equazione viene detta iperbolica.(xi, x2, ..., x„), è possibile individuare una sostituzione di variabili 3) B — AC = o : l'equazione viene detta parabolica.

n 4) B 2 — AC non è di segno costante; in tal caso l'equazione viene detta diX» =g a„x i tipo misto.

i= l

in modo che l'equazione assuma la forma Si esamini ad esempio il caso z ). Se le equazioni delle linee caratteristiche

òudei due sistemi sono date nella forma <p(x, y) = cost e f(x, y) = cost, e si pone

gA;,(X» ..., X„) +... X = cp(x, y) e Y = $(x, y), sostituendo nell'equazione si ha ora, poiché le lineei 1' i j caratteristiche sono date da X= cost, Y = c ost, che questa deve ridursi alla

formaove si ha

òu òuq

e, nel punto (x» "> xn)O ppure, ponendo X= X ' +Y' e Y = X ' — Y', alla forma

A®(x» ..., x„') = +i

La forma cosi ottenuta per l'equazione alle derivate parziali viene detta formacanonica nel punto (xi, ..., x„ ). Naturalmente questa riduzione a forma cano­

Entrambe queste forme vengono intese come forme canoniche dell'equazione

nica sarebbe ancora piu utile e significativa qualora si potesse garantire chedi tipo iperbolico. Nel caso ellittico, con analogo procedimento si ottiene laforma canonica

essa vale non solamente in (xi, ..., x„ ) ma in tutto un intorno di questo punto.Ma questo è, in generale, impossibile se il numero delle variabili è maggioredi due. » ' ò Y ' ( ' ' " 'òX'òY )

= '

Anzi, non solo questa riduzione è impossibile con una trasformazione lineare, mentre nel caso parabolico infine:ma si può mostrare come, scelta una regione arbitrariamente piccola, non siapossibile, e con qualsiasi trasformazione, ridurre ivi l 'equazione a forma ca­nonica. Questo mostra come vi sia una notevole diversità di complessità quan­ òX' " ( '. ' ' òX ' òY/do il numero delle variabili supera due. Per una trattazione sufficientementesemplice, quindi, si farà riferimento a questo caso, ossia all'equazione

Esaminando ora gli esempi trattati in precedenza (pensati quando sia neces­sario nel numero di due variabili ), si osserva come l'equazione della corda

ò»u ò2u ( òu òui vibrante sia di tipo iperbolico, l'equazione del calore di tipo parabolico e leA (x,y) — pzB(x,y) — + C( x , y ) ,+f x» , u — òhx2 òxòy ' òy òx y equazioni di Laplace e di Poisson di tipo ellittico. Questi esempi corrispondono

a fenomeni fisici di natura diversa : fenomeni di propagazione ondosa, di diffu­ove la f deve avere forma opportuna quando l'equazione sia non solamente sione nel caso dell'equazione della corda vibrante e del calore, fenomeni sta­quasi-lineare ma addirittura lineare. zionari nel caso dell'equazione di Laplace e di Poisson.

DifFerenziale 8oz 8og DifFerenziale

Questi fenomeni riflettono in maniera molto precisa il comportamento delle contorno. Nel caso di equazioni di ordine superiore, quale per esempio l'equa­

soluzioni delle equazioni alle derivate parziali del gruppo al quale apparten­ zione per le piastre, il principio del massimo non è piu valido. Una piastra

gono. È possibile cioè prevedere, per le soluzioni di un'equazione di t ipo metallica costretta a stare in un contorno assegnato(la s'immagini costretta

iperbolico, lo stesso tipo di comportamento delle soluzioni dell'equazione del­ dentro una morsa) potrà presentare dei rigonfiamenti all'interno se lo sforzo

le onde e cosi per quanto riguarda le equazioni di tipo ellittico e parabolico. di tensione è abbastanza elevato. Anche in questo caso, però, esistono formula­

Come conseguenza di questo fatto si capisce come le condizioni al contorno zioni, di aspetto notevolmente tecnico, di risultati simili al principio del mas­

debbano essere opportunamente coordinate al tipo di equazione che si consi­ simo che tuttavia hanno un' importanza minore nello studio delle proprietà

dera. L'esempio di Hadamard illustrato in precedenza mostra in efFetti come delle soluzioni rispetto al principio del massimo classico.

per un'equazione di tipo ellittico il problema di Cauchy in generale sia mal In questi due esempi si è anche visto il problema tipico per le equazioni

posto. I problemi naturali, in questo caso, sono quelli di Dirichlet e di Neu­ ellittiche: l'assegnazione di dati al contorno che determinano in modo unico

mann. la soluzione stazionaria, stabile. Nel caso di un problema del secondo ordinecome quello della membrana il dato al contorno consiste nell'assegnare i valoridella funzione soluzione al bordo ; per l'equazione di ordine superiore, come nel

z.3. Qualche proprietà delle equazioni di tipo ellittico. caso della piastra, si possono avere dati di natura diversa i cui esempi tipici

In questo paragrafo si esamineranno alcune proprietà delle soluzioni di sono la piastra appoggiata al bordo e la piastra incastrata nel bordo. In questi

un'equazione di tipo ellittico [cfr. anche Bombieri rgpg]. Già si è osservato due casi la distinzione viene fatta assegnando, oltre al valore della soluzione

come l'indagine intorno al comportamento delle soluzioni di un 'equazione al bordo, anche il comportamento della derivata normale. Questo tipo di con­

alle derivate parziali debba tener conto della specificità dell'equazione che si siderazioni è alla base di tutti i trattamenti delle equazioni ellittiche, anche nel

considera. In effetti nei risultati che si considerano è agevole vedere come la caso non lineare.

particolarità dell'equazione che si considera suggerisca dei procedimenti tipici Per vedere con maggior precisione un esempio tipico e fondamentale, che

non applicabili in altri casi. rappresenta tutti i fenomeni sopra descritti, si può considerare l'equazione di

Lo studio delle equazioni ellittiche si ottiene attraverso due principi fon­ Laplace che corrisponde al caso della membrana elastica incontrata in pre­

damentali : cedenza. Quest'equazione è fondamentale e si ritrova nei problemi piu svariati.

r) Le equazioni ellittiche descrivono lo stato stazionario di un certo si­ Incontrata da Laplace per la prima volta nei suoi studi sugli anelli di Saturno,

stema S. Si comincia quindi con l'osservare che un tale sistema deve avere incontrata nuovamente dai fisici nella descrizione dei campi elettrici e gravita­

energia totale minima. Il primo che ha isolato in una qualche generalità questo zionali, si ri trova anche nelle matematiche pure, nello studio delle funzioni

principio è stato Fermat; esso viene denominato principio di minima azione, analitiche di variabile complessa. In due variabili essa si scrive

ed è di fondamentale importanza nell'ambito della fisica matematica (cfr. ò'u (}'uanche il $ g). Il fatto che l'energia totale risulti minima viene espresso attra­ — + — = o .

òxs òy~verso equazioni o disuguaglianze che controllano l'integrale delle derivate del­la funzione per mezzo della funzione stessa e dei dati iniziali. È utile osser­ Un tipico problema al contorno per questa equazione è, come si è visto,

vare che funzioni di t ipo arbitrario non permettono questo tipo di controllo, i l problema di Dirichlet: esso consiste nell'assegnare sul contorno l ' d i una

e pertanto le funzioni che sono soluzione di equazioni ellittiche formano una regione finita G del piano (x, y) una funzione continua f. Si tratta di trovareclasse notevolmente ristretta. In generale sono funzioni di comportamento una funzione u (x,y) che sia armonica nell'interno di G e uguale ad f su l ' .estremamente regolare. A questo proposito si deve a Hilbert(igloo) l'avere L'equazione di Laplace, nonostante rappresenti solo un esempio di equa­

attirato l 'attenzione dei matematici su questa proprietà caratteristica solle­ zione di tipo ellittico, è tuttavia esplicativa di molti fatti relativi al comporta­

vando la questione se le soluzioni di equazioni ellittiche analitiche siano neces­ mento delle soluzioni dell'equazione generale di tipo ellittico. Si può formulare

sariamente analitiche. La soluzione di questo problema è afFermativa nel ca­ un principio di carattere pratico il quale consiste nel dire che ogni proprie­

so lineare (Bernstein, rgo4) ed ammette invece eccezioni nel caso di sistemi tà dell'equazione di Laplace, opportunamente riformulata, rimane vera per l'e­

non-lineari [cfr. Giusti e Miranda xg68]. quazione generale. Si capisce quindi l'importanza dell'indagine intorno all'equa­

z) Il secondo principio fondamentale valido per le equazioni del secondo zione di Laplace,

ordine consiste nel principio del massimo. Da un punto di vista fisico questo Nel seguito si ricaveranno alcune proprietà delle funzioni armoniche assu­

principio s'illustra agevolmente attraverso l'esempio di una membrana elastica rnendo che esista una soluzione del problema di Dirichlet. In effetti è possibile

soggetta ai soli sforzi di tensione e fissata ad un contorno assegnato. Si vede dimostrare, se si assume G semplicemente connessa, l'esistenza della soluzione

allora che il punto di massimo innalzamento della membrana si trova sul del problema [cfr. ad esempio Petrovski I950].

Differenziale 8oy 8og Differenziale

Una importante proprietà delle funzioni armoniche, che in un certo senso e dunque anche per queste equazioni possiamo garantire l'unicità della soluzionecontinua i principi t ) e z), è il teorema della media. Se u(x, y) è una funzione del problema di Dirichlet e la dipendenza continua dai dati.armonica nell'interno di un cerchio di raggio r di centro (xp, yp) ed è continua A conclusione del paragrafo si riporta un risultato di carattere negativo il

sulla circonferenza, allora il valore della funzione u nel centro del cerchio, quale mostra come non tutte le proprietà delle funzioni armoniche si possano

u(xp yp), è uguale alla media dei valori assunto da u sulla circonferenza. Si trasferire senza alcun problema alle equazioni ellittiche. Si consideri l'equazione

ha, in altre parole, indicata la circonferenza con F, ellitticaò 'u ò ' u

( o, o) = ­ I ( I ) "~.,+z%'u = o :òx' òy'

zar Jrper essa è possibile assegnare delle condizioni in modo che il problema di

Da questo teorema segue facilmente il principio del massimo. Di esso tut­ Dirichlet non sia risolubile.tavia esiste una dimostrazione elementare molto elegante dovuta a Privalov[ibid., p. x6g]. z.g. Soluzioni in senso debole.

TEoREMA. Se u (x, y) è una funzione armonica in una regione G e continuain GUF, al lora essa assume il valore massimo ed il valore minimo su I'.

L'esigenza di generalizzare il concetto di soluzione di un'equazione allederivate parziali proviene sia dal confronto con i problemi fisici sia dalla ne­

Dimostrazione : Sia m il massimo di u su I' e si supponga, per assurdo, che cessità di una sistemazione dei problemi interni della teoria. Per quanto riguardavi sia un punto Q interno a G ove u assume il valore massimo M. Si trasporti le esigenze interne della teoria si osserva che la necessità di una trattazioneQ nell'origine con una traslazione e si consideri la funzione semplice e generale spinge a cambiare il concetto classico di soluzione. In

M — m effetti le due equazioni differenzialiv(x, y) = u(x> y)+ , (x'+y') ò'u ò'u

— = o

ove d è il diametro della regione G. È chiaro che u(o, o) = (o, o)= M. È chiaro òx òy òy òx

anche che in un punto di F si ha dovrebbero essere equivalenti, però la prima è soddisfatta da ogni funzioneI I indipendente da y, mentre la seconda è possibile che non abbia alcun signi­

v(x, y) <m+ — (M — m) = ­ (m+M)<M ficato.2 2

Questo motiva l'introduzione di nuovi enti, le distribuzioni, in modo dae dunque v (x, y) deve avere il massimo in un punto interno. Ma eliminare questo inconveniente. Si arricchisce cioè il concetto di soluzione

ammettendo come soluzioni, accanto alle funzioni, anche «funzioni generaliz­ò'v ò ' v ò' u ò' u M — m M — m

) o zate», appunto le distribuzioni.òx' òy ' òx' òy ' d ' d ' Assai piu pressante è l'esigenza di arricchire il concetto di soluzione in

mentre in un massimo nessuna derivata seconda deve essere positiva. Per larapporto a problemi che riguardano i rapporti della matematica con la fisica

dimostrazione relativamente al minimo basta considerare — u.e in generale con il mondo esterno (vi sono notevoli equivalenze tra le soluzioni

Da questo teorema si ricavano due conseguenze importanti, l'unicità dellain senso distribuzionale che s'introducono nel primo caso e le soluzioni deboli

soluzione del problema di Di r ichlet e la dipendenza continua dai dati. Seo debolissime che s'introducono nel secondo, ma i due tipi di soluzione cor­

u, e u» sono due soluzioni, la differenza ur — u» è ancora una soluzione la qualerispondono tuttavia ad esigenze metodologiche diverse). Si considera ad esem­

assume su I" valore zero, ma allora non potendo assumere nell'interno né valorepio l'equazione di Poisson in due variabili

Piu grande né Piu Piccolo deve essere identicamente nulla, cioè ur = us. Per la ò'u ò»u

dipendenza continua si osservi che se u, e u» sono soluzioni corrispondenti a ò .+ ò , = f(» y)funzioni f, e f~ su l' e si assume — v <ft f» < K ne consegue che — s < ut — u, <s.

La proprietà di monotonia dimostrata per le funzioni armoniche si estende se f(x, y) è supposta discontinua, cosa assai plausibile dal punto di vista fisico,

alle equazioni lineari omogenee del tipo non possiamo naturalmente chiedere che la soluzione sia continua insiemealle sue derivate seconde. Viene quindi naturale cercare, in rapporto a questo

aw òu ò~u òu òuQ (x, y) — y g (x, y) y C ( x , y) —, + D (x, y) — + E (x, y) — + F (x, y) u

= o e ad altri problemi, una nuova definizione di soluzione.òx~ ' òx òy Si motiverà la definizione di soluzione debole con un esempio, mostrando

Differenziale 8o6 8op Differenziale

come essa sia deducibile in maniera molto naturale, partendo dal principio L'azione deve risultare stazionaria quando si consideri una variazione h (x, t)di Hamilton. Si consideri l'equazione della corda vibrante la quale sia della stessa classe funzionale di u e per la quale sia h(x, o) =

ò 'u ò ' u = h(x, t) =o. In particolare, dovrà essere h(o, t) =u (o, t) = o quasi ovunque— — — = f(x, t) ed anche h (l, t) = u(l, t) =o quasi ovunque. Ne segue allora, imponendo l'an­

nullarsi della prima variazione,

con le condizioni al contorno u (o, t) = o, u(l, t) = o e si cerchi una soluzionenel rettangolo Q dato da o<x< l , e o<t < t . Se h(x, t) è una qualsiasi funzione ( I) +fh dx dt = o.

a quadrato assolutamente integrabile, ossia tale cheQuest'equazione può immaginarsi ottenuta a partire dall'equazione

, h dQ = fh dQ

allora vi è equivalenza tra il fatto che u sia soluzione dell'equazione della cordavibrante ed il fatto che u sia dotata di derivate seconde continue e verifichi supponendo che h sia una funzione per la quale valgano le ipotesi della (I ).per ogni h l 'equazione In particolare dovrà essere dotata di derivate prime a quadrato integrabile.

Infatti, si ha:

, h dQ = fh dQ. ò ò ò ò h ò ò ò òh ò òh

Questo motiva la definizione di soluzione quasi ovunque: e quindiDEFINIZIONE. Una funzione u (x, t) a quadrato assolutamente integrabile è

detta «soluzione quasi ovunque» in Q dell'equazione della corda vibrante se am­ s hdQ = ­ dQ+ ­ — h — ­ — h d Q .mette derivate prime e seconde a quadrato assolutamente integrabile e soddisfau(o, t) =o, u (l, t) = o, e, per ogni h, Ma segue facilmente, dalla formula di Green, come il secondo integrale sia

nullo nelle ipotesi in cui siamo e perciò:— , ­ —, h dQ = fh dQ,

, hdQ = ­ dQ.

Si è in tal modo generalizzato il concetto di soluzione, poiché non è piurichiesta la continuità delle derivate seconde. Si è cosi verificato come la ( I) possa essere ottenuta dall'equazione che

Un'ulteriore generalizzazione del concetto di soluzione si può ottenere definisce il concetto di soluzione quasi ovunque, restringendo la variabilitàimmaginando di ricavare l'equazione delle onde a partire dal principio varia­ delle funzioni h che si considerano. Abbiamo cosi una soluzione piu genera­zionale di Hamilton. Al tempo t l'energia cinetica e l'energia potenziale della le dell'equazione delle onde. Si ha dunque:corda sono date da DEI'INIzloNE. u (x, t) è detta una soluzione debole in Q dell'equazione della

corda vibranteT = ­ — dx

ò u ò u— — — = f(x, t)ò ts òxs

V = ­ — dx. se è di quadrato assolutamente integrabile insieme alle sue derivate prime e sod­disfa l'equazione

Allora l'azione hamiltoniana è data da

(T — V) dt = ­ — dx — ­ — dx d t .per ogni h(x, t) tale che sia h (x, o) = h (x, t) = h (o, t) = h (l, t) = o quasi ovunque.

Differenziale 8o8 809 Differenziale

Questo esempio è completamente esplicativo di cosa si debba intendere Si osservi, per concludere, come spesso le distribuzioni vengono presentatein generale per soluzione debole di un'equazione alle derivate parziali. Si (Schwartz, al quale anzi va attribuita la paternità del concetto ) come funzionalinoterà come in questa definizione compaiono solamente le derivate prime della lineari continui sullo spazio $ (Q) delle funzioni indefinitamente differenziabilifunzione u. a supporto compatto contenuto in Q. Si può mostrare come anche in tal caso

Come si è già osservato, un altro modo per generalizzare il concetto di si possa estendere la nozione di derivata e come le due definizioni di distribu­soluzione proviene dalla considerazione delle distribuzioni. zione e di derivate distribuzionali coincidano [cfr. ad esempio Lusternik e So­

Una collezione di soluzioni di un'equazione alle derivate parziali, quando bolev r96r ].è pensata come uno spazio funzionale, non è in generale, rispetto ad una metricache si considera, uno spazio completo. Le distribuzioni possono essere intro­ 2.5. Equazioni di evoluzione.dotte (Sobolev, rgg6) per questa via, completando lo spazio.

Sia Q un dominio convesso del piano e si consideri una funzione f(x, y) Si è accennato nell'introduzione al legame che intercede tra la formula­che sia definita e continua insieme alle sue derivate fino all'ordine l i n un zione di un problema fisico mediante equazioni differenziali e il determinismo.certo dominio contenente Q. Si può introdurre la norma Si vuoi ora mostrare come un corollario di questo principio, il principio di

>f>=(ffIf(~,s>l'«6-t z ffHuygens, sia legato all'esistenza di certi gruppi (piu esattamente semigruppi )di operazioni funzionali.

L'origine di questi studi si può far risalire a Picard (r8g5), ma è sostanzial­

e si ottiene uno spazio vettoriale normato, denotato S'„''. I l completamento di mente a Hadamard [rgzy] che si deve i l maggiore contributo. Hadamard

questo spazio, che si indica con W>>, è lo spazio di Sobolev. Per farsi un'idea definisce cosi il principio del determinismo : «Dallo stato dell'universo all'istante

di come siano costituiti gli elementi di questo spazio, si consideri un elemento tp, si può dedurre lo stato ad un istante ulteriore t'». Come corollario di que­

f in W~> ma non in S'„"'. Per definizione esiste allora una successione [q„(x, y)}sto principio Hadamard ricava : «Questa deduzione può operarsi mediante un

tale che qualsiasi istante t, tale che tp<tl<t poi c hé lo stato in tp permette di calcolare

IIV.(x y) — f(x y)llwu>-o p« n- - . quello in t, e questo lo stato in t'», ossia il principio di Huygens.Ancora a Hadamard si deve l'osservazione del fatto che il principio stesso

Ossia si riflette in un certo (semi)gruppo di trasformazioni associato con la soluzionedel problema fisico considerato. Nel caso studiato da Hadamard originaria­mente, il problema di Cauchy per le equazioni differenziali di tipo iperbolico,

ed anche poiché i fenomeni sono reversibili, si ottiene in effetti un gruppo di trasforma­

f òl zioni. Nel caso irreversibile si associa invece in maniera naturale un semi­dx dy-o.

G òXl òy l òXl s òy lgruppo. Questo corrisponde al fatto che non si può dedurre in generale lostato di un sistema fisico da quanto è accaduto in precedenza,

Per la completezza di L„ (Q) esistono allora delle funzioni >pp, q>p> ", alle quali Un esempio molto semplice. Conoscendo ad un certo istante le condizioniconvergono le successioni di Cauchy (p„} e ((ò'p„/òx4 òy'~)}. Identificata di riscaldamento di una stanza, posso dedurre l'evoluzione futura della tem­f con <pp, cpp' " sarà la derivata generalizzata di ordine l di pp. peratura. Se sono però in una stanza riscaldata uniformemente non posso cono­

Si è cosi definita la derivata generalizzata, o, in senso distribuzionale, di scere lo stato del termosifone in un tempo precedente. È estremamente in­un elemento dello spazio di Sobolev. Gli elementi dello spazio di Sobolev tuitivo il fatto che numerose possibili evoluzioni della temperatura possonovengono detti distribuzioni e quanto si è visto equivale ad una generalizzazione aver condotto allo stato attuale.a questi elementi del calcolo differenziale ordinario, poiché è possibile dimo­ La trattazione matematica del problema può essere affrontata con l'esem­strare che le derivate in senso distribuzionale hanno le usuali proprietà che pio seguente, ampiamente esplicativo: si consideri l'equazione del calore peresse possiedono nel calcolo ordinario. In particolare, naturalmente, se una fun­ una sbarra infinitazione è già derivabile, le sue derivate in senso distribuzionale non sono altro òu ò ' uche le derivate ordinarie. — ~<x<~ , t ) o

ò t ò x »Disponendo di un nuovo, piu generale concetto di derivata, è possibile

naturalmente riformulare la nozione di soluzione di un'equazione alle derivate congiuntamente alla condizione iniziale u (x, o) = f(x), ove si suppone cheparziali in senso distribuaionale. Si può mostrare come la nozione di soluzione f(x) appartenga allo spazio delle funzioni limitate, uniformemente continuedebole data in precedenza possa essere interpretata in senso distribuzionale. a valore reale. Questo spazio sarà indicato con X. Una soluzione u (x, t) della

Differenziale 8io 8i i Differenziale

equazione data sia u (x, t; f), per mettere in evidenza la dipendenza dalla fun­ Si esaminerà ora la connessione tra i l semigruppo di operatori (W(t);zione f. Si supporrà ancora — è essenziale — che esista un'unica soluzione, per o<t< + ~ } e l ' equazione data. A tal f ine occorre introdurre i l generatorela quale essa stessa e le derivate richieste stiano in X per ogni t ) o , e che si infinitesimaleabbia ancora W(~) — I

Ut ­— hmlim u(x, t; f) = f(x). two+f-+o+

Ora, disponendo di U, è possibile scrivereIl principio di Huygens formulato in questo caso diviene: «Se la temperaturau(x, t) è determinata in modo unico al tempo t) o dalla distribuzione iniziale u(., t+~; f) — u(, t; f) W (~) — I W(~) — If(x), allora u(x, t) può anche essere ottenuta calcolando la temperatura stessaad un istante intermedio tp».

La formulazione matematica diviene allora:

u(x, t; f) =u (x, t — tp' Q( tp f)).{ p'(~) I{­

Per ogni t)o , u(x, t; f) può essere considerata una trasformazione effettuata Se ora si considera il limite per z~o+ si ottienesulla funzione f; per mettere in evidenza questo fatto si scrive ò

u(x, t; f) = [W(t)f](x). — Q(x, t) = UQ(x, t),

La trasformazione W (t) è lineare, a causa della linearità del problema. Si ha il che mostra come siacioè

W(t) (f+S) = W (t)f+ W(t)Z U = — .òxa

La proprietà espressa dal principio di Huygens diviene ora Le considerazioni che sono state sviluppate suggeriscono di porsi in un

W(t,+t,)f = W(t,)[W(t,)f]. contesto piu generale. Sia X un dato spazio di Banach. Sia (W(t) ; o < t < +~ }u n semigruppo di operatori l ineari l imitati su X ; s i a cioè W(t, + t») =

Questo fatto si esprime dicendo che W (t) ha la proprietà di semigruppo. La = W (ti) W(t»), W(o) = I. Si supponga ancora che valgacondizione iniziale viene poi riformulata con

Vf lim [W(t)f — f] = o,»m IIW(t)f — f ll= o imo+t-+0+

ove il che sarà espresso dicendo che vale la proprietà (80) su X. In queste ipotesillf II=suplf(x)l. si può mostrare che il generatore infinitesimale U risulta essere un operatore

xER chiuso con dominio D (U) denso in X. Si può ora formulare, seguendo Hille,La proprietà isolata in modo enfatico per W (t) mostra in modo molto il problema di Cauchy astratto:

caratteristico quale sia il tipico procedimento matematico. Mentre ci si sarebbe pRoBLEMA, Dati uno spazio di Banach X e un operatore lineare U conpotuti accontentare dell'equazione òu/òt = òou/òx' e delle proprietà osservate dominio D(U) e codominio R (U) contenuti in X, ed assegnato un elemento— e questo non sarebbe né limitativo né sbagliato: si tratterebbe solamente foeX, si tratta di trovare una funzione u(t)= u (t; fo), definita su [o, ~) condi operare all'interno di una data problematica —, il procedere matematico valori in X tali cheva oltre, cercando la ragione profonda, la «causa» delle cose, Cosa è realmentesignificativo nel fenomeno che stiamo esaminandoi' Cosa rimane quando si i) u(t) è differenziabile con continuità su [o, ~) nella data norma;

prescinde da ogni particolarità? Il concetto di semigruppo che è stato appena ii ) u(t)eD(U) e u'(t) = U u(t) per ogni t ) o ;

isolato; e questo dunque viene posto come centrale, a fondamento della teoria. tini) si ha

Si osserverà come in tutto questo non vi sia assolutamente nulla che assomigli lim llu(t) — foll= o .t-+0+

al dedurre a partire da certe premesse, cosa alla quale molti vorrebbero ridurrela matematica. Vi è invece una profonda interazione dialettica tra realtà, teoria, Se U risulta essere il generatore infinitesimale di un semigruppo di operatoririflessione su di essa, nuovo confronto con la realtà... Insomma, la Dialettica (W(t) ; o( t < ~ } la funzione u(t) = W(t) f è una soluzione del problema pernella sua piu piena ed efficace espressione! ogni f. È possibile dimostrarne l'unicità.

DifFerenziale 8lz 8l3 DifFerenziale

È chiara di conseguenza l'importanza di decidere se dato un operatore curve, debba seguire un grave che scivoli senza attrito in modo che il tempolineare chiuso U esista un semigruppo W(t) che lo ammetta come generatore impiegato per la discesa sia minimo. Il problema, per quanto, a prima vista,infinitesimale. Un risultato importantissimo in questo senso è il teorema di la cosa paresse strana, fu collegato da Bernoulli a un problema di ottica. Sup­Hille-Yosida. Esso fa intervenire l'insieme risolvente p (U) di U, ossia l'insieme ponendo che A e B siano collocati in mezzi differenti, in modo che la lucedei valori X per i quali l'operatore U — 'U ha un inverso limitato con dominio percorra il mezzo ove si trova A con velocità V, e quello ove si trova B condenso in X. Ut i l izzando questi valori del parametro X il teorema può enun­ velocità V», il tempo necessario per andare da A a B (fig. (l) è dato daciarsi:

y o '+ x ' trb'q-(c x)— 'TEoREMA. Se U è un operatore lineare chiuso da X in sé con dominio denso T = +e se(XI — U) ' esiste per ogni X > o con ~~(kf — U) — ' )~ < l/X, allora Uè il generatore v»

infinitesimale di un semigruppo di operatori (W(t); o=t< ~} di c lasse (80) su Se s'immagina che la luce segua il percorso nel minimo t empo possibile, siX tale che ))W(t))]<l per ogni t>o . Ino ltre il semigruppo(W(t); o<t< ~} ricava l'uguaglianzaè unico. X C — x

Per concludere, si accennerà ai legami tra quanto è stato esposto e la tra­ e,V or-èx' o, tybnè(c — xx))'asformata di Laplace. Si consideri l 'equazione u' (t) = Au(t), u(o) = f. Appli­ la quale comportacando la trasformata di Laplace, si ottiene: sin 0( sin P

+no +oo +oo Vi V»e s" u'(t) dt = e s"Au (t) dt = A e s" u ( t ) d t =0 0 0

S'immagini ora che il raggio luminoso debba attraversare un percorso strati­ficato, come nella figura lo. Si ha allora

=p e-s" u(t) dt — u(o). S ili 0( i Sl i l 0 ( S Si n 0 ( 0 Sili 0(40

vl v2 v3 V4

Posto U(p) = f~+"e ­l" u(t) dt, si ha p U(p) — f= A U(p), cioè (A — pI)U(p) = Se s'immagina ora di avere numerosi strati via via piu sottil i e numerosi,= ­ f, il che mostra come possa ricavarsi U (p) e quindi, applicando la trasfor­ passando al limite si avràmata inversa, u (t). Tra l 'altro l 'ultima formula trovata giustifica la presenza

sin 0(dell'operatore )J — U nel teorema di Hi l le-Yosida. — = cost.V

Considerando ora nuovamente il problema della brachistocrona e scegliendo3. Ca l colo delle variazioni. il riferimento come nella figura ll , se s'immagina che il corpo nello scivolare

da A verso B sia in grado (come il raggio di luce) di scegliere il percorso in3. I. La brachistocrona. modo da minimizzare il tempo, si avrà ancora sin0( / v = cost. Per il principio

di conservazione dell'energia, la velocità raggiunta dal grave a un dato livelloIl problema della brachistocrona viene trattato nei particolari sia per fornire è data dalla perdita di energia potenziale, si ha cioè V = ~ zgy. Poiché sin0( =

una conveniente introduzione al calcolo delle variazioni, sia per mostrare, su = r /Vr + ( y ) , a i o t t iene t eqnazione differenziale y[rh(y) ] = coat che è laun importante esempio, quale fosse il modo di procedere di un matematico soluzione del problema. Come si è già osservato nel paragrafo sulle equazionidella fine del secolo xvn. Si avrà cosi modo di osservare come l'analisi e la differenziali, la curva-soluzione risulta essere una cicloide.soluzione del problema condotte da Giovanni Bernoulli siano assolutamente Si osserverà come quest'equazione differenziale sia stata ottenuta consi­«moderne»; dimostrando cosi la sostanziale unità che intercorre tra il calcolo derando il problema nella sua specificità, osservando cioè come dovesse risul­differenziale dell'epoca di Bernoulli e quello attuale. Unità che spesso viene tare, per la curva-soluzione, sina /v = cost. Ma immaginando, in una fasea cadere quando si contrappone la matematica moderna a quella precedente precedente, di ricercare la soluzione tra varie possibili, allora si tratta di deciderefondandosi in gran parte sul fatto che il l inguaggio della matematica attuale quale curva y (x) faccia assumere valore minimo all'integraleè molto piu formale e rigoroso.

S'immagini che A e B siano due punti dello spazio di differente quota(fig. 8). Il problema della brachistocrona è di decidere quale, fra le possibili

8ty 8tgDifferenziale Dt6erenzr aie

il quale esprime il tempo necessario per andare da A a B. Cosi il problema puòformularsi astrattamente nel modo seguente: dato il funzionale J~9F(x, y, y') dxove F è supposta continua insieme alle sue derivate fino al secondo ordine inun certo dominio B del piano (x, y) e per ogni valore di y', si tratta di deter­minare una funzione y( x) in modo che esso assuma il valore minimo. È natural­mente lo stesso problema chiedere che tale funzionale assuma un valore mas­simo.

Figura S. Come nel caso delle funzioni di variabile reale, è poi naturale considerare nonAncora il problema della brachistocrona. tanto massimi e minimi assoluti, quanto relativi. Si è cosi giunti a formulare

uno dei problemi centrali del calcolo delle variazioni. Ecco la definizione chene dà Lagrange [x76o-6i, ed. i867 p. gag] : s Per poco che si sappia dei principidel Calcolo differenziale, si conosce il metodo di determinare le ordinate piugrandi e le minime delle curve ; ma vi sono delle questioni di massimo e minimodi genere piu elevato e che, sebbene dipendenti dallo stesso metodo, non si

x P ( trattano con la stessa facilità. Sono quelle in cui si tratta di trovare le curvestesse nelle quali una data espressione integrale sia massima o minima in rap­

I porto a tutte le altre curve». Oggetto del calcolo delle variazioni è quindi

C Bdeterminare i valori estremanti di un dato funzionale. Nel caso piu semplice,

Figura g.tale funzionale è quello considerato in precedenza, ma è chiaro come il pro­

Il problema della brachistocrona: vale l'analogo della legge di rifrazione.blema possa formularsi in maniera assai piu astratta per un certo funzionaleL(y(x)), qualsiasi.

g.z. L'equazione di Eulero, il lemma fondamentale.

Si consideri dunque il funzionale f~'F(x, y, y') dx in cui F è una funzionecome specificato in precedenza. Ci si propone di trovare una funzione y ( )laa quale faccia assumere a questo funzionale un valore estremante. Si vuoleedurre una condizione necessaria che y (x) deve soddisfare afFinché il fun­

zionale abbia in y (x) un tale valore. Si consideri una funzione q (x), la quale siannulli negli estremi dell'intervallo d'integrazione e, considerato un parametro

B numerico ct (da pensarsi intuitivamente come molto piccolo), si consideri laFigura ro.L'idea sottica» di Bernoulli per risolvere il problema della brachistocrona.

nuova funzione y (x)+ctg (x). L' idea che guida questa considerazione è quelladi variare di poco la funzione y (x), e di considerare conseguentemente il com­portamento del funzionale, come si fa nel caso ordinario delle funzioni realidi variabile reale. Sostituendo al posto di y (x), la funzione y(x)+airi (x) siottiene :

zl

7(ct) = F (x, y / ct vi (x), y'(x) y ct vi'(x)) gx.zp

Poiché y(x) deve corrispondere ad un valore estremante, la funzione j (c)deve avere un estremo per ct=o, e dunque la sua derivata deve annullarsiper ct =o. Differenziando sotto il segno d'integrale si ottiene:

zl

F igura i r . j ' (o) = [F„(x, y, y') q (x) + F„(x, y, y') vi'(x)] dx.Dalla spezzata della figura ro si ottiene, passando al limite, la curva in figura. zs

Differenziale 8i6 8rp Differenziale

Integrando per parti, si può ora scrivere compaiono derivate di ordine piu elevato, come f~~,'F(x,y,y',y", ...,y'">)dx.+l d

A parte le maggiori complicazioni formali, l 'equazione di Eulero può essere

l ' (o) = [Fy n(x))**p+ n(x) Fu ricavata nuovamente con la stessa tecnica. Va segnalato invece in modo esplicito

Xp il caso dell'equazione di Eulero negli integrali doppi.

e, tenendo conto del fatto che q (xp) =q (x,) =o, si ha infineSi consideri l'integrale doppio

(') F(x, y, u , u, u„) dx dyj' (o) = q(x) F„ F „ d x . B

e ci si proponga di trovare una funzione u (x,y) che sia continua con le sueCome si è osservato, dev' essere j' (o) = o e perciò derivate fino al secondo ordine in un dominio B, abbia un assegnato valore

sul contorno l del dominio e dia valore estremante al funzionale(x). Con un

q(x) F„ F „ dx = o. ragionamento analogo a quello con cui è stata ottenuta l'equazione di Eulero,e applicando il lemma fondamentale opportunamente adattato al caso che si

Questa uguaglianza deve valere per ogni funzione ed è dunque naturale im­ considera, si ottiene l'equazione di Eulero

maginare come essa implichi à òd " òx ". òy "

=

che può scriversi, esplicitando,

Per dimostrarlo rigorosamente occorre però il seguente:

LEMMA FoNDAMENTALE. Se l'integrale f*i f (x) q (x) dx in cui f (x) è una fun­ Le equazioni trovate sono,naturalmente, solo delle condizioni necessariezione continua, si annulla per tutte le funzioni ii (x) che si annullano in xp e in x,e che ammettono una derivata continua in (xp xi ), allora si ha f(x) = o .

affinché una funzione y (x) o una funzione u(x,y) sia estremante. Sono dinatura analoga alla condizione per una funzione reale di variabile reale dotata

Tornando dunque a considerare l'uguaglianza di un valore estremante in xp ed ivi derivabile che si esprime con f'(x ) = o.Come questa condizione esse non sono in generale sufficienti. Questo risultatopl

q(x) F„ F dx = o, fu ottenuto assai presto, dei controesempi furono forniti da Legendre. I lproblema della ricerca di condizioni sufficienti è assai arduo. Una prima solu­

poiché con le ipotesi poste su F la funzionezione fu data dallo stesso Legendre e successivamente migliorata da Jacobi,ma essa non resistette alla critica che ne fece Weierstrass. Il cr i t icismo di

d Weierstrass mise in luce la vera difficoltà del problema, cioè come una curvaF~ Fu «vicinissima ad un'altra» potesse tuttavia provocare notevoli variazioni nel­

l'integrale.è continua, si ha infine l'equazione di Eulero: Verso la fine dell'Ottocento si sviluppò una notevole revisione critica del

dcalcolo delle variazioni (come del resto di tutta l 'analisi ) e si evidenziarono

Fu F„ = o.dx

nuove vie per affrontarne i problemi. L'approccio moderno è caratterizzatosostanzialmente dall'uso di metodi diretti.

Va osservato che le ipotesi poste, molto restrittive poiché si è utilizzata l'esi­ Si osserverà come l'equazione di Fulcro non affronti direttamente il pro­

stenza di y" (x), possono essere molto indebolite. Va tuttavia oltre gli scopi delblema della ricerca di una curva estremante ma piuttosto come «scarichi i)

presente articolo addentrarsi in tali questioni. questo problema in uno di equazioni differenziali. Qui si espliciterà invece

L'equazione di Eulero può essere sviluppata conducendo all'equazione del brevemente quale sia l'idea informatrice del cosiddetto metodo diretto. Ad

secondo ordine esso sono legati, tra gli altri, i nomi di Ritz, Galerkin e Tonelli. Si suppone

F„„y" +F~~ y'+F — F„ = o. assegnato un funzionale j (y(x)) definito sopra una certa classe C di funzioni.Al variare di y in C si avrà una certa classe di numeri la quale sarà dotata di

Queste considerazioni possono generalizzarsi al caso di f unzionali che un estremo inferiore d. Può darsi che non vi sia alcuna funzione in C chedipendano da piu funzioni, come f *,'F(x, y, y', z, z') dx o a funzionali in cui realizza il valore d, ma tuttavia per la definizione stessa di estremo inferiore è

Differenziale 8r8 8tt) Differenziale

possibile trovare una successione y„ tale che j(y„) abbia come limite d al cre­scere di n. Una tale successione viene detta successione minimale. Il successo

x) l'energia cinetica T, Nel caso di una singola particella questa è espressa,se la particella è rappresentata con le coordinate cartesiane x d

del metodo si fonderà ora sulla possibilità di trovare una successione minimale = (z +y + a ) /z. Per n particelle indipendenti, l'energia cinetica saràtale che passando al limite si ottenga la soluzione richiesta. Questo è il fonda­mento del metodo di Ritz, applicato successivamente da Galerkin anche in

la somma delle energie cinetiche. Per un sistema meccanico piu com­plesso essa sarà calcolabile ancora in termini delle coordin t

situazioni diverse da quelle del calcolo delle variazioni (ttlo8, i~}ig). Si deve e delle relative derivate q„qs, ..., q„;poi a Tonelli l 'aver messo in luce il ruolo fondamentale della semicontinuità z) l energia potenziale V (q„q„ . . . , q„) mediante le cui derivate si possonodell'integrale che si considera per il successo dei metodi diretti. esprimere le forze agenti.

L'g.g. Equazioni di Lagrange e di Hamilton.

L ipotesi ulteriore posta da Lagrange è che T + V = cost. L'azione lagran ianada considerarsi è ora f~,'T dt. Imponendo che questo funzionale abbia la prima

I.e equazioni di movimento di Lagrange furono ottenute esprimendo in variazione nulla, si ottengono infine le equazioni

forma concreta il pr incipio di m in ima azione, all'interno del calcolo dellevariazioni. Egli espresse il principio dicendo che il prodotto della massa, dellavelocità e della distanza prese tra due punti fissi debbono essere massimi ominimi. Si tratta in altre parole di considerare i valori estremanti dell'integrale[mv ds oppure, osservando come ds =tr dt, dell'integrale fmtis dt. Si ha du nque un sistema di n equazioni differenziali del secondo ordine che

Per ricavare da queste considerazioni le equazioni di movimento, Lagrangeescrive il movimento del sistema. Le coordinate q; possono non avere, come

introdusse le coordinate generalizzate. Per spiegare cosa siano le coordinatesi è osservato, un significato fisico o geometrico immediato. Oggi si parla di

generalizzate di un sistema meccanico, si considera l'esempio semplice di unaesse come di coordinate nello spazio delle configurazioni. Le coordinate q; (t)

particella nello spazio. La sua posizione può essere espressa utilizzando ledescrivono in questo spazio una certa curva.

coordinate rettangolari, come nella figura iza. Tuttavia, può essere piu con­ Le equazioni di Lagrange sono dedotte all'interno della dinamica newtoniana

veniente esprimere la sua posizione mediante le coordinate cilindriche, ossiae in e etti sono equivalenti alle equazioni che si ottengono dall d lo a a secon a egge

come nella figura izb ), o anche mediante un qualunque altro sistema di coor­e a inamica di Newton. Hanno però rispetto alla formulazione di Newton

dinate. Cosi è possibile associare alla particella tre numeri i quali ne esprimanonumerosi vantaggi. Intanto sono formulabili in un qualsiasi sistema di coor­

la posizione secondo certe convenzioni fissate. Se ad esempio, invece, si con­inate e sono invarianti in forma rispetto ai cambiamenti di coordinate. So­

sidera una sbarra rigida mobile nel piano, la si può pensare formata da dueprattutto però hanno il vantaggio di essere ottenute a partire da un unico

particelle rigidamente connesse A, B, come nella figura iuta, con le coordinateprincipio e forniscono dunque un aspetto unitario alla trattazione dei fenomeni

che esprimono la posizione di A in r i ferimento cartesiano e l'angolo che lameccanici.

sbarra forma rispetto a uno degli assi (fig. igb). In generale, dato un sistema E ora le equazioni di Hamilton. Come si è già osservato all'inizio del para­

meccanico, ad esso si associeranno n coordinate generalizzate.grafo, anche se dal punto di vista formale non vi è una grande differenza tra

Gli elementi meccanici considerati da Lagrange per ricavare le sue equa­i ue punti di vista, vi è però una differenza sostanziale dal punto di vista filo­so co.zioni, sono ora:

t P

a)

a) b) b)Figura xg.

Figura xz. Sbarra idealizzata con due particelle A, B connesse rigidamente(a} e sue d'Coordinate del punto P: cartesiane in a), cilindriche in b).

en e (a} e sue coor inategenerali (b).

DifFerenziale 8zo 8zi Differenziale

Infatti per Hamilton un principio variazionale non riflette una necessità co­smologica, ma è un modo comodo per raggruppare unitariamente molti fenomeni. Forme differenziali.

L'azione considerata da Hamilton èP», tq 4.r. Teoria locale.

S= (T — U) dt,Pl, t l Si considererà dapprima il caso degli aperti di R". Nel paragrafo succes­

ove però si consente di paragonare cammini che non hanno alcuna restrizionesivo si estenderanno le considerazioni al caso delle varietà differenziabili

(pereccetto quella che il moto lungo di essi inizia all'istante tl nella posizione P, cui si veda l'articolo «curve/superfici» della presente Enciclopedia). Sia E uno

e termina nel punto P, all'istante t3. Il principio di Hamilton consiste nell'affer­ spazio vettoriale di dimensione n, e si consideri accanto ad esso la sua «algebra

mare che il moto attuale è quello che rende l'azione stazionaria. Ponendoesterna» AE, costruita come somma diretta delle potenze esterne p-esime

L = T — V e considerando la prima variazione, si ottengono cosi le equazioni A>E. In altre parole, si ponga

AE = g+A~E.dt òq tq=O

Queste, nel caso che, come nell'ipotesi di Lagrange, sia T+ V = cost, si ridu­ La potenza esterna p-esima è costruita introducendo n simboli <• '

cono alle equazioni di Lagrange, ma possono formularsi, piu in generale,e un operazione di prodotto esterno n per la quale si richiedono le proprietà

anche per sistemi non-conservativi. ( i ) E;A( ; = oAlle equazioni di Hamilton si può dare anche un'altra forma molto in­ (;AE't = — F;AE;

teressante. Posto infattiòL ((tn(t)n(~= g,n(F;AE~).

p =

òq Accanto ai simboli („ $„..., („s i considerano poi i monomi del tipo Et..n...AEt„tenendo conto delle equazioni precedenti e le espressioni con coefficienti in E della forma

òL /at , ...;,Et,n...AF,,òq;

Se ora si considera la funzionePer queste espressioni si pongono poi delle regole di calcolo per la somma eil prodotto, comportandosi sostanzialmente come se si avesse a che fare con

H(p; qt t ) = ­ L+ZP«q; polinomi nelle indeterminate („ . . ., E,„, ma badando naturalmente a rispettarecioè, dal punto di vista fisico, l'energia totale, si ottiene il sistema le proprietà ( i). Un esempio chiarirà completamente questo modo di procedere.

òH (aE„+ bF3+ cF3) A(d Et + eE3) = ad~ ~+ bd (3A(i y cd F3AEi++ae F,AE,+be~ »+ c e ( 3AE,3=

òH = ( — bd+ae) EinE3+cd E»AFi+ce F3AE3=

p' = — .

òq;= (ae — bd) E,inE,3 Cd F,in(3 Ce E»n(3.

il quale, considerato successivamente da Jacobi, fu denominato sistema dif­ Si osserva, nel procedimento, come in accordo con le(i ) il termine ad ( in(y

ferenziale canonico. Si può mostrare come questo sistema sia ottenibile, ancora sia stato posto uguale a zero e come si siano raggruppati i due termini bd F»AEnin maniera variazionale, considerando l'integrale ae (,nE„, aventi lo stesso monomio (naturalmente per fare questo calcolo ab­

3 =J(gp,q,— pq) atbiamo assunte implicitamente molte regole, quali (ad) o = o, ecc. Queste regolesono molto semplici e corrispondono perfettamente all'intuizion he c e u n o s ia e calcolo [per una trattazione formale molto rigorosa cfr. Schwartz iql67].

Il lavoro di Hamilton, e quello successivo di Jacobi intorno alla risolvibilità Si consideri ora un aperto Q di R" e lo spazio C (Q) delle funzioni f : Q ~Rdel sistema, sono molto importanti sia intrinsecamente, sia perché segnarono che siano indefinitamente differenziabili. È ora possibile costruire l'algebra ester­la via per la r icerca di altre formulazioni variazionali nell'ambito di al tre na di questo spazio. Per rendere piu intuitivo lo sviluppo di quanto segue è op­teorie fisiche come l'elettromagnetismo e la teoria dei quanti. portuno usare invece dei simboli E;„ („ . . ., („ i s imboli dx„ . . . , dx„ (questa

17

Differenziale 8zz 8zg Differenzialenotazione fa naturalmente pensare a dei differenziali e questa è la ragione di Poiché una forma qualsiasi è formata dalla somma di forme monomie, n«tale nomenclatura. Bisogna però essere molto attenti, per evitare fraintendi­ segue la tesi.menti, a quando è lecito pensare i simboli dx„dx „ . . . , dx„come differenziali Questo teorema ci permette di costruire la successione di modul i e ~l ic quando no [cfr. ibid., p. 4z]; la situazione è simile a quando si indica un omomorfismi :integrale indefinito (nell'analisi elementare) con f f (x) dx. Naturalmente il sim­ o F'(Q) l ' (Q) F ' (Q) . . . F" (Q) obolo dx potrebbe essere omesso e potremmo scrivere f f(x). Però esso è certa­mente molto utile, se non altro per ricordare come si deve procedere quan­ Ia quale è una successione nulla, cioè componendo due omomorfismi successivido si tenti di trovare una forma esplicita dell'integrale, operando delle sostitu­ si ottiene il morfismo nullo. Ora, i l fatto che dq'odi' ' = o significa che se sizioni di variabili ). considerano i due sottomoduli d i S i '(Q) dati dal «nucleo» di di ' (Ker dn)

Si indichino con S (Q), Fd'(Q), ..., 5" (Q) gli spazi vettoriali delle forme e dall'«immagine» di d~ (Im dq' ') cosi definiti:di grado o, i , ..., n, rispettivamente, identificando F»(Q) con C (Q). Si hanaturalmente che Fo"+i (Q)= o, poiché necessariamente in una forma di grado Ker di' = (xe F i' (Q) : di' (x) = o in S>+'(Q))n+ i vi dev' essere un dx, ripetuto. Lo spazio vettoriale Foq'(Q) ha l'ulteriore Im dq' ­ = (y e Gi'(Q) : esiste un x' c 5 i' — '(Q) con dq' ' (x') =y )

/ 3struttura di 8 (Q) modulo. Come tale è un modulo di rango ( ). Anco­ si ha Im d~ — 'aKer di'. Questo autorizza a considerare

ra, si pongaH>(Q) =

F,(Q)= Q+F,~(Q).y =O

il p-esimo gruppo di coomologia di De Rham.È ancora utile osservare che, date o:>e $>(Q), )q e F9q(Q), allora rd.„npqe F»q'+q(Q) In termini intuitivi, si può dire che il p-esimo gruppo di coomologia die x>A)q = ( — t)q'q)qncd>. È ora possibile definire un'operazione di differenziale De Rham misura la differenza tra il nucleo dell'omomorfismo dq' e l'immagineesterno dq' : Foq'(Q) ~ Sq'+'(Q) (quando non vi sarà luogo a fraintendimenti si dell'omomorfismo d>-'. In genere si usa chiamare chiuse le p-forme qoi' per leometterà l'apice p, d : K> (Q) ~ $>+i (Q)). Ouest'operazione può essere definita quali d>(qc>)= o, mentre si dicono esatte le forme di grado p che sono ottenuteprima sulle forme monomie; se qo> è del t ipo qo>= a(x) dx;,A...ndx;, allora da quelle di grado p — i applicando d i' ' . I l teorema precedente si può rienun­si pone ciare dicendo che ogni forma esatta è chiusa. Il p-esimo gruppo di coomologia

òa (x)dwq'=da (x)ndx,,n...ndx; =g dxi nd x , A...Adx; . misura dunque quante sono le forme chiuse che non sono esatte.

7Prima di procedere è bene studiare qualche esempio, considerando per

semplicità Q=R». Si consideri una forma «c di grado o; essa è semplicemen­Per una forma qualsiasi si estende per linearità la definizione. In particolare, per te una funzione di tre variabili f(x, y, z). In tal caso si ha dqoo= df =grad f.una forma di grado zero, cioè per una funzione, il differenziale esterno viene Si consideri ora una forma differenziale di grado i ; essa può scriversia coincidere con il di fferenziale ordinario. La piu importante proprietà del rei =adx +bdy+cd e si ha in tal caso:differenziale esterno è data dal seguente

/àa òa òa X / òb òb àbTEoREm.. Siano

d>-' : Foq'-' (Q) ~ Si'(Q)d«c' = ( ­dx+ dy+ — dz

)Adx+ ( ­dx+ — dy+ — dz ndy+

l,òx ò y àz ) (òx ày

d> : F>(Q)~F>+'(Q) / òc àc àcallora d> o d> ­ = o.

+ ( ­dx+ — dy+ — dz Adz=ày

Dimostrazione: Basta osservare come questa proprietà sia vera per le forme àa àb3 / ab / ò a à 'monomie. Si ha infatti: — — + — ) dxndy + ­ — + — dyndz ~ — — ~ — dxndzay a.) ( a. òy

ddx x d(P — dx=hdx ; xx d h ; = P . , . d h xxdx;Adx; x x dx ; „= h. . .

àa ò'ae le quantità che compaiono a coefficiente di dxndy, dyndz, dxndz sono le com­

òx ' "'q' òx òxj k j ponenti del rotore del vettore v= (a, b, c).

poiché Considerando invece qoq = — xdyndz + Pdzndx+ydxndy, si haà'a ò~a /òO. ag òy'i

àxq òx; òx i àx~ dqc' = ( + + ) dxndyndza.)

Di8erenziale 8z4Differenziale

cioè, considerando il vettore v= (st, ), y), il coeff iciente di dto2 è la divergenzadi v, div(v).

numerabffe e pensabile localmente come lo spazio euchdeo R" Piu esatti

Con l'operazione di differenziazione esterna, si ottengono dunque gli ope­mente, per ogni punto p di X sono assegnati un aperto U„e un omeomorfismo

ratori gradiente, rotore, divergenza della fisica matematica. Questo permettetfi, : U„~R", in modo che t(~„(p)= (xi, x2, ..., x„") può essere immaginata come

d'intuire come vi possa essere un profondo legame tra i fenomeni descrittiuna n-upla di coordinate di p. Può succedere tuttavia che p appartenga anche

dalla fisica matematica e le forme differenziali. Poiché, come si vedrà, le formea un altro aperto U>, in modo che a p si possano anche assegnare le coordinate

differenziali sono profondamente connesse alla topologia algebrica, si capisce cp>(p)= (xi, x2, ..., x„ ). Occorre naturalmente che questi due sistemi di coor­

come si possa portare avanti la tesi di un'unità profonda tra la topologia alge­dinate siano compatibili; in altre parole che tl~„o est, che dà il passaggio dal­l'uno all'altro sistema, sia un C -isomorfismo.

brica e la fisica matematica [cfr. Tonti i t)7z ].Un importante risultato di Poincaré chiarisce, in un caso importante, il

In generale, si chiederà dunque che se U, e U> sono due aperti con inter­

rapporto tra forme chiuse e forme esatte.sezione non vuota, si abbia, nella situazione illustrata dalla figura

i 4 c h ctii„> cp> sia un P - isomorfismo. Poiché per ogni p sono assegnati un aperto— l l3 caa a g u r a i 4 , c c

LEMMA (Poincaré). Sia Q~R" convesso e connesso. Allora ogniforma chiusain Q è esatta in Q.

U e un omeomorfismo cp, : U„~R", si ha che gli aperti U„sono un ricopri­mento di X c ioè U U = X .U „ = X. Gli omeomorfismi tl'„permettono di pensare su

Di questo teorema si può dare una seconda forma, piu «algebrica». OgniU„ la struttura di R": le funzioni differenziabili, i vettori tangenti, le forme

numero reale può essere considerato come una particolare funzione, la funzionei erenziali, ecc. Se U„A U>g g su U„ A U> agiscono però sia rf~„che if

a'> ecostante, che assume sempre il valore indicato dal numero. È allora possibi­

si hanno dunque due modi di trasportare la struttura di R". Tut tavia la r i­

le considerare l'inclusione Rw S (Q) e conseguentemente il complesso «au­chiesta che rf„c tfi>i sia un i'-"-isomorfismo fa si che questi modi siano com­

mentato»patibili. Per riassumere la situazione si ha dunque sulla varietà X localmente

)

R Ss (Q) l' (Q) . .. 5 " (Q)cioè su ogni aperto U„, la struttura di R" e delle condizioni di compatibilitàglobale.

Allora si può enunciare la seconda forma del lemma: Queste strutture definite localmente e compatibili globalmente possono

LEMMA. Il complesso o~R~ (s (Q)~ K (Q)~...~ S" (Q)~o è esatto.essere analizzate piu in dettaglio e i l r isultato dell'analisi è la definizione difascio di funzioni, di forme differenziali, ... sulla varietà. Il concetto di fascio,

Il significato di questo lemma può riesprimersi dicendo che in questo caso introdotto da Leray negli anni r i)45-go ed esposto per la prima volta appuntotutti i gruppi di coomologia di De Rham sono uguali a zero. Questo risultato nei Seminaires Cartan del i t )go, ha assunto nella matematica moderna un

suggerisce come vi debba essere un legame tra la coomologia di De Rham e ruolo centrale. Qui ci si l imiterà ad accennare in che senso le forme differen­

la maggiore o minore semplicità dello spazio topologico (in questo caso Q ) ziali costituiscono un fascio sulla varietà X.

ove vengono definite le forme differenziali. In effetti il teorema di De Rham Se U„è un aperto omeomorfo a R", su U„si hanno le forme differenzialiche si vedrà nel paragrafo successivo sarà proprio un risultato in questo senso. St'(U,) di grado p, semplicemente trasportando le forme di R" di grado

A conclusione del paragrafo si osservi che le ipotesi nelle quali è stato enun­ ancora esse formeranno un P (U„)-modulo, ove si indicano con C (U„) leciato il lemma sono certamente troppo forti. Tuttavia, il fatto che siano neces­ funzioni di classe C definite su U„. Se U è un aperto qualsiasi

(non necessa­sarie delle restrizioni è chiarito dal comportamento della forma differenziale riamente del r icoprimento considerato) è chiaro come si possa considerare

x dy — ydx'W =

x2+y 2

U„definita su Ra ­ ((o, o)). Questa forma differenziale è tale che d to=o, e perònon esiste alcuna to' tale che dto' = ro.

(U„n U,)

4.2. Forme differenziali su una varietà differenziabile.

Si vedrà ora come la struttura delle forme differenziali fin qui consideratesu aperti di R" possa trasferirsi su una varietà differenziabile. Si consideri cp„(U„A U>) q>2 (U„A Us)dunque una varietà difFerenziabile X d i c lasse P e d i d i mensione n. Ciò Figura r4.significa che X, che si suppone essere uno spazio topologico separato, a base Cambiamento di carta su una vaneta differenztabde

Di Rerenziale 8z6 8zy DISerenziale

Si'(U), mediante le forme che definite localmente si possono estendere su vale questa propneta) Ne consegue che si puo ancora considerare il complesso

tutto U. Ancora avremo che Si'(U) è un P. (U)-modulo. Se si considerano d d d d

due aperti V, U con V~ U v i è un omomor6smo naturale f ~r(U)~$ " (V); o~ go~ gr . . . ~ pn~o

esso è dato dal «restringere» una forma definita su U a una definita su V. e introducendo ancora R, inteso però questa volta come le funzioni costantiSi considera cioè la stessa forma ma definita semplicemente sull aperto piu11'

sulla varietà, il complessopiccolo. Se si indica con x la forma considerata di Si ' (U) il r isultato dellarestrizione viene indicato con x~V. La legge che ad ogni aperto U associa (z) o ~R~ So~ g l ~ ~ pn~od d d d d

Si'(U) le forme differenziali definite su U, e ad ogni inclusione Vc: U l'omo­)>morfismo di restrizione Si' (U)~ Sr (V) con x~x~ V ha le due proprietà: Per ricavare ancora l'esattezza di questo complesso (l'esattezza localmente)

i ) se V = U l 'omomor6smo di r estrizione è semplicemente 1 identitaoccorre disporre nuovamente del lemma di Po incaré. Per questo occorre

x~x( V = x ;tuttavia fare delle ipotesi sulla struttura topologica di X . I n fatti , la tecnica

z) se Wa Vc U è l a s tessa cosaefFettuare la restrizione direttamentecon la quale si dimostra il lemma di Poincaré richiede la possibilità di disporre

oppure in due passaggi: (x~ V)~$' =x ~W.dell'integrazione sulla varietà. Mediante un procedimento che coinvolge inmaniera essenziale l'integrazione, si risale infatti, nel caso considerato in pre­

Tutto questo viene riassunto dicendo che U~ Si'(U) costituisce un prefascio. cedenza, da una forma x ad una x' tale che dx' = x. I l d ispositivo tecnicoEsso è in particolare un fascio, cioè verifica ulteriormente due condizioni: mediante il quale si può effettuare l'integrazione sulla varietà è dato dalle

3) se (U;), ieI è un ricoprimento di U, cioè U U; = U e se sono assegnati partizioni della unità, o partizioni di Dieudonné, le quali appunto richiedo­

due elementi x, P di S i' (U) tali che x~ U; = P~ U, per ogni i allora x= P ; no delle ipotesi sulla topologia di X. Per esempio si può supporre che X sia

y) e ancora U U = U ed è data una famiglia di elementi xsc Ki'(L's)uno spazio topologico paracompatto. In tale ipotesi si può dimostrare come

compatibile, cioè tale che per ogni coppia di indici i, j di I sia xt~ U,AI ' (U U = il complesso ( i ) sia esatto, Accanto al complesso ( i ) si può ora considerare il

= x;~ U,g U;, allora esiste un elemento x di Sr (U) con x~ U, = x,complesso delle sezioni globali

Si ha dunque il fascio delle forme differenziali di grado p sulla varietào-r (X, R)-r(X, r,) - r ( X , a i)-...-r (X, r,-)-o

X e lo si indicherà globalmente con Si'; e s'indicherà il suo «valore» su U con che viene anche detto complesso di De Rham. È essenziale il fatto che questoSi'(U) oppure con I' ( U, $>). In part icolare, le forme differenziali definitesu tutta la varietà saranno denotate con I'(X, Ki ') (non è detto però che deb­

complesso, in generale, non è piu un complesso esatto. Questo fatto dà originead una coomologia, la coomologia di De Rham. Si può cioè considerare il p-esimo

bano esistere sulla varietà forme differenziali globali diverse da quella con i gruppo di coomologia di De Rham de6nito dacoefficienti identicamente nulli ).

Il modo stesso con il quale sono state introdotte le definizioni di prefascio Ker d : I'(X, Si') I' ( X, Si'+r)e di fascio suggerisce la maniera per estendere sulla varietà molte cose viste Im d : I'(X, Sn-r) Z( X, Sn) 'localmente. In particolare, su ogni U„ abbiamo il differenziale esterno In particolare X, essendo una varietà topologica paracompatta, ammetterà

~v . <" (U.) - ©'"(U.) anche una coomologia a valori in un fascio e ancora piu in particolare quindiuna coomologia a coefficienti reali. Avremo quindi, per ogni p, il p -esimo

e questo puo estendersi ad ogni U, in un omomorfismo gruppo di coomologia a valori reali H>(X, R). Il r isultato fondamentale chedtr : Si' (U) Kr +'(U). ora si è in grado d'enunciare è il seguente

Si verifica facilmente che, se V~ U si ha i l d iagramma commutativoTEQREMA (De Rham). I gruppi di coomologia costruiti con le forme differen­

ziabiIi HiuR(X) ed i g ruppi di coomologia a coef ficienti reali Hi ' (X, R) sonoisomorfi.

<" (U)­" <"+i (U)j iv Questo risultato, della massima importanza, ottenuto da De Rham intorno

Ki'(V)~ Kr +r (V) al ig3o, mostra come la struttura differenziabile di X, mediante il calcolo deidv gruppi di coomologia di De Rham, permetta di caratterizzare la struttura

cioè un «ornomorfismo globale» d : gi'~ 5 i '+r.topologica; almeno quella parte della struttura topologica che è definibile in

Per questo omomorfismo si ha ancora d o d= o (il che significa che localmente termini di coornologia. [M. o.].

DifFerenziale 8z8 8zx) DifferenzialeTonti, E,

Birkhoff, G., e Kellog, A. m«hcm«« l s t r ctu r of alarge I ss f Phys Ith o s x R d d Jxgzz In v ar iant points in funcxion space, in «Transactions of the American Mathematical So­ classe di scienze fisiche matematiche naturali dell'Accademia dei Li ncei », gennaio.ciety», XXII I . Tricorni, F. G.

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Cartan, E.x899 Sur certaines expressions différentielles et le problème de PfaffF, in «Annsles de l'Ecole Nor­

Equazioni differenziali ordinarie e alle derivate parziali sono presenti fin nei primi

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Coddiugton, E. A., e Levinson, N.astronomia, stabilità/instabilità), a fenomeni di propagazione (cfr. suono/rumore),

x955 Theory of Ordinary Differential Equations, McGraw-Hil l, New York. quali il problema della corda vibrante. Quest'ultimo in particolare ha grande importan­

Eulero, L.za per lo sviluppo del concetto di funzione (cfr. funzioni). Anche i problemi relativi

x77o In sxitutionum calculi integralis, voi. II I , Accademia Imperiale delle Scienze, Petershurg.al calcolo delle variazioni (cfr. anche variazione e calcolo) si presentano con il sorgere

Forsyth, A. R.del calcolo stesso, legandosi spesso a concezioni generali del mondo

(cfr. cosmologie)x8go Th eory of Differential Equations, Camhridge University Presa, Cambridge.

o a problematiche filosofiche generali (cfr. filosofia/filosofie).

Giusti, E., e Miranda, M.Con l'affermarsi dell'esigenza del rigore, i procedimenti differenziali divengono og­

xg68 Un esempio di soluzioni discontinue per un problema di minimo relativo ad un integrale re­getto di una revisione critica che pone in luce l'importanza di concetti quali la continuità

golare del calcolo delle variazioni, in «Bollettino dell'Unione Matematica Italiana», serie(cfr. continuo/discreto) e, parimenti, l' importanza dei teoremi d'esistenza, con la ne­

IV, I, z, pp. zxg-z6. cessaria attenzione al punto di vista locale/globale. Le forme differenziali, definite su

Goursat, E.curve, superfici (cfr. curve e superfici) o piu in generale su varietà topologiche (cfr.

xgzz Legons sur le Problème de Pfaff, Hermann, Paris. geometria/topologia), pongono in luce importanti legami tra l 'analisi ed altri settori

Hadamard, J.della matematica (cfr. anche invariante). I problemi all'origine del calcolo differenziale

xgz4 Pr i ncipe de Huygens et prolongement analytéque, in «Bulletin de la Société Mathémstiquesi collegano strettamente al concetto di approssimazione da un lato, e al problema teo­

de Frsnce», LII , pp. 3xx-49. rico dell'infinito dall 'altro. Nel considerare questi problemi va posta in evidenza l'es­

Hegel, G. W. F.senza dialettica dei cambiamenti dei punti di vista.

x83o En cyklopadie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Oswald, Heidelhergx83o (trad. it . Laterzs, Bari xg75).

x 835 Ve rmischte Schriften, in Werke, voi. XVII , Duncker und Humblot, Berlin und Leipzig(trad. it. in Le t tere, Lsterzs, Bari 1972).

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Schwartz, L.xg67 Co urs d'analyse, voi. Il, Hermann, Paris.

Funzione

r. Il te r m ine e le sue accezioni.

Come spesso capita per i concetti utilizzati in vari campi di conoscenza,la nozione di funzione comprende accezioni piu o meno generali o specifichea seconda delle discipline che la usano. I significati piu generali si riscontranonelle scienze cosiddette esatte, soprattutto matematica, fisica e chimica, men­tre la biologia e le scienze umane e sociali aggiungono al senso generale certesfumature che derivano chiaramente da caratteri specifici degli oggetti che essestudiano. Passando, ad esempio, dal mondo inanimato a quello animato, si con­stata la progressiva introduzione di idee complementari che riguardano essen­zialmente la nozione di finalità, o addirittura quella di intenzionalità. Questospostamento di senso, oppure, se si preferisce, il suo arricchimento grazie al­l'addizione di nuove specificità, può essere facilmente constatato, come si ve­drà ricapitolando ciò che la nozione di funzione rappresenta nelle diverse di­scipline.

In matematica, il concetto è associato alle situazioni in cui una grandezza,chiamata appunto «funzione», è determinata dal valore assunto da un'altragrandezza chiamata «variabile». Si tratta perciò di una relazione di dipenden­za da parte di una grandezza nei confronti di un'altra, dipendenza che d'al­tronde si trasforma facilmente in interdipendenza grazie alla nozione di fun­zione inversa. Per generalizzazione, si passa in seguito alla nozione di funzionedi piu variabili, poi a quella di funzione multivoca, per giungere all'idea ge­nerale di corrispondenza, ovvero di variazione concomitante di diverse gran­dezze. La nozione matematica di funzione consente cosi di descrivere il ruolodi questa o quella variabile, in un insieme di variabili legate tra di loro nelmodo che è appunto precisato dalla funzione stessa.

Se si passa dalla matematica alle scienze della natura inanimata, il con­cetto di funzione rimane sostanzialmente inalterato. Per esempio, quando inchimica si parla della funzione acida o basica di un tipo di molecole, si trattasempre di proprietà che queste molecole manifestano in un dato ambiente,cioè del ruolo che hanno nell'insieme che esse costituiscono unitamente a ciòche le circonda e che con esse interagisce.

Nel passaggio alle scienze della natura animata appare uno spostamento disenso, o, piu esattamente, un'aggiunta semantica che si va precisando manmano che ci si sposta verso le discipline che hanno come oggetto gli organismipiu evoluti e, soprattutto, nel caso delle relazioni fra tali organismi riunitiin società. La nozione di funzione tende, in questo caso, a non inglobare piul'insieme delle proprietà manifestate dagli elementi considerati nell'ambientein cui sono posti, bensi soltanto quelle che concorrono alla realizzazione diun dato obiettivo. Cosi, quando in biologia si parla della funzione fisiologicadi un organo, se ne considerano soltanto le proprietà che gli consentono di

Funzione gr6 Funzione

partecipare a certi aspetti, considerati essenziali, del funzionamento comples­ giunta dei concetti di causalità e di finalità, alla luce di quanto potrebbe veni­sivo del sistema di cui è un costituente. Allo stesso modo, la funzione di un re loro dallo studio della nozione di funzione. Infatti, quanto si è appena dettoindividuo in una società tiene conto soltanto del ruolo esercitato in vista della sul ruolo della specificità dell'ambiente negli aspetti finalizzati del compor­realizzazione di determinati obiettivi. Inf ine, per naturale estensione, l'uomo tamento degli elementi, lascia intravvedere una nuova possibilità di aKron­applica la stessa nozione agli oggetti che costruisce; per esempio, a proposito tare la famosa antinomia tra descrizione causale e descrizione finalistica deidella funzione di un elemento di un meccanismo, oppure di questa o quella fenomeni. Non è escluso che la necessità di ricorrere a spiegazioni finalisticheparte di un edificio in architettura. sia conseguenza nella maggior parte dei casi, dell'aver trascurato l'ambienta­

Si noterà subito che il secondo senso del termine 'funzione', che si po­ zione dei sottosistemi studiati, e che una esplicitazione piu completa o piutrebbe definire come senso finalizzato, è in realtà una specificazione del primo adeguata dell'ambiente permetta di ritrovare l'ambito delle spiegazioni causali.senso, che è piu génerale e non fa astrazione a priori da nessuna proprietà,da nessuno dei ruoli principali o secondari che un elemento può manifestarenell'insieme di cui fa parte. Qualsiasi analisi della nozione di funzione implica z. Il p r obkma della ricerca difunzioni elementari e della definizione di ca­perciò, in primo luogo, un esame dettagliato del suo significato piu fondamen­ ratteristiche intrinseche di elementi.tale, vale a dire di quello che appare in statu nascendi nelle procedure generaliche si intraprendono per conoscere il mondo circostante; a questo esame sarà La funzione di un qualsiasi oggetto o elemento è strettamente legata alconsacrato essenzialmente questo articolo. comportamento di tale elemento e al ruolo che esso svolge in un ambiente

È opportuno notare che lo studio delle funzioni finalizzate è impensabile dato, il quale è, a sua volta, costituito da vari elementi. La nozione di funzionese non si definisce in modo preciso la struttura del sistema inglobante, che è quindi inseparabile da quella d'interazione e, di conseguenza, anche da quel­condiziona gli stati verso i quali esso tende di conseguenza, cioè, ad essere la di sistema; la sua esplicitazione può essere fatta solo a patto che interven­

precisi, la sua finalità. Per i sistemi molto complessi (biologici, ad esempio), gano, al tempo stesso, l'elemento considerato e gli altri elementi situati nel­oppure per quelli la cui lenta evoluzione è nota soltanto su lassi di tempo re­ l'ambiente. Come si è visto, parlare delle funzioni di un elemento non preci­lativamente brevi (società umane, ad esempio ) , l'inventario esaustivo di tut t i sando affatto l'ambiente al quale esse si riferiscono è, a rigor di logica, uni fattori che intervengono in modo significativo nel loro comportamento è sem­ controsenso. Tale approssimazione diventa accettabile solo se si è già stabilitopre un'operazione estremamente difficile e, in numerosi casi, probabilmente che le funzioni in questione si ri trovano in tutt i i s istemi di cui l 'elementosenza speranza allo stato attuale delle conoscenze. I tentativi che a questo può far parte. Bisogna tuttavia temere che l'uso troppo frequente di questoscopo possono essere compiuti implicano spesso scelte piu o meno arbitrarie, linguaggio ellittico faccia dimenticare l'interdipendenza fondamentale che esi­o addirittura giudizi di valore, che comportano seri dubbi sulla validità e obiet­ ste tra le nozioni di funzione e di sistema. L'unica eccezione a questa regolatività delle conclusioni cui si giunge. Perciò, includere nell'analisi della no­ corrisponde al caso degli elementi che si modificano indipendentemente dalzione generale di funzione certi aspetti che appartengono ai caratteri propri loro ambiente, vale a dire ai mutamenti che possono essere spiegati a partiredi questa o quella particolare funzione finalizzata sarebbe una fonte di con­ dalle sole caratteristiche intrinseche dell'elemento. Si potrebbe essere tentatifusione. Gli studi che si situano a questo livello non sono certo privi d' inte­ di classificare questo comportamento sotto la voce «proprietà intrinseche» del­resse, né d'importanza, ma trovano la loro vera collocazione solo quando si l 'elemento, sottolineando cosi una separazione dalla nozione di funzione. Intenta d'applicare a sistemi particolari le considerazioni sviluppate a proposi­ definitiva, è tuttavia preferibile includere questo particolare comportamentoto della nozione generale di funzione. nella nozione di funzione, e come caso limite, per le seguenti ragioni.

È evidente, tuttavia, che lo studio della nozione generale di funzione non Una variazione spontanea di un elemento, cioè una variazione che dipendeimplica l'eliminazione di tutto ciò che riguarda l'ambientazione degli oggetti esclusivamente dalle sue caratteristiche intrinseche, fa effettivamente parte delconsiderati. Certi caratteri generali di questo ambiente, e comunque la sua suo comportamento. L'unico problema consiste nel sapere se questo elemen­esistenza, dovranno evidentemente essere conservati, dal momento che diven­ to svolge un ruolo nei confronti degli altri elementi che costituiscono il suoterebbe impossibile parlare di funzione senza l'idea d'interazione. Saranno tra­ ambiente 'ovvero, in altri termini, se l'elemento considerato e il suo ambien­scurati soltanto i caratteri specifici di particolari ambienti, in quanto non per­ te costituiscono effettivamente un sistema. Invero, i l fatto che un elemen­tinenti all'analisi. to subisca soltanto variazioni spontanee non consente di concludere che ta­

Si noti infine, per concludere questa introduzione, e a titolo di semplice le elemento e il suo ambiente sono indipendenti. Ciò significa soltanto chesuggerimento, che un altro studio di carattere generale meriterebbe senz'al­ il comportamento dell'elemento non dipende dal suo ambiente, ma non pertro di essere fatto, come prolungamento di quello che qui sarà compiuto a questo la relazione inversa è esclusa, e, in questo caso, è sempre possibile cheproposito della nozione di funzione. Bisognerebbe effettuare un'analisi con­ l'elemento eserciti un ruolo nel comportamento del proprio ambiente..Un esem­

Funzione 4i8 4I9 Funzione

pio classico di tale situazione è dato dalle catene di fi liazione, nelle quali i partizione scelta inizialmente si riveli la migliore in tutt i i casi, e spesso sidiscendenti dipendono dagli ascendenti, senza reciprocità. Dal momento che giunge a una scelta soddisfacente soltanto attraverso una serie di approssima­l'esistenza di variazioni spontanee in un elemento non esclude a priori che es­ zioni successive. Inoltre, è evidente che le partizioni possibili dipendono stret­so svolga un ruolo nei confronti dell'ambiente, in definitiva è perfettamente tamente dal livello d'osservazione al quale ci si pone. I modelli teorici elabo­logico includere le proprietà intrinseche nella nozione di funzione. Il caso in rati per la descrizione e la spiegazione dei fenomeni possono variare notevol­cui una variazione spontanea non si traduce in una funzione effettiva è cosi mente a seconda di questo livello e, di conseguenza, anche a seconda dellaricondotto alle proprietà dell'insieme degli elementi considerati, e dipende dal partizione scelta.fatto che questi ultimi costituiscano o no un vero e proprio sistema. Il passaggio dall'osservazione delle relazioni tra elementi alla discrimina­

Le funzioni di un elemento in un ambiente dato sono, in l inea di prin­ zione in funzioni elementari è generalmente difficile, come lo è ogni procedi­cipio, esprimibili a partire dalle caratteristiche intrinseche dell'elemento, dalle mento induttivo. È ben raro che questo passaggio appaia subito evidente ecaratteristiche intrinseche degli elementi dell'ambiente, e da quelle che, non univoco, e ciò è tanto piu vero quanto piu numerosi e diversi sono gli elementiessendo attribuite in modo specifico ad alcun elemento, appaiono sotto forma in presenza. Si intuisce facilmente come questo problema debba essere affron­estrinseca, cioè in quanto caratteristiche attribuite globalmente al sistema (nel tato in primo luogo sui sistemi piu semplici possibili, quelli cioè che com­caso di un campo, ad esempio). È tuttavia importante notare che, in realtà, portano pochi elementi, simili o appartenenti a un r istrettissimo numero dilo studio della natura corrisponde anzitutto a una procedura in senso inverso. tipi differenti. Inoltre, tale sistema deve poter essere considerato come isolatoSi parte dall'osservazione delle interazioni, e di conseguenza delle funzioni, dal mondo esterno, perlomeno per tutto ciò che non è attinente alle intera­giungendo, per induzione, all'attribuzione di un certo numero di caratteri­ zioni in esame. La nostra conoscenza della natura si è sviluppata a poco a poco,stiche ad ogni elemento, cioè alla sua definizione. Si può addirittura affermare operando appunto in questo modo, e si potrebbe addirittura dire che è pro­che, in una fase anteriore, dall'osservazione del mondo che ci circonda, dalle prio cercando di lavorare su partizioni del mondo, cioè su sistemi, i piu sem­relazioni e dalle variazioni che vi scopriamo, già si forma a poco a poco la plici possibili, che la fisica classica è giunta progressivamente a individuarenozione stessa di elemento. Questa osservazione primordiale, che ci induce le grandi funzioni elementari del mondo materiale che oggi conosciamo. Ilad abbandonare la percezione indifferenziata, cioè quella di un tu t to come sistema semplice costituito da un qualsiasi oggetto e dalla Terra, opportuna­elemento unico, si traduce in definitiva in due operazioni complementari, la mente isolato dalle interazioni parassite con l'eliminazione dell'atmosfera, haprima analitica che corrisponde alla partizione in elementi, l'altra sintetica che consentito di studiare la funzione peso o gravitazione, e ha portato cosi allarispetta l'interdipendenza delle parti sotto forma di relazioni tra gli elementi. nozione di massa come caratteristica intrinseca degli elementi. Analogamente,La nozione di funzione corrisponde a una tappa essenziale della ricerca dei partendo dapprima da un sistema semplice a due elementi si è potuto metterefattori che intervengono nelle relazioni tra elementi. Capita spesso che gli ele­ in evidenza la funzione d'interazione elettrica e, di conseguenza, la caratteri­menti di un sistema intervengano nelle relazioni che li concernono in forme stica intrinseca di carica elettrica. La stessa situazione si è ripresentata quandomolto diverse, cioè secondo processi che appaiono chiaramente difFerenti. Evi­ si sono dovute precisare a livello macroscopico le interazioni che prendonodentemente, è interessante cercare di distinguere questi processi, e ricondurli la forma di scambi di calore o di energia meccanica, e di definire corretta­a un numero il piu l imitato possibile d'interazioni tipiche e irriducibili t ra mente le caratteristiche di capacità calorica e di temperatura. Evidentemente,loro, ovvero mettere in evidenza, per l'appunto, funzioni elementari. Questa si potrebbero citare molti altri esempi di questo tipo. Si constata sempre cheprogressiva riduzione, di cui è evidente l'interesse per l'unificazione delle scien­ la scienza riesce a studiare, solo procedendo molto gradualmente, sistemi piuze, è già contenuta in nuce in ogni procedimento induttivo, nel quale si passi complessi, nei quali intervengono simultaneamente piu funzioni elementari.dall'osservazione delle relazioni tra elementi dell'attribuzione a questi ultimi I campi in cui i l r igore appare piu difficilmente raggiungibile sono appuntodi diverse caratteristiche intrinseche, come si vedrà tra poco, quelli in cui non si riescono a realizzare condizioni che corrispondano all'in­

La partizione in elementi e l 'attribuzione di caratteristiche intrinseche a tervento di una sola funzione elementare, oppure, al limite, di un piccolissimoquesti ultimi costituiscono quindi due operazioni strettamente correlate. Non numero di tali funzioni. È il caso, in particolare, di tutto ciò che riguarda ilappena si sceglie una partizione, l'osservazione delle relazioni tra elementi per­ mondo vivente.mette di estrarre a poco a poco un certo numero di funzioni elementari e di Ci si può chiedere come riconoscere in pratica che una sola funzione ele­accedere cosi alle caratteristiche intrinseche. A due partizioni differenti pos­ mentare interviene in un sistema. In realtà, non esiste alcuna risposta sempli­sono corrispondere funzioni differenti. La scelta iniziale che sta alla base della ce a questa domanda. Si può, al massimo„enunciare un principio che costi­partizione ha perciò una grande importanza. Essa può comportare conseguen­ tuisce piu una guida che una regola precisa. Si può affermare, in generale,ze piu o meno felici sull'ulteriore sviluppo della teoria, relativamente alla sua che una funzione elementare tra due elementi darà luogo a una interazioneestensione, semplicità o estetica. Non si può mai pretendere a priori che una esprimibile con una combinazione semplice di un piccolissimo numero di ca­

Funzione 420 42I Funzione

ratteristiche. Per esempio, nel caso di un sistema materiale, si è praticamente quelle particolari funzioni che qui sono state chiamate proprietà intrinseche.sicuri di avere a che fare con una funzione elementare quando le interazioni In termini generali, i fenomeni cosi osservati dipendono dalla storia prece­

osservate sono esprimibili con una sola particolare caratteristica intrinseca e dente dell'elemento, e in particolare dallo stato in cui si trovava nel momento

con caratteristiche relative alla situazione spaziale ed eventualmente al moto. in cui è stato isolato da ogni azione proveniente dall'esterno. Facendo variare

Non si tratta affatto di un giudizio prematuro, dal momento che certe caratte­ questa storia anteriore alle osservazioni, è possibile mettere in evidenza di­

ristiche possono apparire indipendenti a un certo livello, mentre in realtà esi­ versi aspetti delle proprietà intrinseche dell'elemento.

ste tra loro una dipendenza, che emerge a un altro livello d'osservazione e La situazione di semi-isolamento cui si accennava è in realtà piuttosto rara,

comporta, di conseguenza, una riduzione del numero di caratteristiche ne­ soprattutto se la si considera in termini rigorosi. Nella stragrande maggioranza

cessarie. Cosi, le interazioni elettriche, che si esprimono semplicemente a par­ dei casi, gli elementi osservati partecipano a interazioni molteplici e diverse,

tire dalla caratteristica di carica elettrica e dalle coordinate spaziali, appaiono alcune delle quali possono corrispondere a scambi nei due sensi con l'ambiente

proprio come l'espressione di una funzione elementare. Allo stesso modo, a esterno. Di conseguenza, la ricerca delle funzioni elementari può talvolta di­livello macroscopico, si rende facilmente conto delle interazioni magnetiche ventare molto difficile. Lo scopo da raggiungere consiste sempre nel riuscire

a partire dalla nozione di massa magnetica e dalle coordinate spaziali, fatto a isolare un fenomeno semplice, eliminando le interazioni parassite suscetti­

che ha indotto a considerare questo tipo di interazione come elementare. Que­ bili di modificarlo e mostrando che le interazioni secondarie che sussistono

sta conclusione era certo legittima al l ivello d'osservazione scelto, anche se non hanno alcuna influenza su di esso oppure sono trascurabili. Queste ope­

si è giunti in seguito a mostrare che la nozione di massa magnetica era ridu­ razioni di discriminazione possono essere piu o meno complesse e delicate,

cibile a quella di carica elettrica associata alle caratteristiche del moto. non foss'altro, in primo luogo, perché la nozione stessa di fenomeno semplice

In definitiva, la parte piu difficile del procedimento induttivo consiste chia­ richiede una valutazione che non è totalmente priva di soggettività, come si

ramente nel mettere in evidenza le funzioni elementari a partire dall'osser­ è visto. Molto spesso esse necessitano di un approccio per tentativi nel quale

vazione delle relazioni tra elementi. Il passaggio della conoscenza di una fun­ le conoscenze precedenti, le ipotesi e le verifiche sperimentali svolgono un

zione, riconosciuta come elementare, all'attribuzione di caratteristiche intrin­ ruolo importante. Capita beninteso che queste complesse procedure approdi­seche costituisce una fase meno delicata, dal momento che si traduce, in molti no rapidamente a situazioni semplici, e si capisce come il fatto di non r icer­

casi, nell'enunciato di un predicato qualitativo unico, accompagnato eventual­ care una precisione troppo grande sia, da questo punto di vista, favorevole.

mente da caratteristiche quantitative proprie di ciascun elemento. In questa A titolo d'esempio, si può citare lo studio della gravità attraverso l'osserva­

fase, la difficoltà specifica appare solo in seguito, quando ci si deve garantire zione della caduta di un grave in prossimità della Terra. I l sistema conside­

l'indipendenza della nuova caratteristica intrinseca dalle caratteristiche già note, rato obbedisce certamente al criterio di semplicità, come dev' essere ogni volta

oppure, nel caso opposto, quando bisogna stabilire le vere e proprie relazioni che si ricerca una funzione elementare, dal momento che è costituito da due

di dipendenza. Questo problema in generale può essere risolto solo accedendo elementi, la Terra e il grave di cui si studia la caduta. Ma, in pratica, e senza

a un livello piu fine di descrizione, dal momento che, se si rimane allo stesso particolari precauzioni, il sistema reale è piu complicato, comportando anche

livello d'osservazione, molto spesso non si può far altro che stabilire relazioni l 'atmosfera tra i l g rave e la T e r ra. S i t r a tta effettivamente, come dimostra

empiriche e non esplicative. l'esperienza, di un elemento parassita che deve essere eliminato, dal momento

È evidente che l'accesso alla conoscenza scientifica di un elemento unico, che perturba, a causa dei fenomeni d'attrito, l ' interazione elementare che si

che si suppone totalmente isolato, è teoricamente da escludersi. Un elemento vuole studiare. Per contro, le interazioni che hanno luogo tra gli elementi del

manifesta la sua presenza e le sue proprietà in modo duraturo o riproducibile sistema e la luce, e che sono obbligatoriamente implicate da una qualsiasi

soltanto grazie alle interazioni nelle quali interviene. Una sia pur minima co­ osservazione visiva degli elementi, appaiono come secondarie e senza influen­

noscenza relativa a tale oggetto esige, evidentemente, che esso agisca in qualche za sul fenomeno di base studiato. Questo esempio, particolarmente semplice

modo su noi stessi, direttamente o attraverso strumenti d'osservazione da noi nella sua concezione, è stato scelto soltanto per il lustrare le nozioni di feno­

utilizzati. Questa condizione minimale sine qua non corrisponde alla situa­ meno parassita e di fenomeno secondario. Le situazioni di questo tipo sonozione di un elemento semi-isolato, vale a dire che non riceve nulla dall'esterno in realtà piuttosto eccezionali, e la ricerca delle funzioni elementari si presenta

ma che emette verso l'esterno vari segnali. L'elemento considerato si trova spesso in condizioni molto piu difficili.

dunque in uno stato instabile e, se si ammette la validità generale della legge Le difficoltà vere e proprie emergono quando si vuole rendere conto di

di conservazione dell'energia, si può affermare che questa situazione non du­ osservazioni sempre piu precise. È allora frequente che un certo numero di fe­

rerà all'infinito. Le osservazioni che in questo caso si possono fare corrispon­ nomeni parassiti, che prima potevano essere trascurati, intervengano in modo

dono perciò a fenomeni transitori. Esse consentono di accedere, almeno par­ significativo, rendendo sempre piu delicato l'isolamento di un solo fenomeno.

zialmente, a una parte delle proprietà che l 'elemento può manifestare, cioè D'altronde, si può affermare che, in generale, all'osservazione sempre piu pre­

Funzione 4.22 423 Funzione

cisa di un sistema corrisponde una diminuzione del numero di fenomeni che un certo numero di caratteristiche intrinseche corrispondenti alle diverse fun­possono essere considerati come secondari, e un aumento del numero di fe­ zioni elementari alle quali è suscettibile di partecipare l'elemento considerato.nomeni che devono essere considerati come parassiti. Tale situazione non pre­ Se i sistemi studiati sono rappresentativi della diversità dei possibili sistemisenta ostacoli insuperabili finché le interazioni si ripartiscono su una scala d'in­ in cui può intervenire l'elemento, la sintesi delle definizioni funzionali otte­tensità abbastanza grande. La progressione dai livelli d'osservazione meno pre­ nute per ciascuno di essi consente di raggiungere una definizione universalecisi a quelli piu precisi consente, in tale caso, di separe in fasi successive i di­ dell'elemento stesso, o, perlomeno„una definizione valida per tutt i i casi r i­

versi tipi d'interazioni e di valutare la loro importanza relativa. La nostra cono­ scontrabili in pratica.scenza della natura nei secoli passati è progredita essenzialmente in questo mo­do. Le difficoltà diventano piu serie quando piu tipi d'interazioni si manifestanocontemporaneamente e con un'importanza dello stesso ordine. Se le conoscen­ 3. Dal carattere locale degli elementi al carattere globale del sistema. Ilze precedenti non consentono d'identificare a priori nel fenomeno globale la pre­ residuo delle caratteristiche funzionali estrinseche.senza simultanea di funzioni elementari, oppure se procedimenti sperimentalisempre piu raffinati non approdano alla separazione in fenomeni piu sempli­ La ricerca delle caratteristiche significative di un sistema non sempre sici, la ricerca delle funzioni elementari diventa evidentemente difficile. Capi­ conclude nella sola attribuzione di caratteristiche intrinseche agli elementi. Inta cosi che ci si debba limitare a evidenziare funzioni relativamente comples­ molti casi sussise ciò che, da questo punto di vista, si potrebbe chiamare unse, o addirittura a una semplice fenomenologia globale degli effetti osservati. residuo, sotto forma di caratteristiche estrinseche, definibili soltanto al livelloSi ritrova infine la stessa situazione quando è impossibile lavorare su siste­ globale del sistema considerato o del suo ambiente. È raro infatti che si possami sufficientemente semplici, sia che non si disponga di alcun mezzo d'azio­ spingere la differenziazione di un sistema fino a eliminare ogni caratteristicane, come in astronomia, sia che la separazione in sistemi semplici faccia scom­ sotto forma estrinseca. E ci si può chiedere se, in tali condizioni, la nozioneparire certe funzioni essenziali, come in biologia. Se si vuole superare la mera di definizione universale di un elemento conservi un senso sufficientementedescrizione dei fenomeni, l'unico approccio rimane, nel primo caso, l'elabo­ preciso, Tale definizione, infatti, dovrebbe contenere tutto ciò che è neces­razione di ipotesi teoriche al livello delle funzioni elementari e la verifica del­ sario a rendere conto del comportamento dell'elemento nelle piu diverse si­la loro fondatezza attraverso le conseguenze che esse comportano per i l s i­ tuazioni, il che esclude che certe caratteristiche appaiano esclusivamente sottostema considerato nel suo insieme. Nel secondo caso, la separazione in siste­ forma estrinseca. Per rispondere a questa domanda, bisogna anzitutto ricor­

mi piu semplici può sempre essere tentata, come avviene ad esempio in bio­ dare che i due tipi di caratteristiche corrispondono in realtà a due livelli dif­logia molecolare, ma ci si deve aspettare che il progressivo ritorno al l ivel­ ferenti: le caratteristiche intrinseche al livello degli elementi, quelle estrinsechelo del sistema completo presenti serie difficoltà, in particolare per r i trovare al livello del sistema. In secondo luogo, bisogna notare che una caratteristical'origine delle funzioni che scompaiono al momento della separazione in si­ può essere considerata come estrinseca per svariate e molto diverse ragioni.stemi semplici. Per evitare tali difficoltà, bisognerebbe poter realizzare uno Una prima ragione può essere che la caratteristica considerata corrispondastudio molto minuzioso di tutt i i possibili sistemi intermedi tra i l ivell i p iu senza possibile ambiguità al l ivello del sistema; è i l caso, per esempio, delsemplici e il livello globale, impresa che, nella maggior parte dei casi, è prati­ numero totale di elementi contenuti nel sistema, indipendentementedalla lorocamente impossibile. L'elaborazione di ipotesi e di modelli teorici può evi­ natura o dagli stati che essi occupano.dentemente essere impiegata anche per tali sistemi, ma il r ischio di gratuità Una seconda ragione può essere che la caratteristica esprima un'azione ester­cresce rapidamente man mano che aumenta la complessità del sistema. Il ca­ na imposta al sistema; è il caso, per esempio, dell'azione di un campo esternorattere ipotetico dei modelli teorici, in realtà, dipende molto dal livello di de­ sul sistema oppure, piu generalmente, dell'azione di un qualsiasi elementoscrizione scelto, e il miglior mezzo per ridurre questo carattere ipotetico con­ esterno non esplicitamente descritto. Si noterà subito che, in questo caso, è

siste nel collocare la partizione teorica del sistema al livello in cui gli elementi essenzialmente la scelta iniziale fatta per la partizione in elementi a permetteresono meglio conosciuti e differiscono il meno possibile relativamente alle ca­ <li tradurre l'azione considerata sotto forma di caratteristica estrinseca del si­ratteristiche qualitative che permettono di definirli . stema. L'unificazione del sistema inizialmente considerato e delle influenze

Mettere in evidenza le funzioni elementari è insomma una fase essenziale esterne che esso subisce sarebbe sempre possibile e darebbe luogo a un nuovo

tra la partizione in elementi e l'attribuire loro un certo numero di caratteri­ sistema unico, con la riserva di un'adeguata modifica del numero e della def­stiche intrinseche. Le definizioni di elementi cosi ottenute per induzione sono inizion degli elementi costitutivi. Si ri trova qui, ancora una volta, il carattereperciò definizioni funzionali, le sole accessibili al metodo scientifico. Molti­ inulto relativo della definizione degli elementi e degli stati che possono occu­plicando e diversificando lo studio dei sistemi in cui interviene un dato ele­ p ire, La considerazione di tutti gli stati possibili, per interazioni molto diverse,mento, è possibile individuare a poco a poco, con questo processo induttivo, l essenziale nella ricerca della definizione universale degli elementi.

Funzione 4z4 4zS Funzione

Una terza ragione consiste nel fatto che una caratteristica può essere con­ lizzando le nozioni di divisione, di classe, d'ordine, di famiglia, di genere e disiderata estrinseca per motivi di comodità nello studio del sistema. In. questo specie. È certo possibile adottare distinzioni di questo tipo nella definizionecaso, essa può benissimo essere espressa, se necessario, sotto forma di caratte­ di qualsiasi elemento, anche se soltanto quattro nozioni sembrano essere fon­ristica intrinseca degli elementi. È questo il caso, ad esempio, della tempera­ damentalmente utili . Si definiscano, per esempio, le seguenti categorie:tura, che è una caratteristica estrinseca, e della sua traduzione in termini di x) L'ordine, attraverso l'esistenza di un insieme dato di predicati qualitativi.energia cinetica degli elementi, ossia in termini che corrispondono a caratte­ z) La famiglia, con gli stessi predicati qualitativi dell'ordine superiore, eristiche intrinseche. con un certo numero di altri predicati qualitativi considerati secondari

Una quarta ragione, infine, è che una caratteristica appaia come estrinseca rispetto ai primi.senza che si sappia se corrisponde obbligatoriamente al livello del sistema op­ 3) II genere, con gli stessi predicati qualitativi della famiglia superiore,pure se è possibile tradurla sotto forma di caratteristiche intrinseche degli ele­ ognuno dei quali è qui accompagnato da una caratteristica quantitativamenti. Questo era il caso della temperatura prima dell'affermazione della teo­ situata in una certa gamma piuttosto vasta di valori.ria cinetica del calore.

Gli ultimi tre casi hanno effettivamente un'incidenza diretta sulla defini­4) La specie (o stato), con gli stessi dati del genere superiore, ma qui ogni

zione degli elementi, ma non intervengono allo stesso modo nella ricerca dicaratteristica quantitativa è situata in una sottogamma di valori piu r i­stretta rispetto al caso del genere, o addiri t tura corrispondente a un

una loro definizione universale. Il terzo caso, ad esempio, non presenta alcuna unico valore perfettamente definito.difficoltà, dal momento che è sempre possibile tradurre la caratteristica estrin­seca considerata in termini di caratteristiche intrinseche degli elementi. Per Si noti fino a che punto la nozione di funzione sottende tale classificazione.contro, il quarto caso rappresenta un l imite imposto dalla nostra ignoranza Il passaggio dall'ordine alla famiglia introduce infatti una gerarchia di predi­del significato profondo della caratteristica estrinseca. Dal momento che non cati qualitativi, cioè funzioni nelle quali intervengono questi predicati. Quellisi può affermare che questa caratteristica non è traducibile in termini intrin­ che servono a definire l'ordine sono considerati di fondamentale importanza,seci, non è possibile garantire che le definizioni adottate per gli elementi del mentre quelli che corrispondono alle varie famiglie di uno stesso ordine sonosistema sono universali. I l secondo caso, infine, corrisponde a una situazione di secondaria importanza. D'altronde, la sistematica biologica utilizza un mag­classica nella ricerca delle varie funzioni alle quali possono partecipare gli ele­ gior numero di categorie proprio allo scopo di sfumare e di precisare questamenti, ed è direttamente legata alla partizione adottata nella prima fase dello gerarchia. Bisogna comunque evitare di spingersi troppo avanti su questa viastudio. Nel nuovo sistema, ottenuto con l'unificazione del sistema considerato che è legittima, ad essere rigorosi, solo se si conoscono perfettamente le rela­inizialmente e delle azioni esterne che esso subisce, il problema del significato zioni esistenti fra tutt i i p redicati e tutte le funzioni nelle quali può interve­delle caratteristiche estrinseche e della loro traducibilità in termini intrinseci nire l'elemento. Evidentemente, questo non è sempre vero, soprattutto quan­ricalca una delle altre tre forme già citate. do gli elementi considerati sono complessi. Un predicato qualitativo può es­

In definitiva, si può dire che si è in presenza della definizione universale sere considerato secondario soltanto se è stato possibile garantirsi che la suadi un elemento quando le caratteristiche intrinseche contenute in tale defini­ soppressione modifica in modo trascurabile l'insieme delle funzioni alle qualizione consentono, da sole oppure combinate con le caratteristiche degli altri può partecipare l'elemento. Ma l' inventario esaustivo di tutte queste funzionielementi, di rendere conto dell'insieme delle funzioni alle quali può parteci­ (liventa sempre piu difficile man mano che cresce la complessità degli ele­pare l'elemento nei vari sistemi in cui può essere incluso. tnenti. È perciò indispensabile, per qualsiasi classificazione che ammetta una

Le considerazioni precedenti consentono di fare un'ultima osservazione sul gerarchia dei predicati qualitativi, precisare a quale insieme di funzioni essaproblema della definizione degli elementi e degli stati che sono suscettibili si riferisce.di occupare. Dato che le caratteristiche di cui bisogna tener conto possono I.a relativa importanza delle diverse funzioni non dipende soltanto, ge­essere molto differenti a seconda delle funzioni considerate, cioè a seconda neralmente, da un semplice giudizio qualitativo. È necessario tener conto an­dell'insieme degli elementi presenti, ci si può chiedere se non sia utile stabi­ <'he dei valori numerici che ad esse sono collegati, e le distinzioni quantitativelire un certo numero di d istinzioni tra i d iversi t ipi d i caratteristiche, per hi' rodotte precedentemente nelle categorie genere e specie hanno appunto que­esempio separando i loro aspetti qualitativi e quantitativi, suddividendo que­ sh> scopo. Queste suddivisioni permettono di distinguere elementi che, anchesti ultimi in gamme di possibili variazioni. Come si può facilmente notare, ~«definit a partire dagli stessi predicati qualitativi, fanno praticamente partesi tratta di un semplice problema di convenzione ma, come spesso capita, ili fi inzioni differenti, a causa delle grandezze delle caratteristiche quantita­tale convenzione può essere utilissima per la chiara descrizione dei sistemi. livc che corrispondono a ognuno di essi. Nel caso di elementi dotati di massaIn altri termini, è un problema di classificazione, analogo a quello che si pone r il i carica elettrica, ad esempio, le funzioni d' interazione gravitazionale edin sistematica biologica, e che gli specialisti di questa disciplina risolvono uti­ vlciirica possono intervenire simultaneamente, perché i loro ordini di gran­

Funzione 4z6 4z7 Funzione

dezza sono raffrontabili, oppure, al contrario, ridursi praticamente a una di riguarda la disposizione delle parti di un sistema, cioè il modo in cui i suoiesse, se i valori delle caratteristiche quantitative rendono l'altra trascurabile. elementi costitutivi interagiscono, si combinano, si scambiano, ecc.Queste suddivisioni quantitative, scarsamente utilizzate in sistematica biologi­ Cosf, a seconda dei caratteri sui quali si fissa l'attenzione, è possibile de­ca a causa della complessità degli elementi considerati, sono tuttavia di fon­ 6nire diversi tipi di strutture, attraverso distinzioni che appaiono essenzial­damentale importanza e dovrebbero quindi essere introdotte in ogni princi­ mente legate alla particolare rilevanza data ora agli aspetti dinamici dei sistemi,pio universale della classificazione. ora a quelli statici. È ovvio che la descrizione dinamica è la piu ricca non fos­

In modo del tutto generale si può dire che la nozione di funzione si situat

s altro perche contiene l'altra come caso particolare, ma, evidentemente, è an­P

al tempo stesso all'origine e al termine di ogni procedimento scientifico. A che la piu delicata. La fonte principale delle difficoltà incontrate consiste nelpartire dalla suddivisione in elementi e dall'osservazione delle funzioni d'inte­ fatto che l'adeguata descrizione dei sistemi varia, in generale a seconda del­razione tra di essi, si giunge alla de6nizione degli elementi stessi. In seguito, l importanza delle interazioni che esistono tra di essi, cioè a seconda del fatto)

con una teoria deduttiva, vale a dire che obbedisce a regole logiche, si cerca che queste interazioni siano forti o deboli. Il problema esiste già per la deter­di prevedere quel sarà il comportamento di questi elementi in un sistema non minazione delle caratteristiche degli elementi definiti globalmente, ma è evi­ancora osservato sperimentalmente. Tutto questo processo, induttivo e de­ dentemente amplificato quando si tenta di ottenere una descrizione piu fine,duttivo, appare quindi, in de6nitiva, come uno sforzo di generalizzazione e e non soltanto globale. Le caratteristiche ottenute per induzione a partire dal­di sintesi delle nostre conoscenze al livello della nozione di funzione, fatto l'osservazione delle proprietà degli elementi, inclusi nei piu semplici sistemiche sottolinea tutta l ' importanza di quest'ultima. possibili (condizione altamente auspicabile, come si è visto, per la determi­

nazione di funzioni elementari ), non rimangono necessariamente valide perlo studio dei sistemi piu complessi nei quali possono intervenire questi ele­

Funzione di un sistema in presenza di altri sistemi. Relazioni struttura­ menti. La difficoltà essenziale, in questo genere di estrapolazione, deriva dallefunzione. Uerso la nozione di funzione finalizzata. ipotesi che si è indotti a formulare relativamente al carattere variabile o inva­

riabile delle caratteristiche utilizzate. Può capitare che alcune di esse, apparseFinora si è ammesso che gli elementi costitutivi di un sistema fossero es­ come costanti nei sistemi semplici che sono serviti a determinarle, debbano,

seri definiti, ciascuno globalmente, da un certo numero di caratteristiche che in realtà, essere considerate come variabili, qualora gli elementi in questionepermettono di esprimere le loro diverse funzioni nel sistema. Ma, in realtà, siano inseriti in altr i sistemi. Che ci si situi al l ivello dei sistemi costituitiun elemento qualsiasi può, a sua volta, essere un sistema. Questa situazione da elementi definiti globalmente, oppure a quello dei sistemi di sistemi, siinduce a esaminare come può essere tradotta la nozione di funzione applicata ritrova lo stesso problema, ma fortemente accentuato nel secondo caso. Nona un sistema, posto in presenza di altri sistemi che costituiscono il suo am­ è certo 'azzardato individuarvi uno dei problemi piu fondamentali e difficilibiente. della metodologia scientifica. Molti errori sono senza dubbio commessi in se­

La trasposizione in questa nuova ottica delle considerazioni sviluppate pre­ guito a ipotesi difettose su questo punto, e forse soprattutto nella nostra epoca,cedentemente a proposito delle funzioni di elementi definiti, ciascuno, attra­ in cui la scienza esplora sistemi sempre piu complessi per i quali il passaggioverso diverse caratteristiche globali, è un'impresa delicata che richiede un'ana­ dalla dissezione analitica alla ricomposizione sintetica è sempre piu delicato.lisi fine dei concetti utilizzati, e che non può essere dettagliatamente descritta Si può dire, infine, che tutto ciò che riguarda l'analisi delle nozioni di strut­in questo articolo. Qui non si farà altro che delinearne le fasi essenziali, rife­ t.ura, e di conseguenza le relazioni tra struttura e funzione, costituisce un pas­rendo comunque alcune delle difficoltà incontrate, e indicando le principali saggio obbligato per l'esame pertinente ed approfondito del concetto di «fun­nozioni alle quali si giunge. zione 6nalizzata», lasciato da parte all'inizio di questo articolo, in quanto non

Quando gli elementi diventano sistemi, questi ultimi devono, per defini­ appartenente «puramente» alla nozione fondamentale di funzione, bensi adzione, essere descritti in quanto tali, e non piu soltanto attaverso caratteristi­ iin complesso di nozioni. Infatti, dal momento che ogni struttura privilegiache globali. Il primo problema che si pone allora è sapere quali dati pertinenti certi percorsi d'azione o d'evoluzione, è chiaro che ogni elemento in essa in­saranno utili a questa descrizione, in modo che possano effettivamente essere cluso eserciterà, in realtà, soltanto una parte delle funzioni di cui è potenzial­collegati alla nozione di funzione, pur r imanendo a un l ivello di generalità incnte capace. E si può anche prevedere che questo fenomeno di «direzionalità»,sufficiente per essere applicabili alle varie situazioni particolari. presente in ogni comportamento finalizzato, sarà tanto piu marcato quanto

Si approda, in questo modo, alla nozione di struttura, o piu esattamente ~iiii complessa, o comunque specifica, sarà la struttura. Bisogna anche notarea concetti precisi che si riferiscono a questa categoria di pensiero, associata i lie è proprio l'introduzione degli aspetti dinamici ed evolutivi delle strutturesuccessivamente a vari qualificativi, esprimenti aspetti diversi delle possibili n permettere di considerare i piu spettacolari processi finalizzati, ad esempiointerazioni o funzioni. Da un punto di vista generico, la nozione di struttura qiiclli che si incontrano in morfogenesi biologica, soprattutto in embriologia.

4z8 4z9 FunzioneFunzione

Tuttavia, al di là delle considerazioni generali che si potrebbero svilupparepone. Basti constatare che le interazioni tra sistemi materiali possono verifi­

in questa direzione, ogni funzione finalizzata richiede, proprio per la sua spe­carsi indipendentemente dall'intervento della nostra mente, mentre questo tipo

cificità, uno studio particolare che faccia intervenire i caratteri pecu!iari de! al' ' d1! d'interazione non è possibile per i sistemi astratti. Se tale può essere un mo­

struttura in cui si manifesta. Ne deriva che tale nozione è piu di competenzativo per giustificare la distinzione fatta tra le due categorie di sistemi, bisogna

dell'esame di numerosi casi particolari che di un'analisi epistemologica ge­anzitutto dire che questa distinzione è utile, dal momento che lo studio sepa­

nerale.rato delle interazioni tra sistemi astratti consente di capire meglio come lamente intervenga nel processo cognitivo, quali sono le tendenze profonde chead essa corrispondono e, di conseguenza, qual è l'origine di un certo numero

Il caso dei sistemi astratti. Dalla nozione di funzione alle nozioni di si­di difFicoltà fondamentali contro le quali ci si scontra inevitabilmente in qual­

gmficato e d'informazione.siasi procedimento cognitivo che faccia intervenire le nozioni di sistema, distruttura e di funzione.

Quanto precede è applicabile senza difficoltà ai sistemi materiali, per i qualiIn primo luogo bisogna notare che, quando la si traspone dai sistemi ma­

le nozioni d'interazione e, di conseguenza, di funzione, appaiono naturali eteriali a quelli astratti, la nozione di funzione subisce uno spostamento che

suscettibili di una descrizione obiettiva. È interessante chiedersi che ne è dila fa corrispondere praticamente, nel secondo caso, alla nozione di «signi6­

queste nozioni quando si cerca di applicarle a sistemi astratti a proposito deicazione». Parallelamente, la nozione d'interazione, applicata ai sistemi astratti,

quali, per de6nizione, non è piu possibile postulare un comportamento indi­tende ad esprimere l'interdipendenza delle significazioni proprie di ciascuno

pendente dalla mente che li concepisce.di questi sistemi. Questa situazione è evidentemente la conseguenza dell'inter­

L'obiezione che può essere rivolta a questa distinzione tra sistemi mate­ vento obbligatorio della mente in tutto ciò che può essere contenuto nel ter­

riali e sistemi astratti deriva dalla constatazione che la nostra conoscenzaidl mine 'interazione', applicato ai sistemi astratti. Come si è visto, questo tipo

un qualsiasi sistema materiale fa sempre, e necessariamente, intervenire und'interazione può aver luogo soltanto nel terzo sistema costituito dalla mente

sistema astratto, ovvero una rappresentazione adattata al nostro intendimento.che conosce, e perciò può rapportarsi soltanto a ciò che, in questa mente me­

Cosi, secondo questa obiezione, ogni conoscenza sarebbe riducibile, in ultimadiatrice, costituisce un riferimento sufficientemente universale per essere ap­

analisi, alle rappresentazioni astratte alle quali essa corrisponde nella nostraplicabile a tutto ciò che è suscettibile d'essere oggetto di conoscenza; la si­

mente, sotto forma d'immagini e d' idee. È innegabile che ogni conoscenzagni6cazione svolge per l'appunto questo ruolo. Si potrebbe credere che il pas­

ha effettivamente bisogno dell'intervento dei sistemi astratti del nostro intel­saggio dalla funzione alla significazione non sia altro, in definitiva, che una tra­

letto. Ciò non significa tuttavia che il completo processo della conoscenza siasposizione sinonimica, adattata ai vari tipi di sistemi. E questa opinione non

riducibile a questa fase, in tutti i casi e per tutti i t ipi di sistemi che si presen­I><iò che rafforzarsi se si osserva che, per i sistemi materiali, la sostituzione

tano alla nostra comprensione. Esiste infatti una differenza essenziale tra i<Icl primo termine con il secondo non presenterebbe molti inconvenienti. La

sistemi materiali e quelli astratti. I pr imi possono avere una spontaneità spe­l'<inzione di un sistema materiale A, situato in un ambiente costituito da altri

cifica, e certe loro interazioni possono verificarsi'indipendentemente dall'in­sistemi materiali B, C, D , . . . , potrebbe benissimo essereconsiderata come

tervento della nostra mente. La caduta di un corpo in un campo gravitazionale,< iò che esprime la significazione del sistema A per l 'ambiente nel quale si

oppure il moto dei pianeti nel sistema solare, sono fenomeni indipendenti dal­(r<>va oppure, al contrario, la significazione dell'ambiente per i l s istema A.

''la conoscenza che ne abbiamo. I sistemi astratti invece non possiedono una IVI ;>, in realtà, la nozione di significazione non ha esattamente le stesse frontiere,

loro specifica spontaneità, e le interazioni che possono avvenire tra di essi»<'. Ic stesse implicazioni, della nozione di funzione. Se è vero che le differenze

richiedono necessariamente l'intervento della mente. Due sistemi di parole,tr>i questi due concetti possono talvolta apparire come distinzioni dai contorni

ognuno dei quali costituisca una frase, potranno interagire soltanto nel pro­»><>Ito sfumati, non per questo sono inesistenti, e addirittura rivelano molto

cesso cognitivo, cioè grazie all'intervento della mente che, in questo caso, svol­I>e»c gli orientamenti profondi della mente, e di conseguenza le tendenze che

g 1e il ruolo di terzo sistema obbligatorio. Per riconoscere questa differenza es­<'i ><i può aspettare di r i trovare in ogni processo cognitivo. Si è visto che la

senziale tra i due tipi di sistemi, non è necessario entrare nei paradossi ded 1><>zi<>ne di funzione pone essenzialmente l'accento sull'insieme delle azioni re­

querelle tradizionale tra filosofi realisti e idealisti. Da un punto di vista scien­< II»'<>che che si veri6cano tra gli oggetti considerati. La funzione di un sistema

tifico, si giungerebbe a questo tipo di problema solo se si cercasse di studiareA i» un ambiente dato tiene simultaneamente conto del ruolo di A nei con­

i rapporti tra una realtà postulata e le rappresentazioni'che di essa diamo, op­I><»>1i dcll'ambiente e dei mutamenti che A può subire a causa di esso. Solo

pure se si cercasse di analizzare in quale misura gli strumenti materiali cheIu <I»;>»to inclusione marginale, e per giungere a un contenuto esaustivo, la

utilizziamo come intermediari indispensabili alla nostra conoscenza siano ca­»»zi<»>«di funzione applicata a un oggetto come il sistema A contiene anche

paci di modificare i fenomeni osservati. Ma non è lo scopo che qui ci si pro­I<* I»i>I>rictà intrinseche di questo sistema, vale a dire ciò che, nel suo com­

Funzione 43o 43' Funzione

portamento, non dipende dall'ambiente. Per contro, la nozione di significa­ un modo di spiegazione suscettibile d'essere piu largamente accettato, biso­zione considerata laddove prende origine, ovvero nelle interazioni che fanno gnerebbe che ciò che appare metaforico fosse sufficientemente esplicitato perintervenire la mente, appare soprattutto centrata sul caso particolare relativo raggiungere lo status degli abituali enunciati scientifici che, senza escluderealle proprietà intrinseche. Nella significazione data a un oggetto A da parte le analogie, impongono a queste ultime l imit i severi riguardanti soprattuttodella mente che ne prende conoscenza, si constata soprattutto l 'azione del­ la possibilità di concepire fisicamente i processi tra i quali esse stabilisconol'oggetto sulla mente e non il contrario. Le caratteristiche specifiche della men­ relazioni. Nei casi appena citati, la gradazione concettuale che va dalla nozionete intervengono evidentemente nella rappresentazione che ci costruiamo del­ di funzione a quella d'informazione, o viceversa, sembra corrispondere al piul'oggetto, ma non si tratta, ad essere precisi, di un'azione della mente sull'og­ naturale approccio epistemologico per ridurre le difficoltà incontrate. [p. n.].getto, bensi soprattutto di una particolare strutturazione di ciò che ci pro­viene dall'oggetto. Nella misura in cui la significazione, nel suo stretto legamecon la conoscenza, implica anche l'interdipendenza o il confronto degli ogget­ti che la mente concepisce o percepisce, si può dire che questo procedimento La funzione di qualunque oggetto (cfr. soggetto/oggetto) è legata al comporta­interviene solo in un secondo tempo, dopo la considerazione di ciascuno degli mento di quest'oggetto in un dato ambiente, esso stesso costituito da elementi d i­

oggetti in questione. Il posto preminente che cosi si attribuisce alle caratte­ versi. La nozione di funzione è dunque inseparabile da quella d'interazione e di con­

ristiche intrinseche di ogni oggetto, cioè al suo «essere», si ritrova in realtà seguenza da quella di sistema. D'a l tra parte essa si trova tanto all ' inizio quanto alla

in ogni processo cognitivo e sembra quindi corrispondere a una costante del­ fine di qualunque procedura scientifica. La conoscenza comincia con la suddivisione

lo spirito. In tale processo, esiste sempre una fase in cui si è indotti a distin­ dei fenomeni in elementi (cfr. fenomeno, dato). In seguito si procede alla determina­zione delle funzioni d' interazione tra gli elementi, delle relazioni di dipendenza/in­

guere vari oggetti e a dire che cosa sono, mentre le interazioni tra questi og­ dipendenza tra di essi, cercando sempre una riduzione a interazioni tipiche ed estre­getti appariranno in seguito come legate all'esistenza degli esseri cosi definiti, me (cfr. spiegazione), pervenendo cosi alla definizione degli elementi (cfr. concetto).quasi che trovassero la loro origine in questi stessi esseri. Si potrebbe pensare Qui termina la procedura analitica e induttiva e ne comincia un'altra, deduttiva e sin­che si tratti di un procedimento riservato esclusivamente alla metafisica, men­ tetica (cfr. analisi/sintesi, induzione/deduzione). Si tratta ora della previsione ditre lo stesso tipo d'operazione si ritrova in ogni procedimento scientifico. Ciò quello che sarà i l comportamento d i t a l i e lementi in u n s i s tema non osservato speri­

è chiaramente dimostrato da quanto detto finora sullo studio degli elementi mentalmente (cfr. esperimento). Ciò pone molteplici problemi, relativi sia alle rela­

e dei sistemi; alle operazioni di partizione in elementi corrisponde la fase in zioni del sistema studiato con altr i che costituiscono il suo ambiente (cfr. struttura),

cui i fenomeni si manifestano come aventi origine in esseri distinti. Esistono sia ai livelli d'osservazione in cui ci si pone (cfr. sistematica e c lassificazione)

soprattutto due importanti differenze tra il procedimento metafisico e quelloiiclla costruzione delle ipotesi o dei modelli (cfr. modello) capaci di permettere dellegeneralizzazioni (cfr. locale/globale, semplice/complesso). Per di piu, nelle fun­

scientifico. Esse consistono, innanzitutto, nel fatto che il primo definisce i pro­ »ioni finalizzate (cfr. organismo, vita, società) il problema della causalità si complicapri oggetti a priori, o quasi - a priori, deducendo in seguito le loro interazioni, (cfr. causa/eKetto). Nei sistemi astratti (cfr. senso/significato, rappresentazione),mentre il secondo opera quasi - a priori soltanto per la partizione in elementi la presenza del linguaggio implica il soggetto, e la funzione diventa anche informa­e definisce i propri oggetti solo a partire dall'osservazione delle interazioni; xlone.in secondo luogo, nel fatto che le definizioni metafisiche sono esaustive, men­tre quelle scientifiche sono soltanto funzionali.

Parlare di significazione richiama infine la nozione d'«informazione», dalmomento che l'informazione, in qualche modo, si riferisce sempre a un tra­sporto di significanti. Emerge cosi la trama capace di collegare i concetti difunzione e d'informazione. Questa constatazione non è nuova, basti pensareche la nozione d'informazione è già stata ampiamente usata per rendere contodel comportamento di numerosi sistemi, da un punto di vista tecnico o scien­tifico, Bisogna tuttavia riconoscere che questo uso talvolta suscita molte per­plessità, attestate, ad esempio, dalle frequenti critiche relative all'uso del con­cetto d'informazione genetica in biologia molecolare. Infatti, spesso non si èmolto lontani da un uso metaforico, quando si trascrive in questo linguaggiociò che corrisponde, in definitiva, a diverse interazioni specifiche, e, di con­seguenza, a diverse funzioni combinate in modo piu o meno complesso, aseconda dei caratteri strutturali del sistema in cui si svolgono. Per ritrovarc

442

.he Infinitesimale

Questo articolo si propone di esporre la soluzione del classico paradosso de­gli infinitesimi leibniziani con il metodo — meramente logico — della cosiddettaanalisi non standard. Sviluppato negli anni '6o dalla scuola di Robinson, ta­le metodo ha una grande portata euristica, problematica ed epistemologicaper le seguenti ragioni. Come progetto (galileiano) di matematizzazione dellanatura, la scienza moderna inizia con la dinamica, cioè con la teoria matematicadel movimento. Qualunque siano i paradigmi che si sono poi succeduti (ter­modinamica, meccanica quantistica, biologia molecolare, teoria dei sistemi,strutture dissipative, teoria delle catastrofi, ecc.) è impossibile sottovalutarel'ampiezza (ancora attuale) della rottura,,da essa segnata, non fosse altro peril fatto che la dinamica, dopo aver fornito fino a saturazione norme alla no­stra episteme, resta ancora uno dei propulsori principali delle matematichecontemporanee (problema degli n corpi, turbolenza, analisi qualitativa dei si­stemi dinamici, teoria della stabilità strutturale e delle biforcazioni, ecc. ). Ora,appena si risale dal suo formalismo di base — cioè il formalismo differenziale— fino al suo concetto primitivo — vale a dire quello di infinitesimo — ci s'im­batte in una contraddizione. Data infatti la struttura archimedea della rettareale, una quantità infinitesimale è necessariamente nulla. Se il continuo è di­visibile all'infinito senza residuo, non si dànno né degli «atomi» indivisibiliche possano fermare il processo di divisione, né degli infinitamente piccoli chelo esauriscano.

Dunque', quel che sembra piu certo alla ragione moderna (certo al punto daavere forza di legge) si basa, apparentemente, su un calcolo sintatticamenteconsistente e semanticamente inconsistente. C'è qui come uno scandalo meto­dologico, un'alienazione epistemologica, una spaccatura ontologica, in breveun dimezzamento che esige una chiarificazione. Verrà delineata qui la sua sto­ria teorica e non quella aneddotica.

Questa storia abbastanza movimentata può essere divisa in prima approssi­mazione in tre periodi. Il primo, che va da Leibniz a Cauchy passando per Eu­lero, è quello dell'elaborazione e dello sviluppo del calcolo differenziale e inte­grale secondo lo stile leibniziano. Il secondo, che conduce direttamente all'ana­l isi contemporanea, comincia, con Cauchy e Weierstrass, con una crisi di r i­gore, la rimozione degli infinitesimi leibniziani e la loro sostituzione con uncalcolo di limiti. Questo nuovo calcolo nello stesso tempo sintatticamente e se­manticamente consistente, si è rivelato poi di una tale efFicacia che la questioneiniziale dello statuto logico-concettuale degli infinitesimi si è trovata a poco apoco sedimentata, relegata, dimenticata, cancellata, rimossa: in ogni caso, èdecaduta al rango di una curiosità per filosofi (anche se matematici come Peircevi davano ancora grande importanza). È soltanto negli anni '6o di questo se­colo che tale questione è stata riattivata grazie all'analisi non standard e ciò inun modo, sulle prime, abbastanza strano.

Infinitesimale 444 445 Infinitesimale

Se si volesse infatti datare l'origine di questo terzo periodo, occorrerebbe ri­ di esistenza dei modelli non standard — non vi si possono in generale prolun­salire agli anni 'zo, ai primi lavori di Skolem sui modelli non standard. All'ini­ gare funzioni familiari come le funzioni trigonometriche, esponenziali o loga­zio si tratta di una problematica puramente logica: non ha alcun legame diretto ritmiche. Non si potrebbe dunque parlare di analisi su eR. Come tale l'analisicon nessun dominio specifico della matematica, in particolare, dunque neanche non standard presuppone un metodo di costruzione di particolari modelli noncol calcolo differenziale. standard ai quali tutte le entità costitutive del discorso dell'analisi siano auto­

Il problema che si poneva Skolem era quello di sapere in quale misura il maticamente prolungabili.linguaggio formale che si utilizza per parlare di un oggetto matematico permetta La temporalità propria della storia logico-concettuale degli infinitesimi nondi caratterizzarlo (almeno strutturalmente). Si trova che in generale ciò è im­ è dunque quella di una storia lineare. E una temporalità ramificata e ricorrentepossibile. Dunque esisteranno in generale classi di oggetti differenti (non iso­ che può venir grosso modo schematizzata come nella figura i .morfi) sintatticamente indiscernibili, cioè che possiedono esattamente le stesseproprietà purché queste siano formulate in un certo linguaggio di base. Tale ri­sultato manifesta una spaccatura — generale e non eliminabile — tra sintassi esemantica; ci si è presto resi conto che il paradosso semantico degli infinitesi­

i. Il pa r adosso degli infinitesimali.

mali non ne è altro che un caso particolare.Si consideri infatti l ' insieme R dei numeri reali corredato della sua struttura r.r. N, Z, Q, R, Q, C.

algebrica, della sua struttura d'ordine e della sua struttura topologica. Sia Lun linguaggio formale di base che si utilizza per «parlare» di R. Esistono esten­ Sarà bene cominciare col ricordare Ie strutture di cui si farà uso.

sioni eR di R (corredate di una struttura algebrica, di una struttura d'ordine e Sia R l'insieme dei numeri reali (di un certo universo della teoria degli in­di una struttura topologica) che sono indiscernibili da R re lativamente a L, siemi). Esso si costruisce a partire dall'insieme di base N degli interi naturalicioè che hanno esattamente la stessa teoria purché quest'ultima sia ridotta agli in tre tappe.enunciati esprimibili in L. Un a tale estensione viene chiamata modello non La prima è la costruzione dell'insieme Z degli interi positivi e negativi perstandard della teoria dei numeri reali. Se si tratta di una estensione in senso aggiunta a N degli interi negativi. Z è un anello commutativo totalmente or­proprio, poiché eR è (al pari di R) to talmente ordinato, esistono in eR dei dinato.numeri che sono «infiniti» relativamente ad R, cioè dei numeri maggiori di La seconda è la costruzione dell'insieme Q dei numeri razionali per aggiuntatutti i numeri di R. Gli inversi di questi numeri infiniti sono degli infinitesimi a Z degli inversi t /p dove pc Z è un intero non nullo. Q è un corpo commuta­nel senso leibniziano del termine. tivo totalmente ordinato detto corpo delle frazioni di Z .

Ma questo primo chiarimento non è certo sufficiente per fondare una dottri­ Esistono due differenze essenziali tra Z e Q. Prima di tutto Q è un corpona degna del nome di analisi non standard. Se infatti eR è un modello non stan­ mentre Z non è che un anello: mentre l'inverso di un intero n non nullo non èdard qualunque di R — la cui esistenza è assicurata soltanto dal teorema generale un intero (eccetto che per n = +i), l ' inverso di un razionale non nullo è ra­

zionale. Per costruzione, Q è i l piu p iccolo corpo contenente Z.Feedback Per ulteriori particolari si r imanda all'articolo «Calcolo» in questa stessa

Enciclopedia (voi. Il , cfr. in particolare pp. 38ti-tl6 ). Va ancora ricordato cheQ ammette una topologia indotta dalla metrica definita dalla distanza d (x,y) =

= ~x — y~ ove con ~x) si denota il valore assoluto di x. Com'è noto, in Q esistononumeri arbitrariamente vicini gli uni agli altri. Ma l 'esistenza di numeri irra­zionali come ~z mostra cheQ non è un continuo. Benché gli elementi di Q

Analisi Analisi moderna si «susseguano» gli uni agli altri (ordine totale) non essendo separati che daalla Leibniz distanze «infinitesimali», Q è in qualche modo «incompleto» rispetto alla sua

topologia. Di qui l ' idea di un «completamento» topologico di Q.Crisi del rigore

e rimozione È questa la terza tappa, cioè la costruzione del corpo totalmente ordinatodegli infinitesimi R dei numeri reali per completamento di Q, Esistono diversi metodi, il piu

Teoria dei modelli celebre dei quali è quello di Dedekind. Per costruzione, Q è denso in R: ogniFigura i . numero reale è approssimabile, con la precisione che si desidera, mediante nu­

La storia logico-concettuale dell ' inf initesimale: un andamento non l ineare, ma ra­ meri razionali.mificato. Completando Q si aggiungono «molti» numeri nuovi. Q ha infatti per car­

Infinitesimale 447 Infinitesimale

dinale (nel senso della teoria di Cantor ) la potenza del numerabile (esistono dimensione z (come mostra la rappresentazione vettoriale dei numeri com­procedure molto semplici che permettono di enumerare i razionali ). Al contra­ plessi) e dunque — essendo ogni estensione di R uno spazio vettoriale su R­rio, il continuo R ha per cardinale la potenza del continuo che è un numero che non esistono corpi intermedi tra R e la sua chiusura algebrica.transfinito strettamente maggiore. Si può anche dire che, se si sceglie a caso un Tutt' altro accade per Q. Sia Q la chiusura algebrica (supposta inclusa in C)numero reale, si ha una probabilità certa di ottenere un irrazionale e una proba­ di Q, ottenuta aggiungendo a Q le soluzioni (esistenti in C per costruzione dibilità nulla di ottenere un razionale: «pressoché tutti» i numeri reali sono ir­ C) delle equazioni algebriche a coefficienti in Q. Si può mostrare che, come spa­razionali. (Questo risultato non è molto soddisfacente dal punto di vista con­ zio vettoriale su Q, Q è di dimensione infinita e che esiste una infinità di esten­cettuale perché esiste comunque un'infinità di razionali distribuiti in R in modo sioni intermedie QcK c Q d i d imensione finita su Q. Queste estensioni, chia­denso. In realtà, è uno degli aspetti in cui può ripresentarsi il paradosso degli mate corpi di numeri algebrici, sono l'oggetto della teoria dei numeri (si vedainfinitesimi. Bisognerebbe dire che la probabilità P di trovare un razionale sce­ l'articolo «Divisibilità» in questa stessa Enciclopedia).gliendo un numero reale a caso è infinitesimale. Ma sinché le probabilità sono Le grandi strutture numeriche che servono di base all'aritmetica, all'algebradei numeri reali, P è necessariamente zero; le cose cambiano nel caso in cui si e all'analisi, sono dunque collegate dalla rete di inclusioni schematizzata nel­considerino delle probabilità in un modello non standard di R). la figura z.

I numeri irrazionali si dividono a loro volta in due classi. In una gli irraziona­ Se (dalla fine del xix secolo con Kronecker, Weber, Dedekind, ecc.) la teo­li algebrici (come ~z) che sono soluzione di una equazione algebrica x" + ria dei numeri è innanzitutto lo studio delle proprietà di divisibilità, se la geo­+a„ ,x" — +... +a,x+ap = o a coefficienti a, razionali. Nell'altra gli irrazionali metria algebrica è prima di tutto (da Riemann in poi ) lo studio degli anelli ditrascendenti (come rt o e). Poiché è facile costruire degli algoritmi che permet­ polinomi e dei corpi di funzioni razionali, l'analisi, di per sé, è innanzitutto lotano di enumerare i numeri algebrici, il loro insieme ha la potenza del numera­ studio delle classi di funzioni definite su R e su C.bile. «Pressoché tutti» i numeri reali sono dunque trascendenti benché non si Ci si limita qui all'analisi reale. Il corpo di base sarà dunque R, corpo topo­diano che pochissimi esempi espliciti. logico commutativo, topologicamente completo e totalmente ordinato. Quanto

La considerazione dei numeri algebrici conduce naturalmente ad altre esten­ alla sua struttura d'ordine, R possiede la proprietà (ereditata da N ) di esseresioni di Q e di R. ~z e — ~z sono entrambe soluzioni dell'equazione algebrica archimedeo : per ogni x) o di R, arbitrariamente piccolo, e per ogni M) o di R,di secondo grado x' — z = o. Ma se si considera l'analoga equazione x' +z = o arbitrariamente grande, esiste un intero n tale che nx)M : si può dunque «ol­si constata subito che non ha alcuna soluzione reale poiché, essendo ogni qua­ trepassare» qualunque numero a partire da qualunque altro. Ciò implica che Rdrato positivo, si ha sempre xs+z>z. E dunque naturale cercare di «comple­ non possiede infinitesimi.tare» Q ed R relativamente all'esistenza delle radici delle equazioni algebriche ingenerale. i.z. L ' infinitesimale leibniziano come sovvertimento della referenza.

Nel caso di R, si cercherà una estensione R di R che sia il piu piccolo corpocontenente R tale che ogni equazione algebrica di grado n a coefficienti in R Agl'inizi, l'analisi su R riguarda da una parte la ripresa dei metodi integralivi abbia n radici (distinte o no ). R si dice una chiusura algebrica di R ed è unica di Archimede per il calcolo delle aree e dei volumi e dall'altra lo studio dellea meno di isomorfismi. Per ottenere R basta aggiungere a R l'unità immagi­ proprietà diAerenziali delle funzioni. Queste funzioni sono sia funzioni realinaria i = ~i : R = R (i) è il corpo C dei numeri complessi (C è un corpo to­ f : R~R (x~ f ( x ) ) di una variabile reale x, sia funzioni reali f : R"~R ((xn ...,pologico commutativo, topologicamente completo e algebricamente chiuso, chenon possiede piu una struttura d'ordine naturale : cfr. «Calcolo», pp. 430-33 ).

Tale risultato è notevole poiché mostra che C è uno spazio vettoriale su R di Tj (xp)

Xp= f(~p)Corpi

N ~ Z ~ Q di numerialgebrici

Figura z. Xp

La rete di inclusioni delle grandi strutture numeriche (~s ign i f i c ' i m m ers>one con Figura 3.

conservazione della struttura' ). La tangente a una curva in un punto.

In6nitesimale 449 infinitesimal

x„) ~f(x„ . . . , x„)) di piu variabili reali xi, ..., x„, sia funzioni f : R" ~R ( (x „ . . . , t) Nell'intuizione «dinamica», la retta T< (xp) è il limite delle secanti MpM,x„) ~ (f, (x„..., x„), ..., j (x„. . ., x„))) in cui f„. . ., f,„sono funzioni di R" in R, di (C) per il punto M i che tende verso il punto Mp (fig. 4),sia infine funzioni implicite f(x,y) = o. Questa intuizione «passa» facilmente alla scrittura. M i è il punto di coordi­

La nozione insiemistica di funzione come legge che associa a ogni elemento nate (xp+5x, f (xp+Ax)) in cui Ax è un incremento di x tendente a zero. Ilx del dominio di definizione un elementof(x) del dominio dei valori, si è pro­ coefficiente angolare della retta MpM, è dunque Af//t x ove Af è l'incremen­dotta solo piu tardi (cfr. gli articoli «Applicazioni» e «Funzioni» in questa to f(xp+Ax) — f(xp) di f corrispondente a Ax (fig. g ). La tangente T>(xp) di (C)stessa Enciclopedia). Inizialmente si trattavano funzioni la cui espressione è espli­ in Mp è di conseguenza la retta passante per Mp e avente per coefficiente ango­cita (trigonometriche, esponenziali, logaritmiche; coniche, cubiche, ecc. ; spi­ lare il limite — che si scrive f' (xp) e si chiama derivata della funzione f(x) inrali, lemniscate, ecc.) e si rappresentavano con i loro grafici. Se per esempio xp — del rapporto Af/Ax per Ax che tende a zero.f(x) è una funzione di R in R la sua rappresentazione gra6ca è la «curva» del Se si è in grado di definire rigorosamente la nozione di limite, si è in gradopiano Ra di equazione y = f(x). ipso facto di definire analiticamente la nozione geometrica di contatto. Questo

La rappresentazione simbolica (dovuta a Descartes) delle curve in termini sarà il punto di vista di Newton (almeno in parte), poi di d'Alembert e, infine,di coordinate segnò una rottura essenziale in quanto a ) fece «passare» alla scrit­ di Cauchy e soprattutto di Weierstrass.tura l'intuizione geometrica del percepito; e b) apri al concetto di relatività: z) Nell'intuizione «statica» la tangente non è definita da un processo (pas­poiché un oggetto geometrico non può essere algebrizzato (cioè espresso sim­ saggio al limite) ma da una posizione. La tangente T<(xp) è la retta che tagliabolicamente) che in relazione a un sistema arbitrario (relativo) di riferimento, (C) in Mp in due punti inf initamente vicini. È la retta che — in un intornole sue proprietà intrinseche devono risultare invarianti per cambiamenti di r i­ in6nitesimale di Mp — si identifica con (C). Per fare «passare» alla scritturaferimento. questa intuizione occorre :

Ci sarebbe tutta una «archeologia» da de-sedimentare circa il rapporto tra a) introdurre la nozione di incremento in6nitesimale dx di x ;geometria e scrittura: a partire dalla rottura cartesiana la geometria verrà su­ b) definire l'incremento infinitesimale df = f(xp+dx) f( xp) di f in xp cor­bordinata al primato della scrittura e sarà soltanto nei periodi critici in cui viene rispondente a dx;ripensata e ristrutturata che essa ritornerà a data fenomenologici (geometrie c) ipotizzare che il rapporto df/dx sia definito c costante per ogni dx (ed ènon-euclidee, geometria sintetica, superfici di Riemann, catastro6 ). Ora, appena questa costanza che traduce l'intuizione che (C) è localmente indiscer­si ammette, per ragioni di efficacia metodica, un tal pr imato della scrittura nibile dalla sua tangente) ;simbolica, si deve altrettanto esigere che «passino» alla scrittura le intuizioni d) definire la derivata (coefficiente angolare della tangente) f'(xp) di f in xpgeometriche di base. come uguale a. questo rapporto costante.

Tra queste s'impone immediatamente la nozione di tangente. Data una Leibniz ha immortalato la de6nizione «statica». Si osservi che, fin dall'ori­funzione f(x) che possiede una certa «consistenza», il cui grafico y = f(x) sia gine, essa è profondamente problematica e ambivalente. AfFinché sia coerente,cioè una curva (C) nel senso intuitivo e materiale del termine (un tracciato sul occorre infatti che t) dx non sia nullo poiché in caso contrario df/dx si ridurrebbePiano) , è Possibile in generale associare a ogni Punto M, = (xp f(xp)) di (C) al rapporto indeterminato o /o; e che z) pertanto dx sia un numero, poiché inuna tangente T<(xp) definita come la retta che approssima meglio (C) in Mp, caso contrario non si potrebbe definire il valore di f(x+dx), né dunque quellocioè il cui «contatto» con (C) in Mp è massimale (fig. g). di df e di df/dx.

Ci sono due modi di avere intuizione di una tangente, l 'uno «dinamico» Ora, come numero, dx è necessariamente nullo, il che manifesta l'ambiva­e l'altro «statico». Ciascuno di essi dà luogo a una speci6ca traduzione scrit­ lenza linguistica che si è incontrata nelle definizioni «statiche» di contatto:turale. «intersecare in due punti in6nitamente vicini» e /o «intersecare in due punti

coincidenti ».

M,

M p M , Mp

Figura 4. Figura g.

La tangente come limi te. La secante.

Infinitesimale 45o 45i Infinitesimale

Il problema sta dunque nel fatto che il «passaggio» alla scrittura dall'intui­zione «statica» passa attraverso l'introduzione di un supplemento simbolico In conclusione il dx leibniziano è una finzione letterale, strutturata come— quello del dx leibniziano — che viola il principio d'identità e che sovverte la un numero, che impone un sovvertimento della referenza attraverso una sepa­referenza. razione fra significante e significato.

È un infinito-punto nel senso di Badiou. È un simbolo-indice «dimezzato»,Inizialmente, la nozione di incremento infinitesimale è un concetto. I l tagliato in due, ove l'aspetto di indice e l'aspetto di simbolo sono incompatibili.

coup de force di Leibniz è stato di «ritualizzarla» con l'introduzione di un sup­ Per il chiarimento del suo statuto logico-concettuale occorre intrecciare di­plemento alla notazione scritta il cui statuto è paradossale; infatti, come iden­ versi registri di analisi: quello dei posti, quello delle identità simboliche, quellotità sintattica, i ) dx è l'indice di referenti numerici nello stesso tempo arbitrari dei referenti concreti, quello dei concetti e quello degli eventi:e impossibili, e z ) dx è il simbolo di un concetto semanticamente inconsistente.

Per l'ideologia positivista questa aporia è sufficiente per legittimare la rimo­ — posto: «effetto de-limitante» della costruzione di R;

zione degli infinitesimi. Ma nella misura in cui ci si propone di mostrare che— identità simbolica: dx;

la forzatura leibniziana rinvia di fatto a una dimensione cruciale dell'articolazio­— referenti concreti: numeri infinitesimali (inesistenti in R);

ne generale tra il simbolico e il reale, diventa necessario delineare i contorni — concetto: quantità infinitesimale (contraddittoria) ;del suo statuto nel modo piu esatto possibile.

— evento: annullarsi di una quantità.

Il dx leibniziano è un simbolo-indice, per dirla con Peirce, che «fissa» un Prima di queste analisi occorre abbozzare in via preliminare le modalità diconcetto contraddittorio. È una finzione letterale che viene trattata come un sviluppo della polemica intorno agli infinitesimi e ricordare come sono stati for­numero. Non ha pertanto per referenza alcun numero concreto ma un po­ malmente tradotti.sto generato dai procedimenti stessi di costruzione dei numeri. Si consideriinfatti l 'algoritmo di costruzione di N con l 'operazione «successivo di» (siveda il citato articolo «Calcolo», p. 4o8). Poiché N è infinito, la sua itera­ i.5. Polemiche e fondazione.

zione trasgredisce indefinitamente il suo limite. Ma l 'algoritmo induce il po­ Intorno agli infinitesimi sono venuti a convergere tutti i problemi tradizio­sto di un numero «infinito» maggiore di tutt i gl i altri . Questo posto inoccu­ nali dell'infinito. Qualcosa è stato già anticipato ; si vedrà ora meglio come que­pabile associato a un concetto senza referente e contraddittorio segna un «ef­ sto processo storico si è chiuso grazie alla rimozione degli infinitesimi stessi. Cifetto de-limitante» relativo a N. Per r iprendere una terminologia di Badiou si trova qui di fronte all'esempio piu importante della spaccatura dialettica tra la[rq69], si può chiamare infinito-punto un contrassegno supplementare che oc­ produzione di un infinito-punto inerente alla costruzione di un reale e l'esigen­cupa un posto inoccupabile e dipendente, per tutto ciò che non riguarda que­ za della rimozione imposta dalla stabilizzazione del suo uso : una volta afferma­sta occupazione, dai procedimenti iniziali. L ' infinito-punto è i l contrassegno tosi, ogni metodo rimuove il suo concetto originario e ipostatizza la sua originedi un inaccessibile del dominio, completato da una forzatura dei procedimenti, nella sua stessa produzione. Questo è, in fondo, il gioco heideggeriano dellache li costringe ad avere valore anche per ciò che hanno escluso. differenza essere/esistente: la genesi dell'esistente a partire dall'essere è affetta

L'inverso di un intero «infinito» è appunto un infinitesimo. da un residuo che deve essere soggettivamente rimosso e simbolicamente preclu­so affinché lo stesso esistente prodotto possa autonomizzarsi come tale. Una

Di piu, i l dx leibniziano nel suo rapporto con la referenza è un elemento volta affermatasi (ma non fondata) l'effiicacia metodica del calcolo difFerenzialedi codice che i ) possiede un'identità sintattica definita (poiché è una costante e integrale, si tratterà di mettere in luce la sua «impurità di origine» (Badiou).e non un simbolo di variabile), z) si riferisce a elementi non definiti.

Se malgrado tutto si volesse definire un referente concreto del dx leibni­ziano si sarebbe costretti a riferirsi non a un numero ma a un evento. S imma­

cL'atteggiamento di Leibniz verso gli infinitesimi è una posizione formalista

gini il processo dinamico di una quantità x che si annulla: dx rappresenta l i­f ) '

molto sottile. Privilegiando la struttura formale del l inguaggio rispetto allarealtà della referenza, egli considera gli infinitesimi «finzioni ben fondate». Pur

stante in cui x si annulla, non essendo «piu» un numero non nullo e non essendo fondando un metodo piu conforme all'ars intieniendi che non i metodi di esau­«ancora» zero. Ma questa interpretazione non fa altro che riproporre la que­ stione di t ipo archimedeo, gli infinitesimi non hanno tuttavia alcuna realtàstione; infatti, poiché dx ha lo statuto simbolico di un numero, il suo stesso effettiva. Essi non sono che «cose ideali», «finzioni utili per abbreviare e perstatuto simbolico e i l suo referente nell'evento diventano da quel momento parlare universalmente».eterogenei. Occorre separare qui «abbreviare» da «parlare universalmente». Gli infi­

nitesimi permettono davvero di abbreviare i metodi che si basano sul confrontodi infiniti, in quanto assolutizzano il concetto relativo di approssimazione. Sotto

Infinitesitnale 452 453 Inánitesimalo

questo profilo, si può sempre evitare di usarli e «al posto dell'infinito o dell'in­ stesse regole di R, cioè sarebbe indiscernibile da R non come oggetto concretofinitamente piccolo, [si possono prendere] quantità tanto grandi o tanto piccole ma come substrato predicabile.quanto occorre perché l'errore sia minore dell'errore dato»; e aggiungere, con In conclusione si può dunque affermare che Leibniz sottomette a un chia­Leibniz, «che si differisce dallo stile di Archimede solo nelle espressioni, che sma l'evidenza naturale. Egli assolutizza la relatività dei confronti di infini t isono piu dirette nel nostro metodo e piu conformi all'arte di inventare» [Leib­ («abbreviare») e relativizza l'opposizione tradizionalmente assoluta tra finito «niz robot, ed. rg6z p. 35o]. In questa accentuazione del lato pragmatico della infinito («parlare universalmente»).questione, l'essenziale è lasciato nell'ombra.

Ma Leibniz ha anche enfatizzato l'aspetto (simbolico) che corrisponde non La posizione formalista di Leibniz perde ogni acutezza e ogni consistenzagià ad «abbreviare», ma a «parlare universalmente». È qui che si manifestano quando si ipostatizza in una posizione realista che afferma l'esistenza degli in­insieme la profondità meta6sica e il l imite di un pr imato ontologico del lin­ finitesimali. Questa sarà purtroppo la posizione di L'Hopital nel suo trattatoguaggio formale che è rimasto enigmatico fino all'analisi non standard. Per di calcolo differenziale Analyse dee injniment petits pour l'intelligence des lignerLeibniz infatti gli infinitesimi, benché fittizi, sono delle finzioni «fondate sulla courbes[r 696], trattato che servi da vettore pedagogico alle idee leibniziane.realtà» che non riducono affatto la scienza delginfinito a una finzione. Al con­ L'Hopital pone come assioma che due quantità che differiscono di una quan­trario : il calcolo che essi fondano è sicuro. A questa garanzia sintattica, a questa tità infinitesimale sono uguali. Ora, siccome ammette pure che le estensioni deisicurezza formale, in breve a questa consistenza di un metodo che prende ori­ numeri reali ottenute con l'aggiunta d'infinitesimi soddisfano le regole dell'arit­gine tuttavia da un sovvertimento della referenza e da una spaccatura irriduci­ metica (principio di continuità), si trova costretto a negare la conseguenza, ba­bile tra significante e significato, Leibniz dà una risposta metafisica e profetica: nale, che x~ dx = x implichi dx = o.«Si constata che le regole del finito funzionano nell'infinito come se ci fossero Il fatto è che, parallelamente al suo chiarimento logico-concettuale, un usodegli atomi (cioè degli elementi assegnabili della natura) benché non ce ne siano algebrico coerente dell'infinitesimale esige che si introduca su un'estensioneaffatto visto che la materia è in realtà suddivisa all'infinito; e che viceversa le ~R di R una relazione di equivalenza(essere infinitamente vicino) che sia piuregole dell'infinito funzionano nel finito, come se ci fossero degli in6nitamente debole della relazione di uguaglianza ma che coincida coli'uguaglianza quandopiccoli metafisici, benché non se ne abbia affatto bisogno e benché la materia non è ristretta a R. È allora necessaria un'attrezzatura formale e concettuale di cuigiunga mai a particelle infinitamente piccole : ma le cose stanno cosi perché tutto all'epoca non si disponeva. Come osserva Robinson : « In realtà ciò che mancavaè governato dalla ragione, e diversamente non ci sarebbero né scienza né regole, a quel tempo era un linguaggio formale che avrebbe reso possibile dare unail che non sarebbe affatto conforme con la natura del principio supremo» [ibid.]. formulazione precisa e una delimitazione delle leggi [cioè le regole subordinate

Sarebbe ben difficile sopravvalutare questo passo. Vi si articolano chiaramen­ al "come se" leibniziano] che si supponeva di applicare ugualmente ai numerite tre livelli. finiti e ai sistemi estesi che includono sia numeri infinitamente piccoli sia nu­

Il primo è il livello semantico (referenziale) : la materia in atto è senza atomi meri infinitamente grandi» [rq66, p. z66].e praticamente senza in6nitamente piccoli (il che non è contraddittorio).

Il secondo livello è sintattico (logico) : rispetto al linguaggio — cioè rispetto L'evidente insostenibilità della posizione realista condusse attraverso critichealle regole e non alla sostanza — il finito e l'infinito sono intercambiabili. Sono sia meta6siche (per esempio Berkeley [?734]) sia matematiche (per esempiodiscernibili all'interno di uno stesso punto di vista, ma divengono formalmente Laplace) alla convinzione che il calcolo differenziale era di diritto utilizzabileindiscernibili se si cambia punto di vista. Di qui il ruolo del «come se» che at­ solo alla condizione di fondarlo su basi differenti. Il primo difensore di questatesta il primato ontologico delle regole. In breve, Leibniz relativizza l'opposi­ nuova posizione, che privilegiò a parole il «rigore» e nei fatti la referenza, fuzione tra 6nito e infinito. Una struttura infinitaria relativamente a una 6nitezza d'Alembert. È questi che introduce il centrale concetto di l imite, ritornandoiniziale può essere nondimeno suscettibile di regole 6nitarie. Sul 61o della me­ all'intuizione «dinamica» dell'infinitesimale (cfr. sopra, p. 44g) : una quantità ètafora prospettica suggerita dal termine 'punto di vista', si potrebbe quasi dire in6nitesimale se ha un limite nullo, cioè se si avvicina indefinitamente a zero.che per Leibniz l' infinito è una «anamorfosi» del 6nito. Ciò gli permette, a cose' fatte, non semplicemente di criticare, ma di rifiutare

Il terzo livello è metafisico : quello del principio «supremo» di ragione suffi­ l'infinitesimale: «Non ci sono affatto nel calcolo differenziale quantità infini­ciente. Questa «caduta» dell'argomentazione non è piu, per noi, molto soddi­ tamente piccole... ; si tratta unicamente di limiti di quantità finite». «La teoriasfacente. Non si potrebbe certamente piu invocare un principio per sostenere dei limiti è alla base della vera Metafisica del calcolo differenziale». «Noi dun­la tesi che la ragione formale trascende la realtà. Ma si noti che, parallelamente que non diremo, come tanti geometri, che una quantità è infinitamente pic­a questa garanzia metafisica, Leibniz anticipa chiaramente una risposta di altro cola né prima che essa si annulli, né dopo che essa si è annullata; poiché cosaordine, cioè quella della costruzione di una estensione ~R di R che — contenendo vuoi mai dire -una de6nizione cosi falsa, cento volte piu oscura di ciò che sinumeri sia infinitamente grandi sia infinitesimali — sarebbe tuttavia retta dalle vuole definire» [Alembert rp54, p. q87; I765, p. 542; r754, p. 987].

Infinitesimale 454 455 Infinitesimale

Questa sostituzione, violenta ed esplicita, del concetto di limite a quello di limite direttamente, ma solo attraverso espressioni che comportano infinitesi­infinitesimo, genera una rottura. Rendendo il calcolo nello stesso tempo sintat­ mi» [tg66, P. 274].ticamente e semanticamente consistente elimina la sua «impurità d'origine» ma, Cauchy rifiuta il «parlare universalmente» leibniziano, cioè il principio for­per questa via, elimina anche gli agganci che il calcolo aveva in Leibniz con gli malista di continuità secondo il quale gli infinitesimi soddisfano le regole deialtri discorsi. Questo fatto è di grande portata epistemologica. Con d'Alembert numeri ordinari: «Per quanto riguarda i metodi, ho cercato di dare loro tutto ilil calcolo differenziale si regionalizza e si privatizza. Staccato dal terreno storico rigore richiesto nella geometria in modo da non ricorrere mai ai ragionamentiche lo governava si autonomizza e, epurato da ogni residuo eterogeneo, diventa tratti dalla genericità dell'algebra» [Cauchy i82i, ed. i897 p. ii ]. La sua «ade­capitalizzabile da parte del nuovo potere tecnico-scientifico. Avendo risolto il renza» all'intuizione dell'infinitesimale è dunque in Cauchy «un non sequitursuo paradosso, suturato il sovvertimento della referenza che lo assillava e sta­ "logico" e si può dire che comporta un uso inconscio del "principio di conti­bilizzata la sua intuizione instabile, esso esclude la sua origine (cfr. sopra, p. nuità", la cui applicazione egli stesso aveva criticato» [Robinson tg66, p. 275].45r). Ciò è legittimo soltanto se si parte dalla «convinzione» che, al fine di poter L'uso del termine 'inconscio' da parte di Robinson è pertinente. Tutto ac­essere adeguate alla realtà, le matematiche devono trattare degli oggetti ideali cade infatti come se, qualunque siano le sue ri-problematizzazioni, la nozionepossibili soddisfacendo all'adeguatezza di significante-significato-referenza. È tale di infinitesimo restasse concettualmente pregnante. Da Cauchy, la situazioneconvinzione che trasforma in evidenza l'opzione ideologica di un feticismo del­ non è evoluta di molto. Non si deve dimenticare, infatti, che — contrariamente adl'oggetto e della subordinazione del «lavoro» del linguaggio a un esistente la altri «lessici», caduti nella dimenticanza — quello infinitesimale appartiene an­cui realtà è sempre già fissata, sub specie aeternitatis. Tutto ciò è assolutamente cor oggi alla pratica matematica piu quotidiana.all'opposto dello «stile» leibniziano che apre il campo dell'esperienza non tanto È sufficiente d'altronde questa sola ragione pragmatica a giustificare un me­arricchendo i metodi (le regole del finito funzionano nell'infinito e viceversa) todo che ne fonda l'uso. Come osserva Robinson, «è vero che molte opere clas­quanto sfruttando le risorse simboliche della scrittura. siche di Geometria Differenziale sono state fatte nei termini di una vaga no­

In quanto riduce all'immaginario la traduzione simbolica di uno scarto zione di infinitesimi, e la stessa cosa vale per la Meccanica Analitica, General­strutturale tra il simbolico e il reale, ci si può domandare se il «rigore» preco­ mente si crede che tutto questo lavoro potrebbe, se necessario, essere riscrittonizzato da d'Alembert e «canonizzato» da Cauchy non segni il momento in conformemente al rigore della matematica contemporanea, ma nessuno intra­cui le matematiche si legano irreversibilmente all'ideologia borghese. prenderebbe mai nei dettagli un compito del genere. Non è senza interesse il

fatto che oggi possiamo giustificare direttamente l'uso degli infinitesimi inCauchy fonda rigorosamente l'analisi non soltanto sulla nozione di limite, tutti questi problemi» [rq6i, p. 437].

ma su un calcolo dei limiti. Ciò nonostante non elimina, come d'Alembert, gli t

infinitamente piccoli e gli infinitamente grandi, piuttosto li reinterpreta e que­ Dopo Cauchy, si deve essenzialmente a Weierstrass e al suo metodo «s — 8»sto gli permette di stabilire un corpus di definizioni, metodi e risultati che co­ (anticipato da Bolzano) la rimozione definitiva dell'infinitesimale. Si consideristituiscono ancor oggi l'essenziale dell'insegnamento dell'analisi elementare. per esempio la sua definizione (ormai standard) della continuità: «f(x) è con­

Si riportano, come esempio, le sue definizioni d'infinitesimo, di continuità tinua in xp se per ogni s) o a rb i trariamente piccolo esiste un q) o t a le chee di derivabilità: ]X xp[ < ri implica )f (x) — f (xp) ( < s». Non si fa piu ricorso al lessico infinitesi­

a) «Quando i valori numerici successivi di una stessa variabile decresconomale. Ma se questa definizione evita gli infinitesimi non solo come infinito at­

indefinitamente, in modo tale da abbassarsi al di sotto di ogni numero tuale, ma anche (come in Cauchy) come infinito potenziale, è perché fa impli­

dato, questa variabile diventa ciò che si chiama un infinitamente piccolo citamente ricorso a R come totalità (a causa della quantificazione «per ogni s»e «esiste un q»), cioè a R come infinito attuale.o una quantità infinitamente piccola. Una variabile di tal specie ha per

limite zero» [ i82r, ed. t8q7 p. rq ].Dopo Weierstrass, i concetti fondamentali dell'analisi sono stati formulati

nel suo stile.b) Una funzionef : R~R è continua in un intervallo «se, tra questi limiti,un incremento infinitamente piccolo della variabile produce sempre unincremento infinitamente piccolo della funzione stessa» [ibid,, p. 4g].

Poiché il paradosso dell'infinitesimale è — apparentemente — un aspetto del

c) Una funzione continua f : R~R è derivabile in x se il rapporto di in­ paradosso generale dell'infinito attuale e siccome quest'ultimo è stato risolto

finitesimi df/dx ha un limite quando questi tendono a zero.da Georg Cantor, non è senza interesse, per concludere questo excursus sto­rico, ricordare la posizione di Cantor a riguardo dell'infinitamente piccolo.

In quest'ultima definizione, df/dx potrebbe essere sostituito col rapporto È noto (cfr. anche l'articolo «Infinito» in questa stessa Enciclopedia) chedelle differenze finite Af(Ax. Robinson osserva al proposito: «Sembra ragio­ con l'introduzione del concetto di ordinale transfinito Cantor riesce a distin­nevole concludere... che secondo Cauchy una funzione non raggiungeva il suo guere nell'infinito due nozioni identiche nel finito: quella di cardinale (poten­

Infinitesimale 457 Infinitesimale

za) e quella di ordinale (tipo di un insieme bene ordinato ). Approfondendo la coli in infinitamente piccoli propriamente detti, dovettero essere infine abban­distinzione fra l'infinito potenziale (che chiama «infinito impropriamente det­ donati e se ne dovette ammettere la vanità» [ibid., p. 55x].to») e l'infinito attuale (che chiama «infinito propriamente detto») Cantor ro­ E Fraenkel, discepolo di Cantor, scriveva ancora nel xqz8 : «Messo alla pro­vescia il dogma aristotelico «infinitum actu non datur»: «Ma se si prendono va, l'in6nitamente piccolo ha completamente fallito». Ma aggiungeva: «Certo èin considerazione le ragioni che avanza Aristotele contro l'esistenza reale del­ concepibile (anche se con buone ragioni lo si può giudicare inverosimile e ri­l'in6nito (cfr. la sua Metafisica, XI, xo), queste possono essere riportate essen­ mandare a un lontano futuro ) che un secondo Cantor dia un giorno un fon­zialmente a un presupposto che implica una petizione di principio: non ci sono damento aritmetico incontestabile a nuovi numeri infinitamente piccoli, che siche numeri finiti; e deduce ciò perché conosce soltanto numerazioni per i siste­ rivelino utilizzabili in matematica e che possano forse aprire una via piu sem­mi finiti. Credo tuttavia di avere dimostrato... che si possono praticare numera­ plice al calcolo infinitesimale. Ma finché non si sarà fatto qualcosa del genere...zioni determinate per tutti i sistemi, sia 6niti che infiniti, alla condizione di im­ bisognerà attenersi all'idea che in nessun modo si può parlare di esistenzaporre ai sistemi stessi una legge determinata che ne fa dei sistemi bene ordinati... matematica — dunque logica — degli infinitamente piccoli, in un senso identicoEmerge qui, come una proprietà particolare dei sistemi finiti, che il risultato o analogo a quello che si dà agli in6nitamente grandi » [xgz8, pp. x x6-x7].della numerazione, cioè il numero ordinale, è indipendente dall'ordinamento ef­ È proprio il «concepibile-inverosimile» evocato da Cantor e Fraenkel chefettuato all'occorrenza, mentre per i sistemi infiniti una tale indipendenza non l'analisi non standard realizza.si presenta in generale... è precisamente qui e solo qui che si colloca la diffe­renza essenziale fra il finito e l'infinito, differenza certo fondata in natura e cheper questo non dovrebbe mai essere dimenticata in nessun modo ; tuttavia si x.4. La reinterpretazione della notazione differenziale.

potrà, in nome di questa differenza, negare l'esistenza dell'infinito e mantenere Rifiutare gli infinitesimi non signi6ca evidentemente rifiutare il calcolo dif­quella del finito: se si fa cadere l'una ci si deve necessariamente sbarazzare ferenziale e integrale. Anzi. Si è dunque giunti a reinterpretare la notazionedell'altra; ma per questa via dove arriveremo?» [Cantor x883, pp. 554-55]. leibniziana che ne era la pietra angolare.

Ci si può stupire che Cantor, pur avendo una visione cosi acuta della co-im­plicazione del finito e dell'infinito, rifiuti tuttavia gli infinitesimi senza osser­ Per quanto riguarda il simbolo dx che interviene negli integrali ff( x) dx,vare che, a parte le differenze storiche, la forzatura leibniziana è dello stesso esso è stato reintrodotto nella teoria insiemista della misura fondata all'inizioordine di quella che egli stesso tenta di giustificare: primato ontologico di un del secolo da Lebesgue, Kolmogorov, Radon e dalle loro scuole. Per questolavoro del simbolico su una realtà sempre già costituita. In realtà la sua posi­ aspetto della questione si rimanda ad altri articoli di questa stessa Enciclopedia.zione è abbastanza sottile e in ogni caso non dogmatica: x ) in analisi (Cauchy­Weierstrass) l'in6nitesimale è un infinito impropriamente detto (un limite ) ; z) Per quanto riguarda la notazione differenziale la sua traduzione si opera neli tentativi di definire l'in6nitesimale come infinito propriamente detto sono fal­ modo seguente (si veda anche l'articolo «Differenziale» in questa stessa En­liti; 5) tale definizione può tuttavia essere possibile, ma in futuro. ciclopediaa).

«Si porrà forse... il problema seguente: dal momento che in questo modo Sia f : R" ~R una funzione reale di n variabili reali x„. . . , x„. Si supponga[con la teoria dei trans6niti ], si ottiene per il dominio dei numeri reali una che f ammetta derivate parziali òf/òx„ . . . , òf/òx„ in x eR". In notazione infi­estensione determinata verso l'in6nitamente grande, non si potrebbero de6nire nitesimale, se i dx; sono incrementi infinitesimali degli x, e se df è l'incrementocon lo stesso successo numeri determinati infinitamente piccoli o, il che è lo infinitesimale corrispondente, df e i dx, sono legati dalla formula fondamentalestesso, dei numeri 6niti che non si confondano coi numeri razionali o irrazio­

òf òfnali..., ma che potrebbero essere introdotti tra i numeri reali in ipotetici posti (x) df = ­ (x') dx„+...y — (x') dxintermedi? La questione della costruzione di tali interpolazioni, per la quale

=a~,

alcuni autori si sono dati molta pena, non può... ricevere risposta chiara che gra­ che si tratta di reinterpretare.zie ai nostri nuovi numeri e piu precisamente sulla base del concetto generale Ciò si fa in diverse tappe. x sia l'origine O di R" e si cominci col definiredi numerale di insiemi bene ordinati; al contrario i tentativi precedenti, per la nozione di vettore tangente a R" in O. Intuit ivamente (cfr, anche la 6guraquanto so, da una parte si basano su una confusione errata tra l'infinito impro­ 6) un vettore X tangente a R" in O è il vettore velocità in O di una traiettoriapriamente detto e l'infinito propriamente detto e dall'altra sono stati condotti y(t) di R pas sante per O, per esempio per t = o, e differenziabile in o.su una base coinpletamente incerta e barcollante... Le grandezze infinitamente Siccome y (t) = (x,(t), ..., x„(t)), le coordinate X, di X sono date dapiccole, per quanto io sappia, sono state utilmente sviluppate 6no ad oggisoltanto sotto la forma dell'in6nito impropriamente detto... Al contrario tutti

(z) X; = — '

i tentativi tendenti a trasformare con un coup deforce questi infinitamente pic­ dt , o

Infinitesimale 458 459 Infinitesimale

Sia allora f : R" ~R una funzione derivabile in O. La sua restrizione a y È banale verificare che dx; è una forma lineare su T, dunque un elemen­

è una funzione di t , f(y( t)), di cui si può calcolare la derivata in t per t = o to di T~.

con la regola di derivazione delle funzioni composte: Sia q)c Tn e si indichi con q); il numero

df(y(t)) òf d, àf d „ (8) q; = q ­

df t e òxl dr ) «'''

òxn dr

ossia, per la (z), Se X = g X; — è un vettore di T, si haòX«

df n òf(4) — = Z X' —.

dt ,=l òx; p(X) = /X;) ( — ) =

Questa formula permette di definire lo spazio — indicato con ToRn: spazio tan­gente a R" in O — ove «abitano» i vettori tangenti a R" in O. Si può infatti dalla (8)

)=lidentificare X con l 'operatore di derivazione n

n à= P q),dx, dalla (p).

(5) X =g X;­ %=l

' òx; Tn è dunque uno spazio vettoriale di dimensione n, di base dx„. . ., dx„deter­

che associa a ogni funzione f : R" ~R derivabile in O il vettore minata dalla scelta delle coordinate x,...xn di R". Relativamente a questa base

n àfle coordinate di uno dei suoi elementi q) sono date dalla (8).

X(f) = $ X; ­ = Dr f Sia allora f : R" ~R una funzione derivabile nell'origine, Si indichi con df' òx; l'applicazione di T in R che associa al vettore

(derivata di f relativamente a X ). X è un operatore lineare che soddisfa la for­. mula del prodotto: x =gx,­

àx.

(fi) X(fr) = f K(Z)+ex(f) dl T l l n umero

In breve, ToRn è lo sPazio vettoriale di dimensione n di base à/òx„. . . , (9) df(K) = K(f) = $X; —.ò/òx, determinata dalla scelta delle coordinate (x„ . . . , xn) di R".ni

Si indichi con T lo spazio vettoriale To R e sia T il suo duale, cioè lo spaziondf è un elemento di Tn e si ha dalla (7)vettoriale delle forme lineari reali su T (si veda l'articolo «Dualità» in questa

stessa Enciclopedia). n òfdf(X) =g — dx;(X)

Si indichi con dx; l'applicazione di T in R che associa all'operatore di deri­ ;, òx;vazione e quindin à

X = QX,­' àx; n òfla sua i-esima coordinata X,: (lo ) df =g — d x ,

, , òx;

(p) dx;(X) = X;. cioè la formula ( l ).X

In questa «traduzione» che lascia invariate le formule ma che trasforma lostatuto delle entità che esse collegano, il differenziale df non è piu un infinite­simo ma una forma lineare sullo spazio degli operatori di derivazione in O.

La descrizione che precede è locale (ristretta a un intorno «infinitesimo»di O). Ciò che è stato indicato con df dovrebbe essere indicato con df(O), dif­ferenziale di f in O.

Figura 6. Se f è ovunque derivabile in R", si può globalizzare. Si definirà il piano

Vettore tangente. tangente T„Rn a Rn in x, il suo duale — detto piano. cotangente ­(T„R")n e

Infinitesimale g6o y6i Infinitesimale

il differenziale df(x) di f in x. Siccome si possono «incollare» i piani tan­ Questo significa — nella misura in cui esige un controllo logico-concettuale

genti (rispettivamente cotangenti) in uno spazio globale TR" (rispettivamente della contraddizione — che un chiarimento di questo ordine non può basarsiT~R") — detto fibrato tangente (rispettivamente fibrato cotangente) — fibrato che su una formulazione non classica della logica elementare.

su R" con una proiezione w : TR"~R" (r ispettivamente x : T~R"~R") che Per una tale presentazione ci si varrà di alcune idee di Hilbert.

associa a un vettore tangente (rispettivamente cotangente) a R" la sua origi­ne, si vede che, in ultima analisi, il differenziale df di una funzionef : R" ~R Per dimostrare la consistenza dell'aritmetica, Hilbert pensava di poter uti­

è quello che si chiama una sezione del fibrato cotangente, cioè un'applicazionelizzare una strategia 6nitista e aveva approntato a tal fine un metodo di elimi­

df : R" ~ T~R~ tale che nodf = i ran (titn è l'applicazione identica di R"). Anazione dei quantificatori. Poiché le sue speranze sono state spazzate via dalteorema di Godei, tale metodo, divenuto inutile, è caduto in discredito. Benché

xe R", df associa la forma lineare df(x) su T„R".Si è ben lontani dal df come in6nitesimo.

talvolta utilizzato ancora in modo sporadico (per esempio da Bourbaki nelle

Di fatto questa globalizzazione ha interesse soltanto se non si considerasue prime pagine), esso non è piu che una curiosità storica del «museo im­

piu uno spazio R" ma uno spazio ottenuto «incollando» carte locali identi­maginario» matematico. Tuttavia, come si vedrà, tale metodo permette in modo

ficabili cor. «pezzi» di R". Per costruzione, questi spazi — detti varietà diffe­molto economico di spiegare lo statuto logico-concettuale dell'infinitesimale.

renziabili — sono localmente identici a R" ma in generale globalmente diffe­Hilbert sosteneva la tesi che per «fondare» le matematiche occorresse di­

renti (si veda l'articolo «Curve e super6ci» in questa stessa Enciclopedia). Nel mostrare la loro consistenza formale — e innanzitutto la consistenza dell'arit­

caso di R" il concatenamento dei livelli «degenera» poiché i) tu t ti g li spazimetica — facendo uso soltanto di una metalogica finita, l'unica che poteva venir

tangenti T„R" sono canonicamente isomor6 a R": un vettore tangente a R"considerata come legittima a priori. Ciò pone un immediato problema relativo

«è» un vettore di R", o ancora il fibrato tangente TR" «è» il prodotto direttoalla quantificazione. Finché ci si attiene a insiemi finiti, gli enunciati quantifi­

R" x R"; z) la struttura euclidea di R" implica un isomorfismo canonico tracati sono equivalenti a disgiunzioni o congiunzioni finite di enunciati elemen­

TR" e T~R". Il differenziale df si riduce dunque a un campo di vettori di R"tari. Se per esempio F (x) è un predicato il cui dominio di definizione è l'in­

— detto campo di gradienti di f — che associa a x e R" il vettore di R" di coordi­sieme finito A= (a„. .., a„), l 'esistenziale 3xF(x) è equivalente alla disgiun­zione finita F(a,) V ... V F(a„) : a, soddisfa F, o a, soddisfa F, o ecc.; e l'uni­

nate (bf/òx„..., òf(òx„). versale VxF (x) alla congiunzione finita F(a,) R... RF(a„): a, e a~ e ... e a„soddisfano F. Le cose vanno diversamente se A è in6nito. Quantificare su un

r.g. L'infinitesimale leibniziano come 6nzione. insieme infinito non è piu un processo finitista e non può piu, per Hi lbert,

Prima di mostrare (cfr. il ( z) come l'analisi non standard chiarisca lo sta­essere accettato a priori. Occorre dunque essere in grado di eliminare i quan­

tuto aritmetico e algebrico dell'infinitesimale leibniziano e come dia consi­tificatori almeno dagli assiomi delle teorie di cui ci si propone di di mostrarela consistenza.

stenza alla dubitativa anticipazione di Cantor (cfr. sopra, p. 456), se ne spiega Eliminare i quantificatori non vuoi dire vietarli; in tal caso infatti ci sipreliminarmente lo statuto logico-concettuale.

Si riconsiderino le conclusioni di p. agi : prescindendo da ogni feticismocon6nerebbe in una logica troppo povera. Uuol semplicemente dire che essi

dell'oggetto (cfr. sopra, p. y54), si tratta di dedurre le proprietà logico-concet­non devono piu essere considerati come nozioni logiche primitive ma al con­

tuali «anormali» del dx leibniziano:trario che bisogna derivarli nel quadro di un formalismo che soddisfi le con­dizioni restrittive di una strategia finitista.

a) è un'identità simbolica che occupa un posto inoccupabile con un «effetto La principale fra queste condizioni restrittive è quella che impone di limi­di de-limitazione» per i procedimenti di costruzione dell'insieme R (in­ iarsi a manipolazioni logiche elementari su enunciati elementari di tipo F (a),finlto-punto ) ; (r'(a,b), ecc. Poiché il procedimento di Hilbert è puramente sintattico, i sim­

b) è un simbolo-indice «dimezzato» in cui l'aspetto di indice e l'aspetto di boli di individui a, b, ecc. non hanno né condizioni restrittive semantiche, nésimbolo sono incompatibili ; condizioni restrittive referenziali. Ciò consente a Hilbert di optare per una

c) è un signi6cante di cui ogni referente nega il signi6cato; strategia di estensione dell'universo degli oggetti. Per ogni predicato a un po­d) è un simbolo letterale .che ha lo statuto sintattico di un numero ma che sto F (x) egli introduce — in modo puramente sintattico — un simbolo indi­

si riferisce a un evento. «ato con s~F(x) (che si noterà qui s> per comodità) in cui x di venta una

Si tratta di iscrivere nel quadro stesso della logica formale questa finzionevariabile vincolata. Tale z-termine ez è un simbolo di individuo e non un sim­

e la spaccatura che essa materializza. Si può, d'altronde, ipotizzare che questobolo di variabile: rappresenta l'idea di un individuo che soddisfa F.

scarto tra concetto e logica è universale : l'infinitesimale non ne sarebbe che 1 e­i i Hilbert definisce allora il quantificatore esistenziale con l'equivalenza:

sempio matematico piu rilevante. (t i) Zx F (x ) — = F(sz).

Infinitesimale 46z 463 Infinitesimale

L'affermazione 'Esiste un elemento che soddisfa F' equivale all'altra 'L' indi­ TEQREMA (Hilbert). C, è una estensione inessenziale di CP. Cio significa ch«viduo ideale che rappresenta l'idea di un individuo che soddisfa F, soddisfa se p è una formula di CP e $ una conseguenza di <i> in C„se il simbolo s non in­effettivamente F'. terviene in modo irriducibile in $, allora $ è una conseguenza di <i> in CP. (Cfr.

Si osserverà che in questa definizione — chiave di volta del metodo hilber­ fig' 7).tiano — un enunciato complesso (quantificato) viene sostituito da un enunciato

elementare il quale attesta che un determinato individuo soddisfa una deter­Questo risultato è di grande importanza perché mostra che i calcoli CP <

minata proprietà.C, sono sintatticamente equivalenti e che dunque non c'è alcuna ragione <li

Ora se F (x,y) è un predicato a due posti, szF(x,y) è un predicato a un po­privilegiare l'uno in rapporto all'altro.

sto, con y variabile libera. È dunque possibile formare l's-termine s„z E (x,y), Ma se CP e C, sono sintatticamente equivalenti, le loro semantiche natur;<li

ecc. Siccome la quantificazione universale si riporta per negazione alla quan­sono al contrario molto differenti e in particolare per quanto riguarda il problc»>a

tificazione esistenziale, si possono in tal modo eliminare i quantificatori condella referenza.

l'aggiunta di s-termini.La semantica del calcolo dei predicati CP è infatti puramente estension d«.

Hilbert considera allora il calcolo C„usualmente detto e-calcolo, costituitoI «nomi» a, b, ecc. degli individui sono in essa arbitrari e la quantificazi<>»<

dalle parti seguenti :viene interpretata in termini di «prospezione». Al contrario in C l a quantifi­cazione (esistenziale) s interpreta come una proprietà di consistenza di un i»­

E

a) calcolo delle proposizioni (simboli p, q, ... di proposizioni e operatori dividuo ideale, di una identità simbolica. Tradizionalmente, si considera l'op<­logici di congiunzione t<,, disgiunzione v , negazione ); ratore di Hilbert come un operatore di scelta: poiché l's-termine ez rapprcs«»­

b) simboli di individui e simboli di variabili; ta, secondo il concetto, l ' idea di un elemento che soddisfa F e, second<> ilc) simboli di predicati a n posti; referente, un elemento arbitrario che soddisfa F, se Xz è l ' insieme degli «I<­d) e-termini corrispondenti ; menti che soddisfano F, si può dire che l'operatore e seleziona un elemc»(<>e) regole standard di deduzione; arbitrario a di Xz come referente di ez. Se F (zp) è valido, allora F(a) è valid<>,f) regola d'introduzione dell'operatore s: a soddisfa F, Xz è n on vuoto ed esiste certamente un elemento che so<l<li

sfa F.( iz ) E(a) F ( sz) : Tuttavia si vede che se l'equivalenza fondamentale (ir) è consistente, «i<'>

poiché F è un predicato a un posto, se si è dimostrato che un elemento non è che a causa dello statuto logico-sintattico ben preciso degli s-ter»>i»i,particolare, a, soddisfa F, si può introdurre l's-termine sz e porre F(sr). fpostasi di idee, gli e-termini sono nello stesso tempo dei simboli secondo il c<»>Per la (r i ) questa regola non è nient' altro che la riformulazione della cctto e degli indici secondo il referente. Elementi di codice determinati il «»iregola classica d'introduzione del quantificatore esistenziale. referente è indeterminato, si può dire che essi sono strutturati come simboli-i»

(r3) E(a) ~ 3xF(x). <lice. Proprio a questa intrusione metodica nel campo della logica formai«<li«ntità che hanno lo statuto «linguistico» di simboli-indice, l'operatore hill>< r­

Quantunque non contenga esplicitamente quantificatori, C, è, per la (r i ) , lhtno deve la sua portata epistemologica.una estensione del calcolo dei predicati CP. Ma... Si prenda allora in considerazione una proposizione universale di t i~><>

VxE(x). Denotando F co n F, si hanno le equivalenze

CP VxF(x) ­= ZxF(x) (du a l i tà V~B t r a mite la negazione)('4) ZxF(x) = F(sy) (per la (r r))

Zx F(x) ­= F (ep)Deduzione Deduzione

diretta in CP in C, <, poiché F = F ,

( i <>) VxF(x) = F(zy).

Si supponga che VxF (x) sia valido in una interpretazione data. L's-t«>­g non contiene e »>i»«sp, detto quindi termine-zero (null term), esiste sempre per ipotesi »»;

Figura 7. ~><>asicde uno statuto molto particolare. Siccome non esistono elementi che s<><l­

Schema del teorema di Hi lbert. <lial'>»o P, ep è infatti proprio un simbolo-indice senza referente consistente. I„>

Infinitesimale y6g Infinitesimale

( i 5) esprime che ogni referente di sy nega il significato che simbolizza in quanto Non deve dunque stupire che si siano individuati a proposito del dx leibni­significante. Un termine-zero è dunque un simbolo-indice «dimezzato» per ziano tutti i t ratt i caratteristici di un termine-zer . I ' I l'- ero. n par t ico are 1 interpreta­cui l'aspetto di simbolo e l'aspetto di indice sono incompatibili, è la traccia let­ zione di d'Alembert dell'infinitesimale in termin' d t ( f .terale di una disgiunzione tra signi6cante e significato, una finzione che implica non fa che metaforizzare in modo «fisico» l'evento di biforcazione attraversoun sovvertimento della referenza. cui i termine-zero dx non è strutturalmente al suo posto (delocalizzazione).

Dunque l'operatore di Hi lbert rende in un certo senso la contraddizione na volta che si disponga della Finzione dx, l'universale(i6 ) equivalente

operatoria. Mostra che a livello logico-concettuale ogni universale è de-limitato a G(so) si traduce con:da un «effetto paradossale». E siccome per il teorema di Hilbert i calcoli CP ( i q) dx g o ~ 3r (r > o p, ~ dx~ > r) :e C, sono sintatticamente equivalenti, questi effetti parassitari, queste «impu­rità di origine», non sono eliminabili che attraverso una censura ideologica che ogni infinitesimale è o nullo o finito. E questo già si sapeva.privilegia l'interpretazione estensionale della logica elementare.

Introducendo la nozione intuitiva di «posto» è possibile approfondire que­ Osservazione : Ciò che precede potrà apparire circolare. Tuttavia non si trattaste riflessioni : c e di materializzare una de-limitazione di R come totalità. Ma non solo l'idea

i ) L'esistenziale 3xF(x ) ­= F (si,,) esprime che il simbolo-indice sz è loca­ paradossale di infinitesimale è come si è visto f f tt lI

' ' vis o, un e etto ogico-concettualelizzato «al suo posto», cioè che va nel posto determinato dal predicato F che dialettico e pregnante e liminabile soltanto con una censura ideolo ica' tal ' desso stesso indica. p e anche di esprimere concettualmente una proprietà strutturale fonda­

z) L'universale VxF (x) = F(zp) esprime al contrario che il simbolo-indice menta e di R con l'enunciato negativo «Non esistono in6nitesimi».dimezzato c» è delocalizzato, che esso «non è al suo posto» o ancora che è Il problema delle determinazioni concettuali negative è senza dubbio cru­

«catturato» dal posto del predicato stesso che lo nega. Parallelamente all'inter­ cia e. La sua archeologia porterebbe molto lontano, senz'altro fino al pensieropretazione «statica» di un termine-zero come disgiunzione significante /signi­ se vaggio. Come predicare una totalità per cui non si dispone di un procedi­ficato, esiste un'interpretazione «dinamica» che ne fa la traccia letterale di un mento effettivo di costruzione> L'interesse dell'operazione hilbertiana starebbeevento ideale di delocalizzazione o di biforcazione. ne 'aver mostrato che enunciati negativi che prescindono dall'esistenza

(comeSi può dunque sostenere la tesi che, malgrado la sua semplicità, il formali­ esige il loro concetto) di entità contraddittorie equivalgono a enunciati quantifi­

smo hilbertiano è «fondato nella realtà» e materializza nel campo della logica cati positivi. Evidente d l' p ' '

' .

'mente, dal momento in cui si e avuta a disposizione una

l'eterogeneità tra il simbolico e il reale che è inerente al concetto. Il feticismo costruzione esplicita di R come infinito attuale ci ' 't ' d' cl

della referenza consiste nel banalizzare nell'immaginario ciò che esso può avere ricorso all'in6nitesimale. Ma occorre aver ben chiaro che, facendo ciò l'analisidi fittizio una volta interpretato, laddove, al contrario, esso iscrive al livello si è separata irreversibilmente da ogni terreno ontologico, si è privatizzata elogico-simbolico il funzionamento dialettico naturale del concetto. capitalizzata tecnicamente (cfr. sopra, p. g ay) ; essa partecipava infatti della

dia ettica universale interna al concetto solamente grazie alla struttura del ter­

Si torni ora all'infinitesimale e si prenda in considerazione l'enunciato F (o) : mine-zero.

(«) F(o) ­= ~ X(X+o ~r (r>o<Imi >r)) Se la determinazione e' ne del dx come termine-zero chiarisce il suo statuto lo­

che, una volta interpretato in R, significa che non esistono infinitesimi: la gico-concettuale tuttavia consente anche di mediare la spiegazione del suo sta­

( i6 ) asserisce infatti che per ogni numero reale y non nullo esiste un nume­i i<to aritmetico e algebrico. Se infatti dx è un term'

­ , 1 ' l 1ro reale positivo r tale che ~y~ >r (cioè, y è separato da o da una distanza 6ni­ ic a . D unque si può sfruttare la disgiunzione che esso fissa fra significante e

ta). F(o) ha la forma VyG(y) e dunque Per la ( i5) è equivalente a G(so). signi6cato per trovargli un referente (in modo consistente) all'«esterno» di R.Si prenda dunque in considerazione il termine-zero sy. Poiché G è di forma

,'i ottiene cos per saturazione delle operazioni una estensione i'R di R. Se ora

A ~B, G sarà di forma A AB: < liossibile convalidare il principio di continuità mostrand h ­ I d<iccfire ­ e son o in qualche modo equivalenti si sarà cond tt '

(ip) C(y) = (y+o) RVr (r>o ~ ~y~(r), e'bniz, a relativizzare l opposizione Finito/infinito. Relativamente a R, dx

sii rappresenta dunque l'idea di un numero differente da o la cui distanza da««r: un termine-zero, ma relativamente a ~R sarà un (

' ' 'fi­r un segno(coesione signifi­

o è minore di qualunque numero strettamente positivo. 3fa questa è proprio la«<»te/signi6cato). F(o) (si veda la ( i6 )) sarà valido in ~R per il fatto che è va­

definizione dell'infinitesimale leibniziano. Di qui :li<l<i in : non ci sono infinitesimi assoluti, ma solo relativi. Se si quanti6ca~«R pcr definire dx (si veda la (i8)), dx può trovare un referente (in modo con­

( i 8) dx — = so. «i«l«<<te) in ~R. Se si quantifica su ~R per de6nire dx, allora dx ridiventa un

466 467 InfinitesimaleInfinitesimale

simbolo-indice «dimezzato», inconsistente relativamente sia a R sia a ~R, e cheMa l'analisi non standard ha potuto condurre a termine tale programm;< s<>l<1

inoltre ha un referente solo in una estensione ~~R di ~R. Si può dunque antici­basandosi in modo essenziale sul rapporto che sussiste tra R e il l inguagyi«

pare la struttura di una estensione non standard ~R di R; resta, ovviamente, ilformale in cui vengono espresse le sue proprietà. Lo studio di tale rappori<> « :<sintassi (linguaggio formale) e semantica (struttura concreta) è noto in logi<»<

problema di mostrare che un'estensione del genere esiste effettivamente. sotto il nome di teoria dei modelli.~R deve essere ottenuta a partire da R per aggiunta di infinitesimi e per

saturazione delle operazioni: sarà dunque costituita da tre componenti : i ) l in­1>'

sieme R dei numeri reali, detti, per tale occasione, standard; z) un insieme p, Elementi di teoria dei modelli.di infinitesimi che contiene solo o come numero standard; dx è il suo simbolo­indice; 3) l'insieme R dei numeri «infiniti»; sono gli inversi degli infinitesimi.

Data l'invarianza per traslazione di R, la parte finita di "R, ~R< ­— ~R+R„, z.i. La dialettica sintassi /semantica.

sarà ottenuta associando a ogni xeR l ' insieme p, degli infinitesimi: ~R> è La teoria dei modelli analizza i rapporti esistenti tra una struttura mat<:­«fibrato» su R di f ib ra in x: l ' i nsieme x+p. ha come simbolo-indice x+dx matica concreta e la sua teoria (nel senso formale del termine), cioè la struttur:<(fig. 8). dell'insieme degli enunciati che essa soddisfa. La teoria dei modelli si poggia s«

~R deve essere «indiscernibile» da R, cioè deve possedere esattamente le una dialettica sintassi/semantica dove la sintassi rappresenta la parte linguistic;<stesse proprietà di R purché queste siano esprimibili in un certo linguaggio di e formale e la semantica la parte insiemista e concreta.base. In particolare ~R sarà, come R, un corpo ordinato «archimedeo». Ciò non Si consideri per esempio il corpo R dei numeri reali che si suppone costruitoè contraddittorio col fatto che esistono numeri «infiniti» in ~R (col fatto cioè esplicitamente come infinito attuale: viene inteso come un oggetto concreto.che ~R non è archimedeo nel senso stretto del termine). Questo significa che Quando poi si dice che R è un corpo topologico commutativo, totalmente or­~R è archimedeo non relativamente a N, ma relativamente a ~N, insieme degli dinato, archimedeo e completo, si dice con questo che tale oggetto concreto èinteri di R che comprende interi «infiniti». dotato di una particolare struttura, anzi, di piu strutture tra loro combinate:

Ogni entità definita a partire da R deve essere automaticamente (cioè in i ) di una struttura algebrica definita dalle operazioni di addizione (+) e di mol­virtu della stessa costruzione di ~R) prolungabile a una entità dello stesso or­ tiplicazione (.); z) di una struttura di ordine definita dalla relazione d'ordi­dine definita a partire da ~R. ne < ; 3) da una struttura topologica '6.

h un programma di tal genere che ha portato a termine l'analisi non stan­ Come struttura, R è dunque la quintupladard. Come afferma Fenstadt: «Leibniz era dell'idea che gli infinitesimi e illoro calcolo potessero essere giustificati con l ' introduzione di un t ipo di ele­

R =(R, +,, < , G).

menti ideali che potevano essere o infinitamente piccoli o infinitamente grandi Ora, siccome non c'è intuizione che permetta di conoscere questa strutturarispetto ai numeri reali. Ma Leibniz e i suoi successori, in particolare L'Hopi­ in modo immediato, per comprenderla si deve spiegarne in modo mediatotal, non erano in grado di sviluppare in modo consistente un'analisi basata su (cioè con l'ausilio di d imostrazioni ) la descrizione predicativa. Si parte daqueste idee. L'introduzione di ~R realizza invece tutto ciò, "R è un'estensione proprietà date per acquisite per giungere, attraverso un certo itinerario dedut­elementare di R che possiede le stesse proprietà aritmetiche. E la teoria evita tivo, ad altre proprietà. Ma poiché la deduzione è puramente sintattica e algo­le difficoltà connesse con il tentativo di Leibniz, distinguendo accuratamente ritmica si devono prima tradurre in un l inguaggio formale appropriato gliciò che "è uguale" da ciò che "è infinitamente vicino a". Per un infinitesimo enunciati presi in considerazione. Si introduce cosi una distinzione tra linguag­dx e un corrispondente dy, abbiamo f'(x) ( d y /dx) cosi che f '(x) =st (dy/dx), gio formale e struttura concreta, cioè tra sintassi e semantica.laddove Leibniz voleva avere f'(x) = dy/dx, che è chiedere troppo» [i968, pp. In altri articoli della presente Enciclopedia sono trattati gli aspetti specifici

39-4o]­ della formalizzazione, del calcolo logico, della deduzione. Qui, per «parlare»delle strutture, verrà brevemente delineato il linguaggio L dei predicati compo­sto da:

a) un insieme numerabile di simboli di variabile, x, y, z, ecc.;x+Ch b) un insieme numerabile di costanti a, b, c, ecc. che consentono di designa­

re degli elementi strutturalmente distinti come o, i , ecc.;c) il simbolo di uguaglianza;d) un insieme numerabile di simboli di relazioni (unarie, binarie, ternarie,

Figura 8. ecc.) F, G, P, Q, ecc., che possiedono ciascuna una arietà definita;Schema: la parte finita di + R .

Infinitesimale y68 469 Infinitesimale

e) eventualmente un insieme numerabile di simboli di funzione o di ope­ Prendendo gli assiomi come teoremi di base si costruisce dunque ricorsiva­razione ; mente, per applicazione ripetuta di queste regole, un insieme di formule di L

f) simboli di punteggiatura; dette teoremi del calcolo CP dei predicati, o dette ancora formule derivabili,g ) connettivi proposizionali R, V , dimostrabili o deducibili, indicate di norma con + p. A questi teoremi pura­h) quantificatori 3, V. mente logici (indipendenti da ogni semantica) si può ricorrere costantemente.

Piu in generale sia Z un insieme di formule di CP. Si dice che la formulaTra tutte le catene di simboli di L, ci si restringe alle espressioni ben for­ p è derivabile da Z e si indica con Z I — q>, se cp può essere ottenuta da una catena

mate, cioè tipograficamente corrette e che non introducono confusione di varia­ deduttiva che fa intervenire come teoremi di base non soltanto gli assiomi dibili nella quantificazione. Vengono chiamate formule (ben formate) di L. So­ CP ma anche le formule di Z (o ipotesi). Nella pratica piu che dimostrareno definite ricorsivamente a partire dalle formule elementari di base — dette ZI — q si vorrebbe dimostrare I — Z~p. Che queste due proprietà siano equiva­formule atomiche — del tipo x =y, P (x„..., x„), f(x„. . ., x„)= x (ove P è una lenti nel caso degli enunciati è contenuto nel teorema seguente:relazione n-aria, f una funzione di n variabili, x, y, z, x„. . . , x„del le variabili odelle costanti ) mediante la regola che segue: TEQREMA DI DEDUzIQNE (Herbrand, I9z8 ). Se Z è un insieme finito di enun­

ciati e se cp è un enunciato, Z p p implica l — Z~p.REGQLA. Se p e y~ sono delle formule e x una variabile, allora q >,AR),

@VA, 3xq> sono delle formule (a condizione che per 3xrp, q non contenga Osservazione: l — Z~tp implica Z + q> è la regola del modus ponens enunciatagià una quantificazione su x ). sopra.

Osservazione: Il teorema di deduzione è falso per le formule in generale.Come è noto, si può definire V in termini d i e di 3 e i c onnettivi ~

e ~ i n t e rmini d i e R , od i e V . Si ritorni ora alla semantica. Sia A = (A, R„ . . . , R ) una struttura defini­Si dicono enunciati le formule senza variabili libere cioè le formule in cui ta su un insieme di base A dalle relazioni R„ . . . , R„ (o dalle funzioni e dalle

tutte le variabili sono quantificate. Soltanto gli enunciati possono avere un va­ operazioni: com'è noto, sef : A" ~A è una operazione f(x„. . . , x„) =~, le silore di verità una volta interpretati semanticamente. associa la relazione R< definita da (xs • X X ~ ,) e Rt se e solo sef(x„ . . . , x„) =

Per trasformare in calcolo il linguaggio dei predicati occorre disporre da una =x„+, ). Per «parlare» di A si utilizza il calcolo dei predicati. In L viene sele­parte di un insieme di assiomi logici e dall'altra di un insieme di regole di de­ zionato un insieme R~, ..., R„' di simboli di relazione con la stessa arietà rispetti­duzione. vamente di R„ . . . , R„. La corrispondenza biunivoca R,'~R, viene detta una in­

L'insieme degli assiomi comprende I ) gli assiomi del calcolo proposizionale ; terpretazione di L in A, o anche una semantica.z) gli assiomi dell' uguaglianza :l'uguaglianza è una relazione di equivalenza che Ma per poter interpretare gli enunciati di L in A, occorre ancora dare re­soddisfa lo schema di assioma di sostituzione gole per l'interpretazione delle variabili e delle costanti.

( I ) ~x>y (x =y (q q')) Per quanto riguarda le variabili, si introduce la seguente idea fondamentale.Anche se al livello della loro costruzione dal punto di vista insiemistico gli

dove <p è una formula e p' si ottiene a partire da p sostituendovi con y un nume­ elementi di A non sono degli elementi semplici ma a loro volta degli insiemiro arbitrario di occorrenze di x; 3) gli assiomi di particolarizzazione del quanti­ (come per esempio nel caso dei numeri reali nella costruzione di Dedekind oficatore universale e d'introduzione del quantificatore esistenziale: delle funzioni di uno spazio funzionale) li si considera come elementi semplici

(Urelemente o atomi). Nell'universo della teoria degli insiemi che governa l'a­(z) Vxq'(x) «q'(a) spetto semantico, si tronca la gerarchia associata alla relazione di appartenenza( 3) q'(a )«2x q'(x). al livello degli elementi della struttura presa in considerazione e si pone che le

Quanto all'insieme delle regole di deduzione, esso comprende, fra le altre, variabili di L sono r i ferite a questi Urelemente.

le seguenti: Si restringe allora la quántificazione agli elementi delle strutture (per esem­pio viene vietata la quantificazione sui sottoinsiemi di A ). Questa restrizione de­

REGQLA DEL «MGDUs poNENs». Se q e q «g sono dei teoremi, allora g è linisce cioè la cosiddetta logica dei predicati del primo ordine. I teoremi fon­un teorema. damentali della teoria dei modelli dipendono in modo essenziale da tale restri­

REGQLA. Se p ~ $(a) è un teorema e se q> non contiene la costante a, allora zione.Vx)(x) è un teorema. Parlare di una struttura al primo ordine vuoi dire dunque considerare di

REGQLA. Se q>(a) ~$ è un teorema e se $ non contiene la costante a, allora essa soltanto le proprietà formulabili in un linguaggio dalle risorse ben limitate.3.xe(x) ~$ è un teorema. In rapporto al calcolo dei predicati adattato alla teoria generale degli insiemi

Infinitesimale 47o 47I Infinitesimale

(teoria dei tipi alla Russell ), questo fatto introduce una rottura, Ma proprio DEFINIZIONE. Si chiama teoria di K e s i ind ica con Th (K) li nsieme deglitale rottura offre strumenti per l'indagine del rapporto tra sintassi e semantica. enunciati validi in ogni struttura s(; di K.

Per le costanti si adotta la seguente strategia. I simboli d i costanti di Lsono riferiti a elementi strutturalmente distinti. Per parlare per esempio di R L'analisi del rapporto fra sintassi e semantica consiste per prima cosa nel

occorre disporre di simboli che denotino o e I . A seconda della scelta degli domandarsi: I ) Dato un insieme di enunciati Z, che rapporto c'è fra Th (Z)elementi distinti, si ottengono teorie non equivalenti. Per esempio la teoria di e Th(%(Z)), cioè tra l ' insieme degli enunciati derivabili da Z e l ' insieme

R in cui è disponibile, oltre a o e I, anche il simbolo di costante n, è piu ricca degli enunciati validi in ogni modello di Z? z ) Data una struttura A, esiste

della teoria in cui sono disponibili soltanto o e I . un insieme finito di enunciati Z tale che Th (A) = Th(Z) cioè tale che ogniÈ però una pratica abituale quella d'introdurre un simbolo nuovo ogni vol­ enunciato valido in A sia derivabile da Z? Si dice in questo caso che A e la

ta che viene definito un nuovo elemento. Affinché questa procedura sia sem­ sua teoria sono finitamente assiomatizzabili. g ) Siano A = (A, R;), d3= (B, S;)pre lecita, talvolta si conviene di prendere come linguaggio di base relativo a due strutture dello stesso tipo. Si supponga Th (A) = Th($). Ciò vuoi dire allo­una struttura A il l inguaggio Lz (o L>) ottenuto aggiungendo a L dei «nomi » ra che s4 e S sono isomorfe> Non necessariamente. Nel caso in cui questo si

per tutti gli elementi dell'insieme A base di A. L' insieme delle costanti di L< verifica si dice che la teoria di A è categorica.

in generale non è numerabile. L'idea ingenua che ci si forma del rapporto di adeguazione tra sintassi

Se si dispone di una interpretazione di L in A ogni enunciato del primo or­ e semantica indurrebbe a r i tenere che, data una struttura concreta A, la sua

dine relativo ad A è traducibile in un enunciato formale di L e reciprocamente teoria dovesse essere al tempo stesso categorica e finitamente assiomatizzabile,

ogni enunciato di L è interpretabile come enunciato del primo ordine relativo ovvero che esiste un numero finito di proprietà caratteristiche di A t al i che

ad A. I ) ogni proprietà di A è derivabile da queste; z) ogni struttura che possiedequeste proprietà è isomorfa a A.

Dopo avere interpretato L in A, vi si interpreti il calcolo dei predicati, La Nel seguito si vedrà come questa idea sia definitivamente falsa al primo or­

nozione di base è quella (semantica) di validità di un enunciato. dine e come esista uno scarto fra sintassi e semantica che può essere analizzatoin quanto tale.

DEFINIzIQNE. Un enunciato p di Lz è v a l ido in A se è vero una volta inter­pretato. Prima di affrontare i teoremi di base che consentono una tale analisi, ecco

DEFINIzIoNE. Se p è valido in A (e si indica con A4 p) si dice che A è un una prima forma dell'adeguazione fra sintassi e semantica.modello di cp. Gli enunciati di una teoria Th (s4) si suddividono in due classi: da una partePiu generalmente se Z è un insieme di enunciati e se AC<p per ogni enun­ gli enunciati che dipendono dalla struttura particolare di A e dall'altra quelli checiato p di Z, si dice che A è un modello di Z. La validità si definisce ricor­ ne sono indipendenti. In relazione a questi ultimi, si ha innanzitutto la defi­sivamente in modo evidente. nizione seguente :

Si definirà ora la nozione di teoria nel suo doppio aspetto sintattico e se­ DEFINIzIoNE. Un enunciato è detto universalmente valido se è valido in ognimantico. interpretazione.

Lato sintattico: sia Z un insieme consistente di enunciati, cioè un insiemedi enunciati da cui non è possibile derivare una contraddizione; Z è detta allora Per rispondere alla domanda I ), occorre, prima di analizzare particolari in­una teoria. s iemi di enunciati, prendere in considerazione il caso Z = g. Th (Z) si riduce

DEFINIzIQNE. Si chiama poi teoria di Z, e s i i nd ica con T h (Z), l insieme allora all'insieme dei teoremi di CP e T h (9K(Z)) all'insieme degli enunciatidegli enunciati derivabili da Z (cioè la chiusura deduttiva di Z) . universalmente validi (poiché ogni struttura è modello dell'insieme vuoto di

enunciati).Verrà indicata con % (Z) la classe dei modelli di Z, cioè la classe delle strutture Domanda: Quale rapporto c'è fra i teoremi di CP e gli enunciati universal­per cui esiste un'interpretazione di L che rende validi gli enunciati di Z. mente válidi?

Lato semantico : sia data una struttura A : Siccome è banale verificare che gli assiomi di CP sono universalmente validiDEFINIzIQNE. Si chiama teoria di A, e si indica con Th (A), l' insieme degli e che le regole di deduzione conservano la validità universale, si può mo­

enunciati validi in A. Per definizione A è un modello di Th (A). strare facilmente un pr imo r isultato:

Piu in generale: sia K una classe di strutture dello stesso tipo (cioè definite TEQREMA. Ogni enunciato che è un teorema di CP è universalmente valido:dagli stessi simboli di costante e dagli stessi simboli di relazione). se p p, allora Ap q> per ogni struttura A.

Infinitesimale 47z 473 Infinitesimale

Questo teorema ha per corollario il seguente risultato di base: Un'altra conseguenza del teorema di completezza ha una maggiore rile­

TEOREMA DI CONSISTENZA DEL CALCOLO DEI PREDICATI. CP è consistente cioè vanza epistemologica, Come osservano Beli e Slomson [I969, pp. 6g-66], d<>­Z = ic' è un insieme consistente di enunciati. po Kreisel [1967, p. 153], la funzione essenziale del calcolo dei predicati è di

provare a «catturare» sintatticamente non tanto la nozione di enunciato uni­versalmente valido, quanto quella di enunciato logicamente valido, cioè valid<>

z.z. I teoremi di base della teoria dei modelli. in ogni interpretazione, incluse le interpretazioni in ogni universo della teoria

I teoremi di base della teoria dei modelli si dividono in due gruppi. Da una degli insiemi (universi che non sono insiemi). Va sottolineato come a priori

parte quelli che dimostrano risultati positivi di compatibilità fra sintassi e se­l'insieme degli enunciati logicamente validi contenga quello degli enunciati

mantica e dall'altra quelli che dimostrano risultati negativi di l imitazione in­ che sono teoremi del calcolo CP dei predicati e sia contenuto in quello degli

terna. In generale la restrizione al primo ordine è essenziale. enunciati universalmente validi. I l teorema di completezza di Godei aGermaproprio che questi tre insiemi sono identici.

Teoremi positivi. Il t e o rema di completezza di Gòdel [I930] e ll feclpl"ocodel teorema di p. 47I: Teoremi di limitazione. Il p iu no to è certamente il teorema di incomple­

tezza [Godei I93I ] , che sl l ' lchlama qui nelle l inee essenziali. Anzitutto: unTEQREMA (Godei, 193o). Ogni enunciato universalmente valido è un teorema linguaggio L (non necessariamente del primo ordine), in cui si esprime l'iden­

di CP: se Ag<i> per ogni interpretazione di q>, allora tità, viene usualmente detto sufficientemente potente se è in grado di espri­

A questo teorema, come è noto, può essere data una forma piu forte :mere l'aritmetica elementare. Il risultato godeliano si può allora esprimere cosi:I ) se si richiede che l'insieme degli assiomi specifici di un sistema formale sia

TEQREMA. Un insieme di enunciati è consistente se e solo se ammette un modello. decidibile (ossia che sia sempre possibile decidere in modo effettivo — cioè conLa dimostrazione classica del teorema di completezza è troppo tecnica per

mezzi puramente costruttivi — per ogni formula (ben formata) del linguaggio in

essere anche soltanto abbozzata in questa sede[il lettore è rimandato, per esem­ questione se si tratta o meno di un assioma), allora non può esistere un sistema

pio, a Beli e Slomson 1969 e Robinson 1963]. Piu oltre se ne darà una versioneformale del primo ordine (e neanche di ordine superiore) consistente e suffi­

diversa. cientemente potente nel quale tutti gli enunciati veri della matematica, espri­

Eccone comunque alcune conseguenze fondamentali : si può già dare rispo­ mibili nel sistema, siano teoremi; z ) la consistenza (o non-contraddittorietà)sta a domande come la I) di p. 47 I .

di un sistema del primo ordine (e neanche di ordine superiore) consistente esufficientemente potente non può venir dimostrata entro il sistema stesso. Da

PRQPosIzloNE. Sia Z un insieme consistente di enunciati e sia K una classe questa stessa formulazione segue immediatamente che, per sistemi di ordine su­di strutture dello stesso tipo. Si ha: periore al primo, viene meno quella forma di adeguazione della sintassi alla se­

I ) Th(9K(Z)) = Th(Z) mantica di cui si è parlato sopra.z) 9K(Th(%(X))) = 9K(Z) Ma pure al primo ordine sussiste uno scarto tra sintassi e semantica che

3) Th(%(Th(K))) = Th(K). concerne la questione della categoricità. Sussiste infatti, per teorie al primoordine, il seguente teorema:

Un'altra conseguenza del teorema di completezza è il teorema fondamentaledi esistenza dei modelli : TEoREMA (Lowenheim-Skolem, prima versione [cfr. Lowenheim 191g ; Sko­

TEQREMA DI coMPATTEzzA. Sia Z un i n s ieme di enunciati. Se ogni sottoin­lem I9zo ]). Sia Z una teoria che possiede un modello infinito. Se Z è finito, X

siemefinito Zt di Z am mette un modello, allora Z ammette un modello.ha un modello per ogni cardinale infinito. se z è infinito di cardinale «, x haun modello per ogni cardinale ) c <.

Dimostrazione: Se Z non ammettesse un modello, sarebbe inconsistenteper il teorema presentato sopra. Un Xt sarebbe allora inconsistente e perciò

Questo teorema è qui decisivo : è infatti il teorema generale di esistenza dei

senza modello. Contraddizione.modelli non standard: esistono modelli della teoria (al primo ordine) di R perogni cardinale superiore alla potenza del continuo.

Osservazione: Si vedrà nel seguito come rendere costruttiva questa dimo­ Sotto il profilo generale il teorema di Lòwenheim-Skolem mostra che teo­strazione astratta. rie che ammettono modelli infiniti (cioè la maggior parte delle teorie interes­

coRQLLARIo. Sia Z una teoria. Una struttura A può essere immersa in un santi) sono non categoriche in quanto due strutture con cardinali diGerenti nonmodello di Z se e solo se ogni sottostruttura finita di A può essere immersa in sono isomorfe: la risposta alla domanda 3 ) di p. 471 è in generale negativa.un modello di Z. Occorre di conseguenza relativizzare la nozione di categoricità.

Infinitesimale 474 475 Infinitesixnale

DEFINIzIoNE. Sia x un cardinale. Una teoria Z è detta x-categorica se tutti una classificazione delle teorie. Infatti si ha il profondo risultato dovuto a Mor­

i modelli di Z di cardinale x sono isomorfi. ley che risolve una congettura di R,os:

Alcuni teoremi classici sono teoremi di x-categoricità. TEQREMA (Morley, Ig64). Se una teoria è x-categorica per un cardinale

Si consideri per esempio la teoria ZD degli insiemi densamente ordinati x) 8 p, essa èP-categorica Per ogni cardinale P)8p.

senza primo ed ult imo elemento. Se A = (A, < ) è u n i n s ieme totalmente coRQLLARlo. Esistono soltanto tre possibilità per una teoria che ammette

ordinato, la proprietà di densità esprime che per ogni coppia (x,y) di ele­ modelli infiniti : a ) è x-categorica per ogni cardinale x infinito ; b) è x.-categorica

menti di A tale che x<y , esiste un elemento intermedio x< z ( y .solo per x= S p ; c) è x-categorica per ogni x ) 8 p senza esserlo per 8p.

TEQREMA (Cantor, I895). ZD è 8~-categorica (ove 8p è la potenza del nu­ 2.3. «Indiscernibilità» dei modelli e completezza.merabile) .

coRQLLARIo. Tutt i gl i i nsiemi numerabili Ji = (A, ( ) d ensamente ordi­ In un certo qual senso le proprietà del primo ordine sono elementari. Il te­nati senza primo ed ult imo elemento sono isomorfi a (Q, <). ma di questo approccio all'analisi non standard è quello: I ) del rapporto che

Osservazione: È possibile dimostrare che ZD non è x-categorica per x) 8p .esiste tra una struttura concreta e la sua teoria al primo ordine; 2 ) dell'analisidelle e estensioni ~R di R che ne sono «indiscernibili». Tali estensioni esistonosoltanto se Th (R) non caratterizza R. E questo già è noto proprio per il teore­

Si consideri ora la teoria Xcc dei corpi commutativi algebricamente chiusi. I ma di Lowenheim-Skolem (cfr. sopra, p. 473).modelli di Ecc soddisfano un numero infinito di assiomi : quelli finiti dei corpi È ddunque naturale interrogarsi sulla relazione di equivalenza che ricoprecommutativi e, per ogni n@N, l'assioma T„che esprime che ogni polinomio di l'1 «indiscernibilità» di due strutture. Si tratta della cosiddetta equivalenza ele­grado n possiede una radice. mentare. Intuitivamente due strutture A e S dello stesso tipo sono elementar­

Osservazione: È possibile mostrare che non si può ricondurre l'insieme in­ mente equivalenti se hanno la stessa teoria al primo ordine: Th (A) = Th(J3).finito dei T„a un insieme finito. La proprietà di essere algebricamente chiuso Ma occorrono alcune precauzioni per il fatto che A e J3 non hanno necessaria­non è, per un corpo, una proprietà del primo ordine, o ancora, la teoria Ecc mente le stesse costanti.non è finitamente assiomatizzabile (cfr. sopra, p. 47I).

Dato un corpo commutativo K si può mostrare o che per ogni xeK, x +o DEFINIzIONE I. si a no J1 e J3 due strutture dello stesso tipo con insiemi di base

si ha nx~o per ogni intero ncN: s i d ice allora che K è d i caratteristica o;rispettivamente A e B. Sia N un sottoinsieme di A pB. s4 e S sono dette elemen­

o che esiste un piu piccolo numero primo p ta le che px= o per ogni xe K: tarmente equivalenti relativamente a N se A e J3 hanno la stessa teoria relativa­

si dice allora che K è di caratteristica p. Ogni corpo di caratteristica o (come mente a Ll«, cioè se soddisfano gli stessi enunciati purché questi abbiano le loro

Q, R o C) è una estensione di Q e ogni corpo di caratteristica p è un'estensionecostanti in N.

del corpo finito Fp ­— Z(pZ degli interi modulo p. Q e F„sono detti corpi primi Questa definizione si divide in due sottodefinizioni (2 e 3).(cfr. l'articolo «Divisibilità» in questa stessa Enciclopedia).

Osservazione: La proprietà ap di essere di caratteristica p è, per un corpo,DEFINIzIQNE 2. A e Q sono dette elementarmente equivalenti (si scrive A ­= J3)

una proprietà del primo ordine. Al contrario la proprietà rsp di essere di carat­se sono elementarmente equivalenti relativamente all'insieme delle loro costanti

teristica o, che risulta la congiunzione infinita 5, ( o„), non è del primo or­strutturali (per esempio o e I per ogni corpo).

dine. È chiaro che la relazione di equivalenza elementare è una relazione di equi­

Sia allora Ecc (rispettivamente Ecc ) la teoria dei corpi algebricamente valenza.0

chiusi di caratteristica p (rispettivamente di caratteristica o)..p .PRQPosIzioNE (banale). se A J3, allora A= J3 ( i n d ica l'isomorfismo).

TEQREMA (Steinitz, iclio ). Le teorie Ecc e Zcc sono x-categoriche per ogni Osservazione: Se reciprocamente A=— S implica A J3, cio significa che lacardinale x) 8p . lcuria di A è categorica (cfr. sopra, p. 47I).

coRQLLARIo (caratterizzazione di C). Ogni corpo algebricamente chiuso dicaratteristica zero avendo la potenza del continuo è isomorfo al corpo C dei

DEFINIzIQNE 3. Siano A e J3 due strutture dello stesso tipo tali che A sia unasottostruttura di J3 (Au J3). (Si può, al solito, supporre piu generalmente che

numeri complessi. ,II: sia immersa in cJ3 mediante un'iniezione j : A ~ J3 che conserva le strutture

Osservazione: È Possibile mostrare che Ecc non è 8p-categorica. i identifica A e j (JI)). Si dice che J3 è una estensione elementare di A — e si scrive:Il concetto di x-categoricità si è rivelato abbastanza potente per consentire , I,~P1 — se A e J3 sono elementarmente equivalenti relativamente ad A.ql <A

Infinitesimale 476 477 Infinitesimale

Questa nozione cruciale è stata introdotta da Tarski e Vaught. TEQREMA (Lowenheim-Skolem, do«onuiard). Sia Z un insieme di enun 'at'icia tdi L

PRQPosIzIoNE (banale). se A~($, al lora A­= J3. i d i cardinale c che ammette un modello infinito di cardinale ) oi; se a è infi­FRoposIzloNE. Se A è una struttura finita, tutte le sue estensioni elemen­

nito, Z ha un modello di cardinale x, altrimenti Z ha un modello di cardinale 8».

tari sono banali (cioè isomorfe a A ). Osservazione: Come corollario, si o t t iene immediatamente che esistonomodelli numerabili della teoria al primo ordine dei numeri reali. Quando com­

Le nozioni di equivalenza elementare e di estensione elementare sono no­ parve sulla scena matematica, questo straordinario risultato è stato classificatozioni semantiche di origine sintattica. Sono legate in modo essenziale al lin­ come un paradosso. In realtà, mostra semplicemente la forza della restrizioneguaggio di base; inoltre sono molto meno fini della relazione di isomorfismo, al primo ordine.puramente semantica. Ma proprio per questo permettono una prima classi6­ Rilevante all'esistenza dei modelli utilizzati dall'analisi non standard è poi,cazione delle strutture e delle loro teorie. direttamente, il secondo enunciato :

La nozione chiave per la teoria dei modelli non standard è, infine, quella diestensione elementare. Tale nozione è piu forte di quella di equivalenza ele­

TEQREMA (Lowenheim-Skolem, upnard). Sia Z una teoria di cardinalrinae u.Se

mentare. Dire infatti AC(S non significa semplicemente A~ S e A­= S. Vuoi e Z ha un modello infinito, ha un modello per ogni cardinale infinito P > x.

dire invece che le proprietà strutturali di tutti gli elementi di A sono conser­ Dimostrazione, nelle l inee essenziali [ per i dettagli si veda ad s m 'esempiovate per estensione a S, o ancora che nell'estensione a S nessun nuovo elemen­ Beli ee e Slomson Ig69, pp. 8I­8zj: si uti l izzerà in modo specifico la nozione dito viene a sostituirsi a un elemento di A facendolo «scadere» da una proprietà estensione elementare: sarà sufficiente mostrare che se A è una struttura infinitadel primo ordine. di cardinale x — in cui il linguaggio L è interpretato — A possiede estensioni ele­

Si considerino per esempio le s trutture d ' o rd ine s4= (NQ(o), < ) e mentari per ogni cardinale P) x, p, ove p è il cardinale del linguaggio L, cioè ilS = (N, <) . Ac J3 e s4 = J3. Se A= J3, allora A = S (cfr. p. 475). Ma J3 non è cardinale dell'insieme dei simboli di L.una estensione elementare di A. Infatti, quando si passa da s4 a J3, l'elemento A questo scopo, sia r~ = Th (A) relativamente a L „e P ) x, p. Sia B unI, che è il primo elemento di A (proprietà del primo ordine) si trova «soppian­ insieme di cardinale $ . Si formino poi gl i insiemi di enunciati K , = (agb)tato» dall'elemento o di J3. L'enunciato Vx (x) I) ch e è un enunciato di Lz per aa A, beB, i quali esprimono che A, base di A, e B sono disgiunti; enon vale piu in J3. Il che non impedisce che A e S siano isomor6. Ciò signi­ r

= (b,gb») per b» bs' B con b,+b~, i quali esprimono che elementi di B di­fica semplicemente che l'isomor6smo cosi definito è incompatibile coli'immer­ stinti sono distinti. Sia L' = Z UK,UK~. L' è di cardinale ) ed è consistente. Sesione Ac: J3. non lo fosse, esisterebbe un insieme 6nito Zf ­— Z UK» lJK+ da cui si deriva

Il fatto che nessun elemento di A debba trovarsi «scaduto» da una dellef f lf

una contraddizione. K,f UK,f non può essere vuoto in quanto Zf ammette unsue proprietà fornisce un criterio per le estensioni elementari, che permette modello A e pertanto è consistente. Siano a» ..., a~, b» ..., b~ le costanti didi restringersi a una sottoclasse di enunciati. Kif lJKgf Poiché A è inf inita, si può r i ferire b» ..., b„, a m elementi distinti

Applicando proprio tale criterio si può dimostrare il seguente risultato assai di A e distinti da ai, ..., a„. Zf' è dunque consistente in quanto ammette A co­significativo : me modello. Contraddizione. Dunque Z' è consistente. Per il teorema di com­

TEOREMA. ( Q) <)~( (R) < ) . pletezza (cfr. sopra, p. 472 ), ammette un modello J3. J3 è di cardinalità

Era già noto (teorema di Cantor: cfr. sopra, p. 474) che la teoria Zii degliJ 3 e poiché S è un modello di Z, teoria di A relativamente a L» A ( J 3 .

insiemi densamente ordinati senza primo e ultimo elemento è 8«-categorica e COROLLARIO. Esistono modelli non standard di R .

che dunque ogni modello numerabile di Zii è isomorfo a (Q, ( ) . Si vede orache (R, () — che non può essere isomorfo a (Q, <) po iché non numerabile­ L e nozioni di equivalenza elementare e di estensione elementare consen­è un'estensione elementare di (Q, ( ) . Ciò mostra in particolare che la proprietà tono anche di definire certe proprietà strutturali delle teorie che generalizzanofenomenologica primaria di R, quella di essere un continuo, non è una pro­ qiiclle di categoricità. È naturale, infatti, chiedersi quali teorie posseggano laprietà del primo ordine (cioè elementare) della sua struttura d'ordine. (Si veda proprietà per cui tutti i loro modelli sono «i ndiscernibili ». A seconda che sianche, a questo proposito, l'articolo «Continuo/discreto» in questa stessa En­ scelga l'equivalenza elementare o l 'estensione elementare, si ottengono dueciclopediaa). ilistinte nozioni di «completezza» di una teoria.

1)EFINIzioNE. Una teoria Z è detta completa se tutti i suoi modelli sono ele­Il concetto di estensione elementare precisa lo scarto sintassi/semantica mr ntarmente equivalenti.

enunciato dal teorema di Lowenheim-Skolem. La precedente formulazione delteorema può venir scomposta nei due enunciati seguenti: pRoposIzIQNE. Sia A una struttura: Z = Th (A) è completa.

Infinitesimale 479 Infinitesimale

coRQLLARIo (Lindenbaum). Ogni teoria ammette una estensione completa, considerati uno per uno. In particolare, in alcuni casi, diventa possibile dimo­strare che se un teorema di una data classe è vero per una struttura di un certo

La proprietà di completezza, apparentemente semantica, è equivalente in tipo è vero anche per una struttura di tipo diverso ad essa collegata. Chiamere­realtà, per il teorema di completezza, a una proprietà sintattica. Si ha infatti mo principi di trasferimento risultati del genere. Anzi, il classico principio diil seguente teorema: dualità della geometria proiettiva può essere considerato come un teorema

TEQREMA. Una teoria Z è completa se e solo se, per ogni enunciato p, è sia metamatematico di questo tipo. Il carattere logico di questo principio, però, è

Z~p, sia Z + q> . cosf immediato che la sua scoperta non ha reso necessaria formalizzazione al­cuna» [I96g, trad. it. p. gz ].

Dire che una teoria Z è completa significa dunque affermare che la suachiusura deduttiva X~ è completa nel senso di massimale: non è possibileaggiungerle alcun enunciato senza abolirne la consistenza. Il teorema appena

La nozione di completezza che si deve a Robinson e che viene associata

enunciato fornisce un utile strumento per mostrare che certe teorie non sononon piu all'equivalenza elementare ma alla estensione elementare è piu sottilein quanto quest'ultima non è una relazione di equivalenza.

complete.DEFINIzIQNE. Una teoria Z è detta BK-completa (completa rispetto ai modelli)E sempi o . se per ogni inclusione A~S di modelli di Z, A~<J3.

La teoria dei corpi commutativi (anche algebricamente chiusi) non è com­pleta. Infatti la caratteristica di un corpo (che è una proprietà del primo ordine

La %-completezza può essere ricondotta alla completezza se si prendono

se essa è diversa da zero : si veda l'osservazione a p. 474) non è derivabile dagliin considerazione i linguaggi Lz.

assiomi dei corpi. DEFINIzIQNE. Sia A u na st ru t tura di base A. Si c h iama d iagramma di

È dunque opportuno disporre di un criterio efficace che assicuri che una teo­ (e si scrive D (A)) l' insieme degli enunciati atomici e delle negazioni di enunciatiria è completa. atomici di L~ che sono validi in s4.

TEoREMA (R,os-vaught, I954 ). se z è una teoria senza modelli finiti e @.­ Una struttura S è un modello di D (A) se e solo se contiene una sovrastrut­categorica per un cardinale x infinito, Z è al lora completa. tura isomorfa ad A.

Osservazione: Questo risultato mostra proprio che la nozione di comple­ TEoREMA (definizione sintattica della %-completezza). Una teoria Z è 9K­tezza è un indebolimento di quella di categoricità. completa se e solo se per ogni modello A di Z la teoria Z U D (s4) è una teoria com­

pleta di Lz.coRQLLARlo. La teoria ZD degli insiemi con ordine denso senza primo e

ultimo elemento è completa. Osservazione: Benché fortemente correlate, le nozioni di completezza e di

Dimostrazione: Teorema di Cantor (cfr. sopra, p. 474).9K-completezza hanno ciascuna il loro specifico interesse. Si consideri per esem­pio la teoria Z = Th(BK) in cui 9K= (N , < ) ( t eoria degli insiemi numerabi­

COROLLARIO. (Q) <) = (R) <) .l'i con ordine discreto e con primo elemento ). Essendo la teoria di una strut­

coRQLLARIQ. Le teorie Ecc e Ecc dei corpi algebricamente chiusi di ca­ tura, essa è completa. Ciò nonostante l'esempio dell'estensione non elementare0 P

ratteristica o e p sono complete. (Ng (o), < ) c : ( N , < ) m o stra che essa non è 9K-completa.Dualmente, si vedrà tra breve che la teoria dei corpi algebricamente chiusi

Dimostrazione: Teorema di Steinitz (cfr. sopra, p. 474). è 9K-completa, Ora (si veda l'esempio a p. 478) essa non è completa.Osservazione : Già si è visto che ogni corpo algebricamente chiuso di carat­ L accoppiamento dei teoremi sulla definizione sintattica della %-comple­

teristica o avente la potenza del continuo è isomorfo a C. tezza (cfr. sopra) e sulle condizioni di completezza di una teoria (p. 478) for­Si constata ora che ogni corpo K algebricamente chiuso di caratteristica o nisce un criterio per mostrare che una teoria non è 9K-completa. Ma è oppor­

è elementarmente equivalente a C. Se dunque si dimostra una proprietà del tuno disporre anche di un criterio che permetta di mostrare che una teoria èprimo ordine per C, automaticamente essa è dimostrata per K, per esempio ,')K-completa. Tale criterio è stato introdotto da Robinson. Esso si basa sull'i­per le chiusure algebriche dei corpi di funzioni razionali. Si tratta di un caso dea che per sapere se una teoria è completa, basta verificarlo per una classeparticolare (principio di Lefschetz) di un principio generale di trasferimento abbastanza ristretta di enunciati [cfr. ibid., p. II7 ]. È in questo modo che sila cui importanza epistemologica è stata sottolineata da Robinson: «L'uso di è potuto dimostrare il seguente teorema:linguaggi formali ci permette di studiare simultaneamente intere classi di teore­mi laddove la pratica matematica ordinaria si deve limitare ai singoli teoremi TEoREMA. La teoria Ecc dei corpi algebricamente chiusi è 9K-completa.

Infinitesimale 48o 481 Infinttestmale

Che la teoria dei corpi algebricamente chiusi sia 9K-completa è dato qui co­ per l'estensione elementare, anche se non è completa, cioè non è completa per

me un risultato. Sotto il profilo storico si tratta però dell'origine concettuale l'equivalenza elementare. A prima vista può sembrare paradossale. In realtà

della nozione di %-completezza. Introducendo quest'ultima, Robinson si era non si deve dimenticare che se l'estensione elementare è una relazione essenzial­

proposto infatti di tradurre nei termini puramente metamatematici della teoria mente piu forte di quella di equivalenza elementare nella misura in cui è rela­

dei modelli la proprietà di chiusura algebrica dei corpi e di f ame un paradigma tiva ai linguaggi L, e non al linguaggio L, è nello stesso tempo piu debole nella

per le teorie algebriche in generale. misura in cui considera solo coppie di modelli di cui l 'uno è l'estensione del­D'altronde il teorema or ora enunciato non è altro che una riformulazione l'altro. Ora, ogni corpo è una estensione di un corpo primo, Q per la caratteri­

metamatematica di una delle chiavi di volta della geometria algebrica, cioè il stica o e Fp = Z /pZ per le caratteristiche finite p. Due corpi di cui l'uno è l'e­

Nullstellensatz di Hilbert (cfr. gli articoli «Geometria e topologia» e « Invariante» stensione dell'altro hanno dunque necessariamente la stessa caratteristica. Si

in questa stessa Enciclopedia ). Ora, la definizione di base della geometria algebri­ è visto sopra (p. 478) che l'indeterminazione della caratteristica è proprio ilca è quella di varietà algebrica. Sia K un corpo. Le varietà algebriche su K sono solo ostacolo alla completezza di Zcc.

i sottoinsiemi di K" definit i dall'annullarsi di sistemi di polinomi f 1, ...,fr„e Il rapporto fra quanto si è dimostrato a p. 478 circa la teoria dei corpi com­

C K [X1 • • X ] Se V e una vaz'1eta. d1 K clefin1ta dai polinom1 f1 . fp e chza mutativi, e circa i corpi algebricamente chiusi di caratteristica o oppure p,

ro che ogni polinomio f appartenente all'ideale 3= (f„ . .., fp) di K[x„. . ., x„] e infine a p. 479 circa la 8K-completezza dei corpi algebricamente chiusi, si

generato daf,, ..., fp è identicamente nullo su V. V è dunque definita dall'ideale basa dunque sull'esistenza dei corpi primi. Tutto ciò è immediatamente gene­

3. Se 3 = K[xn ..., x ] è l ' ideale improprio di K [ x „ . . . , x„], V è vuota poiché ralizzabile.

I e 3 e I non si annulla mai. Il problema è allora di sapere se ogni ideale pro­ DEFINIzIQNE. S ia Z una teoria. Un modello A di Z è detto primo se ogni mo­prio definisce una varietà non vuota. dello di Z possiede una sottostruttura isomorfa a A.

TEQREMA (Nullstellensatz). Se K è algebricamente chiuso ogni ideale proprio d TEQREMA (criterio del modello primo). Se Z è una teoria %-completa chedi K[x„ . . . , x„] ammette uno zero. possiede un modello primo, è allora comPleta.

Dimostrazione (nelle linee generali) : Occorre mostrare che se V = g (do­

ve V è la varietà definita dall'annullamento di 3) allora esistono dei polinomiDimostrazione: Sia Ap il modello primo di Z e A „ A z due modelli. Esi­

stono un A,pc Az e un A» e % z tali che A,p A p A » . S i ccome Z è 9K­g1 ,, gpe K [x„ . .., x„] tali che completa, e(;,p~<A, e A» ~<A, . D unque A » = A , e A~p­= Az. E s iccome

ove f 1 fp generano coRQLLARIo. Le teorie Ecc e Zcc sono complete.0 p

I ) Se V = g , a l lora VII ' ­— g per ogni estensione K' di K ove VII ' è la va­

rietà di K'" definita dagli stessi polinomi di U (estensione del corpo degli sca­Dimostrazione: Ecc e Zcc sono Oli.-complete poiché Ecc è 9K-comple­

lari ). È possibile supporre K' algebricamente chiuso. Siccome U = g è u n a to. Ecc ammette per modello primo la chiusura algebrica Q del corpo pri­

proprietà del primo ordine, I ) è una conseguenza diretta della %-completezzamo Q e Zcc ammette per modello primo la chiusura algebrica F„del corpoFp = Z/PZ.

di Kcc.z) Se VII' ­— g per ogni estensione K' di K, 3 è improprio: Ie .3 o ancora

Analogamente si può mostrare:

esistono g„. . ., gpe Kfxz • X„] tali che TEoREMA. La teoria ZD degli insiemi con ordine denso sen a primo ed ul­timo elemento è ~~-comPleta.

Pg« f,= I .

I = lCOROLLARIO. ('Q, < ) < (R, < ).coRQLLARIo. ZD è completa.

Se 3 fosse proprio, Q sarebbe contenuto in un i deale massimale % diK[x„ . . ., x„], Ora, il quoziente K' = K[x„ . . . , xn]/Ã è un'estensione di K. Sia Dimostrazione: ZD ammette (Q, <) per modello primo.a;, i = I , , n, l'immagine in K' del polinomio x,. Siccome f;e%, i = I, . . ., p,

il punto (a„..., a„) di K ' " è un punto di Uz'. Dunque VII'pg . C ontraddi­ Si vede cosi prendere forma una teoria coerente delle teorie stesse, al­

zione. meno delle teorie algebriche. Dopo i pr imi lavori pionieristici, quest'analisi

Si vede che l'essenziale della dimostrazione è proprio la 9K-completezza di del rapporto sintassi /semantica si è arricchita in modo considerevole e ha

~cc portato a profozrdi risultati. Per esempio è degno di nota, fra i tanti, i l se­

Cosr la teoria dei corpi algebricamente chiusi è W.-completa, cioè completa guente :

Infinitesimale Infinitesimale

TEQREMA. Sia Z una specificazione della teoria dei corpi che sia completa binson). Queste piu recenti r icerche non possono venir affrontate qui: sie 8;categorica, allora Z o è la teoria Zcc,, o è la teoria Zc<, o è la teoria di termina quindi i l r iepilogo di alcuni r isultati di completezza associati allaun corpo particolare. «indiscernibilità» e si passa a delineare un metodo esplicito di costruzione di

estensioni elementari, cioè di modelli non standard.

Una delle conseguenze piu fruttuose della problematica della comple­tezza è stata lo sviluppo di una metamatematica dell'algebra. Passando dal­ z.4. Metodo degli ultraprodotti.l'algebra alla logica si è mostrato che certe nozioni algebriche erano gene­ralizzabili in nozioni puramente logiche; passando dalla logica all'algebra si Finora si dispone solo di un teorema di esistenza (Lowenheim-Skolem)è mostrato che certi teoremi classici erano essenzialmente piu di natura lo­ dei modelli non standard: ma per lavorare entro tali modelli occorre anche

gica che algebrica. Questo era, ad esempio, il caso dell'interpretazione dei un metodo uniforme di costruzione. Si è r ivelata particolarmente efficace la

teoremi di Steinitz e di Cantor in termini di completezza, del principio di cosiddetta tecnica degli ultraprodotti. Se ne daranno i lineamenti essenziali, ri­Lefschetz in termini di principio di trasferimento e del Nullstellensatz in ter­ mandando a testi specifici [per esempio Beli e Slomson rg6g] per i dettagli.mini di %-completezza.

Come ha osservato Robinson: «Spesso in algebra ci si imbatte in concetti Il metodo degli ultraprodotti è un metodo semantico di costruzione di mo­

alla cui base stanno idee fondamentali che, anche se vaghe, sembrano avere delli a partire da modelli già disponibili. Com'è noto, il modo piu sempliceun raggio di applicazione piu generale di quanto appaia dalle definizioni con­ di costruire strutture è quello che consiste nel considerare prodotti diretti.

crete... Capita spesso inoltre che in un solo concetto si trovino riunite piu Perché non percorrere anche qui questa via? La difficoltà sta nel fatto che la

idee fondamentali. Concetti del genere, una volta che ci si muova in contesti classe % (Z) dei modelli di Z non ha nessuna ragione a priori di essere chiusapiu generali, possono cosi spezzarsi in piu nozioni come anche in ambiti di­ rispetto all'operazione di prodotto diretto (per esempio il prodotto diretto di dueversi essere passibili di interpretazioni diverse» [irl63, trad. it, p. r68], corpi non è mai un corpo). È dunque necessario «raffinare» la nozione di pro­

Il carattere metamatematico di questo approccio è evidente in quanto fa dotto diretto. L'idea fondamentale — dovuta a I os — consiste nel lavorare neluso esplicito della nozione di deducibilità, malgrado che questa si possa ri­ prodottodefinire in termini di teoria dei modelli [cfr. ibid., p. r69]. Va osservato che Ar = P df,i

i<Iuna delle traduzioni piu importanti di nozioni algebriche in un quadro me­ indebolendo' la nozione di validità in una nozione di validità «quasi-ovunque»tamatematico è quella di «chiusura algebrica» in termini di %-completamento (q.o.), cioè relativizzando tale nozione assoluta a un «opportuno» insieme D(o «completamento rispetto ai modelli»). Definire quest'ultima nozione è pres­soché immediato. Si dimostra infatti [ibid., pp. x36-37] che per ogni insieme

di parti dell'insieme I degli indici. Il problema diventa allora quello di sapere

di enunciati K (non vuoto e non contraddittorio) non può esistere a meno dia quali condizioni su D il «prodotto» degli Ai relativi a D è ancora un modellodi Z.

equivalenze piu di una estensione K' di K che sia al contempo %-comple­ Sia dunque D un insieme di parti di I. Si indebolisce la nozione di iden­ta e %-consistente relativamente a K (K' si dice %-consistente se ogni mo­

tità sudello M' di K ' è modello del diagramma D di un modello M di K ) : q ue­ Ar =+Aisto insieme K', se esiste, è detto appunto %-completamento di K [i b id., p. i<I

r57]. In modo «naturale» ci si interroga allora circa l'esistenza di %-comple­ ponendo che gli elementi a = (ai)i,r e b = (bi)i,r d i Ar sono equivalenti (a b )tamenti per teorie in generale : si cerca cioè un correlato della nozione di «chiu­ se il sottoinsieme Uc:I de gli i ta l i che ai = bi appartiene a D. Si vuole chesura algebrica» per strutture per le quali una nozione di chiusura non è la relazione si a una relazione di equivalenza: r) deve essere riflessiva:

emersa in modo naturale. Uno dei piu importanti successi di questa strate­ a a per ogni ac Ar. Ciò esige che IE D ; z) deve essere simmetrica: se a b ,

gia è stato il chiarimento concettuale della risoluzione (da parte di Artin e allora b a . Ciò è vero qualunque sia D; 3) deve essere transitiva: se a b

Schreier, xgz7) del diciassettesimo problema di Hilbert (dimostrare la con­ e b c , al lora a c. S iano U= (ia I ~ ai = b), V = (ieI ( bi = c ) e W = (ieI ~ ai =

gettura: una funzione razionale definita positiva è sempre una somma di qua­ =c; ). Per ipotesi U,V@D: è b anale verificare UA Vu D ' . S i v u o le chedrati di funzioni razionali ) nei termini di %-completamenti [in particolare, U, VOD implichi sempre WeD. Ciò esige: z) se U, VeD, allora Ug Ve D :ibid., pp. z54-66]. Infine : una strategia del genere non risulta piu applicabile D è chiuso per le intersezioni finite; z ) se Ze D e Z~ W, allora 8'eD: D ènel caso di teorie algebriche sempre piu fondamentali e meno semplici ( la chiuso per estensione.

piu fondamentale e meno semplice è forse la teoria dei gruppi) : ciò conduce D'altra parte la relazione non deve essere una equivalenza banale su Ar

allora a indebolire dapprima la nozione di %-completezza e quindi quella (cioè si deve evitare che tutti gl i elementi risultino equivalenti ). Ciò esigestessa di validità (teoria del forcing sviluppata, tra gli altri, dallo stesso Ro­ e<D.

Infinitesimale Infinitesimale

DEFINIzIoNE. sia I un insieme. Un filtro su I è un insieme non vuoto D di riieI ~(a, ;, ..., an i)eR;} ED se e solo se [ieI ~A,CR(a„..., an)}@D se e solo

parti di I tale che: se Ai > R (a„..., a„).q.o.

a) g<D, c) Sia rp= $ Ry una congiunzione di enunciati. Siano U = iieI ~ A, C $ },b) se U, Ve D, allora Ug V e D, V = (ieI~ A;Cy} e 8 ' = (icI~ «l g $ Py}. Aog rP se e solo se Ao~g e AvCyc) se U~ V e se UeD, al lora Ve D. se e solo se (per ipotesi di induzione) Ai C g e A>~y se e solo se U, Ve D.

q.o, q.o.

Dunque si è mostrato: D'altra parte A>g q> se e solo se We D. Ma 8'= UB V. Ora, essendo D un fil­q.o.

pRoposIzIoNE. Se D è un f il t ro su I , è una relazione di equivalenza. tro, U, Vc D se e solo se UA VE D.d) Sia p = 3x $(x) un enunciato esistenziale. Si supponga ADC q>. Ciò si­

Sia dunque D un filtro : si denoti con AD ­— Ai(D i l quoziente di AI per la gnifica che esiste un aeAo ta le che A>4 $(a). Sia a = (a;);,I l 'elemento direlazione di equivalenza , c i oè l ' insieme delle classi di equivalenza a, di ele­ AI corrispondente al simbolo di costante che denota a. Per ipotesi di induzionementi aeAI . A>I=)(n) se e solo se Big)(a) se e solo se U = (icI ~Ail =g(ai)}cD.

Sia RI una relazione n-aria di Ai. Le viene allora associata la relazione «re­ q.o.

lativizzata» Rz> che è soddisfatta solo se RI è soddisfatta «quasi-ovunque». D'altra parte %rg q se e solo se V = [icI ~ A,~ y} eD. Ma U~ V. Siccome Dq,o, q.o.

DEFINIzIoNE. (av ..., an)eR> se e solo se U= (i eI ~ (ai ;, ..., an ; )eRi}eD. è un filtro, V@D e dunque AIA rp.PROPOSIZIONE. RD è compatibile con la relazione : se (a„..., an) e RD q.o.

Reciprocamente si supponga A> g rp. Ciò significa V = (i @I ~ Ai& m} e D. Siae se a> b> per k = I , ' . .., n, allora (b„..., bn)eR> q.o.

ie V. Esiste un elemento xi di A, tale che Aic 4 (ui). Sia a un elemento di AiDimostrazione : Sia U> ­— (ieI ~ a< ; ­— b» i } e sia V = (i eI ~ (b, ;, ..., b») e Ri}. tale che a; = qi;, se A; ~ p e tale che ai sia qualunque se non Ai~ y. L 'esistenza

Si vuoi mostrare Ve D. Ma Ug U,g . .. g Un < V e U, U„..., Un c D per ipotesi. di un tale a è garantita dall'assioma della scelta. Siccome V~ D' = (ieI ~ AiwPer la definizione di filtro, Ve D. ~ $(a,)} Per costruzione, Ve D imPlica «VeD cioè Ar~ g(a). Ma Per iPotesi

La relazione RD pa ssa dunque al quoziente e definisce una relazione Rv q.o.q.o,

su AD. di ricorrenza Ai~ )(a) se e solo se AoC $(a). Dunque Avi = q>.q.o.

coRQLLARIo. Se [Ai} i, i è una famiglia di strutture di un certo tipo e se e) Sia infine q>= g u n enunciato negativo. A~C p se e solo se non Az>ggD è un filtro su I, la struttura Az ­— Ai/D è una struttura dello stesso tipo. se e solo se (per ipotesi di ricorrenza) non AIA( se e solo se U = (icI~ si;g

q.o.

Resta da analizzare a quali ulteriori condizioni su D, AD sarà un modello Cg}4D. Reciprocamente Ar~p s e e solo se V= (ieI~A;C $} e D . Madi Z se le Ai sono modelli di Z. Si deve ora «relativizzare» la nozione di va­

q.o.

siccome sia eligio,sia A;C $, U = I+ V . (U e V so no complementari).lidità. Per soddisfare la ( I ) occorre dunque che D goda della proprietà supplemen­

DEFINIzioNE. Sia q un enunciato del linguaggio L associato al tipo di strut­ tare:

tura considerato. Si dice che p è quasi ovunque valido in AI e si scrive: Ar h q> se (z) Per ogni U~I , UE D se e solo se I — U<D.IicI ~ Aia q>}c D.

Il problema è ora di sapere a quali condizioni su D la validità quasi ovunque DEFINIzIQNE. Si chiama ultrafiltro su I un filtro che possiede la proprietà (z).su g< si identifica con la validità su A>.' Si è dunque dimostrato il risultato fondamentale:

( I ) A IC@ se e solo se Avg p .q.o. TEQREMA [i os I955]. Se D è un ultrafiltro su I, per ogni enunciato q>:

Il ragionamento è per induzione sulla complessità degli enunciati. (5) Aog y se e solo seAI@ p.a) Sia a = b un enunciato atomico di L in t e rpretato come ai= b, i n A , , q,o.

a = b in Ai e a = b in Az>. ND~a = b se e solo se a =' b se e solo se a b se eDEFINIzIQNE, Se D è un u l t rafiltro su I, AD si chiama l'ultraprodotto degli

solo se (ieI ~ ai = bi}eD se e solo se Ai~ a = b.q.o. A;. Se Ai = A per ogni icI, Az si chiama una ultrapotenea di A. [Cfr. Keisler

b) Sia R(a„. . . , an) un enunciato atomico di L in terpretato come (a, i, ..., I965 per un riassunto del metodo degli ultraprodotti ].an,i)eRi n ~i~ ( D "'~ n)CRI in Ai e ( D " ~'n)eR~ m AD. efDI= R(an coRQLLARIo. Se AD è un ultraprodotto di modelli di Z, Az> è un model­

a„) se e solo se (a„..., a„)@Ro se e solo se (a„..., a„)eRo se e solo se lo di Z.

Infinitesimale 486 411V Infinitesimale

Dimostrazione: Sia q un enunciato di Z. Esso è valido in tutti gli A;. Dun­ DEFINIzIQNE. Un u l t rafiltro non principale è detto libero.que (ieI ~db;~rg} = I. Siccome D è un f il t ro IeD e du nque Ark q . P er i lteorema di i os, A>Q>p. Si tratta di sapere a quale condizione su I esistono degli ultrafiltri l iberi.

pRoposIzIQNE. Se I è un i ns ieme finito, tutti i s uoi u l t rafiltri sono pr in­Si consideri il caso di un'ultrapotenza s4> di A. Un elemento acA> può cipali.

essere considerato come quell'applicazione a : I~A ch e è definita da i ~a ; . Si dovrà quindi prendere I infinito.Per tale ragione si utilizzerà talvolta una notazione funzionale f : I~ A e s' in­ Notazione: Se I è un insieme infinito si indichi con F l' i n s ieme delle partidicheranno con f, g, ecc. gli elementi di A< o di AD. Sia aeA e f , : I~A U di I complementari di parti f inite. Essendo I inf inito, tutti gli elementi Ula funzione costante f (i)= a. L'applicazione a~ f, è una immersione di A di F sono infiniti. È banale verificare che F è un fil tro (filtro di Fréchet di I ).in AD. Se infatti f, = f> in AD, f~ f> in Ar e U = (ieI~ fq(s) = f»(i)}eD. Sea~b, U = 8. Ora, g < D poiché D è un filtro e dunque f,vsf» in AD. In breve, pRoposIzIQNE. Se I è un insieme infinito esistono su I degli ultrafiltri l iberi.

AD è una estensione di A. Questi ultimi sono i raffinamenti massimali del filtro F .

coRQLLARIo. Se AD è un'ultrapotenza di A, T'estensione A ~ AD è elemen­ Osservazione: Non solo esistono ultrafiltri l iberi su I se I è i n f in i to, matare : g ( g>. ne esistono anche «tanti». Se I è d i cardinale u)8 » , P (I) è di cardinale z

e l'insieme degli insiemi di parti di I è d i cardinale z»'. Ci sono dunque alDimostrazione: Sia ry (a„..., a„) un enunciato di Lz ove le costanti a» massimo z» filtri su I, a fortiori al massimo z»" ultrafiltri, a fortiori al massimo

sono interpretate come f,„ in AD e f ( i ) i n A , = A. Per il teorema di i os, z~" ultrafiltri liberi. Ora,ADCcp(a„..., a„) se e solo se A iCcp (a„..., a„) se e solo se U = (ieI~ s4;C

q.o. TEQREMA (Tarski). Se I è di cardinale x)8», esistono z " ultrafiltri liberi su I.Wp(f„(i), ..., f, (i)}eD. Ma U = (ieI~ A~ q>(a» ..., a )} e dunque U = Po I, Siccome g <D, UcD se e solo se U+ g s e e solo se AN<p(a„..., a„), Affinché il metodo degli ultraprodotti possa fornire delle estensioni elemen­

Per il teorema di i os, si ha dunque a disposizione un metodo uniforme di tari in senso proprio occorre che I sia infinito e che l'ultrafiltro D sia libero.costruzione di estensioni elementari. A pr iori questo metodo è molto potente Ma occorre anche, per ciò che riguarda A, che A sia una struttura infinita.

poiché si possono scegliere arbitrariamente sia l'insieme di indici I sia l'ultra­ Si ha infatti la seguente proposizione:filtro D. Resta però il problema di sapere se si possono ottenere in questo mo­ pRoposIzIQNE. Se D è un ultrafiltro (libero o principale) e se A è una strut­do estensioni elementari in senso proprio: nulla assicura ancora che l'ultrapo­ tura finita, A=A D.tenza AD non sia isomorfa ad A.

Questo risultato non si estende agli ultraprodotti. Dunque, al fine di otte­

Siccome esiste un rapporto tra un ultrafiltro D e l'ultraprodotto o l'ultrapo­ nere estensioni elementari in senso proprio col metodo degli ultraprodotti, è

tenza AD, la struttura delle estensioni elementari cosi ottenute dipende da quel­ necessario considerare strutture infinite e ultrafiltri l iberi. Ma ciò non è anco­

la di D. Si analizza allora la struttura degli ultrafiltri. Ne esistono due tipi fon­ ra sufficiente. Da qui si aprono due strategie. La prima consiste nell'esibire, neldamentali.Èchiaro, anzitutto, che se U~I, Ug g l i ns ieme F< ­— tiUáI ~ U< V } caso particolare preso in considerazione, un elemento acAD ta le che a4A.

delle estensioni di U è un filtro su I. F semp i o .DEFINIzIQNE. U n f iltro D è detto principale se D è di t ipo F< per U a I . Sia % l' insieme N degli interi dotato della sua struttura naturale. SianopRoposIzIoNE. Un ul t rafiltro D su I è p r incipale se e solo se D = Fi,l per I = N e DaF un u l t rafiltro libero su I. Si consideri l'ultrapotenza ~% =%D ­­

xeI. /D. Un elemento di ~%. è semplicemente una classe di equivalenza diapplicazioni f : N~N, g l i e lementi di % corrispondendo alle applicazioni co­

Gli ultrafiltri principali sono senza interesse, in quanto conducono a esten­ stanti. Sia ac ~9( l'elemento rappresentato dalla funzione f(n) = n. Sia p c N unsioni elementari banali: intero qualunque. V> = (neN ~ f(n) ) p} = (n e N ~ n) p} ha complemento finito :TEQREMA. Sia (As};,t una famiglia di strutture dello stesso tipo e D un ul­ V„eF„c D, cioè V„c D. Dunque per ogni p@N, a>p è valido in ~9(: a è un

trafiltro principale su I. Allora l'ultraprodotto s4z, è isomorfo a una delle A,. In cle~mento di ~% che non appartiene a BI.. L'estensione elementare 9l(~% èparticolare se s4;= A per ogni i, l 'ultrapotenza AD è isomorfa a A. non-banale: ~% è un modello non standard dell'aritmetica.

Affinché il metodo sia fecondo, si debbono dunque considerare ultrafiltri Tale esempio'è qui di importanza capitale per il fatto che, essendo a unnon principali. intero «infinito», il suo inverso, nell'ultrapotenza RD, sarà infinitesimale.

489Infinitesimale Infinitesimale

La strategia di cui si è appena visto un esempio è «viziata» però da! fatto' da! fatto dr Dimostrazione: Si supponga che il fatto di essere di caratteristica o sia un

non essere generalizzabile. Se si vuole disporre di t eoremi generali di esistenzaenunciato op (al primo ordine) della teoria dei corpi. Per ogni numero primo p

di ultrapotenze che siano estensioni elementari in senso proprio, è dunque ne­sia K„un corpo di caratteristica p. Sia D un ultrafiltro libero sull'insieme(in­

cessario raffitnare l'analisi della «dialettica» fra A e D. Questa strategia alter­finito ) dei numeri primi P e sia K l 'ultraprodotto K= PKp/D. Per il teorema

t' h in part icolare consente di ottenere risultati sulla cardinalitàd' l' ' delle pcP

naivac e ' p di I os K è un corpo. K non può essere di caratteristica p e P. Infatti la proprie­ultrapotenze è troppo tecnica per essere qui abbozzata [cfr. per esempio eer esem io Beli tà csp d'esser di caratteristica p essendo del primo ordine, U„= (qeP ~ K«l= csp] =

e Slomson I969]. = Ip )4 D poiché D è libero. Dunque K è di caratteristica o. Si ha allora K~ ope, per il teorema di Ros, P Kpg op. Contraddizione: op non è del primo ordine.

Oltre a consentire la costruzione esplicita delle estensioni elementari, il pcP

metodo degli ultraprodotti fornisce anche una tecnica molto potente di dimo­Nello stesso spirito si può dimostrare la proposizione seguente:

strazione nella teoria dei modelli. Permette per esempio: I) di r i - d imostrare PRQPosIzIQNE. La teoria dei corpi algebricamente chiusi (di caratteristicain modo semantico certi teoremi di base ; z) di dimostrare facilmente che certe o oppure p) non è finitamente assiomatizzabile.proprietà non sono del primo ordine; 8) di disporre di nuovi criteri di comple­ Riguardo al punto g ), si indicherà soltanto come si possano caratterizzaretezza.

Riguardo al punto I ), si dimostrano i due teoremi fondamentali di comple­col metodo degli ultraprodotti sia l'equivalenza elementare sia l'estensione ele­

tezza e di compattezza già presentati sopra (p. 4pz).mentare e dedurne nuovi criteri. Per esempio:

TEQREMA DI coMPATTEzzA (Tarski-Scott-Morel). Un insieme di enunciatiTEQREMA [Keisler I96z]. Due strutture dello stesso tipo sono elementarmente

Z ammette un modello se e solo se ogni sottoinsieme fInito h di Z ammette un mo­equivalenti se e solo se hanno ultrapotenre isomorfe.

dello. Osservazione; La dimostrazione di Keisler fa intervenire l'ipotesi genera­

Dimostrazione: Sia I = S(Z) l ' insieme delle parti finite h d i Z . Per ognilizzata del continuo, Kochen ha mostrato come f ame a meno utilizzando il

EFI esiste per ipotesi un modello AA di d«t. Sia AeI e h ~ = g' e I ~ A t D'). metodo detto degli ultralimiti (catene infinite di estensioni elementari ottenute

L'insieme F delle 5~ è un insieme di sottoinsiemi non vuoti di I che pos­da ultrapotenze).

siede la proprietà che l'intersezione di un numero finito di suoi elementi èsemPre non vuoto. Se infatti A, , . .., A„cF r A IU" . U 4 „ e 4 I A " A ~ tt Ciò z.g. Strutture di ordine superiore e metodo degli allargamenti di Robinson.

implica che F è estendibile a un filtro e dunque a un ultrafiltro D. Sia Az l'ul­ Il metodo degli ultraprodotti (si veda l'esempio di p. 48p ) permette di ot­troprodotto II do)/D. tenere esplicitamente delle estensioni elementari in senso proprio ~R di R che

AcI I) contengono degli infinitesimi ; z ) sono al primo ordine «indiscernibili» da R.Sia ora y un enunciato di Z. ( r p] =AspEI e AA,~q . D u n que AA ~ r p se Ciò «risolve» a livello aritmetico-algebrico il paradosso dell'infi nitesimal

ApcA. Siccome 5p~= [S EI ~ Ap t ­5) t ­(E EI ~ AAC q>s e AgeD, ( tA eI ~ AAW lcibniziano. Ma non è ancora sufficiente a f ondame una «dottrina», che meriti~ rp]cD. Si ha dunque Az~ y. Az è un modello di ogni enunciato di Z cioè il nome di analisi non standard.un modello di Z. Infatti nell'estensione ~R di R si è tenuto conto solo dell'universo degli

coRoLLARIQ (teorema di completezza). Un insieme di enunciati Z e consi­ llrelemente. Sef : R~R è per esempio una funzione, nulla assicura a priori chc

stente se e solo se ammette un modello. sia prolungabile in una funzione ~f : ~R~ ~R che svolga in rapporto a ~R ilruolo che svolge f in rapporto a R. Ma l 'analisi si basa proprio sullo studio

Dimostrazione : Se Z è consistente, ogni sottoinsieme finito di Z è consi­ di entità come le funzioni e degli «spazi» che esse costituiscono. Per parlare distente e ammette dunque un modello. Per i l teorema di Tarski-Scott-Morel analisi non standard occorre dunque disporre di modelli non standard di RZ ammette un modello. R «ui tutte le entità dell'analisi siano automaticamente estendibili con un metodo

uniforme. Ciò impone di arricchire considerevolmente il dominio degli Ure­

Quanto al punto z ) si dimostra che le proprietà di un corpo di essere di lpnutnte e di prendere in considerazione — senza pertanto «uscire» dal primocaratteristica o oppure di essere algebricamente chiuso, non sono delle proprietà tt«cline — quelle che si chiamano strutture di ordine superiore.

del primo ordine. Si parte dall'insieme Up = R che verrà detto la base della struttura di ordine

pRoposIztoNE. La teoria dei corpi di caratteristica o non è finitamente as­»np«riore e si costruisce progressivamente un insieme ll che svolge il ruolo di

siomatizzabile.universo del discorso per R, cioè per l'analisi (reale). Sia P(R) l' insieme delle

Infinitesimale 49o 49I Infirutesimale

parti di R e sia U, = RU J (R) = U»U9'(U»). Si definisce in modo analogo U, validi in%..%. è un modello di Z che viene detto modello o universo standard,si dice modello non standard ogni estensione elementare e in senso proprio

con U, = U,Q J (U,), ecc. Si pone: % = +U;. +%l di %.I =O

Tutte le entità dell'analisi sono elementi di Rl. Una relazione n-aria su R Per maggiore comodità si continuerà ad indicare con ~R un universo nonè un sottoinsieme di R" ed è un elemento di %l ; una funzione f : R" ~R si può standard dell'analisi.identi6care, al solito, con una relazione (n+ I)-aria; una funzione f : R" ~R> Ma ciò che è essenziale è il fatto che, ormai, ogni entità & costruita a par­è un insieme di p relazioni (n+ I)-arie, ecc.%. contiene tutte le relazioni definite tire da R ammette per costruzione (automaticamente e in modo uniforme) unasu R, tutte le funzioni, tutte le relazioni di relazioni, tutte le famiglie di funzioni estensione non standard ~& dello stesso tipo, costruita a partire da ~R e cheindicizzate da un insieme di 1l, ecc. In breve, % è proprio un «universo del di­ possiede le stesse proprietà del primo ordine di &. Per esempio ~R è archimedeo

scorso» per l'analisi (reale). relativamente a *N poiché l'enunciatoSia X = L< il l inguaggio ottenuto a partire dal linguaggio L dei predicati Vx c R(x / o ~ Vy c R 3n eN (l nxl ) l yl))

del primo ordine per aggiunta dei simboli della teoria degli insiemi e disimboli di costanti per tutti gl i elementi di l l . Si è cosi introdotta una diffe­ essendo valido in R è valido automaticamente in ~R:renza importante : non si utilizza piu L per parlare di un insieme omogeneo A Vxe ~R(x~o ~ Vy e ~R Zn@ ~N(lnxl)lyl)).di Uretemente ma per parlare dell'insieme eterogeneo di Urelemente %. che co­stituiscono l'«universo» delle costruzioni insiemiste basate su A. In particolare,è ora consentito quantificare sui sottoinsiemi di A, sui sottoinsiemi dell'insieme Ma la manipolazione degli «universi » non standard esige ancora una precau­dei sottoinsiemi di A (per esempio filtri ), sulle applicazioni, sulle 'funzioni, ecc. zione essenziale. Infatti l ' insieme % è gerarchizzato dalla relazione insiemista

Benché ciò faccia uscire dal primo ordine relativamente ad A, si resta nel di appartenenza e. La stessa cosa avviene per ~%. Ma in ~%. esiste anche laprimo ordine relativamente a %.. Il prezzo che si deve pagare per tale esten­ relazione ~e che è l'estensione della relazione ristretta a %.. Ora, le relazionisione è doppio, ~c e e di ~%. non sono identiche.% è, per costruzione, «completo» relativamen­

Le quantificazioni diventano, come si dice usualmente, limitate, cioè re­ te a c. Ma ~% non è «completo» relativamente a ~e. Si preciserà ora questalative a un dominio specificato. Si consideri per esempio l'enunciato che espri­ difficoltà che per molto tempo ha costituito un ostacolo a una dottrina coerente

me che R è archimedeo. Non è possibile formalizzarlo Vx(x+o ~ Vy3 n ( lnxl) degli «universi » non standard.

) lyl)) poiché cosi facendo si quanti6cherebbe su tutti gli elementi di %. e non Sia ll l 'universo di base A e l i ( ~ %. una estensione elementare(in sensosu R e su N. Al contrario, è possibile formalizzarlo con proprio). Gli elementi di ~% si dividono in due classi. Da una parte quelli di

Vx(xeR p, xeno ~ Vy(ycR ~ 3n(ncN ~ Inxl) ly l))) %. (considerato come immerso in ~% ), detti entità standard. Dall'altra quellidi ~"ll — Rl, detti entità non standard. Se &c@l è una entità standard di ~l l , si

ossia, abbreviando, con continuerà spesso con l'indicarla con & (invece che con ~&).VxcR(xeno ~ Vy~R3ncN(lnxl) ly l))

Sia & un elemento di Ii. Essendo @ una gerarchia insiemista, & è in generaleun insieme (eccetto quando & è un Urelement della base A). Ora, come entità

dove tutte le quantificazioni sono limitate. standard di ~%., & è anche un insieme. Ma ciò non implica che S sia un in­Ma si deve tenere conto anche della eterogeneità di Rl. Poiché i simboli di sieme standard (cioè che Q sia composto solo da elementi standard). Si suppon­

variabile di 2 s i r i feriscono a tutti gl i elementi di %, se non si prendessero ga per esempio che A = R, e che & sia un intervallo [a, b]. L'entità standarddelle precauzioni si otterrebbero enunciati che «mescolano» le entità (per esem­ & di ~% che possiede la stessa denotazione [a, b] è composta non soltanto daip io «La funzione seno è un numero primo» o «Tutti i fi l t r i d ividono ~z») numeri reali standard xe [a, bj, ma anche dai numeri reali non standard x+.E,e per ciò stesso non interpretabili. Per evitare tali confusioni, i: ormai abituale ove xe ]a, b[ e F è in6nitesimale. Piu in generale: se gli elementi di &all sonostabilire una gerarchia dei tipi di entità e stratificare gli enunciati relativamente definiti in% dalla formula aa&, questa formula, interpretata in ~ Il, definiscea questa gerarchia. Si porrà che gli elementi dell'insieme A base di %. sono di gli elementi standard a ~e& di &e ~%l. Ma gli elementi di ~&e ~ ll sono definititipo o, che una relazione binaria i cui argomenti sono di tipo o è di tipo (o, o), in ~%l dalla formula ae ~&. Ora, quest'ultima non è identica alla formula a ~e&,ecc. (definizione ricorsiva), e si autorizzeranno soltanto le formule «stratificate» Sussiste il seguente risultato banale:per le quali ci sia coerenza dei tipi. pRoposIXIQNE. Se & è 6ni ta, allora ~& = & (come insieme).

Una volta prese queste precauzioni sintattiche si può mostrare che tutti irisultati della teoria del primo ordine restano ~alidi per l l . Osservazione: Per non fare un uso continuo degli aggettivi standard e non

È quindi lecito applicarli. Sia Z = Th ii l ' insieme degli enunciati di L standard, si adotterà la regola seguente : le entità e le proprietà standard saran­

>H

Infinitesimale 49z 493 Infinitesimale

no citate senza tale qualificativo. Le entità e le proprietà non standard corri­ enunciato è valido in ~N. Ora, sia ~N +N l ' insieme degli interi «infiniti», Èspondenti saranno precedute da un s. Un i nsieme e-finito di ~% sarà per chiaro che esso non potrebbe comportare primi elementi poiché se «~ è «infi­

esempio un insieme di cardinale oie ~N, ecc. nito», x — I è ancora «infinito». Apparentemente, una contraddizione. Ma essasi trasforma in teorema se si fa uso della regola euristica su accennata.

Il problema è dunque che se "ll è «l'universo di discorso» di base A, ~%. TEQREMA. Il sottoinsieme ~N +N di ~N è un sottoinsieme esterno.non è in generale l'universo del discorso di base ~A: relativamente a e, ~% è«incompleto», esso non contiene tutti i sottoinsiemi degli insiemi che lo co­ Si dànno alcuni criteri per riconoscere entità interne:stituiscono. Si dice che ~%l è un modello non regolare nel senso di Henkin a) Se X è standard, allora X è interno.I.I949' I95ol.

Si consideri per esempio una estensione elementare stretta R<~R. Come b) Se X è un insieme standard di cui tutti g li ~-elementi sono standard

sottoinsieme (nell'«universo» globale della teoria degli insiemi preso in consi­ (in particolare se X è finito, per la proposizione di p. 49I ), tutti i suoiderazione) di ~R, R è perfettamente definito. Come entità standard di ~sii, R, s-sottoinsiemi sono interni.

denotato dallo stesso simbolo della base R di %l, è l'insieme dei numeri x+(ove xe R (standard) e E è o nullo o infinitesimale. È possibile perciò dire che

Ma il criterio piu efficace afferma che se X è già interno tutti i suoi sotto­insiemi definibili in 2 sono interni. Piu specificatariente:

R (relativamente a ~%) è l'insieme dei numeri reali finiti. Ma questo insiemenon ha nessun equivalente nella base R di 11. Se infatti ne avesse uno, poiché c) TEQREMA (criterio di internalità ). Sia X un » «-insieme di ~11 e Y'~X.l'inclusione stretta Ra~R in ~ ll « r idiscende» in %, si otterrebbe una inclu­ Y' è interno se e solo se esistono una formula cp(y„ . .., y„, x) di 2 e deglisione stretta Fc:R, ove F sarebbe l'insieme dei numeri «finiti» di R (s tan­ a»...,a„e~%. tali che F= (xcX~ q>(a„..., a» x)).dard) : è chiaro che una tale espressione è senza significato. Ciò conduce allaseguente definizione fondamentale: sia X un e-insieme (cioè un elemento di Infine, per concludere questa esposizione della teoria elementare dei modelli,~%). Si indichi con X l ' insieme dei suoi e-elementi, X = (x ~e Xs. Tra i sot­toinsiemi di X ci sono i suoi «:-sottoinsiemi, cioè gli l ' per I ' +~X con I 'a ~%..

si indica un tipo particolare di modelli non standard (individuati da Robinson)di cui si farà uso nel seguito.Ma in generale ce ne sono anche degli altri. Si consideri su R la relazione binaria R (x, y) =— x<y. R possiede la proprie­

DEFINIzIoNE. Sia Xc ~%. un +-insieme e X l' insieme dei suoi «-elementi. Un tà seguente: se essa ammette una «soluzione» per un numero finito di ele­

sottoinsieme di X è detto interno se è della forma P per un «-sottoinsieme Y di X; menti del suo dominio, essa ammette una «soluzione comune», cioè: se xi, ...,

altrimenti è detto esterno. Poiché tutte le entità sono assimilabili a sottoinsiemi, x~c R, esiste un ycR tale che xi<y, . .., x„<y. Af fermare che esistono in unasi parlerà dunque di entità interne e esterne di ~"li. estensione ~R di R nu meri « infinit i» significa proprio dire che esiste una

«soluzione» di R «comune» a tutti g li e lementi del suo dominio standard.L'opposizione interno /esterno è decisiva nella misura in cui assicura a1 Onde la generalizzazione :

consistenza del metodo dei modelli non standard di ordine superiore attraversola regola di quantificazione seguente: DEFINIzIQNE. Sia R una relazione binaria di %. di dominio DE. Si dice che R

PRINCIPIO DI QUANTIFICAZIONE NEGLI UNIVERSI NON STANDARD. Gli enun­è concorrente se Vxi Vx„EDEN(R(x„y)R...RR(x„,y)) è sempre valido in%l (qualunque sia n).

ciati della teoria Z di % sono validi, una volta trasferiti a ~11, soltanto se la quan­tificazione vi è ristretta alle entità interne.

DEFINIzIoNE, Un modello non standard ~%. di%. è un allargamento se per ognirelazione concorrente R di %l, l' enunciato 3y~ED«>VxeD>(R(x,y)) è valido

Osservazione: Tale principio non è, per essere precisi, un «principio» poi­ in ~%.

ché, per costruzione, esso è sempre assicurato. È piuttosto una regola euristica TEOREMA. Ogni universo.%1 ammette degli allargamenti. (È possibile mostra­concettualmente necessaria per evitare paradossi. Infatti permettersi di quanti­ re che si possono ottenere degli allargamenti ~ ll come ultrapotenze di % im­ficare non solo sugli Urelemente della base ma anche su una gerarchia di insiemi ponendo delle ulteriori condizioni sull'ultrafiltro D).e di sottoinsiemi fa correre il rischio di confondere in ~%. le relazioni xeX ex "eX cosf come anche Xc I ' e X ~ c l '. Dimostrazione (Robinson) : Si introduce per ogni relazione concorrente R

di %. un nuovo simbolo z> (destinato a denotare la «soluzione» comune diE sempi o . VxeD>R(x,y)). Sia R II l ' i nsieme di enunciati (R(a, ut '))«i ,„ e s i a Zo ­­

Sia ~N un modello non standard di N. Sia q> l'enunciato del primo ordine = ZlJl j R R (ove C è l ' insieme delle relazioni concorrenti di % e Z la teoriadi L che esprime che ogni sottoinsieme di N ha un primo elemento. Questo Beo

Infinitesimale 494 495 Infinitesimale

di "ll relativamente a 2 ). Un allargamento di % è per definizione un modello diZo, Per i teoremi di completezza e di compattezza, è sufiIciente mostrare che 3.I. La l imitazione interna dell'analisi non standard.ogni sottoinsieme di Z< della forma Z> ­— ZU p,> (dove A> è un sottoinsiemefinito di lJ A <) ammette un modello. Si consideri un tale R<. È un insieme finito A priori, poiché un modello non standard (d'ora in poi abbreviato n. s.)

Rco ~R di R è un'estensione elementare (in senso proprio ) e poiché la sua teoria fadi enunciati R, (a,, x;) (dove x, = xR,). Ma per ogni i, essendo R; concorrente ed intervenire il simbolo supplementare e, si potrebbe credere che l'analisi n. s.essendo gli a; in numero finito, x, è riferibile a un elemento di ll. %. è dunque sia una teoria «piu forte» dell'analisi standard. Nulla di tutto ciò. Sia S il siste­un modello X<. Z< ammette un modello. ma formale che codifica la pratica dell'analisi standard: $ è essenzialmente il

Gli allargamenti sono dei modelli non standard «abbastanza grossi » da far linguaggio della teoria degli insiemi (teoria dei tipi ) dotato dei suoi assiomi,si che l'opposizione interno /esterno sia nello stesso tempo operatoria e uni­ dello schema di induzione e dell'assioma della scelta. Sia9($ il sistema formaleforme. Esistono in particolare «abbastanza» entità non standard come è mostra­ che codifica la pratica dell'analisi n. s. :%$ è esteso in modo essenziale grazie,to dai due risultati seguenti: all'aggiunta del nuovo simbolo s, del rafforzamento dello schema d'induzione e

PRQPosIzIQNE. Sia ~%l un allargamento di 11 e Xe% un insieme infinito.dell'assioma della scelta, dell'assioma affermante che i modelli n. s sono esten­

~X ammette un «:-elemento non standard.sioni elementari, di quello affermante che tali estensioni sono estensioni proprie

PRQPosIzIoNE. Sia ~% un allargamento di % e Xc@ un insieme infinito.di quello, inf in , chc dcfinlscc gli allalgamcntl. Krciscl

[ I969] ha mostrato ilseguente risultato di l imitazione:

X ammette un sottoinsieme esterno.TEQREMA. L'estensione%$ di $ è inessenziale(conservativa) : ogni formula

Il fatto che in un allargamento tutte le relazioni concorrenti ammettano una di $ derivabile da%S è derivabile da $.«soluzione globale» è una proprietà molto forte. In particolare, se X è un in­sieme infinito di %., la relazione xey (ove y è un sottoinsieme finito di X ) Questo risultato, se mostra che l'analisi n. s. si riduce a una «riformulazio­

è concorrente. Dunque esiste in "% un insieme ~-finito che contiene X: ognine» dell'analisi s., non limita tuttavia per nulla la sua portata euristica e stra­

entità infinita di 11 può essere immersa in una entità @-finita (dello stesso tipo) tegica. È proprio a questa che sono dedicate le pagine seguenti.

di ~%l. Ciò è cruciale per comprendere la «relativizzazione» dell'opposizione3.z. ~N e ~R.

finito /infinito.Sia ~N un modello n. s. di N. (N(~N può essere ottenuto come ultrapo­

tenza dall'esempio di p. 48p). Per il teorema di p. 493 il sottoinsieme ~N +N3. Analisi non standard. degli interi «infiniti » (infiniti relativamente a N) di ~N è esterno. La stessa cosa

accade per N.

A questo punto si dispone di abbastanza strumenti per mostrare come l'a­ Poiché N e ~N hanno la stessa teoria, per distinguerli si ricorre al loro tipo

nalisi possa essere riformulata nello stile di Leibniz. Non si tratta però in que­ d ordine. Siccome 1 enunciato «Non esistono interi fra n e n + I » è del primosta sede di dare un'esposizione teorica dei risultati ottenuti con questo metodo ; ordine, è valido in ~N. N è dunque un segmento iniziale di ~N (tutti gli ele­ci si limiterà dunque ad illustrare con qualche esempio come l'uso di modelli menti di ~N+N sono maggiori di tutti gli elementi di N, sono cioè infiniti ).non standard [per le basi dell'analisi non standard cfr. Robinson I96I e I966; Si consideri su ~N la relazione a b se e solo se ~a — b~ eN. È una relazione di

Machover e Hirshfeld I969; Luxemburg I973 ] di R consenta: equivalenza che scompone ~N in classi di equivalenza (la classe individuatada o è N tutto intero ). Sia G, la classe di equivalenza di ac ~N. G~ è un inter­

a) di semplificare considerevolmente i concetti di base dell'analisi classica e vallo. Se infatti a b (cioè be G,) e a( c ( b , a l lora a c b (c ioè cc G~). Sedella topologia generale ; ac ~N+N, G, ha il tipo d'ordine ro~+u di Z. L'ordinale x di ~N è dunque di

b) di chiarire concettualmente certe intuizioni paradossali; tipo x = ro+ (ro~+ro)8, dove & è un ordinale dipendente da ~N. (Come d'uso,c) di «riportare» l'infinito al finito ; si è indicato con m il t ipo d'ordine — l'ordinale — di N; ro~ è il t ipo dell'or­d) di fornire una rappresentazione per alcune costruzioni molto astratte. rline inverso).

Sussiste il teorema:Tali diversi risultati si collocano a livelli di difficoltà eterogenei. Nei casi

semplici saranno ripresentati i risultati classici. In quelli piu complessi verran­ TEQREMA (Henkin, Kemeny ). & è denso senza primo ed ultimo elemento.

no supposti acquisiti. Per avere una'descrizione piu fine di N , s i può considerare una ultrapo­4Ma prima di arrivare ad essi, ecco un risultato negativo. lenza N /D (dove D è un ultrafiltro libero su I=N ) e studiare come i numeri

N

Infinitesimale 496 497 Infinitesimale

di tipo ~f(a) (in cui f : N ~N è una funzione standard) si distribuiscono in ~N. r = minD, ). Siccome a non è standard, a — r>o, Se a — rg p,, esiste un 8>oL'idea è di raggruppare fra di loro gli elementi di N = ~ N+N che sono re­ tale che a — r) 8. In qu e sto caso a) r p(8/z) e dunque r+(8/z) e D, eciprocamente accessibili [cfr. Puritz 1972] mediante le ~f e di leggere nella r<maxDl. Contraddizione. a — re p., cioè rea = x.struttura di N ce r te proprietà dell'ultrafiltro D associato a ~N. Ma non s i È banale verificare che la biiezione st : i1Rf/p.~R è un morfismo di corpi.approfondirà qui tale punto.

DEFINIzIQNE. Si chiama parte standard di xe ~R e la si indica con x il nu­fSi consideri ora la struttura di un modello n. s. ~R di R. Si osservi anzi­ mero reale st(x).

tutto che R può essere ottenuto a partire da un m odello n. s. d i Q. Sia DEFINIzIQNE. Se xc ~R, si chiama monade di x, e si indica con p.(x),il traslatoinfatti ~Q un allargamento di Q. In primo luogo nella estensione ~Q di Q tutte x+p. dell'ideale p. degli infinitesimi (monade di o).

le «sezioni » di Q — cioè le coppie (Dl D 2) di sottoinsiemi di Q t a l i cheD ( D — sono «riempite»: se Dl <D2 è una sezione, esiste un ye ~Q tale che

Osservazione: Si r i trova proprio la struttura di ~R anticipata a p. 46g.1 2

D ,( y < D2 . Infatti la relazione «xeDIUD2 e esiste un y tale che x<y s e PRQPosIzIQNE. I sottoinsiemi R, ~Rf, ~R„=Rg~ Rf, p.(x) di "R sono tuttixe D o y(x s e xe D» è banalmente concorrente. Ammette dunque una «so­ esterni.

1 2

luzione globale» in ~Q poiché ~Q è un allargamento. Dimostrazione: Se R fosse interno, N = Rg ~N lo sarebbe relativamente aSia allora ~Q l ' insieme degli elementi finit i d i ~Q c ioè l ' insieme degli

xc ~Q tali che esiste un yeQ con ~x~ (~y~. Qf è un sottoanello del corpo Q .f ~N. Ciò è escluso dal teorema c) di p. 493. La stessa cosa accade per ~R poichéf

Non è un corpo poiché esso contiene degli inf initesimi i cui inversi sono «in­N = ~Rf>~N, Poiché ~R è i l c omplementare di ~Rf è esso stesso interno.Quanto a p.(x) si supponga che esista un ac ~R tale che p.(a) sia interno. Allora

finiti ». Sia p l'insieme degli infinitesimi di AQ. È facile verificare che p, è unideale di AQ (la differenza di due infinitesimi è infinitesimale e il prodotto di

p.= p.(a) — a sarebbe interno cosf che ~R = p, l .

Si dànno ora. alcune indicazioni sulla struttura non piu di ~R ma di ~R.un infinitesimo per un numero finito è infinitesimale).

. f fSia G la cosiddetta galassia di un elemento xc ~R, cioè G = (ye ~R ~ ~x — y~ c R].PROPOSIZIONE. R ~ Qf/P,. La galassia di o, Go, è l'anello ~Rf. Si può considerare il gruppo additivo ordi­

nato delle galassie ~R /G«e inoltre il gruppo additivo ordinato delle monadiDimostrazione : Per costruzione, ~Qf/p, «completa» Q, cioè «riempie» le ~R/p ; si indichi con ~R+ il gruppo moltiplicativo ordinato degli elementi stret­

sue lacune. D'altra parte Q è denso in ~Qf/p.. R è il solo corpo ordinato com­ tamente positivi di ~R. Due elementi x,yc ~R+ sono detti dello stesso ordinepleto nel quale Q sia denso. di grandezza se il loro quoziente è finito ma non infinitesimale : (x/y)c G gp.,T 0

Sia dato ora un modello n. s. ~R di R. ~R è un corpo ordinato che non è ar­L ordine di grandezza è una relazione di equivalenza. Si indichi con R« = R(a)

chimedeo relativamente a N ma che è archimedeo relativarnente a ~N. Come giàla classe d'equivalenza di ac ~R+: ponendo y = I, si vede che Rl è esatta­

si è detto, è equivalente affermare che R è archimedeo e che R rion contiene in­mente la parte positiva di G»gp,. R l è un sottogruppo moltiplicativo ordinato

finitesimi. «R contiene dunque infinitesimi relativamente a R, ma non relati­di ~R+. Il gruppo moltiplicativo ordinato quoziente ~R+/R, è detto gruppo divalutazione di "R. Sussiste il teorema seguente:

vamente a "R.Sia ~R l'anello degli elementi finiti di ~R e p. l'ideale di "Rf costituito da­ TEQREMA (Zakon).

f.gli infinitesimi di ~R. Si ha allora la proposizione seguente: I ) ~R/G -~R+/R

PROPOSIZIONE. ®Rf/P. ~ R. 2) ~R/G«e ~R+/Rl sono divisibili, non archimedei, con ordine denso e total­

Dimostrazione: Sia dato un xe ~Rf e si indichi con x = x+p, la sua classemente incompleti (vi esistono delle lacune in ogni intervallo aperto) .

3) ~R/G«è d'ordinale 8 ~+ I +S in cui 8 è l 'ordinale che definisce il tipo didi equivalenza. x contiene uno e uno solo reale standard st (x). ordine o. = ro+ (oi~+oi) & di ~N (cfr. sopra, p. 49g, il teorema di Henkin

a) Se st(x) esiste è unico. Siano dati in fatti y ,AERA x e s i supponga e di Kemeny),y+a'. Allora ~y — z~ 4 p., cioè y e x non sono equivalenti. Contraddizione. y

= x.

b) st(x) esiste. Si consideri infatti aa x. Sia a standard e allora si conclude. COROLLARIQ. Siano 8, ~8, 8g e 8~ gli ordinali rispettivi di R, "R, G«= ~ RfSia a non standard e si divida R in due classi D, e D2'. D, = (yeR ~ y <a] e r, p,.

D, = (yeR ~ y)a ). D, è non-vuota poiché x è finito per ipotesi. D, è non-vuo­ r) ~8 = 8 o(&~+I+&) 8o ­— 8,8 8, = 8o&+ I+8o&~.ta poiché se ~a~ <m, — me D,. In piu D, ( D , . (D„D2) è dunque una sezione 2) ~R, p, e "Rf ­— Go sono totalmente incompleti e non archimedei.di Dedekind che definisce un numero reale r@R. Occorre mostrare che re x.Si supponga per esempio che r = max D, (la dimostrazione è la stessa per

InfinitesimaleInfinitesimale 498 499

è definito in R e valido in nR. È dunque valido in R ove può essere riscrittocon 3N Vn (n)N ~ ~s„— s~ <s).

3.3. Elementi di analisi classica. Nello stesso spirito, si può dimostrare anche la proposizione seguente:

L'analisi n. s. permette di riformulare in modo intuitivo («geometrico» re­ PRQPosIzIoNE. I punti l imite di S sono le parti standard s„ degli s„ fini t i .

lativamente alla «fibrazione» di nR operata dalle monadi) i concetti e i teoremidell'analisi classica. Eccone alcuni esempi. Banalizzazione del teorema di Bolzano-Weierstrass. Un importante teore­

ma sulle successioni è quello di Bolzano-Weierstrass. Esso afferma che se unaSuccessioni. Sia S = (sn)n,N una successione di numeri reali. successione è limitata, allora ammette un punto limite. Tale teorema è fonda­

DEFINIzIoNI. I ) Si dice che S è limitata se esiste un MeR tale che ~s„~ (Mmentale nella misura in cui si nota che è alla base della nozione di compattezza

per ogni neN. z) Si dice che S ammette s come limite (limsn =s ) se per ogniin topologia generale (cfr. oltre, p. 503). La sua dimostrazione nello stile Cau­

s) o esiste un NeN ta le che n) N implica ~s„— s~ <s. 3) Si dice che se R è unchy-Weierstrass è elementare ma non è affatto banale, non deriva cioè diretta­mente dalle definizioni.

punto limite (o punto di accumulazione) di S se per ogni s)o e per ogni NeNesiste un n)N ta le che ~s„— s~ <s.

Se invece si prendono come nuove definizioni le caratterizzazioni n. s. pre­sentate sopra (pp. 498-99), questo teorema diventa banale.

Queste definizioni classiche sono formulate nello stile Cauchy-Weierstrass. TEQREMA DI BoLzANQ-wEIERsTRAss. Se una successione è limitata, essa am­Ma una successione S di numeri reali è un'applicazione S : N ~ R ; essa si mette un punto limite.estende dunque automaticamente a un modello n. s. nR di R in una successione»i-numerabile nS : nN~ nR. Si denoterà ora con oI un intero infinito qualun­ Dimostrazione: Se S è l imitata, s„è fi n i to per ogni oidi n¹ Sia d ato un

que di nN„ =nN QN. oidi nN„, s=«s è u n p unto l imite di S.Generalmente molti risultati si «banalizzano» nella analisi n. s. ricondu­

pRoposIzIoNE. La successione S= (sn)n,N è limitata se e solo se s~ è finito cendoli a proprietà puramente insiemistiche delle monadi.per ogni o~e nN .

Ne è agevole la dimostrazione. Il criterio di convergenza di Cauchy. Il celebre criterio di convergenza diCauchy afferma che una successione converge se la differenza dei suoi termini

pRoposIzIQNE. l ims n = s se e solo se s s per ogni oidi nN (dove x y si annulla all'infinito. Eccone una dimostrazione n. s.

denota «x e y sono infinitamente vicini»). TEoREMA Una successione S= (sn)n N converge se e solo se lim (s — s ) = o

Dimostrazione: Si supponga limsn = s e si voglia mostrare che per ogni n,m~

n~ Dimostrazione: lim (sn — s )= o si riformula in termini n. s. nell'enunciato

s>o (seR) e per ogni oidi nN, ~s„— s~<s. limsn = s si esprime, come si èn~c (5)

detto sopra, con l'enunciato:per tutti i p . ,vc "N . S i supponga che S converga e abbia limite s. s„ s

(I ) Vs>o 3 N e N ( n > N » ~s„— s~<s) per ogni oic*N e d u nque la(5) è valida. Viceversa si supponga che essa sia

Dato s>o, sia N l' intero standard di cui la ( I ) afferma l'esistenza. L'enunciatovalida. Se si mostra che per ogni oidi nN, s è fin i to, allora tutti gli s h annola stessa parte standard s e S converge verso s. Sia dunque oi E nN„e si suppon­

(z) n) N ~ ] sn — s ) < s ga s infinito. Si consideri l'insieme A = (n c nN ~ ~s— s„~ ( i). A è un insiemei nterno. Ma A = n N p o iché I) essendo s„ infinito ed essendo s„ finito per

è valido in R e dunque in nR. Siccome oi>N per ogni NeN, ~s„— s~ <s. neN, Ac:n ¹ z) se p e nN , s „ s« p e r i potesi e dunque ~s — s»~ <I. OraViceversa, si supponga s„ s per ogni o>c nN . Siano s)o (eR) e ac nN . per il teorema di p. 493 nN„è esterno. Contraddizione. s„è sempre finito e S

L'enunciato converge verso s„.

(3) Vn(n>ci) ~ ~s — s~(K)è valido in "R. Esso non è definito in R a causa della costante oI. Ma l'enun­

Continuità. Sia data una funzionef : R~R. Essa si prolunga automati­camente a una funzione ~f : »R~nR.

ciatopRoposizioNE. f è continua in x«se e solo se x x« implica ~f(x) f(x«).(4) 3«e Vn(n) «c ~ ~sn — s~ (s )

Infinitesimale 500 50I Infinitesimale

Dimostrazione; Per definizione f è continua in xo se lim f(x) = f(xo), cioè Dimostrazione: Per ogni x xo X+xo f ( x )~f (xo) poiche +f(x) f(x )...(nello stile Cauchy-Weierstrass) se l'enunciato — f '(x,) (x — x,).

(6) Vs>o 38>o Vx(~x — xo~<8 ~ ~ f(x) — f(xo)~l<a) Osservazione : La derivata è dunque in un certo senso proprio il quozientedf/dx; ma poiché tale quoziente può essere n. s., di fatto viene identificata con

è valido. Se f è continua in xo, Poiché la (6) è valida in R, è valida in ~R. Sia la sua parte standard. È contraddittorio imporre che il quoziente di due infini­dato un xeaR tale che x x o . ~x — xo~<8 per ogni 8>o (8eR) e dunque tesimi sia sempre standard. Proprio tale inconsistenza è all'origine della rimo­

~af(x) — f(xo)l<s per ogni s>o (seR) cioè ~f(x) f(xo). zione dell'infinitesimale leibniziano.V iceversa, se Per ogni x x o (xe~R) af(x) f( xo), Per a>o e beli, l'enun­

ciato Differenziali. A q u e sto punto si può r iprendere la caratterizzazione del

(v) dx leibniziano come simbolo-indice «dimezzato» che era all'origine del chiari­mento logico-concettuale del paradosso dell'infinitesimale. Sia dx il simbolo­

è valido in aR. La (7) non è definita in R a causa della costante h. Ma l'enun­ indice associato all'insieme p, degli infinitesimi di ~R. Siccome p,AR= (o),ciato dx non può riferirsi che a o in R: dx è cosi «dimezzato» relativamente a R.

3h Vx(lx — xo I <h ~ I f(x) f( xo)' < s) Ma relativamente a aR è un simbolo-indice consistente analogo a una costanteper quel che concerne il simbolo e analogo a una variabile per quel che con­

è definito in R e valido in aR. Di conseguenza è valido in R. cerne l'indice.Osservazione : Questa proposizione permette di «visualizzare» (e dunque Sia f : R~R un a f unzione derivabile in xo. Sia df = ~f(xo+dx) — f(x,).

di rendere concettualmente intuitiva ) la proprietà non intuitiva di continuità. Poiché i quozienti di infinitesimi df/dx hanno tutti la stessa parte standard, èf : R~R è continua se per ogni xeR af(p(x)) ~p(f(x)), cioè se af rispetta possibile separare l'aspetto-simbolo e l'aspetto-indice del dx e supporre indif­la «fibrazione» di ~R operata dalle monadi (cfr. fig, 9). ferentemente che dx è o un infinitesimo particolare o un simbolo di variabile

per gli elementi di p.,

Deriziabilità. pR oposIzIQNE.f è derivabile in xo se tutti i quozienti3.4. Topologia generale.

'f(x)-f(xo)X X o Alla fine del xix secolo e all'inizio del XX lo studio di spazi molto differenti,

e in particolare degli «spazi» di funzioni, ha condotto ad astrarre e ad assio­in cui xep, (xo) hanno la stessa parte standard (indicata con f' (xo) : derivata matizzare il concetto di topologia o meglio il concetto di intorno. Si dànno quidi f in xo). per noti i necessari riferimenti metrici e topologici (si veda l'articolo «Geome­

Dimostrazione: f è derivabile in xo se il l imite tria e topologia» in questa stessa Enciclopedia ). Sia X uno spazio topologico. Siall(x) l ' insieme degli intorni di xeX . È facile verificare che $(x) è un fi l tro.

f(x) — f(x,) ( f,( )) In generale, tale filtro non ammette un piu piccolo elemento (non è princi­z~g X X O pale). Quando x varia, i fi ltri $ (x) non sono indipendenti. Se U è un intorno

esiste. La dimostrazione è analoga a quella della proposizione di p. 498.di x, U è infatti un intorno di ogni punto y «abbastanza vicino» a x: per ogniUE$'(X) esiste un Veà (x) tale che UeÃ(y) per ogni ye V.

PRoPosIzIQNE. Se f è derivabile in xo, essa è continua in xo. A partire dalla nozione di topologia molte altre nozioni s'impongono pres­soché da sole. Si dirà per esempio che un punto x è isolato se il filtro dei suoi

+lintorni è l 'ultrafiltro principale S. = (UaX~ xe U ). Si dirà che la topologia'o è separata se è sempre possibile «separare» due punti differenti, cioè se perlutti gli x +y esistono intorni disgiunti Ue $ (x) e Ve D(y) di X e y. Si dirà cheiina successione (x„)„,N di punti di X converge verso x (ammette x come li­inite) se per ogni intorno aperto Ue5' (X) esiste un ¹N tale c he per ogni

R z f(K) R s >N, x„c U. Si dirà che x è un punto limite di (x„),N se per ogni intorno aper­ln Ue $ (x) e per ogni ¹N esi s te un n>N ta le che x„c U. Si dirà che un'ap­

Figura g. lilicazione f : X~ Y t ra due spazi topologici è continua se l'immagine reci­«Visualizzazione» della continuità. proca di ogni aperto di Y è un aperto di X , ecc.

infinitesimale 502 So3 Infinitesimale

Si vedrà come tutte queste nozioni di base cosi come i teoremi caratteristi­ Ecco, sempre a titolo d'esempio, la caratterizzazione della proprietà di se­ci ai quali dànno luogo siano riformulabili in modo puramente insiemistico parazione.nell'analisi n. s. pRoposIzIoNE. La topologia G su X è separata se e solo se le monadi di

due punti differenti sono sempre disgiunte.Sia (X, "f>) uno spazio topologico e si consideri un allargamento dell'uni­

verso di base X. g è un insieme di sottoinsiemi di X. Sia ~l-> la sua esten­ coRoLI.ARIo. Se X è separato, ogni punto x c ~X appartiene al massimo

sione n. s. ; essendo ~ G una entità standard, i suoi elementi sono interni. a una monade. Se xcp. ( x) si dice che x è la parte standard di x.Sia xc X e P~ il filtro degli intorni (aperti) di x. La nuova entità che il mo­

dello n. s. consente di introdurre e di maneggiare è essenzialmente la mo­Si caratterizza infine per un punto la proprietà di essere isolato. Un punto

nade di x.xe X è isolato se e solo se p,(x) = (x). Ma Robinson ha dato una caratterizza­zione piu forte.

DEFINIzloNE. Sia xc X. La m onade p,(x) di x è l' intersezione degli ~U perUc Ä: is.(x) = g ~U . TEQREMA. x è isolato se e solo se la sua monade p.(x) è interna.

U@p

In generale non esistono intorni di x «piu piccoli » (questo è un altro modo Si riesamini ora il tema della compattezza cui ci si era accostati in r i fe­

di dire che il concetto fondamentale dell'analisi è quello di limite). Ma si vedra rimento alla banalizzazione del teorema di Bolzano-Weierstrass. Gli insiemi

che in *X esistono «e-intorni » piu piccoli di tutti gli intorni di x in X . C iò compatti sono gli insiemi chiusi che soddisfano la proprietà che ogni succes­permetterà di ragionare « insiemisticamente» riportando le proprietà « infinite­ sione di punti ammette un punto limite. Intuitivamente, essi sono degli spazi

simali» in X a proprietà «finite» in ~X. abbastanza «finiti » da non consentire di «collocarvi » un insieme numerabile di

LEMMA FoNDAMENTALE. Se ~X è un allargamento di (X, 6) e se xe X, esistepunti senza «accumularli» in qualche parte. Vista la loro importanza, la ten­

un Ve ~"6 tale che xe Vc:ls,(x).denza è stata di caratterizzarli con una proprietà di finitezza della loro topolo­gia (dei loro aperti ) e dimostrare a posteriori un analogo del teorema di Bol­

Dimostrazione : Si consideri la relazione binaria di dominio 8, R(U, V) : zano-Weierstrass. L'analisi n. s. banalizza a sua volta la loro definizione e la

«xc Vc. U». Poiché l'intersezione di un numero finito di aperti contenente x loro proprietà caratteristica.

è un aperto contenente x, R (U, V) è concorrente. Ammette dunque una «so­ DEFINIzIQNE. Uno spazio topologico separato (X 'V) è detto compatto se daluzione globale» Vc ~Y> tale che xe Vc: ~ U per ogni Uc"6, xc U. S iccome ogni ricoprimento di X con degli aperti è possibile estrarre un sottoricoprimentop. (x) = Q " U, x c V c: p, (x) . finito.

UE'gSEU DEFINIzIQNE. Sia (X, i->) uno spazio topologico. Un punto x di ~X è detto

Ecco ora la caratterizzazione degli aperti. quasi standard (q. s.) se appartiene alla monade di un punto standard. Si indichi

pRoposIzIoNE. U è aperto se e solo se ~U contiene la monade di ciascunocon ~Xq., l' insieme dei punti quasi standard di ~X: ~ Xq p Q p.(x).

xcXdei suoi punti. TEQREMA (caratterizzazione n. s. della compattezza). Sia X uno spazio se­

Dimostrazione : Se U è aperto, per ogni xc U, Uc Ã~ e dunque p(x) =parato, X è compatto se e solo se ~X = ~Xq., cioè se e solo se ogni punto non stan­

= P ~Uc ~U. V iceversa, sia xc ~U. Siccome p.(x) c: ~U, l'enunciato SV' .rlard è quasi standard.

Ucg

c $~ ( Vc U) è valido in ~X. È dunque valido in X. U è un intorno di x, dun­ Dimostrazione : Si supponga che X sia compatto e che esista un x c ~X

que di ciascuno dei suoi punti, dunque aperto. che non sia quasi standard. Per ogni y c X esiste dunque un aperto yc U taleche x< ~U. Sia%l = (U,'} l'insieme degli Uc'V tali che xg ~U. %l è un ricopri­

coRoLLARIo F è c h iuso se per ogni x4F, p.(x) A ~F = g . tncnto aperto di X. Poiché X è compatto, è possibile estrarre un ricoprimentoDEFINIzIQNE. Se A è un sottoinsieme qualunque di X, si dice che un punto xcX linito U„ . . . , UI. Ma poiché U,U ... U U» ­— X è un enunciato del primo or­

è aderente a A se ogni intorno di x interseca A. Si chiama aderenza di A e si in­ tline, ~U,U ... U ~UI = ~X. Ora x ® ~UIU ... U ~U». Contraddizione. Ogni pun­dica con A l' insieme dei punti aderenti ad A : essa è la chiusura di A cioè l'inter­ to di ~X è quasi standard.sezione (che è un chiuso) dei chiusi contenenti A. Viceversa si supponga X non compatto. Esiste un ricop™ento aperto %.

>li X tale che per ogni sottoricoprimento finito 1lt, U@tt+X. Si consideri la re­Si ha allora la seguente proposizione : I><zione R(U,y): «Uc@t, ycX, y < U». Essa è concorrente. Poiché ~X è unPRQPosIzIoNE. Sia A c: X, x c A se e solo se p.(x) A A + 8 .. all;trgamento, essa ammette una «soluzione globale» xc ~X: per ogni Uc@.,

Infinitesimale 5O4 5o5 Inflnitesimale

x< ~ U. x non è quasi standard poiché se ye X, esiste un Ue % tale che y e U Prima di tutto è chiaro come la nozione di monade definita a partire dai

e siccome x4~U, x4p, (y). filtri di intorni possa estendersi a un filtro qualunque,Sia $ un fi ltro su un insieme X composto di entità di un tipo dato o. Si

coRQLLARIo. Un sottoinsieme K di X è c ompatto se e solo se ogni punto chiamerà monade di $ e si noterà con p. ($) la e-entità di tipo (rz) definita dad i ~K appartiene alla monade di un punto di K . ~(~) = n U

Vc SLa proprietà classica per un compatto di essere chiuso si riconduce a banali A partire da questo punto, è possibile proporsi una teoria generale delle

proprietà insiemistiche delle monadi. monadi [cfr. Luxeinburg I969]. Ecco alcune indicazioni.pRoposIzIQNE. Sia X uno spazio separato, se K c X è compatto, K è chiuso. Si generalizza il lemma fondamentale di p. 5oz: i i , ($) è la r iunione dei

Ve~$ tali che Vc:y ($). Si generalizza la caratterizzazione del teorema delleDimostrazione: Come si è visto sopra, K è chiuso se e solo se, per ogni monadi interne (p. 5o3) :

x4K, p,(x)A "K = g. Sia dunque dato un x <K e si supponga che esista unyeti,(x)A~K. Siccome K è compatto esiste uno zeK tale che ycp.(z). Si ha

TEOREMA (Luxemburg ). Sia l ' un filtro su X, e sia ~ if un allargamento del­

dunque yc li. (x)Ap.(z) cioè p.(x)A p(z) p g e x<K e vc K cioè x+z. Siccomel'universo%. cui appartiene X. La monade ii,(5) è interna se e solo se $ è principale.

X è separato si dovrebbe ottenere ii. (x)gp.(z) = g. Contraddizione. ii,(x)A Dato un insieme Q qualunque (interno o esterno) di entità di ~ if di t ipog ~K= g per ogni x<K e K è chiuso. (ci), sia P< il filtro degli insiemi A. di entità di tipo o di "1l tali che Q~ ~A. Si

Si banalizzi ora i l teorema di Bolzano-Weierstrass. In modo analogo a chiama monade discreta di Q e si indica con p,<(Q) la monade del filtro l '< .quanto si è fatto a p. 499, dapprima si mostra: p,z(Q) è un modo di rappresentarsi l'allargamento Rl(~ i f .

pRoposIzIoNE. Sia (x„)„,N una successione di punti di X ( separato) : x èSi indichi con M, l ' insieme «completo» delle entità di t ipo o di l f . p,< è

un punto limite di (x„)«N se e solo se esiste un o~e ~N„ tale che x„e p.(x),un operatore definito sull'insieme J (~M~) delle parti di ~M,.

coRQLLARIo (teorema di Bolzano-Weierstrass). Se X è compatto ogni suc­ FRoposIzIQNE. L'operatore p< è un operatore di chiusura;

cessione ammette un punto l imite. i ) f, (g ) = g e p., ( 'M. ) = ' M..

Dimostrazione: Sia (x„)„,N una successione di punti di X e s ia o>c ~N2) Per ogni Q C: ~M, Q c ii,z (Q).

un intero infinito. Siccome X è compatto, x„è quasi standard: esiste un x@X 3) p< (li< (Q))= pz (Q) (idempotenza).tale che x e p. (x). Per la proposizione esposta sopra, x è un punto limite di 4) lie�(QI U Q») = fig(Q,) U p<(Q,) (distributività rispetto alle riunioni finite ).(xn)n.N. Ora, in modo molto generale, se (X, G) è uno spazio topologico l'opera­Osservazione: La caratterizzazione n. s. della compattezza «banalizza» la tore x definito su J (X) e che associa a ogni sottoinsieme A ~X la sua aderenzadefinizione standard nella misura in cui r iduce il l ivello (nella gerarchia dei 2èè un operatore di chiusura. Viceversa si mostra che se x è un operatore ditipi) delle entità messe in gioco. Come osservano Machover e Hirshfeld, «se chiusura su P (X), esso definisce una topologia su X attraverso i chiusi x (A).i punti (e gli e-punti) sono pensati come oggetti di tipo o, gli insiemi di punti TL operatore li< definisce dunque una topologia su M, per la quale Q c:M,come oggetti di tipo I e le famiglie di tali insiemi come oggetti di tipo z, allora è chiuso se Q è la monade di un fi ltro.la definizione standard di compattezza è un enunciato universale-esistenzialeche comporta oggetti di tipo z e che fa uso della nozione di oggetto finito di tipo DEFINIzIQNE. St chiama S topologia la topologia defin ita da I oz ("per ogni ricoprimento aperto di A esiste un sottoricoprimento finito" ). Poiché la S-topologia non è caratterizzata che dall'allargamento %(~%l,D'altra parte, la caratterizzazione non standard è formulata come un enunciato la sua analisi permette di studiare anche quest'ultimo. Ecco, per esempio, launiversale-esistenziale che comporta soltanto oggetti di t ipo o. È tutto molto caratterizzazione topologica delle entità standard.semplice da usare e da visualizzare. La maggior parte delle dimostrazioni checomportano argomenti di compattezza è piu diretta, semplice e naturale quan­ pRoposIzIoNE (Luxemburg ). Sia Qc ~M . Q è s tandard se e solo se Q èdo vengono usati i metodi non standard» [I969, pp. 30-3I].

nello stesso tempo S-aperto e S-chiuso.

Lrn altra problematica che emerge naturalmente è la seguente.)

Questi pochi esempi di topologia generale sono sufficienti a mostrare laportata euristica e pedagogica dell'approccio n. s. Prima di ampliare ulterior­ Se (X, G) è uno spazio topologico si possono definire le monadi p (x) deimente le loro applicazioni, si delineano alcune problematiche a cui si aprono punti di X'. Viceversa ci si può proporre di dotare X di una struttura «mona­

in modo naturale.dica» e di analizzare il rapporto di tale struttura con una struttura topologica.

Infinitesimale 5o6 5o7 Infinitesimale

Tale strategia è pertinente nella misura in cui si constata che nozioni topolo­ Sia q una struttura quasi monadica su X. Si indichi con ~ (x) (rispettiva­giche sofisticate e apparentemente non naturali divengono cosi molto naturali. mente p~(x)) l'insieme dei filtri di X ( r ispettivamente degli ultrafiltri ) conver­

A tal proposito si r icordano brevemente alcuni r isultati di Pur i tz [Ir176]. genti verso x. Si definisce il filtro %„ d egli «intorni» di x come l'intersezioneSia dato un insieme X e, per ogni x@X, si consideri la «monade» xe', (x) dei filtri di w (x) (e di p (x)). Sia 11 l'insieme degli insiemi di ultrafiltri su X.

che rappresenta a priori i punti d i ~X « infinitamente vicini» a xcX . T a le p definisce un'applicazione p~ : x~p (x) di X in%..struttura è detta quasi monadica e viene indicata con p. Sotto quali condizioni PRQPosIzIoNE. L'applicazione p : X~@l soddisfa le proprietà: Pp) per ogniassiomatiche una data struttura rp è equivalente a quella di una topologia? xe X l'ultrafiltro principale $~= (UcX ~ xe U) appartiene a p (x) ; P,) un fil­

tro $ su X converge verso x se e solo se l'insieme %> degli ultrafiltri che raffi­PRQPosIzloNE. Sia q> una struttura quasi monadica su X. Sono equivalenti

le condizioni:nano 5' è incluso in p~(x).

I ) q> soddisfa l'assioma q>z. per ogni xeX, i i . (x) è la monade di un fi l tro, Le strutture di convergenza su X definite da un'applicazione p : X~ 11 chee <p è equivalente a una pretopologia "G su X. Si dirà allora che y è mo­ soddisfa gli assiomi Pp) e P,), sono state introdotte (nel quadro della topo­nadico, logia generale standard) da Choquet col nome di pseudotopologie. Si tratta in

2) rP soddisfa inoltre l'assioma <Pz : Per ogni y c ~X, ye ii,(x) imPlica ~li,(y) C tal caso di una nozione sofisticata che diviene molto naturale nella sua for­

c p(x), e la pretopologia 'V è una topologia. mulazione n. s.

3) q> soddisfa inoltre l'assioma q>4. per ogni y@ ~X, y< ii,(x) implica ~li,(y) A coRQLLARIo. Se cp è una struttura quasi monadica, p è una pseudotopo­Ap(x) = g e la topologia G è regolare. logia.

4) q> soddisfa inoltre l'assioma p»: per ogni y ,zá ~X, *p (y)A~li(z) = 8implica che esiste un ue ~X tale che yc ~p,(u) e zc ~li,(u), e la topologia

E possibile mostrare anche il risultato piu forte:

'V è normale. TEQREMA (Puritz). La corrispondenza p : ili ~p~ è una biiezione tra le strut­ture quasi monadiche su X e le pseudotopologie su X.

Osservazione (definizioni ) : I ) si dice che una topologia (X, 'V) è regolarese, per ogni xcX , gl i in torni chiusi di x generano il fi l tro degli intorni $~;z) si dice che una topologia (X, 'V) è normale se la proprietà di separazione è 3.5. Continuità e continuità uniforme.valevole non soltanto per i punti ma per i chiusi in generale: se A e B sono deichiusi disgiunti di X si può «separarli » con degli aperti UwA e VwB disgiunti. E esemplare anche come le nozioni di base di continuità e di continuità

Osservazione (sul simbolo ~li ) : ~p, è una estensione di p. che non si può uniforme si riformulino nell'analisi n. s.supporre acquisita a priori poiché le p. (x) non sono standard. Essa viene de­finita nel modo seguente. Sia P un filtro su X. È naturale dire che $ converge Continuità. Sia data una funzionef : X~ Y t ra due spazi topologici. Laverso xeX se p, ($)cg,(x). Sia allora xeX e sia 9 l ' i nsieme degli ultrafiltri definizione di Cauchy della continuità può cosi essere generalizzata.convergenti verso x. Poiché S~ è una entità standard, si applica a ~X. Sia allora4 un e-filtro. La sua parte standard 0, insieme degli Uc X t a l i che ~U60, DEFINIzIQNE. f è detta continua in xe X se, per ogni intorno aperto V di

è un filtro su X. Se yc ~X allora si pone ~li, (y) = Q p.( 0). Poiché la costru­ f(x), esiste un intorno aperto U di x ta le chef(U)c U. f è dunque continua su%+S„ tutto X se l ' immagine inversa di ogni aperto di Y è un aperto in X .

zione delle monadi è stabile per riunione, ~li, (y) è sempre una monade di unfiltro. Ma è possibile avere per x standard ii, (x)+~li,(x). TEQREMA (caratterizzazione n. s. della continuità). Un'applicazionef : X~ Y

L'interesse di tale approccio è che è possibile indebolire naturalmente la tra due spazi topologici è continua in xeX se e solo se ~f(p,(x))cp.(f(x)). f ènozione di struttura monadica in quella di struttura quasi monadica che soddi­

dunque continua su X se rispetta la «fibrazione» operata dalle monadi.sfa l'assioma (piu debole di pz) q>,: per ogni x, ii,(x) è una quasi monade. Dimostrazione; Si supponga chef sia continua in x. Per ogni intorno aper­

to V di f( x ) esiste un intorno aperto U d i x t a le chef(U)cU. DunqueDEFINIzIoNE. Sia xe ~X, la monade discreta ii,z(x) è la monade dell'ultra­ 'f(l (x))c'f ("U)c'V e ' f (p.(x))cl (f(x)) = P ~V.filtro %~= ttUcX ~ xe ~U ). Si indichi con = l'equivalenza definita su ~X dax=— y se e solo se 11,= li„ (e dunque p.4(x) = pe (y)). Un sottoinsieme Q c X è Viceversa si supponga ~f(p.(x)) ci i,(f(x)). Per i l lemma fondamentale didetto saturato o quasi monadico se è saturato per l'equivalenza =— : per tutti gli p . 5oz esiste un-s-aperto U di ~X tale che xe Uc l r (x). ~f(U)cp.(f(x)) poi­x,ye X , xeQ e x ­= y implica yeQ. ché ~f(p,(x)) cii,(f(x)) e dunque ~f(U) c ~V per ogni intorno aperto V di f(x).

Infinitesimale 5o8 5o9 Infinitesimale

L'enunciato 3U (xe U) V V (f(x) e V)(f(U) c V) è dunque un enunciato del pri­ Dimostrazione: Siano infatti x,ye ~X tali che x y . S iccome X è compat­mo ordine definito in X e valido in ~X. D i conseguenza esso è valido in X. to, esiste per il teorema di p. 503 un elemento standard zeX tale che x y

Questa caratterizzazione n. s. della continuità consente per esempio di ba­ Siccome f è continua, per i teoremi della caratterizzazione n. s. della conti­nalizzare il risultato classico per cui l'immagine di un compatto in una appli­ nuità ~f(x) ~ f (y ) ~ f( z ) e f è un i formemente continua.cazione continua è compatta.

pRoposIzIQNE. Sia f : X~ Y u n 'applicazione continua e sia K un compat­ Un errore di Cauchy. S ia o ra F = (f„)„,N una successione di funzionito di X. L ' immagine f(K) di K è c ompatta in Y. f„ : X~ Y t r a spazi metrici (di distanze F e j ). Si dice che la successione F

converge verso f se, per ogni x@X, la successione F (x) = (f„(x)}„,N di puntiDimostrazione: R sufficiente mostrare che se z è un punto di ~f(K) esiste di X converge verso f(x), cioè se F soddisfa l'enunciato:

un punto y di f(K) tale che zeli,(y). Ma se ze ~f(K), esiste un xe ~K tale chez = ~f(x). Siccome K è compatto per ipotesi, esiste un ueK tale che xeii,(u). (3) V xcX Ve>o 3N EN (n>N ~ ( ( fg(x)>f(x))<s).Poiché f è continua, ~f(p,(u))c:l i (f(u)) e dunque ~f(x) = zeli,(f(u)). L'intero N, d i c ui l a (3) afferma l'esistenza, dipende in generale da x.

Quando esiste un N che non dipende da x, cioè quando F soddisfa l'enunciato :

Continuità uniforme. Si consideri il caso in cui X e Y siano spazi metrici, (4) Vs>o 3 NcN V x c X (n>N ~ j( f „ (x),f(x))<e)con distanza rispettiva E(x, y) e ((x, y). L'usuale definizione di continuità suo­na cosf: f : X~ Y' è continua se l'enunciato si dice che F converge uniformemente versof.

Un celebre errore di Cauchy consistette nell'aver creduto di dimostrare che( I ) V x,yeX Vs> OZq> o (((x,y)<q ~ ((f(x), f(y)) ( s ) una successione convergente di funzioni continue convergesse a una funzione

è valido. Dunque l'q di cui la ( i ) afferma l'esistenza dipende da x. Quando esi­continua. L'analisi dei controesempi condusse alla restrizione della convergen­za alla convergenza uniforme.

ste una q che non è dipendente da x cioè quando f soddisfa l'enunciato La riformulazione n. s. permette di vederne chiaramente il perché.(z) Vs>o Zq>o Vx ,yeX (E(x,y)<q ~ ((f(x),f(y))<e) Dapprima si caratterizza (cfr. il teorema di p. 5o8) la convergenza uniforme.

si dice che la continuità di f è uniforme. Questa nozione piu restrittiva di con­ PRQPosizioNE. Una successione F= (f„)„,N converge uniformemente ver­t inuità è facilmente interpretabile in termini n. s. so f s e e solo se per ogni yb~X e per ogni ro' ~N, «f(y) f„(y).

TEQREMA (caratterizzazione n. s. della continuità uniforme). f : X~ Y ' e Osservazione: La successione F= (f„)„,N converge verso f se e solo se peruniformemente continua se e solo se per tutti gli x,yc ~X (e non soltanto per tutti ogni xe X, f (x) f ( x ) (cfr. sopra, p. 498).gli x,yeX) x y im plica ~f(x) ~ f(y). TEQREMA. Se la successione difunzioni continue F = (f„)„N converge uni­

formemente verso f, f è continua.Dimostrazione: Si supponga f uni formemente continua e siano x,yc ~Xtali che x y . Essendo l'enunciato(z) valido in X, esso è valido in ~X l imi­ Dimostrazione: Si deve mostrare che se xe X e y@ ~X, y x implica ~f(y)tando la quantificazione su s e q agli elementi interni — e dunque standard­ f(x). Sia dunque ye ~X tale chey x . S iccomef„ è continua, ~f „(y) f (x).di ~R. Siccome F (x,y)(q per ogni q>o poiché x y, g(~f(x), ~f(y))<s per Siccome F converge af, f„ (x ) f ( x ) . Siccome F converge uniformemente af,ogni e>o e dunque ~f(x) =~f(y). ~f(y) = ~f„(y) per la proposizione appena riportata. Dunque ~f(y) "f„(y)

Reciprocamente si supponga che, per tutt i gl i x , y e ~X, x y imp l i chi f„ (x) f ( x ) . Se F non converge uniformemente, non si ha necessariamente~f(x) ~ f ( y). Sia s>o. L 'enunciato ~f(y) ~f „ ( y ) e non si può dunque concludere.

8v) >o Vx,ycX (E(x,y) <q ~ ((f(x),f(y)) (s)3.6. Localizzazione.

è valido in ~X. Essendo definito in X, è valido in X.Questa caratterizzazione n. s. della continuità uniforme consente di bana­ Se (X, 'V) è uno spazio topologico, la monade i i,( x) di un punto xeX è

lizzare il risultato classico per cui una funzione continua su uno spazio com­ un sottoinsieme (in generale esterno) di ~X che svolge il ruolo di intorno infi­patto è uniformemente continua. n itesimale di x. Essa «cattura» per costruzione le proprietà locali di X i n x .

Ciò permette di r idurre considerevolmente la complessità della nozione dipRoposIzloNE. Sia f : X~ Y u n 'applicazione continua. Se X è compatto, «locale» che rappresenta uno dei punti cruciali della matematica moderna.

f è uniformemente continua. Si consideri per esempio una funzione f definita su X. «Localizzare»f in x

Infinitesimale 5IO 5II Inánitesimalc

vuoi dire considerare la sua restrizione a un intorno «in6nitesimale» di x in X. pretare la nozione di punto generico nel caso dei germi generici di funzioniSiccome tale nozione è inconsistente in analisi standard, si è stati condotti a analitiche. Si ha allora il teorema seguente:definire la «localizzazione» di f in x — che viene chiamata germe di f i n x­con modalità molto sofisticate. Sia l ' uno spazio di funzioni su X. Si de6ni­ TEQREMA (Robinson). Sia p un ideale primo di 4. Esiste un punto (F,, ..., E„)sce prima una relazione d'equivalenza (dipendente da x e da 6 ) su $: f,gc $ della monade p,(o) di C" tale che per ogni germe <p e4, q~e p equivale a q1(E,,,. . . ,

sono equivalenti (f g ) se esiste un intorno aperto U di x sul quale le restri­ („) = o.

zioni f~U e g~U di f e g coincidono. Si definisce poi il germe di f in x comela classe d'equivalenza di f. 3.7. La relativizzazione dell'opposizione finito /infinito.

Ma se si considera un allargamento ~X di X, è naturale definire il germedi f in x come la funzione n. s. ~f ~ p. (x). Definiti in tal modo, i germi diventano Già piu volte si è detto che uno dei principali interessi dell'analisi n. s. è

funzioni nel senso classico del termine, cioè di dominio ben determinato. È stato quello di «riportare» l'in6nito al finito. Si daranno ora alcuni esempi di

facile verificare che esiste una biiezione tra gli insiemi di germi standard e n. s. questa «dialettica» cosi chiaramente anticipata da Leibniz. Tutto ciò è di no­tevole importanza epistemologica. Molti dei profondi risultati dell'analisi mo­

Ciò ha permesso, per esempio a Robinson [iq6qa], di dare una dimostrazio­ derna consistono nel generalizzare al caso infinito un certo numero di proprietà

ne n. s. molto economica del teorema della teoria dei germi di funzioni ana­ classiche del caso 6nito. L 'analisi n. s. mostra che in generale esistono casi

litiche che generalizza il Nullstellensatz di Hilbert (cfr. p. 48o). s-finiti che sono «eccellenti approssimazioni» dei casi infiniti : perciò, come

Una forma del Nu l lstellensatz afferma che per K c o rpo a lgebricamente diceva Leibniz, «le regole del finito funzionano nell'in6nito» e ciò in linea di

chiuso, se VE è la varietà di K" definita da un ideale 3 = (f„ . .., f~) dell'anello principio. Lo schema generale di tali chiarimenti concettuali dei casi infiniti è

di polinomi K [x„ . .., x„] e se V> è la varietà di K" definita dal polinomio del tipo schematizzato nella figura Io. Si delineano alcuni esempi.

geK[x „ . . . , x„], l ' inclusione di varietà V~c V< implica che una potenza in­tera $" di $ appartenga a 3. M isura dei numeri reali. Se X è un insieme finito, la misura di un sotto­

Si consideri l 'anello 5 de i germi a l l 'origine delle funzioni analitiche insieme A di X è evidente: è sufficiente dividere il numero di elementi di Af : C" ~C. Se q> è un germe di C (o una famiglia o un ideale) si de6nisce la sua per il numero di elementi di X. Quando X è infinito, come R, il problema èvarietà V come il germe all'origine dell'insieme f — ( f(o)) in cui f è un rappre­ molto piu delicato. Esso conduce alla teoria della misura. Ora se si considera

sentante qualunque di qi (che, come si è detto, è una classe di equivalenza). la misura classica dx su R (misura di Lebesgue), ci si scontra con un certo nu­Il teorema che Robinson ri-dimostra è il seguente: mero di «paradossi» semantici (e non logici). Per esempio la misura dell'in­

TEoREMA (Nullstellensatz di Riickert). Siano qi„..., q>,$ dei germi di 0.disieme Q dei razionali è nulla benché Q sia denso in R. A fortiori la probabil't'a i i à

Sia 3 l'ideale di 0 generato da q>; per i = 1, ..., p. L'inclusione di varietà V~ c V«,i trovare un numero reale dato scegliendo un numero reale a caso è nulla lad­

implica che una potenza intera $~ di g appartenga a 3.d ove spontaneamente (semanticamente) si è portati a pensarla non come nullama come infinitesimale.

Nella formulazione n. s. i germi q~, e $ divengono funzioni n. s. sulla Appare dunque naturale domandarsi se non sia possibile costruire una mi­monade 11(o) di C" e le varietà U~ e V< dei sottoinsiemi di p,(o). sura n. s. v su R tale che I) la misura di un numero sia un infinitesimo fissato

Robinson mostra allora che è possibile rimodellare la dimostrazione di 2) a misura di un sottoinsieme di R si ottenga — come nel caso finito — somman­)1 'd 01

questo teorema [cfr. Robinson 111611b, pp. 14o sg.] su quella classica del Null­ do le misure dei suoi elementi; 3 ) la parte standard di v sia la misura dx.stellensatz, che è la seguente. Si supponga che Q escluda tutte le potenze di $.Esiste un ideale p, Qcp massimale rispetto a questa proprietà. Si mostra chep è un ideale primo. Sia K' l 'anello di integrità quoziente di K [x„..., x„] ri­ Analisi s.

spetto a $. Poiché K' è d'integrità, ammette un corpo di frazioni K che è una Finito Infinitoestensione di K. I l punto essenziale è che l'immagine (Fi, ..., E„) nel corpo K Riportaredi (x i X„) è un punto generico di $, nel senso che per ogni feK[xi, ..., x„], l' infinito

fe/ equivale a f(E„„..., F„) = o. In particolare f,(F„, ..., F,„)= o per i = i, . . . , p. Analisi al finito Appro ssimazionen. s.

Ma $(F„. . ., F ) ~o. L' inclusione V~c U> non è dunque valida in K". Essa è (parte standard)a fortiori non valida nella chiusura algebrica di K. La 9K-completezza della e -finitoteoria dei corpi algebricamente chiusi implica che essa non è valida in K. Figura 1O.

Per dimostrare nello stesso modo il Nullstellensatz di Riickert, occorre inter­ Le regole del finito funzionano nell' infinito.

Infinitesimale 5lz 5r3 Infinitesimale

Tale questione è stata risolta da Bernstein e Wattenberg [lg6cI]. Qui ci si Sullo spazio 9 delle funzioni f : Z~C si definisce anche un prodotto scalare

limita a ricordare che in un allargamento ogni insieme infinito ammette una con (f, g) =g f (n)g(n). Si d imostra allora la formula di Parseval che af­

estensione e-finita. L'idea è quella di considerare, in un allargamento ~R di R,scz

ferma che i prodotti scalari (f, g) sono gli analoghi dei prodotti scalari inuna estensione +-finita S di R e di definire la misura v come nel caso finito. dimensione finita: (f, g) = (f, g) =g f(n)g(n).Perché la parte standard di v sia la misura di Lebesgue, s'imporrà a % una BE Z

condizione di ripartizione uniforme. Questi risultati classici non sono banali, ma lo diventano nel caso finito. Perp@N, si consideri lo spazio

Teoria di Fourier. Sia T il cerchio dei numeri reali modulo zw. Una funzio­ne f : T~C è una funzione reale a valori complessi periodica di periodo zar.Tra queste funzioni ne esistono di privilegiate, le funzioni trigonometrichee'~~ (ne Z). La teoria di Fourier (analisi armonica) consiste nell'approssimare • ,= / pZ P • d gli i t '

o d l p S i tle funzioni f : T~C con una sovrapposizione «di armoniche» e'"". I passaggi guente il discorso di prima:

sono i seguenti. zirlPer ne Z si definisce il coefficiente di Fourier f(n) di rango n di f con l'in­ xe T -+ — E-T

ptegrale +'T

f ( ) f ( )e /nx dx neZ ~ kc'27r

svclSi ottiene un'applicazione f : Z~C che si chiama trasformata di Fourier di f .

etna = h (x) ~ e< a'~/l' i<= h>­' pSi definisce la serie di Fourier f di f co me la serie

f(n)e' * (f : T-C) - (f : Tp-C)tc6z

Si mostra che nello spazio $ delle funzioni considerate (in realtà, spazio f(n) ~ f(k) = — g f ( )e -<»~/i)Ic<

di classi di equivalenza di funzioni uguali «quasi ovunque»), il numerop / = o hp /

+s /z~l3<f,g>= ­ fg dx f(x) ~ f ­ =g f(k)e<~i~/p) k/

2T p kcz

è un prodotto scalare per cui il sistema delle «armoniche» h„ = e'"* è un sistema

ortonormato completo. Ciò signi6ca: +z<f <) </ y p / (

Rtt) (

are)t ) per ogni ncZ, h „h a norma l: (h „ , h„) = ­ e'"*e — '""d x=i;

<f g> - < f, g>= g f(k) gx(k)k@z

+7t

h g ~tcI~z] e all~ra p~ssib~le ritrovare l t tdi Fourier approssimandola con un caso e-finito la cui teoria deriva direttamen­

3) ogni funzione fe% è una combinazione lineare g a„e'"~(a eC): f = f. te dal caso (ban 1 ) 6 'aso (banale) 6nito. Infatti: se T è una «pessima» approssimazion d'p e i

Rc z I ~ T in(in cui ~T è un allargamento di T e ro' ~N u n i n tero n. s. in6nito)Ciò signi6ca che $ è l'analogo in dimensione infinita di uno spazio «eucli­ è al contrario una «ottima» approssimazione di T. In fatti se oi è «abbastanza

deo» (o come si dice, con piu precisione, «hermitiano») C" di d imensione grande» — cioè se ogni intero standard divide oi — ~T„ammette T come parte

finita in cui le h„costituiscono un sistema di assi «cartesiani». I coefficienti distandard. Siafe%, e si indichi con ~f la restrizione di ~f a ~T„. Se si applica

Fourier f(n) sono molto semplicemente le coordinate di f rispetto a tale sistema f„ a teoria finita e se si prendono le parti standard, si ritrova la teoria

di riferimento, cioè le «proiezioni ortogonali » di f sui vettori unitari h„: (f(n) = classica.

= (f, h„)) e la serie di Fourier f è l'analogo della scomposizione classica di unvettore in un dato riferimento. f = f: se f si ottiene a partire da f, reciprocamen­ Anahsl spettrale Sia E uno spazio vettoriale dl dimensione n per esemplo

te f si r iottiene a partire da f (formula di inversione).«u C, e sia T un operatore lineare su E, cioè un'applicazione lineare T : E~E.

Infinitesimale 5145'5 Infinitesimale

Se (e„..., en) è una base di E (c ioè un sistema massimale di vettori l inear­mente indipendenti ) e se T(e;) è di coordinate t'; relativamente a tal base, la

introdotti da Hilbert per risolvere (tra l'altro ) un problema di esistenza di mi­

matrice n x n (t';) = A> caratterizza T. Se infatti xe T è d i c oordinate (x'),nimo che era stato utilizzato implicitamente e senza dimostrazione da Riemann:

n n n n dati uno spazio metrico E di dimensione infinita, un elementof di E e un sot­x =g x'e;, T(x) = g x' T(e;) poiché T è l ineare, T(x)=g x' P t~e : T(x) è di tospazio lineare F di E, esiste un elemento g di F la cui distanza daf sia mi­

a=l I =l r =l i = l

nnima, o ancora la distanza d di f da F, d = mind (f,g) è raggiunta effettiva­

coordinate T (x)t =g x»t~. «EP

r =lmente da un elemento g di F> Se E è uno spazio di Hilbert l 'esistenza dia l g

L'analisi spettrale classica di T (o di AI ) consiste nell'esprimere T come una è i d' 'mmediata: è sufficiente prendere per g il «piede della perpendicolare» abbas­

somma di operatori lineari di omotetia de6niti su sottospazi di E. Piu precisa­ sata da f su F (teorema della proiezione ortogonale).mente, si cercano i vettori xe E tali che esiste un X@C che soddisfa l'espres­ Si è dunque giunti a estendere l'analisi spettrale dalla dimensione finita

sione T (x) = Xx (il trasformato di x per T è omotetico di x). Se accade questo agli operatori in spazi di Hi lbert. Appaiono a questo punto parecchie com­

si dice che ) è un va lore proprio o autovalore di T e che x è un v e t tore plicazioni. Per esempio :

proprio o autovettore di T. Dire che X è un valore proprio significa che il nu­cleo dell'operatore (T — XI) (dove I è l'operatore identico su E) non è ridotto

a) I sottospazi lineari di H non sono necessariamente chiusi e un operatore

a (o) o ancora che T — XI non è invertibile (cioè non è un automor6smo linearelineare non è necessariamente continuo.

di E). Per ciò è necessario e sufficiente che il determinante D(A) della matrice,b) Occorre distinguere tra i valori propri X di T tali che esiste un xc H che

n x n, Az — AI (dove I è la matrice unità) sia nullo.soddisfa T (x) = Ex e gli elementi dello spettro di T, insieme dei ) tal i

D p) = o, equazione di grado n in À a coefficienti complessi, è detta equa­che T — Xl non è invertibile. Che T — A non sia invertibile infatti non

zione caratteristica di T. Poiché C è algebricamente chiuso, essa ammette nimplica piu necessariamente che il nucleo di T — XI contenga un vettore

radici ) „ . . ., Q distinte o coincidenti. Nel caso generico le Al sono distinte:non nullo.

a ogni A; corrisponde allora, salvo omotetie, un solo vettore proprio : esiste unac) Lo spettro di T può possedere parti continue.

«retta» E; di E sulla quale T si r iduce all'omotetia X,. Se T; = TjE;, allora T Seguendo Robinson j l l l66, cap. vll ] si indicherà come la relativizzazioneè la «somma» dei T,.

Nel caso in cui essa ammetta radici coincidenti (caso non generico) si mo­dell'opposizione finito /infinito in analisi n. s. permette di. «riportare al finit o)l'

stra (teorema di Jordan) che la decomposizione spettrale di T ha ancora un'analisi spettrale di operatori lineari «non troppo patologici», cioè compatti e

senso. Si chiama spettro di T l' i ns ieme delle A;.autoaggiunti. Si consideri, preliminarmente, un allargamento nH di H. Sia T

Osservazione : Si suppongano le A; distinte e si prenda per base di E la baseun operatore lineare. Si considerino i numeri N (eventualmente infiniti in sen­

— dipendente da T — composta di vettori propri h, corrispondenti ai valori pro­so standard ) che soddisfano jj T(x)jj (Njjxjj per ogni xe H. L'estremo inferiore

pri X,. Con questa base, la matrice AI d i T di v enta diagonale:degli N si chiama norma di T, indicata con jjTjj. Essa può essere in6nita (insenso standard).

oAI ­­

DEFINIzIoNE. Si dice che T è limitato se jj Tjj è finita.o A „ Se T è limitato, T è continuo.

L'analisi spettrale è dunque la ricerca di una base (vettori propri ) «adattata»

a T nella quale A> diventi la piu semplice possibile.PRoposizfoNE T e im i t a to se e solo se nT t rasforma ogni punto f i n i t d l

Lo sviluppo dell'accoppiamento fra algebra e analisi, ma soprattutto quello~H in un punto finito, cioè se l'insieme AHI dei punti f initi di nH è s tabile

della meccanica quantistica, conduce a generalizzare l'analisi spettrale a opera­per ~T.

tori definiti su spazi vettoriali di dimensione in6nita (numerabile). Tra questispazi si sono privilegiati quelli che generalizzano la struttura dei C" (cioè che

Dimostrazione (Robinson) : Se T è limitato, allora jjnT (x)jj (j jTjj jjxjj è vali­

soddisfano le proprietà elencate sopra alle pp. 5I2-I3) : sono i cosiddetti spazid o per ogni x di nH. Se jjxjj è finita, jjnT(x)jj è finita. Viceversa si supponga che%lr ' L '

di Hilbert. Sono spazi H di d imensione infinita su C, dotati di un prodottoH> sia stabile per T e che T non sia limitato. Esiste una successione(x )( n)AN

scalare (f , g ) ( e d u n que di u n a norma jj f jj = (f, f) e d i u n a metricadi punti di H di norma finita (per esempio I) tale che la successione(T(x„))„,Nnon è limitata. Come si è visto a p. 498, esiste un intero n. s. infinito loc nN

d(f, g)= jjf — gjj) topologicamente completi r ispetto alla metrica e che pos­

siedono una base completa di vettori unitari ortogonali (cfr. del resto l'articolotale che jjnT (x )jj sia infinita: nT(x„) «t nH>. Ora siccome jjx jj = I, x e nH< edunque nT (x„)enH<. Contraddizione. T è limitato.

«Calcolo» nel voi. Il, pp. 444-45, di questa stessa Enciclopedia). Essi sono stati Sussiste anche la proposizione seguente:

Infinitesimale 5I6 5I7 Infinitesimale

pRoposIzIQNE. T è limitato se e solo se la monade p,(o) degli infinitesimi PRQPosIzIQNE. Se À;4 p. (dove il, è la monade degli infinitesimi di R), ildi «H è "T -stabile. vettore proprio v; è quasi standard.

DEFINIzIoNE. Sl' dice che T è compatto o completamente continuo se, per ogniPRQPosIzIQNE. Se Àl < p,, la dimensione dell'autospazio H; per À; (H, è il

sottospazio generato dai vettori propri v corrispondenti a Àl ) è finita.sottoinsieme limitato B di H, T (B) è compatto.Lo spettro di T' si scompone dunque in due parti, una parte infinitesimale

Si può allora dimostrare quest'altra proposizione: e una parte non-infinitesimale che corrisponde alla situazione classica. Se si

pRoposIzIQNE. T è compatto se e solo se trasforma i punti finiti di ~H i n ordinano i valori propri A; in una successione strettamente crescente (senza ri­punti quasi standard (cioè se trasforma «H> in +Hq, ). petizioni ) v„. .., vs (8(u ) di valori propri distinti e quindi i rispettivi autospazi

Hl, ..., Hs e i rispettivi proiettori Pr', ..., Ps . H ~ H I , . . . , Hs, si ha per trasfe­coRQLLARIQ. Se T è compatto, è l imitato. rimento del teorema classico di decomposizione spettrale:

DEFINIzIoNE. Si dice che Tè autoaggiunto~se, er tutti gli x,yeH, (T(x),y) = l « S

= (x, T(y)). Ciò implica che (x, T(x)) = (T(x), x) è reale. a) H„ = g+Hl = l

Si consideri dunque un operatore compatto e autoaggiunto T. Per analiz­ b) I = gPzare T si considererà essenzialmente un'approssimazione»»-finita di H e ad l-I

essa si restringerà ~ T ; si applicherà poi a tale restrizione l'analisi spettrale clas­ l-s

sica (caso finito) per ritornare infine a T. I passaggi — nei tratti essenziali — sonoc) T'=p v , P , '

l« I

i seguenti. Sia (e„)~,N una base ortonormale di H. (e„)„,~N è una base ortonor­male di "H. Sia ole ~N„un i n tero infinito fissato e H„ il sottospazio di ~H Occorre ora «ritornare» da T' (definito su H„ a p prossimazioni di H ) adi base (e„ . .., e„). H„ è d i d imensione «-finita. È dunque possibile trasfe­ T (definito su H). Sia x =p x~e„un punto di H. La successione(x„),N si pro­

BENrirvi la teoria classica. lunga a una successione (x„)„,~N che definisce un punto ~x =g x„e„d i ~ H.Sia P : ~ H~ H il p ro i e ttore di ~H sul suo sottospazio H„c he associa Cù @c+N

La proiezione P„ (~x) =g x„e„appartiene a H„e al la monade il.(x) di x. Poi­al punto x = P x„e„di ~H, il punto x =g x„e„d i H„ . P~ è interno e di nor­ s l

ne~N n l ché T„è «compatto», T' (P (~x)) è q. s. Sia T' la sua parte standard. In talma I. Sia T„ = P ~TP„ il t rasformato di ~T mediante P„. ~~T„~~<~~T~~ poiché modo si definisce un operatore su H.

)(P„)(= I. T„è autoaggiunto poiché T e P„ lo sono. Esso è un operatore inter­TEOREMA. «T = T .

no su ~H.

PRQPosIzIQNE. T„ è compatto(cioè trasforma "Ht in H q , ). Dimostrazione : Si deve mostrare (T'P„(~x)) = T(x). Ma T'P„(~x) == P„~TP„(~x)eP„(~x) x. Dunque ~TP„(~x) ~T(x) = T(x)eP ~TP ("x)

Poiché T„ inv ia H„ in H„ , è possibile considerare la sua restrizione T' P T(x) = T(x).a H . T' è un'approssimazione di T definita su uno spazio e-finito. Trasferen­ È quindi lecito «ritornare» da T' a T prendendo le parti standard. Se À;do al caso n. s. la teoria classica degli operatori autoaggiunti, si può concludere è un valore proprio non infinitesimale, À; (che esiste poiché À, è finito) è valoreche esistono dei valori propri Àn ..., À„distinti o coincidenti (che si possono proprio di T e»vl (che esiste poiché v; è q. s.) è vettore proprio di T di valoresupporre di valore assoluto crescente) e dei vettori propri v „ . . . , v„ (che si proprio À;. Se vn ..., vs sono i valori propri senza ripetizione, se 8' è l'insiemepossono supporre di norma I ) che soddisfano la (v,, v,) = 8;. cioè degli indici I, ..., 8 che corrispondono ai valori propri non infinitesimali, Hl '

(v;, v,) = f]v,f/= I i = I, . . . , ul

ltla parte standard di Hl, Hq l'ortogonale in H della somma Q+ H',, e P» (rispet­

leW

(v,, v) = o se i+j tivamente P, ) il proiettore di H su H» (rispettivamente Hl ), si ottiene la de­composizione spettrale.

Ciò significa che i (v;) costituiscono una base ortonormata di H~ diagonaliz­zante T' (questo è possibile per il fatto che T' è autoaggiunto, cioè «simme­ TEOREMA (Robinson), I ) H = Hq® Hl

l@Wtrico»).T'v; = Àsvl implica JÀ,] <(]T']]<[(T(( e siccome T è compatto e dunque li­

z) I = P»+ $ P,l@W

mitato, i valori propri À; sono jiniti. 3) T y ovlPlRobinson [Ig66] dimostra allora i due seguenti risultati elementari. leW

Infinitesimale 5i8 5r9 Infinitesimale

Si conclude questa riconsiderazione della teoria degli operatori, accennandoI sottogruppi normali interni di tsG classificano i sottocorpi interni di III che

alla risoluzione che Robinson ha dato del problema di Halmos e Smith. sono delle estensioni di tsK.Sia &e siG+. & è la restrizione a tlr di un elemento di ssG. Siccome L è unione

TEQREMA (Robinson). Sia T un operatore limitato su H tale che un polino­ di estensioni normali finite, &L =L. Si pone ~& =ct~L. &e G. Si definisce cosimio in T sia compatto. Allora T lascia invariante almeno un sottospagio lineare un morfismo s iG~~G i l cui nucleo è l'insieme delle &e stGz, che lasciano Lchiuso di H non banale (cioè differente da (o) e da H). invariante. Sia F un'estensione intermedia KcF c L . aF A il i è un'estensione

Tale teorema è un esempio importante di dimostrazione di una congettura (interna) intermedia stKc esF A rl>c<li. Sia ssGF il sottogruppo (interno) di ttG@con metodi n. s. [cfr. Robinson i966, pp. I95-zoo]. corrispondente a AFA lli per il teorema di Galois e sia G =ft r )>> . GF t 3»caGF F

è un sottogruppo normale di G.

Teoria di Galois. Sia K un corpo e L un 'estensione algebrica, separabile Si definisce cosi un'applicazione y : F~oGF tra le estensioni intermedie

e normale (cioè di Galois) di K. Ciò significa i ) che tutti gli elementi di L F e i sottogruppi di G. Si t ratta ora di caratterizzare l'immagine di y.

sono algebrici su K cioè sono soluzioni di equazioni a coefficienti in K, z ) che Sia &e ssG. Sia or~L =% (questa notazione è compatibile con la notazione

se un polinomio irriducibile (cioè non scomponibile in modo non banale nel precedente). Se Scs«G, sia S = [ &]z,>. Sussiste allora il teorema seguente:prodotto di due polinomi) Pe K[x] ha una radice in L, esso si scompone su L TEQREMA (Robinson). Un sottogruppo normale H di G è nell'immagine di yin prodotto di fattori del primo grado. Se il grado di L su K ( c ioè la sua di­ se e solo se (*H) = H.mensione come spazio vettoriale su K) è finito, il teorema centrale della teoriadi Galois afferma: Questo teorema che caratterizza i sottogruppi di G che classificano le esten

TEOREMA DI GALOIS. Il gruppo G(L/K) degli automorfismi del corpo L, chesioni intermedie KcF c L , pe rmette di r i t rovare la topologia di Krull per laquale essi sono chiusi. [J. P.].

lasciano invariati gli elementi di K, classifica le estensioni intermedie KcF c L :c'è una corrispondenza biunivoca tra i sottogruppi normali di G(L/K) e i corpi in­termedi F. Ad F si associa il sottogruppo degli elementi r) e G(L /K) che lascianoinvariati gli elementi di F e a un sottogruppo H di G(L/K) si associa il corpo de­ Alembert, J.-B. Le Rond d'

gli invarianti comuni a tutti i età H. Ad L corrisponde il sottogruppo banale (i ) r754 «Différentiel», in Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonne' des sciences, des arts et des mé­

e a K l' intero gruppo G (L/K). tiers, par une sociéte' de gens de lettres. Mis en ordre et publié par M. Diderot... et quant àla Partie Mathématique, par M d ' A l embert..., Briasson, David, Le Breton, Durand, Pa­

Tale teorema non vale piu quando il grado di L su K è inf inito (e perciòris r75r-65, voi. IV, pp. q85-8q.

r765 « L i m i te (Mathémat. )», ibid., voi. IX, p. 54z.in particolare per l'estensione QcQ ove Q è la chiusura algebrica dei razio­ Badiou, A.

nali). Affinché esso valga ancora, occorre limitarsi ai sottogruppi di G = G(L/K) rq6g La subversion infinitésimale, in «Cahiers pour l'analyse», n. q, pp. r rg-37.chiusi rispetto a una topologia definita intr insecamente, detta topologia di Beli, J. L., e Slomson, A. B.

Krull. Questa topologia è definita prendendo come sistema fondamentale di rq6q Mo d e ls and Ult raproducts. An In t roduction, North-Ho l land, Amsterdam.

intorni dell'elemento neutro i l ' i nsieme dei sottogruppi di G di indice finito. B erke l ey, G.

Poiché la topologia è compatibile con la struttura di gruppo, tale sistema defi­ r734 The Analyst; or, a D i scourse addressed to an In fidel Mathematician, Tonson, London

nisce, per traslazione, un sistema fondamentale di intorni per ogni elemento(trad. it. Fondazione Giorgio Ronchi, Firenze rqyr ).

Bernstein, A. R., e Wattenberg, F.

di G. rq6q No n -standard measure theory, in W. A. J. Luzemburg (a cura di), Applications of ModelLa topologia di Krull può essere ottenuta in modo n. s. trasferendo la teoria Theory to Algebra, Analysis and Probability, Hol t, Rinehart and Winston, New York,

finita a un'approssimazione ss-finita della teoria infinita.pp. r7r-85.

Si supponga che l'estensione galoisiana KcL sia di grado infinito. La re­ Cantor, G.

lazione binaria R (x,y) dove x e y sono estensioni intermedie «Kcx c y c Lr883 Ube r unendliche, lineare Punhtmannichfaltigheiten, in «Mathematische Annalen», X XI ,

pp 545 9r •

e x e y sono finiti e normali» è concorrente. Essa ammette quindi in un allar­ Cauchy, A.-L.

gamento "K d i K una «soluzione globale» «rKc@crsL. r8zr Co u rs d'Analyse, Imprimerie Royale, Paris; ora in IEuvres complètes, serie II, tomo III ,

Per costruzione, aFc II) per ogni estensione finita normale KcFc L , Sic­Gauthier-villars, Paris r Sq7.

come UF = L, e Fc« 'F, L ci le. Ili è perciò una estensione ss-finita di «rK cheFenstadt, J. E.

è una estensione di L. Per trasferimento è possibile applicare il teorema di[rq68] No n-standard Models for Arithmetics and Analysis, in Proceedings of the s5th Scandina­

vian Congress (Oslo), Springer, Berlin rq7o, pp. 30-47.

Galois a ssKctIi a condizione di restringersi alle entità interne. Fraenkel, A. A.

Sia ttG~ = G (tP/ t«K) il gruppo di Galois dei stK-automorfismi interni di ll i . rqzS Ei n le itung in die Mengenlehre, Springer, Berlin 1928 .

Infinitesimale 520 52I Infinitesimale

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of Science, Proceedings of the r964 International Congress, North-Holland, Amsterdam,pp. rrz-z6.

vazioni provenienti sia dalla matematica «speculativa» (cfr. matematiche) sia dallascienza applicata (in particolare dalla fisica), l'infinitesimale si è rivelato come il con­

Kreisel, G.r967 Informai Rigour and Completeness Proofs, in I. Lakatos (a cura di), Problems in the Phi­

cetto piu duttile per trattare matematicamente il moto, ma al tempo stesso come una

losophy of Mathematics, Norrh-Holland, Amsterdam, pp. r38-86. idea portatrice di contraddizioni (cfr. opposizione/contraddizione e anche dialet­

r96g Ax i o mat izat ions of Non-standard Analysis that are Conservative Extensions of Formai tica) a lungo non risolte. Presente con varie modalità in piu di un settore della mate­Systems for Classical Standard Analys is, in W. A. J. Luxemburg (a cura di), Appli­ matica (cfr. ad esempio curve e superfici, differenziale, funzioni, variazione e an­cations of Model Theory to Algebra, Analysis and Probability, Holt, Rinehart and Win­ che geometria e topologia e invariante), al pari della nozione di infinito cui natural­ston, New York, pp. 93-I 06. mente rimanda, ha rappresentato una sfida appassionante per epistemologie e metafisiche

Leibniz, G. W.r7or Me m o ire de M. Leibniz touchant son sentiment sur le calcul différentiel, in «Journal de

rivali (cfr. conoscenza, metafisica, filosofia/filosofie).

Trévoux»; ora in Mathematische Schriften, voi. V, Olms, Berlin r96z. Apparentemente eliminato col chiarimento dei problemi concettuali inerenti all'op­

L'Hopiral, G.-F.-A. deposizione continuo/discreto, l'infinitesimale è riemerso ad esempio nel c t t d 1 ­

r6g6 An a l yse des infiniment petits pour l ' in te l l igence des ltgnes courbes, Imprimerie Royale,in agine dei linguaggi formali (cfr. formalizzazione), ambito specifico della logica

Paris. (cfr. anche deduzione/prova). Nel quadro della teoria dei modelli in particolare (cfr.

X,oé, J. teoria/modello e anche strutture matematiche) si sono potuti esplicitare i problemi

r955 Qu e lques remarques, theorèmes et problèmes sur les classes definissables d'algèbres, in Th. connessi con l'impiego della notazione infinitesimale nel ragionamento matematico e di

Skolem e altri, Ma thematical Interpretation of Formai Systems, North-Hol land, Am­ conseguenza si è potuto rendere conto delle specifiche proprietà dell'infrnitesimale comes terdam, pp. 98- r r 3 . simbolo (cfr. anche codice, segno). L'infinitesimale si è cosi trasformato da paradosso

Lowenheim, L. in metodo (la cosiddetta analisi non standard) di notevole interesse euristico ed espo­rgr5 Uber Moglichkeiten im Relativkalkul, in «Mathematische Annalen», LXXVI, pp. 447­ sitivo.

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Amsterdam (trad. it . Boringhieri, Tor ino 1974).

yz8

del pianeta Terra. Locale/globaleun disequilibrio

io luogo sotto

~icano peròio/squi­ Pur avendo origine e sviluppi di tipo matematico, l'opposizione locale/glo­

allora bale ha un significato generale (enciclopedico ) di carattere concettuale ed epi­.ar­stemologico. Essa fa parte di quelle grandi opposizioni la cui progressiva chiari­ficazione assicura alla scienza un valore trascendentale che oltrepassa la padro­nanza metodica dei fenomeni empirici. Tuttavia, a differenza di opposizioni clas­siche quali forma/sostanza, continuo /discreto, particolare /universale, la sua sto­ria è recente: inizia approssimativamente con la metà del xtx secolo.

Questo articolo si propone d'indicare come, fondata all'origine nell'intuizio­ne spaziale, l'opposizione locale/globale abbia invaso il campo matematico (geo­metrico e aritmetico ) ed abbia condotto all'introduzione di metalinguaggi chehanno permesso in questi ultimi anni di riformulare alcuni dei problemi «dia­lettici» piu critici posti dalla struttura logico-semantico-sintattica delle linguenaturali. Tale «intrusione» inattesa ed enigmatica dell'intuizione spaziale nellagrammaticalità attraverso una serie di passaggi matematici sempre piu profondied unitari solleva senza dubbio piu problemi di quanti ne risolva. Rende peròesplicita una solidarietà fra i diversi livelli del campo simbolico la cui compren­sione potrebbe forse trasformare in modo notevole la nostra concezione dei rap­porti fra matematica, lingua e realtà.

Ciò premesso, gli aspetti matematici dell'opposizione locale /globale sono diuna tale varietà che il presente articolo potrà solo indicarli, senza sperare di es­sere esaustivo : bisognerebbe infatti presentare un panorama pressoché completodi interi «continenti » della matematica quali la geometria differenziale, la topo­logia differenziale, la topologia algebrica, la teoria delle equazioni differenziali ola teoria delle singolarità. Se infatti l'opposizione locale /globale riguarda l'ana­lisi dei molteplici rapporti dialettici che legano aspetti locali ad aspetti globali,essa si riferisce anche all'analisi delle strutture locali e di quelle globali in quan­to tali. Il panorama qui presentato sarà quindi selettivo, ma il suo scopo saràraggiunto se mostrerà al lettore come la chiarificazione matematica di una pro­blematica tecnica ed endogena presenti una portata paradigmatica che forniscedegli otváAoyot per molti problemi finora rimasti imprigionati nel cerchio dellaspeculazione filosofica.

x. Al c uni aspetti epistemologici dell'opposiaione locale/globale.

z.x. Il problema dell'Enciclopedia.

Si consideri l'organizzazione lessico-semantica di un'opera interdisciplinarecome questa Enciclopedia. Gli «articoli » sono raggruppati in «pacchetti » relati­vamente omogenei che individuano problematiche dai contorni abbastanza bendefiniti. Ad esempio l'articolo «Locale/globale» è correlato da un punto di vi­

Locale /globale 43o 43i Locale/globale

sta matematico ai seguenti argomenti, ognuno dei quali avrebbe potuto costituire la struttura di campo locale e tale che ogni «senso figurato» possa prolungarsi

un articolo indipendente: incollamento di modelli locali in oggetti globali, pas­ in un campo locale situato «al di sopra» di esso. Invece l'irriducibilità dei tropi

saggio dal locale al globale ed analisi delle sue ostruzioni, metodi di analisi delle e la non-esistenza di termini pr imit ivi significano proprio che un tale spazio

strutture locali e /o globali non banali, ecc. di base esiste solo localmente. Ammettendo che lo «spazio» globale del lessico

Tali temi indicano problematiche «locali » governate sia da campisemantici sia munito di una naturale relazione di prossimità semantica tra lemmi lessi­

locali (cioè da sistemi di concetti e di opposizioni concettuali specifiche) sia da cali (cioè di una sorta di «topologia» canonica) i tropi stabiliscono delle identi­

tecniche regionali, teoriche e pratiche, specifiche ed adeguate. ficazioni «a lungo raggio d'azione» — translocali — tra i campi locali e «lo spazio

Tali campi locali non sono indipendenti: essi parzialmente si ricoprono, si di base», giacché vi è sempre un momento in cui, per estensione, un senso

«incollano» per generare campi di estensione piu vasta. L'opposizione locale / « figurato» associato a un campo di base diventa un senso «proprio» per un cam­

globale, ad esempio, ricopre in parte le opposizioni centrato /acentrato, conti­ po diverso. Si può dunque dire che i tropi costituiscono la rappresentazione

nuo/discreto, universale/particolare, spazio/funzione, alcune delle quali hanno nell'ambito del codice stesso di uno stock aperto di operatori virtuali di incolla­

dato luogo ad altri articoli di questa stessa Enciclopedia. Si pone quindi imme­ mento tra campi locali. Il passaggio dal virtuale all'attuale di tali operatori di­

diatamente il problema d'individuare il tipo di struttura globale offerto in defi­ pende da una scelta. Ne consegue che non soltanto lo «spazio» globale del lessico

nitiva dall'Enciclopedia in quanto oggetto testuale che vuole riflettere parzial­ non ha la struttura di un campo locale ma che esso non esiste neanche in quanto

mente l'organizzazione del nostro sapere. È ben noto come questo problema sia tale. Non esiste uno «stato» globale di base del lessico: i soli stati globali sono

la croce del comitato di redazione. È però facile convincersi che procede dal gli stati «eccitati» definiti da una scelta opportuna degli operatori di incolla­

fatto che lo «spazio» globale di una Enciclopedia non è rappresentabile. Rappre­ mento e sono quindi l'espressione di un soggetto produttivo dell'enunciazione.

sentabili sono solo i campi locali poiché, isotopi in senso semantico, essi dipen­ Passando cosi attraverso il problema logico-semantico, l'opposizione locale/glo­

dono da un codice. In conclusione il problema posto dall'Enciclopedia, e quindi bale viene ad intrecciarsi con l'opposizione oggettivo /soggettivo: un lessico è

dal sapere stesso, consiste nel fatto che non vi è una rappresentazione codifica­ «oggettivo» (cioè intersoggettivo, codificabile) solo localmente.

bile del suo «spazio» globale. L'Enciclopedia non è un dizionario,All'impossibilità di rappresentare la struttura globale del lessico si aggiunge

i.z. L'opposizione locale/globale come problema semantico-lessicale.un'altra difficoltà, relativa alla struttura locale dei campi semantici: i campi se­mantici locali non sono continui, bensi sono dati in forma discreta. Per affron­

Per precisare tale questione, si elimini il problema del sapere e ci si limiti tare questo problema si userà la mediazione della percezione, e cioè si avrà

alla struttura semantica di un lessico. Si incontrano due difficoltà tradizionali: a che fare con la questione della cosiddetta percezione categoriale. Si tratta di

a) la non-esistenza di termini primitivi (circolarità delle definizioni in un di­capire in che modo gli spazi di stimoli fisici variabili con continuità (fonemi,timbri musicali, ecc.) sono discretizzati dalla percezione. A tal fine gli stimoli

zionario) ;b) la non-esistenza di sensi propri (irriducibilità dei tropi, degli efletti di me­

vengono rappresentati, usando tecniche raffinate, in uno «spazio» di descrizioneavente dimensione in generale assai limitata (mentre come entità fisiche tali sti­

tafora e di metonimia). moli appartengono in generale a spazi funzionali di dimensione infinita ) ; tali

Queste due ostruzioni all'univocità globale del lessico evidenziano il fatto spazi di descrizione sono muniti di una « topologia» esprimente la relazione per­

(fondamentale) che lo «spazio» globale del lessico non può essere ottenuto per cettiva di prossimità fra gli stimoli. In tali spazi gli stimoli si raggruppano in

semplice estensione della struttura dei campi locali. Solo localmente un lessico zone, gli stimoli di una stessa zona essendo ricevuti in modo equivalente. Le zone

può essere univocamente ricostruibile a partire da componenti primitive. Si pos­ sono separate da « frontiere», distribuite mediante un sistema di soglie, vale a di­

sono certo costruire, per allargamenti successivi, dei campi «piu» globali dei cam­ re mediante una morfologia discriminante che pare essere determinata genetica­

pi locali iniziali (l'opposizione loca1%1obale è essenzialmente relativa) ma nes­ mente. Durante una deformazione continua di uno stimolo, l'attraversamento di

suno di essi è identificabile con lo «spazio» globale del lessico. Non appena rag­ tale morfologia è accompagnato da una transizione «catastrofica» del riconosci­

giunge un certo grado di complessità, un lessico non è mai «triviale», non pos­ mento percettivo. Parlare in questo contesto di «discretizzazione» significa solo

siede piu la struttura di un campo locale. Per fortuna, poiché la ricchezza delle affermare che lo «spazio» di descrizione considerato è uno «spazio» di differen­

lingue naturali è dovuta al fatto che il loro lessico non è globalmente triviale. ziazione, differenziato dalla sua morfologia discriminante. A questo punto l'op­

La ricerca classica della determinazione del senso proprio, dettata dalla preoc­ posizione locale/globale s'intreccia con le opposizioni continuo /discreto e iden­

cupazione, apparentemente lodevole, di rendere globalmente univoca la lingua, tità /differenza (cfr. tali articoli dell'Enciclopedia).diventa in questo contesto una volontà di trivializzazione. Essa corrisponde al­ Il problema teorico posto da tali «spazi di differenziazione» ha importanza

l'idea che dovrebbe esistere uno spazio semantico «di base» globale ma avente capitale. Poiché gli stimoli possono variare in modo continuo, in uno spazio detto

Locale/globale 43z 433 Locale/globale

spazio substrato, la loro discretizzazione può provenire solo dalla struttura del particolare poiché esso incarna il luogo in cui il semiotico «si distacca» dalla sua

recettore: si tratta quindi di «risalire» dalla morfologia osservabile di differen­ codifica locale per «passare al globale» attraverso identificazioni translocali idio­

ziazione alla dinamica non osservabile del recettore, concepito come una «sca­sincrasiche. Si è in tal modo direttamente condotti dalla semiotica alla psicanalisi.

tola nera». Tale problema, che è in generale quello dello strutturalismo, ha ri­ La psicanalisi infatti, almeno quella lacaniana, è fondata sull'ipotesi che tutti

cevuto un inizio di r isposta con la teoria delle catastrofi di René Thom (cfr. gli stati globali rappresentanti la «regolazione» psichica di un soggetto dell'enun­

l'articolo «Catastrofi » in questa stessa Enciclopedia). ciazione hanno in comune una sorta di «configurazione critica» che governa gli

Ritornando alla struttura locale dei campi semantici, si osservi che la loro de­ incollamenti semantici che li caratterizzano. La sua sfida è di «ridiscendere», con

scrizione in termini di sistemi di scarti differenziali, di tratti distintivi o di oppo­ tecniche appropriate, dai discorsi del soggetto a tali «singolarità» organizzatrici

sizioni semiche culturalmente determinate, ne fa degli «spazi di differenziazione» per «risalire» a partire da esse verso una trasformazione della regolazione (la re­

senza substrato. Il «nonsenso» rappresentato da quest'idea di morfologie discri­ golazione si manifesta clinicamente come fantasma e coazione a ripetere). Tale

minanti sospese nel vuoto come il sorriso del gatto in Alice in Wonderland, costi­ «chirurgia», la cui funzione è un rimaneggiamento della performance esistenziale

tuisce, a parere di chi scrive, la seconda croce della semantica teorica (la prima, (l'esistenza essendo, come a tutti è sperimentalmente noto, performance pura,

come si è visto, è quella del passaggio dal locale al globale). Sembra che essa senza competenza), può basarsi solo su un'istanza paradossale di mediazione

possa venire eliminata soltanto in due modi, fra loro antagonisti, che coinvol­ della semantica «superficiale» degli stati globali con la semantica «profonda»

gono l'insieme della teoria: facendo appello a formalismi intrinsecamente di­ (sessuale) evidenziata da Freud. Si tratta dell'istanza del significante lacaniano

screti di tipo logico-combinatorio (ed allora vietandosi ogni concezione non ba­ «radicato» nel registro pulsionale.

nale della semantica), oppure estendendo alla semantica il paradigma catastro­fista [Petitot tg77 ] ed allora scontrandosi con la non-esistenza di metodi empi­ I.3. La «rettificazione» filosofica della lingua.rici adeguati a definire i continui che servono di spazio substrato ai campi se­mantici locali. Le considerazioni precedenti mostrano come la lingua non sia — per ragioni

strutturali — il supporto naturale della razionalità, Per divenirlo essa deve essere

Ritornando al problema dell'Enciclopedia come oggetto globale, esso è stato «rettificata». Tale rettificazione, che è alla base del desiderio filosofico positivo,

assai ben formulato da Umberto Eco nell'ambito della semantica strutturale. punta ad una duplice violenza: a ) rendere globalmente univoca la lingua; b) im­

Nella sua critica alla concezione logicista e dogmatica di Katz e Fodor, Eco porre alla lingua l'idea di realtà oggettiva come livello di base. Ciò implica anzi­

osserva che essa «rappresenta la competenza ideale di un parlante ideale: in ef­ tutto lo sradicamento del soggetto il cui idioletto inconscio organizza gli stati glo­

fetti esso tende a formulare un dizionario elementare che non può spiegare labali eccitati, particolari ed idiosincrasici, del sapere. Ciò implica poi, per una lin­

competenza socializzata nella vivacità delle sue contraddizioni» [I$75, p. ?43]. gua ormai diretta verso l'obiettività come referente necessario ed ideale, la ridu­

Contrapponendo «dizionario astratto» (suscettibile localmente di una descrizio­ zione di ogni stato globale alla struttura di un campo locale. Tale riduzione si

ne univoca in sistemi di componenti ) ed «enciclopedia concreta» (rappresentan­ realizza attraverso un processo gerarchico di astrazione, il quale, nella misura in

te un soggetto), Eco osserva che nessun reticolo di semi può rappresentare lacui l'oggettività diviene in esso costituita e costituente, culmina nell'introduzio­

struttura globale della semiosi nella sua apertura ill imitata. «Nessun grafo è ne delle categorie (cfr. l'articolo «Categorie/categorizzazione» in questa stessa

in grado di rappresentarla nella sua complessità. Esso dovrebbe apparire come Enciclopedia).una sorta di rete polidimensionale, dotata di proprietà topologiche, dove i per­ Inoltre, la riduzione di un globale particolare a un locale categorico è insepa­

corsi si accorciano e si allungano e ogni termine acquista vicinanze con altri, at­rabile da altre due «rettificazioni »:

traverso scorciatoie e contatti immediati, rimanendo nel contempo legato a tutti a) la rettificazione dello spazio-tempo per riduzione di uno spazio-tempo ar­gli altri secondo relazioni sempre mutevoli» [ibid., p. t76]. Si ritrova qui l'idea caico «fluttuante» ottenuto per incollamenti simbolici (per esempio tote­che un universo semantico è solo localmente codificabile e che i suoi stati glo­ mici) di territori locali ad uno spazio-tempo geometrico ed universale ot­bali sono stati «eccitati» (e cioè senza stato di base), dinamici e fluttuanti, espri­ tenuto per estensione diretta della sua struttura locale (cfr. ) z.z) ;menti un soggetto dell'enunciazione e le sue idiosincrasie. « Il codice non è una b) la rettificazione della grammatica in logica.condizione naturale dell'Universo Semantico Globale né una struttura soggia­cente, in modo stabile, al complesso di legami e diramazioni che costituisce il Ciò premesso non si deve credere purtroppo che tale riduzione razionale al

funzionamento di ogni associazione segnica» [ibid., p. t79]. locale possa essere completa. Anzitutto essa trascura un resto inerente al proble­

Il linguaggio è lo strumento naturale dei soggetti giacché ogni lemma lessica­ ma della regolazione, in particolare della regolazione biologica. Tale difficoltà è

le raggruppa ed anticipa un insieme aperto di « incollamenti» semantici, e giac­ stata vista con molto acume da Kant — il quale, non è il caso di dirlo, è uno dei

ché non esiste alcun incollamento canonico dei codici locali. Il soggetto è sempre «fari » della riduzione al locale — nella sua terza critica, la critica del giudizio.

Locale /globale 434 435 Locale/globale

Inoltre può essa stessa, in un secondo momento, divenire la molla per una prolife­ Capitale quanto, per le nostre culture, rappresenta la verità. Le conseguenze so­razione dialettica che ne rigenera l'origine globale. In questo senso la dialettica he­ cioculturali ne sono incalcolabili.geliana può, ad esempio, essere interpretata come una restaurazione del globale Il «malessere» caratteristico delle società «unidimensionali » moderne è indopo la riduzione kantiana al locale. Lo «spazio» del Concetto è uno spazio glo­ gran parte dovuto al fatto che tutte le discipline hanno cercato, per sete di potere,bale; per ciò stesso è non-rappresentabile, a meno di trasformare l'Assoluto in di ripetere per proprio conto il processo storico con il quale la fisica è divenuta unaSoggetto; ammette solo stati globali «eccitati» la cui storia s'identifica con la scienza senza esterno. Esso è dovuto alla volontà sistematica di subordinare il glo­Storia. In questo contesto la critica marxista dell'idealismo hegeliano consiste­ bale a un imperialismo del locale privilegiante l'azione. Il vantaggio di un talerebbe in una nuova riduzione al locale, non piu categorica e trascendentale co­ volontarismo è evidente : esso permette infatti una « internalizzazione», caratteri­me in Kant, ma infrastrutturale ed immanente. stica per ogni disciplina, dei criteri di verità e con ciò stesso una proliferazione di

competenze basata sull'idea di una qualche armonia prestabilita tra la suddivisione

i.4. L ' imperialismo del locale nelle scienze. isonomica dell'essere e la divisione sociale del lavoro. Ma siccome la verità nonha alcun motivo per godere di tale armonia e siccome il «miracolo» della fisica

Nell'affrontare l'universo scientifico si ritrova ovviamente la metafora «geo­ è soltanto un miracolo regionale, l'insieme di tali strategie si dissolve in unagrafica» delle «regioni » disciplinari (qui in posizione di campi locali) ; tuttavia la parcellizzazione dei singoli poteri malgrado il gioco dell'interdisciplinarità eddialettica locale/globale vi subisce una vera mutazione. il nuovo tipo di riduzione categorica al locale che vorrebbe essere realizzato da

Due sono le novità radicali che appaiono infatti con il metodo scientifico (che, teorie universali quali, ad esempio, la teoria dei sistemi.giova ricordare, non si riduce al metodo sperimentale ). Anzitutto la riduzione del Per comprendere tale situazione, le critiche esterne della scienza non sonoglobale non già al locale categorico od infrastrutturale ma al locale tipico di fe­ di alcuna utilità. Ciò di cui è drammaticamente carente il pensiero contempo­nomeni elementari matematizzabili : perché il termine 'locale' ha un duplice si­ raneo è una reinstaurazione del globale che sia compatibile con la riduzionegnificato: i ) localizzazione nell'universo dei fenomeni (e cioè scelta metodologi­ metodologica del globale al locale tipico.ca dei fenomeni elementari ), e z) localizzazione spazio-temporale. Questa ridu­zione è una conditio sine qua non per la comprensione. Come è stato piu volte i.5. La matematica moderna come reinstaurazione del globale.osservato, le grandi teorie scientifiche (gravitazione, elettromagnetismo, ecc.)sono teorie a priori non locali che si è stati in grado di rendere locali. In secondo Una rinnovata instaurazione del globale in un campo incessantemente do­luogo la convinzione che il passaggio al globale (e cioè all'universo dei feno­ minato da un imperialismo del locale può apparire a prima vista un'utopia. Si di­meni) possa effettuarsi per estensione progressiva di un locale tipico assunto menticherebbe però che il valore trascendentale delle scienze proviene dal modocome livello di base universale. Tale «imperialismo» di un locale particolare con cui la matematica pura vi è implicata (e non applicata). Ecco dunque, per con­(quello della fisica classica) che si pretende universale è appoggiato da quella cludere il paragrafo, alcune considerazioni sullo statuto generale della matematicaideologia scientifica di base che è il riduzionismo. È evidente che qui « ideologia» moderna.non significa opinione. L'imperialismo del locale domina le scienze poiché l'uni­ Una delle caratteristiche piu significative della matematica pura consiste nelversalità della fisica classica è veramente effettiva ed è la sola suscettibile di assi­ saper costruire esplicitamente il proprio senso. In questo essa si oppone radical­curare la padronanza dei fenomeni. mente ad ogni lingua naturale. Ma ciò non significa affatto (malgrado il pregiudizio

A tale imperialismo se ne aggiunge ora un altro, critico per piu motivi, quello assiomatico) che la sua «essenza» sia di essere una lingua formale ridotta ai propridell'informatica. Si può dire che questo nuovo imperialismo — che segue quello automatismi generativi. Come ha osservato Thom, il generativismo matematicorealizzato dalla matematica nella sua storica alleanza con la fisica classica — si basa non sfocia nell'insignificanza, proprio in quanto è « incollato» in un modo o nel­sulla trasformazione del linguaggio in tecnologia e cioè sulla possibilità di far ri­ l'altro a un'intuizione e soprattutto all'intuizione del continuo : è solo in quantopassare al globale, per imperialismo del locale, la riduzione logico-sintattica al lo­ sbocca nello spazio come « forma simbolica» che l'iterazione automatica dellecale del linguaggio. procedure algebriche sfugge allo «scollamento semantico».

Con l'estensione delle tecnologie fisiche ed informatiche la concezione clas­ Certamente la metafora geografica si applica all'universo matematico comesica dell'universalità scientifica (quella espressa dal programma di Laplace, per ad ogni universo. In questo universo globale, la riduzione categorica al locale assu­intendersi ) viene ad avere un'universalità concreta, politico-economica. La big me l'aspetto della cosiddetta (senza giochi di parole) teoria delle categorie e la ri­science mondiale, conseguenza dell'appropriazione da parte dell'industria ameri­ duzione logico-sintattica al locale, quello del metodo assiomatico. Queste due ri­cana del «genio» europeo, possiede ormai la capacità di controllare contempora­ duzioni sono fondamentali in quanto permettono alla matematica d'internaliz­neamente sia la padronanza dei fenomeni sia il controllo sociale. Essa assume cosi zare in larga parte il problema della sua fondazione. Ma tale fatto non deve faril carattere di una scienza senza esterno che sottomette al potere generalizzato del perdere di vista che la matematica moderna è, per quanto riguarda la sua creati­

Locale/globale 436 437 Locale/globale

vità, dominata da un tipo di passaggio dal locale al globale analogo a quello con­ metodo... In alcuni casi abbastanza rari, lo studio del problema finisce, talvoltasiderato a proposito dell'Enciclopedia. dopo un lasso di tempo notevolmente lungo, per rivelare l'esistenza di strutture

Infatti, per risolvere i problemi che si è data, la matematica moderna ha do­ soggiacenti insospettate, le quali non solo illuminano il problema posto, ma forni­vuto, almeno dopo Gauss e Galois, introdurre una serie di concetti translocali e scono strumenti generali e potenti atti ad elucidarne un gran numero di altri inpraticare un'intensa attività analogica di parziale traduzione da una teoria all'altra. diversi ambiti» [I977, p. xtt]. Dieudonné constata che la maggior parte degliTale «intertestualità» generalizzata si è accresciuta al punto che la rete logico­ argomenti esposti al Séminaire Bourbaki appartengono a quest'ultima categoria.semantica della matematica moderna è divenuta assai simile a quella di una lin­ 4) Ma la grande conseguenza di questa affinità della matematica modernagua naturale : la complessità globale della lingua matematica attuale si avvicina a con una lingua naturale potrebbe essere quella di rompere l'alleanza storica dellaquella di una lingua naturale, con la differenza assolutamente fondamentale però matematica con le scienze esatte, lasciando alle tecnologie informatiche tale com­che il senso vi rimane esplicitamente costruito e le analogie dimostrabili. pito, al fine di spostare la propria meta verso una rifondazione dei rapporti con la

Si può dunque dire che non esiste «stato di base» per la matematica : se la ma­ realtà. Attualmente, questo nuovo tipo d'impegno ontologico è rappresentato datematica moderna rimane unitaria ciò non avviene, come in fisica, per un impe­ quell'idea fondamentale di Thom secondo cui l'intertestualità matematica infor­rialismo del locale; ma per il fatto che essa non possiede una struttura globale mata dall'intuizione spaziale ha raggiunto una maturità sufficiente per poter con­canonica, essendo i suoi soli stati globali degli stati «eccitati», ottenuti per ana­ siderare una geometrizzazione del senso, ed attraverso di essa riprendere su basilogie translocali. Le conseguenze di questa situazione sono assai numerose e di­ radicalmente nuove i problemi classici della Caratteristica universale, del rap­verse : eccone alcune positive ed altre negative. porto tra categorie di pensiero e categorie linguistiche e inoltre una elucidazione

i ) A livello culturale, l'apparente dissoluzione degli oggetti matematici con­ dialettica della regolazione biologica e del tempo come principio morfogenico :creti in una intertestualità generalizzata rende le caratteristiche della creatività in breve, delle aporie che fino ad ora animavano il cuore speculativo del concetto.matematica incomprensibili ai non iniziati, cioè «esoteriche». Tale distacco del­la matematica dal contesto culturale è drammatico nella misura in cui la mate­matica costituisce ormai il solo luogo in cui sia ancora veramente pensabile una z. L'opposizione locale/globale e il concetto di spazio,reinstaurazione del globale compatibile con la riduzione metodologica del globa­le al locale tipico. Orbene, si sono poco sopra sottolineate le conseguenze disa­ Quello che precede mostra l'importanza di sviluppare un'intuizione del pas­strose della mancata reinstaurazione del globale, non ultima delle quali è l'appro­ saggio dal locale al globale. Per ottenere tale scopo l'indagine matematica è essen­priazione generalizzata da parte del Capitale dell'armamentario scientifico e con ziale. Ad essa è dedicato quest'articolo.esso di ciò che, nelle nostre culture, è la verità.

z) A livello pedagogico, la mancanza di una struttura globale canonica conduce z.t. Dalla rottura euclidea alle geometrie non-euclidee.a sopravvalutare la riduzione categorica e/o logico-sintattica al locale e cioè le ten­denze assiomatiche e logiciste formali. L'opposizione locale/globale è costitutiva della nostra rappresentazione dello

3) A livello della sociologia della matematica, l'idea di «grande» matematico spazio. È certo che il nostro spazio è localmente euclideo. Il nostro organismo nediscende direttamente dal fatto che, al di là della sua garanzia di coerenza, la ma­ offre un'eccellente simulazione. Ciò non implica peraltro che lo spazio «sia» glo­tematica è l'espressione di un soggetto dell'enunciazione. È «grande» matematico balmente euclideo. La natura della sua struttura globale sfugge a priori alla si­ogni matematico che, per risolvere un problema locale giudicato cruciale, ha dato mulazione organica e non può quindi essere che l'oggetto di una rappresenta­origine ad uno «stato» eccitato globale e cioè in definitiva a uno stile. zione, la cui storia è lungi dall'essere banale.

È d'altronde interessante fare qui un'osservazione a proposito del nome leg­ Per gli animali, lo spazio è un territorio : anzitutto è l'estensione a domini lo­gendario di Nicolas Bourbaki. Tale nome ricopre infatti una doppia realtà. Da un cali delle grandi regolazioni metaboliche quali la predazione ; esso è inoltre unlato gli Eléments de mathématique sono un capolavoro della riduzione al locale e incollamento di tali domini locali mediante indizi significanti, per esempio «se­d'altro lato il Séminaire è un'enciclopedia degli stati globali «eccitati » del sapere mantici », di natura sensoriale (per esempio olfattiva). Dunque non esiste unamatematico contemporaneo. Per Jean Dieudonné, «quando si studia la storia della vera e propria rappresentazione globale dello spazio : la rappresentazione s'iden­matematica si constata quasi invariabilmente che una teoria inizia cercando di tifica ad una memorizzazione del sistema di indizi.risolvere un problema molto particolare... Una situazione... favorevole è quella in Si può forse avanzare l'ipotesi che la situazione sia analoga per ciò che con­cui, approfondendo le tecniche utilizzate per risolvere il problema di partenza, cerne le società «primitive». Come scrive René Thom in un articolo dedicatosi arriva (eventualmente a prezzo di notevoli complicazioni ) a usarle in altri pro­ alla magia, articolo dal quale si è d'altronde presa a prestito nel ) x l'immagineblemi simili o piu difficili, senza tuttavia che si abbia l'impressione di capire vera­ di stato «eccitato» d'uno spazio globale flessibile ed individuale, «si può dire chemente la ragione di tali successi; si può dire che sono i problemia generare un l'atto magico sia caratterizzato in modo essenziale da "un'azione a distanza" che

Locale /globale 439 Locale/globale

può essere interpretata come una modi6cazione della topologia usuale dello spa­ rienze concrete. Tuttavia non esiste evidentemente alcun «controllo», alcuna «re­

zio-tempo. In altri termini: i raccordi tra carte locali che de6niscono lo spazio golazione» di questo tipo a livello globale. Euclide ha compreso a fondo tutto que­usuale non sarebbero fissi, ma potrebbero essere modificati secondo la volontà sto : la nozione di retta è una nozione primitiva la cui proprietà caratteristica di ret­

di certi uomini (maghi o stregoni), e ciò in virtu di procedure specifiche (rituali titudine dev' essere oggetto di un «giudizio sintetico a priori », cioè d'un assioma

magici, sacrifici, ecc.). Inoltre la topologia dello spazio cesserà di essere la stessa logicamente irriducibile agli altri assiomi della geometria : si tratta del famoso as­

per tutti, poiché le esperienze percettive di un osservatore possono a loro volta sioma delle parallele. In tal senso la geometria non è una scienza a priori come

essere affette da azione magica» [r978, p. 70]. lo è la logica. Essa esige una «regolazione» capace di controllare la coerenza del

È chiaro che attualmente la nostra rappresentazione spontanea dello spazio è passaggio del proprio concetto primitivo dal locale al globale.in netto contrasto con tale punto di vista. Per noi, lo spazio-tempo, come condi­ È ben noto che l'assioma di Euclide ha fatto scorrere molto inchiostro. Una

zione di oggettività, è per natura a-soggettivo. Si tratta di uno spazio di base precisa tradizione, nutrita dal desiderio di fare della geometria una scienza a

immutabile, universale, indipendente da ogni osservatore che non è suscettibile priori, ha tentato di «dimostrarlo», di dedurlo cioè dagli altri assiomi della geo­

di alcuno stato «eccitato». Inoltre è uno spazio la cui struttura globale non si ot­ metria. Nel corso dei secoli l'impossibilità di arrivare ad una tale «dimostra­

tiene per incollamento di domini locali, ma per estensione diretta della sua strut­ zione» sapeva di vero e proprio «scandalo». Tale scandalo è stato messo de6ni­

tura (euclidea) locale. tivamente a tacere all'inizio del x?x secolo allorché Gauss, Bolyai e Lobacevskij

Non bisogna sottovalutare il fatto che questa rappresentazione spontanea ha dimostrarono che gli altri assiomi della geometria euclidea ammettevano un'in­

per noi valore d'intuizione. Essa fa parte della nostra razionalità e le sue conse­ terpretazione coerente che violava l'assioma delle parallele. Questa nuova geo­

guenze sono innumeri. Se ne citano tre particolarmente evidenti. metria è la geometria iperbolica, caratterizzata da una serie di fenomeni atipici.

i ) Dal momento in cui lo spazio-tempo viene concepito come spazio di base Essa ha offerto il primo esempio di un fenomeno che è fondamentale per il tema

universale, bisogna poter descrivere i fenomeni a partire da spazi di descrizione di quest'articolo. Localmente, cioè in ogni dominio d'estensione «infinitesima­

derivati dalla sua struttura. Questo vincolo epistemologico corrisponde a ciò che le», la geometria iperbolica diventa euclidea. In altri termini, uno spazio iperbo­Husserl chiamava « l'ipotesi galileiana», lico ammette in ogni punto uno spazio euclideo « tangente». Si può dunque di­

z) Dal momento in cui la struttura globale dello spazio si ottiene per estensione re che la geometria iperbolica concretizza un altro modo di estendere al globalediretta della sua struttura locale, non è piu possibile individuare lo spazio se non la struttura euclidea locale dello spazio, diverso da quello dell'estensione diretta.

attraverso un riferimento. Ma poiché tutti i riferimenti sono equivalenti (tutti gliosservatori essendo interscambiabili ), la descrizione dei fenomeni deve nono­ z.z. Le diverse estensioni del concetto di spazio.stante tutto essere intrinseca (indipendente dal riferimento scelto) : è l'originedel principio di relatività. Prima d'indagare in qual modo, nel corso del xix secolo, l'aspetto operativo

3) Dal momento in cui, divenuta intuizione, questa rappresentazione risulta dell'opposizione locale/globale ha rivoluzionato il concetto stesso di geometria,costitutiva per un'obiettività identificata alla verità, la verità stessa si trova sepa­ verrà ricordato in quale contesto si è sviluppata tale trasformazione.rata come dal filo di un rasoio dall'insieme del campo semiotico e simbolico. Tale Fino all'inizio del xix secolo, la geometria si ridusse essenzialinente allo stu­separazione, tipica dell'epoca moderna, è all'origine dell'irriducibile conflitto dio di oggetti geometrici (cfr. l'articolo «Curve e super6ci » in questa stessa En­che oppone la scienza alle pratiche simboliche (siano esse la filosofia speculativa, ciclopedia) immersi in uno spazio ambiente bi- o tridimensionale. I metodi uti­la fenomenologia, il materialismo dialettico, la psicanalisi) come alle pratiche si­ lizzati sono da una parte quelli sintetici ereditati dalla tradizione euclidea e dal­

gnificanti (siano esse la poesia, la pittura o la sperimentazione corporale). l'altra quelli analitici ed algebrici fondati sull'uso di coordinate. Con l'introdu­

Inquadrato in tale prospettiva, il «miracolo» geometrico greco sa di notevole zione del calcolo infinitesimale, le coordinate permettono l'analisi delle proprietàviolenza. Niente prova, certo, che la geometria euclidea si sia inizialmente ispi­ differenziali degli oggetti (equazione delle tangenti, delle normali, struttura deirata alla struttura dello spazio 6sico. Sembra piuttosto ch' essa si sia rifatta alla punti singolari, ecc.). Ecco apparire i primi teoremi generali sulle curve alge­formalizzazione dei processi di costruzione geometrica. Ma ciò non impedisce briche e la «solidarietà» che esiste tra la loro struttura locale e quella globale.ch' essa costituisca uno dei principali centri motori di quella «rettificazione» ge­ Servano da esempio due famosi risultati di Maclaurin (uno dei grandi succes­neralizzata del simbolico che, da allora, ha diretto la storia (cfr. ) r.3). sori di Newton) : una curva piana irriducibile di grado n non può possedere piu

Se la struttura globale dello spazio si ottiene per estensione diretta della sua di [(n — i) (n — z)]/z punti doppi; su una cubica piana dotata di punti di flesso,struttura euclidea locale (e converrebbe analizzare il ruolo della vista in tale esten­ la retta che ne congiunge due passa necessariamente per un terzo.

sione), dev' essere possibile far entrare in esso la nozione localmente intuitiva di Ma l'approfondimento di tali problemi porterà, durante il xix secolo, ad una

rettitudine di una retta. Ciò tuttavia non è automatico. La nozione di rettitudine completa ristrutturazione del concetto di spazio ambiente nel quale gli oggetti

è localmente intuitiva poiché essa può essere «controllata», «regolata» da espe­ geometrici si trovano immersi.

Locale/globale 440 44 I Locale /globale

Intanto, per poter disporre di teoremi generali (in particolare del teorema di Ciò che precede serviva ad introdurre il rapporto esistente tra l'opposizioneBézout secondo cui due curve piane di rispettivi gradi r e s s'intersecano esatta­ locale/globale e il concetto di spazio, piu precisamente di spazio ambiente. Vie­mente in rs punti contati con la loro molteplicità), si estende sistematicamente ne ora introdotto il rapporto tra tale opposizione e il concetto di funzione, inla nozione di spazio ambiente agli spazi proiettivi complessi ottenuti aggiun­ quanto la dialettica spazio/funzione è una delle chiavi di volta di tutta la geome­gendo i punti all'infinito e i punti immaginari. Con Poncelet, Steiner, Staudt, tria moderna.Plucker, Cayley, ecc. la geometria proiettiva complessa eserciterà una fortissimainfluenza. Permetterà dapprima di dimostrare tanti risultati sulla struttura gene­rale delle curve e delle superfici algebriche e in particolare sulla solidarietà lo­

g.i. Le diverse classi di funzioni reali.

cale/globale: configurazione dei nove punti di flesso di una cubica piana, si­ Si consideri un polinomio a coefficienti reali, per esempio di secondo grado,tuati a tre a tre su dodici rette; configurazione delle ventisette rette della super­ P(x) = ax'+bx+c. Si tratta di una funzione P : R~R che associa a ogni nu­ficie cubica; ecc. D'altra parte la geometria proiettiva condurrà alla considera­ mero reale x un altro numero reale P (x) (detto valore di P in x), ottenuto me­zione di «spazi » i cui «punti» non sono punti nel senso geometrico del termine. diante l'algoritmo rappresentato dalla sua espressione algebrica. Si supponga PPer esempio lo studio dei complessi di rette dello spazio proiettivo tridimensio­ noto per tre valori distinti x„ x , e xo. I suoi coefficienti saranno allora le solu­nale P» condurrà Cayley e Plucker alla rappresentazione di una retta di Ps me­ zioni di un sistema di tre equazioni lineari in tre incognite:diante un punto di un'ipersuperficie di secondo grado di P»(coordinate plucke­riane). S'introduce cosi l'idea fondamentale che la geometria di entità complesse ax, + bx, + c= P(x,)immerse in uno spazio ambiente triviale è traducibile nella geometria dei punti (r) ax,+bx»+c = P(x,)di uno spazio di descrizione: a ) di dimensione eventualmente superiore a tre; ax»»+ bx«-t c = P(x,).b) globalmente non triviale.

La geometria proiettiva permetterà altresi a Klein, nel suo programma di È facile vedere che se x„x,, e x» sono distinti, il sistema (i) ammette solu­Erlangen, di unificare i diversi tipi di geometrie (cioè di struttura degli spazi am­ zione unica. Se dunque P è noto in tre punti distinti, è noto dappertutto. Inbienti tipo) (cfr. l'articolo «Geometria e topologia» in questa stessa Enciclopedia). generale, un polinomio di grado n è determinato quando siano assegnati i valori

Parallelamente ai progressi della geometria proiettiva prenderanno corpo le che esso assume in n + i punti distinti.nozioni di spazio vettoriale e di algebra lineare. Questa nuova estensione del Che un'informazione finita basti a caratterizzare P è un fatto cruciale checoncetto di spazio avrà una notevole importanza quando la si prolungherà al­ può essere localizzato. Se infatti x„ x » e xs sono infinitamente vicini, ossia sil'analisi funzionale, quando cioè si tratterà una funzione come un «vettore» de­ confondono in un punto xo, il dato (P(x,), P(x,), P(x,)) viene sostituito dalcomponibile secondo vettori base (analisi armonica e serie di Fourier) e si esten­ dato (P(xo), P'(xo), P" (xo)) ove P' e P" sono le derivate prima e seconda di P.derà l'analisi spettrale degli operatori lineari agli operatori differenziali. Il sistema ( i ) viene allora sostituito con il sistema

Le strutture della geometria proiettiva e dell'algebra lineare sono per essenzaglobali. Con Riemann s'introdurrà un'altra idea chiave, d'importanza capitale, axo+ bxo+ c = P(xo)poiché con i suoi effetti domina il presente tema nel suoinsieme. Si tratta dell'idea (z) zaxo+ b = P' (x,)di considerare «spazio» a tutti gli effetti ogni spazio ottenuto per incollamento za = P" (x,)di modelli locali, cioè di pezzi di spazio ambiente tipo. Si tornerà ampiamentesu quest'argomento. Si noti semplicemente che quest'idea sovverte totalmente e si verifica facilmente la formula fondamentalela nostra intuizione di spazio poiché rompe con «l'evidenza» che la strutturaglobale dello spazio si ottiene per diretta estensione dalla sua struttura locale. (x — x )'

(3) ( ) = ( o)+( — o) '( o)+ ' " ( o )Con Riemann il problema del passaggio dal locale al globale si allontana da ogniintuizione e diventa una problematica matematica fondamentale. In generale ogni polinomio di grado n soddisfa una importante identità (4)

detta formula di Taylor che permette di esprimerlo in funzione del suo valoree di quelli delle sue derivate successive in un punto qualsiasi xo:

L'opposizione locale/globale nella teoria delle funzioni: il caso analitico.(x — x )"

(4) P(x) = P(x,)+ (x — xo) P'(xo)+ ... + P'"'(xo).Riemann è l'iniziatore di due aspetti della dialettica locale/globale. Da un n.

lato l'aspetto delle varietà riemanniane (cfr. $ 4) e dall'altro quello delle super­ Ora la nozione di derivata è per sua natura locale. La formula di Taylorfici di Riemann brevemente delineato nel presente paragrafo. esprime dunque il seguente fatto molto importante : per i polinomi, la determi­

Locale/globale 443 Locale/globale

nazione locale implica quella globale. Per i polinomi, e piu in generale per gli che generalizza l'approssimazione lineare di f in xp mediante la tangente diinsiemi algebrici definiti da polinomi, esiste una solidarietà essenziale tra locale equazione y = f(xp)+(x — xp) f (xp) La serie di Taylor di f in xp è d'imPortanzae globale. Si potrebbe dire che i polinomi manifestano un principio translocale fondamentale poiché esprime il miglior modo d'approssimare f mediante poli­«d'azione a distanza» : non si può perturbare un polinomio in un punto senza nomi. Per definizione si tratta di un'entità locale. Quando xp varia, essa defini­

modificarlo dappertutto. sce dunque un'applicazione Tf di R nell'algebra delle serie formali detta campoCiò è in netto contrasto con quanto avviene nel caso delle funzioni che sono tayloriano di f e che «meglio» esprime come la consistenza differenziabile può

semplicemente differenziabili. Infatti, per questo le perturbazioni locali non si «raggiungere» un'espressione simbolica.«propagano»: due funzioni differenziabili possono coincidere localmente senza La nozione di serie di Taylor permette di «misurare» lo scarto tra funzioni

coincidere dappertutto (fig. r). differenziabili e polinomi. È possibile constatare che tale scarto è irriducibile.Ecco dunque delinearsi due domini estremi entro l'insieme delle applica­ Infatti :

zioni f : R~R. Ad una estremità vi è il dominio caratterizzato da una proprietàdi consistenza. Esso si estende dalle funzioni insiemistiche qualsiasi non aven­

a) La serie formale T „ f può essere divergente e pertanto non rappresentare

ti alcuna coesione neppure locale, fino alle funzioni indefinitamente differen­alcuna funzione. Tale fenomeno di divergenza è ineliminabile, secondo un

ziabili (di classe C ), passando dalle funzioni continue (che possono essere mol­teorema di Borei per cui ogni serie formale può essere ottenuta come seriedi Taylor.

to «patologiche») e dalle funzioni differenziabili fino all'ordine r (di classe Cr)per r = r, z, ... In tale dominio, a) non vi è alcuna solidarietà tra il locale e il

b) Anche se la serie T„ f è convergente, può rappresentare nell'intorno di

globale; b) non esiste un'espressione, mediante simboli, delle funzioni. All'al­xp un'altra funzione, diversa da f. Per esempio le funzioni dette piatte

tra estremità vi è il dominio dei polinomi ove c) vi è solidarietà tra il locale eddel tipo e * la cui serie di Taylor in o è identicamente nulla e rappre­

il globale; d) esiste un'espressione delle funzioni, mediante simboli, che rendesenta dunque nell'intorno di o la funzione o e non la funzione stessa.

i polinomi degli algoritmi. (Cfr, fig. z). Il passaggio tra i pol inomi e le funzioni 8" s 'effettua dunque in questoIl problema consiste allora nel sapere come si raccordano questi due domi­ modo :

ni; in altri termini, come si può, partendo dalla differenziabilità, raggiungereun'espressione simbolica e una solidarietà tra locale e globale. a) «Vicinissimo» ai polinomi si trovano le funzioni P esprimibili simbolica­

Partendo dai polinomi, la mediazione verso le funzioni differenziabili s'ef­mente, le quali manifestano una notevole solidarietà tra il locale e il glo­

fettua per estensione dal finito al numerabile. Si ottengono cosi le serie formalibale, cioè quelle per cui una determinazione locale implica la determina­

P(x) = ap+aix+. . .+a„x"+ . . . che sono in un certo senso polinomi di gradozione globale. Si tratta delle funzioni ovunque rappresentate dalla loro se­

infinito. Ma passando cosi dal finito al numerabile nulla piu garantisce cherie di Taylor in un punto qualunque. Tali funzioni diconsiintere. Esem­

P(x) rappresenti un numero. Volendo delle serie che rappresentino funzioni,pio tipico ne è l'esponenziale e* che è ovunque uguale alla somma della

bisogna limitarsi a considerare serie convergenti. Se una serie è convergente persua serie di Taylor in o:

un valore xp, lo è per ogni altro valore x tale che ~x~ (~XJ. Essa lo è dunque in x2 xnTp< = i +x+ — +" + — +"

un intervallo ~x~ (R. R si chiama il suo raggio di convergenza. z n!Partendo ora dalle funzioni C , l a mediazione verso i polinomi s'effettua

tramite il concetto di serie di Taylor. Se f è 8", le si può associare, per ognib) Si trovano poi le funzioni localmente rappresentate in ogni punto dalla

valore xp, la serie formale T,, f, detta sua serie di Taylor in xp: loro serie di Taylor. Esse diconsi analitiche.c) Si trovano infine le funzioni semplicemente 8 .

(x — xp)"(S) P..f = f(xp)+( X-" ) f'(")+- + , f'"'(X.)+-.

DFunzioni ~ Funzioni ~ Funzionicontinue PP P P

Ol

Consistenza Espressione simbolica.Assenza di solidarietà locale/globale Solidarietà

locai%1obaleFigura i . Figura z.

f e g sono localmente identiche senza esserlo globalmente. Le classi estreme di funzioni.

Locale /globale 444 Locale/globale

Generalizzando tali risultati alle funzioni di piu variabili, f : R"~R~, poi zio di uno spazio globale, vuoi un'entità globale quando lo si consideri unionealle funzioni complesse,f : C" ~C>, poi, per localizzazione ai germi di funzioni, degli aperti in esso contenuti.ed ancora, per incollamento, alle funzioni definite su varietà qualunque, si pos­ Sia dunque f : U~C una funzione complessa definita su un aperto U di Csono cosi definire livelli di struttura geometrica: il livello insiemistico, il livello e C-derivabile.topologico, il livello differenziabile, il livello formale (detto anche algebroide), illivello analitico ed infine quello algebrico corrispondente ai polinomi. Gran parte a) Tutti i valori di f sono solidali. Tale solidarietà è espressa dalla formula

della geometria moderna è consacrata allo studio locale e/o globale di tali livelli, integrale di Cauchy

ai tipi di dialettica locale /globale che sono loro specifici, all'analisi dei vincolix ( f( z) dz

che un livello inferiore esercita sui livelli superiori. Perché tali analisi andassero zlTC z z QY

in porto è stato necessario elaborare strumenti generali la cui portata concettuale la quale afferma che il valore di f in z~e U è la media dei valori di f sus'è rivelata considerevole. ogni circuito y di U or ientato positivamente, che circondi z~ e che siacontraibile a un punto entro U. (Si dice in tal caso che il circuito y è

g.z. Prolungamento analitico e superfici di Riemann. omotopo a zero). Una conseguenza fondamentale di ciò è il «principio dimassimo» secondo cui sef non è costante, il suo modulo ~f(z)~ non puòL'analiticità acquista tutto il suo significato quando si passa dal reale al com­ possedere né massimo né minimo.

plesso e si considerano funzioni f : C~C d'una variabile complessa, a valori b) Se g è un'altra funzione C-derivabile definita su U,f e g non possono es­complessi. Siaf una tale funzione. La si può considerare una f : Rs ~R~ che al sere localmente identiche senza esserlo globalmente. Per le funzioni C­punto z =x +iy di R~ associa il punto P(x, y)+ i Q(x, y) di Ra, ove P e Q sono derivabili una determinazione locale implica la determinazione globale.due funzioni reali di due variabili reali. Se si tenta allora di definire per f il vin­ c) f è necessariamente indefinitamente C-derivabile.colo di C-derivabilità in z~, si constata subito che esso è totalmente diverso dalla d) f è di piu C-analitica.R-derivabilità. Dire infatti che f è C-derivabile in z~ significa non solo che il e) f è di piu C-intera.rapporto [ f(z) — f(z~)]/(z — z~) tende a un limite quando z tende a z~, ma ancheche tale limite è indipendente dal modo con cui z tende a z~. È facile vedere che Cosicché nel campo complesso la semplice derivabilità basta ad implicare ilper soddisfare tale vincolo occorre e basta che le funzioni P e Q ammettano deri­ piu potente vincolo di solidarietà tra locale e globale. Le funzioni C-derivabili,vate parziali e soddisfino alle cosiddette condizioni di Cauchy-Ri emann: e quindi C-analitiche per d ), diconsi anche olomorfe. L'olomorfiaè una nozione

òQ òQintrinsecamente locale ma che «passa» automaticamente al globale. È dunque

(s) naturale cercarne una caratterizzazione globale (teorema di Runge).òx ò y òx òy

Se si suppone che P e Q siano due volte R-differenziabili, tali condizioni im­ La piu notevole conseguenza della solidarietà locale/globale che caratterizzaplicano che P e Q soddisfino l'equazione di Laplace: le funzioni C-analitiche è che la determinazione locale implica non solo la de­

terminazione globale ma anche la determinazione dello stesso dominio di defi­(6) h,P = o A Q = o nizione. Se f è localmente un polinomio, lo è dappertutto ed è definita su C.ove h, è l'operatore laplaciano (ò~/òx') + (ò~/òy~). Ma nel caso generale il suo dominio naturale può essere molto diverso da C.

Una funzione F (x, y) che soddisfa l'equazione di Laplace dicesi armonica; Si è di fronte ad un totale capovolgimento di punto di vista poiché la nozione di

P e Q diconsi funzioni armoniche coniugate. «spazio substrato», di spazio soggiacente a una funzione, cioè in definitiva di spa­Il fatto che, affinché f sia derivabile, P e Q devono soddisfare un'equazione zio ove naturalmente la variabile indipendente z «sta di casa», non ha piu senso

alle derivate parziali, porta con sé una serie di notevoli conseguenze che fanno che localmente, dato che la funzione stessa determina, a livello globale, il propriodella C-derivabilità un vincolo che non ha nulla a che fare con quello della spazio substrato.

semplice R-derivabilità. Si noti anzitutto che la nozione di C-derivabilità è di Per precisare questo punto fondamentale, viene ora illustrata una descrizio­

per se stessa locale. Per passare al globale si considereranno dunque funzioni ne data da Weierstrass e poi chiarita in modo definitivo da Hermann Weyldefinite su aperti U di C e si dirà che esse sono C-derivabili su U se lo sono in ('955]ogni punto di U. Sia f una funzione olomorfa su un aperto U di C.f si rappresenta in ogni

Osservazione: La nozione topologica di aperto concretizza la relatività del­ punto col suo sviluppo di Taylor T, f in un punto zpe U. Per cogliere 'le pro­l'opposizione locale/globale. Un aperto, che per definizione è un intorno di ogni prietà di passaggio dal locale al globale è dunque naturale partire da T, f, cioèsuo punto, può diventare vuoi un'entità locale quando lo si consideri sottospa­ da una serie convergente A (z) = a„+a, (z — z~)+ ... +a„(z — z~)" +... Si chiama

Locale/globale 447 Locale/globale

elemento analitico (nel senso di Weierstrass) centrato in z«, e lo si denota punti in cui Z si ramifica. I punti singolari sono sia poli, sia punti singolari es­(A(z), z«), un tale dato. Questo elemento definisce localmente una funzione olo­ senziali. I punti di diramazione sono i punti z» tali che f possiede n determina­morfa f il cui valore in z» è il termine costante a«della serie A(z). zioni nell'intorno di z~ ma meno di n determinazioni in z«. Il caso tipico viene

Sia dunque A = (A (z), z«) un elemento analitico centrato in z«. Sia 6 il disco fornito dalla funzione ~z che per ogni valore di z +o possiede due determina­di centro z e di raggio R che è il disco di convergenza di A(z). Esistono dei0

zioni +~z , ma un sol valore (o) in o. Se allora si completa Z mediante i poli epunti singolari z, del bordo di A nei quali la serie A(z) diventa divergente e che i punti di diramazione e la base C di Z mediante l'aggiunta di un punto all'infi­impediscono dunque l'estensione di f a un disco piu grande di A con centro in nito per tener conto dei poli e dei punti di diramazione all'infinito (cosa che for­z«. Il fatto però che esistano tali ostruzioni non implica che non si possa prolun­ nisce la sfera di Riemann C), Z diventa un rivestimento ramificato di C privatogare f ad un disco con centro in un punto z, distinto da z«che « fuoruscirebbe» dei punti essenziali; esso dicesi superficie di Riemann dell'elemento analiticoda A evitando i punti singolari z«della sua frontiera. Infatti in un intorno di (A(z), z») e della funzione globale f ch' esso determina per prolungamento ana­zi appartenente a A, f si può rappresentare mediante un elemento analitico litico.

(J3(z) z ) centrato in zi. Tale elemento possiede un disco di convergenza D' La superficie di Riemann Z di f è canonicamente munita d'una proiezionecentrato in zi e limitato da certe singolarità z,'. Nulla impone che A sia contenu or ' l t z : Z ~ C che associa ad ogni elemento analitico di Z il suo centro. Essa è anche

in 5. Inoltre il fatto che una funzione C-analitica sia globalmente determinata evidentemente il dominio di f. Si ottiene dunque in definitiva lo schemadalla sua struttura locale implica che le somme delle serie A(z) e J3(z ) sonoidentiche su Ag L'. La funzione uguale alla somma di A(z) su A e alla somma C

di J3(z) su L' è dunque ben definita e olomorfa su KAL' . È questo il principiozj

del prolungamento analitico (fig. 3) : il prolungamento analitico è definito in Cmodo unico. che evidenzia bene il radicale spostamento introdotto. Z è lo spazio globale ove

Per prolungamento analitico si estende cosi l'elemento analitico di partenza naturalmente «sta di casa» la variabile indipendente z. Soltanto localmente la z

(A(z), z«) in una funzione olomorfa globale f. Si potrebbe credere che il domi­ continua ad essere una variabile. Globalmente essa diventa la proiezione cano­nio ii d i definizione di f sia semplicemente il piano complesso privato dei punti nica della superficie di Riemann di f. Come nota Weyl: «Prima di iniziare losingolari. Ma ciò non avviene in generale. Può succedere infatti che prolungan ond studio di una classe di funzioni si deve definire la superficie che è il dominioA lungo una catena chiusa 5, D', ... ecc. si torni all' intorno di z» mediante un della variabile indipendente; si deve poi stabilire cosa significa funzione ana­elemento analitico il cui valore in z«sia diverso da quello di A(z). Considerata litica su tale superficie che diventa cosi una superficie di Riemann. Solo a que­

come definita su C, la funzione globale f sarebbe dunque multiforme. Ora,f, sto punto ci si può occupare delle funzioni stesse» [ iggg, p. 43].per costruzione, è uniforme. La chiave di questo apparente «paradosso» risiede Osservazione: Il fatto che z diventi una funzione e non p!u una variabilesemplicemente nel fatto che, com'è stato già detto, A(z) determina per prolun­ pone il problema, detto dell'uniformizzazione globale, di sapere se il suo statutogamento non solo f ma anche il suo spazio substrato. Tale spazio substrato non di variabile può essere «recuperato» in uno spazio differente (cfr. oltre).deve piu essere considerato in sé come uno spazio «esterno» sul quale f sarebbedefinita, ma come uno spazio intrinsecamente attaccato ad f. Lo s i denoterà 3.3. Richiamo dei lavori di Riemann sulle curve algebriche.con Z.

Si può poi completare la costruzione tenendo conto dei punti singolari e dei La nozione di superficie di Riemann acquista tutto il suo significato nel casoin cui z ed f sono legate da una relazione algebrica, cioè annullano un polinomioin due variabili P (z, f) = o. In tal caso essa fornisce uno straordinario stru­

Estensione del dominio mento atto allo studio delle funzioni analitiche ; la grande idea di Riemann è in­-dr definiZiOne Ckf fatti che la superficie di Riemann Z d'un elemento analitico — esattamente come

X p«r prolungamento analitiCo+l lo è C — deve essere considerata come spazio substrato naturale per delle fun­

zioni analitiche.X

z« x) Sia C una curva algebrica di C', cioè l'insieme dei punti (z, n) di C~ cheannullano un polinomio irriducibile, P(z, «ir). C è una superficie di R4, L'analisilocale di C si divide in due parti.

zz La prima è quella della struttura di C nell'intorno d'un punto regolare, cioè

Figura 3. d'un punto (z, m) in cui le due derivate parziali AP/àz e òP/òw non sono en­Principio del prolungamento analitico. trambe nulle. Il teorema fondamentale al riguardo è il seguente:

Locale /globale 449 Locale /globale

TEOREMA DELLE FUNZIONI IMPLICITE. Se (z, zv)eC' è tale che òP /òw+o, C con i coefficienti a.; (z) polinomiali, e si associno ad ogni valore di z le n radiciè, localmente, in (z, w) il graf ic d'una funzione analitica w = w(z). di P,(w) ; si ottiene allora una presentazione della curva C, completata dei suoi

Osservazione: Poiché in un punto regolare si ha (òP/òw)Po, oppure punti all ' infinito, sotto forma di un r ivestimento ramificato di C.

(òP/òz) ~o, se (òP/òw) = o, z sarà localmente esprimibile come funzione ana­Ancora piu significativa è la proprietà reciproca:

litica z (w) di w. TEQREMA. Se la superficie di Riemann Z di unafunzione analitica f è com­Il teorema delle funzioni implicite è fondamentale poiché mostra che, in un patta, allora f verifica un'equazione algebrica P (z, f) = o. In altre parole, Z si

certo senso, l'analitico permette di localizzare l'algebrico. Pertanto, partendo identifica con una curva algebrica proiettiva C.dall'espressione analitica locale w = w(z) si riottiene C per passaggio al globale,grazie al principio del prolungamento analitico. Quello ch'è in gioco non è tan­

E impossibile sottovalutare l'importanza della rottura epistemologica intro­

to la solidarietà locale/globale comune all'algebrico e all'analitico, quanto la for­dotta da Riemann nel porre la dialettica locale/globale al centro dello studio delle

ma dell'equazione che definisce la curva C. Dire che il polinomio P(z, zv) difunzioni analitiche e delle curve algebriche. Questo nuovo punto di vista, che è

cui C è il luogo degli zeri è irriducibile, significa che non può essere ridotto allaun punto di vista sintetico, è infatti all'origine di tutta la geometria algebrica

forma di base w = w (z) : P(z, w) = o è un'equazione algebrica globale non ri­ moderna. Cosi scrive Dieudonné: «II periodo... senza dubbio piu importante

ducibile a una funzione f : C~ C. Le equazioni analitiche locali invece, di cui ildi tutta la storia della Geometria Algebrica... è interamente marcato dall'operaJ t

teorema delle funzioni implicite afferma l'esistenza, sono proprio della forma did un solo uomo, Bernhard Riemann, uno dei piu grandi matematici che siano

base w = tv (z). Ma non sono equazioni globali. Esse variano al variare del puntomai esistiti, uno di quelli che hanno piu profondamente sentito (o divinato) l'u­

(regolare) scelto.nità essenziale della matematica» [I947, p. 4zj. Util izzando il linguaggio ana­

L'interpretazione geometrica del teorema delle funzioni implicite è semplicelogico del ( I, si potrebbe dire che l'opera di Riemann costituisce il primo esem­

(fig. 4). Si consideri la proiezione canonica rc : (z, w) ~z. Il teorema affermapio d'uno stato «eccitato» globale dell'universo matematico.

essenzialmente che, laddove tale curva è trasversa alle fibre di it, essa è local­z) Una superficie di Riemann compatta, cioè, per quanto visto, una curva al­

mente una sezione di rt, se si chiama sezione di x un'applicazione analiticagebrica proiettiva (piana), possiede quattro livelli di struttura. Il livello soggia­

zv : C~C ta l e che vt o w= Idc.cente è quello topologico. Il livello intermedio è quello diflerenziabile. I livelli

Lo studio locale di C nell'intorno dei suoi punti singolari (necessariamentesuperiori sono l'analitico e l'algebrico i quali, come s'è visto, coincidono. Una

isolati ) ove (òP/òz) = (òP/òw)= o è piu complicato. Si fa vedere che C si de­ delle grandi idee introdotte e sviluppate da Riemann è che il livello topologico

compone in rami (in corrispondenza alle diverse tangenti) analiticamente irridu­vincola i livelli superiori. Tipico al riguardo è il concetto di genere. Esiste in­

cibili (teoria degli sviluppi di Puiseux).fatti una classificazione topologica delle superfici connesse, compatte ed orien­

Infine l'analisi della struttura globale di C conduce nuovamente alla nozio­tabili : ogni superficie connessa, compatta ed orientabile è omeomorfa a una sfera

ne di superficie di Riemann. Si scriva infatti il polinomio P (z,w) nella formacon g manici o anche a un toro con g buchi. Il numero g dicesi genere della su­perficie (fig. g).

P, (w) = ao(z)+ai(z) w+... +a„(z) wn La superficie di Riemann Z di una curva algebrica proiettiva essendo unasuperficie connessa, compatta ed orientabile possiede genere ben definito. Taleinvariante topologico è fondamentale per comprendere i fenomeni di periodi­cità posseduti dagli integrali abeliani. Lo si può calcolare a partire da una qua­lunque presentazione di Z come rivestimento ramificato di C.

Punto di -'.-"-;~ Sezioni locali di rrL'introduzione del genere pone subito il difficile problema di classificare le

non trasversalità

Fibre di rt

g = rg

= z

Figura 4. l'igura g.

Interpretazione geometrica del teorema delle funzioni impl icite. Genere di una superfic>e

45t Locale /globaleLocale/globale 45o

superfici di Riemar n compatte che hanno ugual genere (problema dei moduli).morfa (rispettivamente meromorfa) su Z. Esse formano ovviamente uno spaziovettoriale su C.

3) Una superficie di Riemann compatta Z è, come s'è detto, un substrato Uno dei primi grandi risultati di Riemann è che, se le funzioni olomorfe sugeometrico-topologico naturale quanto C. È dunque logico sviluppare la teoriadelle funzioni analitiche (con singolarità) su Z. Poiché Z è compatta, le sole

Z sono costanti (si suppone naturalmente che Z sia compatta ), non altrettanto

funzioni che siano ovunque olomorfe su X sono le costanti. Quanto alle funzioniaccade per le i-forme olomorfe (dette di prima specie) e questo per ragioni do­

meromorfe, esse sono necessariamente razionali cioè funzioni razionali di z evute al vincolo esercitato dal livello topologico sul l ivello analitico-algebrico.

di «o per ogni coppia (z, re) che definisce Z come curva algebrica. Ciò significaPiu precisamente, sia Z di genere g+o. La sua omotopia e la sua omologia

che il corpo K delle funzioni meromorfe su Z è il corpo C (z, «o) generato su Csono allora non triviali. Esistono su Z dei cappi omotopicamente non triviali

da z e «o. Ma poiché re è funzione algebrica di z, K è un'estensione algebrica diche non si possono contrarre a un punto entro Z, ovvero esistono dei cicli omo­logicamente non triviali (fig. 6) che non sono bordo di alcun disco di Z. Z dicesi

grado finito del corpo C(z) avente grado di trascendenza i su C. Reciproca­ non semplicemente connessa.mente, dato un tale corpo K, esso è il corpo delle funzioni meromorfe sulla su­perficie di Riemann della curva algebrica d'equazione P(z, «o)= o ove rc è un

Bisogna notare che tale difetto di connessione semplice non dipende qui dacause locali (come ad esempio nel caso del piano bucato) ma da cause globali.

geeneratore di K su C (z) e P il suo polinomio irriducibile. Si possono dunque È facile vedere che, poiché Z è di genere g, esistono zg cicli omologicamenteconsiderare equivalenti due curve algebriche i cui corpi di funzioni meromorfe non triviali «indipendenti » (cioè tali che ogni ciclo omologicamente non trivialesono isomorfi. Tale è il punto di partenza della geometria birazionale. A meno possa scriversi in modo unico come una loro combinazione) e che possono esseredi equivalenza birazionale la teoria delle curve algebriche s'identi6ca dunquecon quella delle estensioni algebriche 6nite del corpo di base C(z). Si tratta di

scelti come g coppie disgiunte (pi 8i ) ( p g Bg) di cicli «coniugati»(fig. 7) chegeneralizzano le nozioni di «paralleli » e «meridiani » del toro.

n punto decisivo poiché come è stato mostrato da Dedekind e Weber, questateoria è essenzialmente analoga a quella delle estensioni algebriche finite de

l Tagliando Z lungo una tale base di cicli si ottiene una super6cie (con bordo)semplicemente connessa.

corpo primo Q dei numeri razionali, cioè alla teoria dei numeri algebrici. Ap­ Si può allora far vedere che ad ogni coppia (y,, 8,) d'una tale base di ciclipare cosi un profondo nesso tra geometria ed aritmetica e nasce una teoria geo­metrico-aritmetica dei corpi globali (estensioni algebriche finite di Q o di C (z))

si può associare una r-forma olomorfa to; in modo da soddisfare il seguente

che piu tardi sarà collegata ad una teoria dei corpi locali. Lo sviluppo di taleTEoREMA (Riemann). Le z-forme olomorfe oi„. . . , oi formano una base del

sintesi è la base della geometria algebrica astratta.C-spazio vettoriale delle i­forme olomorfe (cioè di prima specie).

4) Poiché una super6cie di Riemann Z è un substrato geometrico-topologiconaturale, vi si può sviluppare una teoria dell'integrazione. È tale punto di vista

5) Le i-forme sono fatte per essere integrate lungo cammini di Z e de6ni­

quello che conduce ai risultati piu ricchi. Si considerino dunque le forme dif­scono per integrazione delle primitive. Il problema è di sapere se tali primitivesono uniformi su Z. Sia o un punto base di Z. Sia oi una r-forma olomorfa o

ferenziali su X (cfr. l'articolo «Differenziale» in questa stessa Enciclopedia) e meromorfa. Per definire il valore in un punto a della primitiva F di co, si consi­dapprima le forme difFerenziali a coefficienti differenziabili. Siano (x, y) coor­dinate reali locali di Z (come superficie differenziabile). Le o-forme sono le fun­

dera un cammino y che va da o ad a e si pone F (a) = f oi. Perché F sia uniformein a, occorre e basta che l'integrale f oi non dipenda dal cammino y scelto tra

zioni difFerenziabili f : Z ~R oppure f : X ~ C. Le n-forme sono nulle per n) z(poiché Z ha dimensione z). Le z-forme sono le densità f(x, y) dx dy, ove f

o ed a. Se y, e ys sono due tali cammini e y il ciclo y, — y„ la condizione ne­

g una n' una funzione differenziabile, e quanto alle r-forme (le piu interessanti ) esse cessaria e sufficiente d'uniformità in a è pertanto f o i = o e la condizione neces­Y

sono del tipo oi = a(x, y) dx+b(x, y) dy ove a(x, y) e b(x, y ) sono funzioni, i­' dif­ saria e sufficiente d uniformità globale è J„u = o per ogni ciclo y.

ferenziabili. Tra le i-forme a valori complessi, vi sono le i-forme olomorfe (ri­ Si può dedurre da tale condizione che esistono essenzialmente due tipi di

spettivamente meromorfe) del tipo ohi =a(z) dz, ove a (z) è una funzione olo­

Cicloomologicamente triviale Ciclo

non omologicamente triviale Tl Y2

Figura 7.Figura 6. Base di cicli coniugati del doppio toro (g = z).Non tr iv ial ità dell 'omologia del toro (g = i ).

Locale/globale 4.52 453 Locale /globale

ostruzione all'uniformità delle primitive, l'uno locale e l'altro globale. Si con­ TEQREMA. Una I ­forma chiusa oI è esatta se e solo sef co = o per ogni cicloy, cioe se e solo se tutti i suoi periodi sono nulli. Y

sideri dapprima quello locale. Sia oI =a (z) dz e Z a „ (z — z~)" lo sviluppo din = ­ N'

In generale si possono considerare i funzionali lineari I che associano a unLaurent (che generalizza lo sviluppo di Taylor) nell'intorno di un polo z«di oI.Nell'intorno di zo, F si ottiene integrando la serie di Laurent termine a termine.

ciclo y un numero complesso I (y) che dipende linearmente da y. Diconsi chiusi

Se np — I, l'integrazione di (z — z«)" dà (z — z«)"+'/(n+ I ) che è uniforme. Sei funzionali che si annullano sui bordi. Questi sono le forme lineari sullo spa­

però n = — I, l'integrazione di (z — z«) dà log(z — z«) che è una funzione mul­zio vettoriale H, quoziente dello spazio dei cicli per lo spazio dei bordi. Il loro

tiforme. Infatti il logaritmo d'un numero complesso z = pe's è dato dalla formula spazio H' è dunque il duale di H, (cfr. l'articolo «Dualità» in questa stessaEnciclopedia). Di qui il nome di spazio di coomologia attribuito ad H'.

(9) logz = log p+ t (i9'+ z'), La teoria coomologica delle I-forme permette di r isolvere concettualmen­

ove Kc Z. Tale ostruzione locale all'uniformità s'esprime attraverso la nozionete il problema degli integrali abeliani ed in particolare ellittici (si tratta del pro­

intrinseca di residuo. Il residuo di oI in uno dei suoi Poli z«è il coefficiente a rblema inizialmente considerato da Riemann. Cfr. gli articoli « Invariante»,

$ I2 ,

che ha un significato indipendente dalla scelta della coordinata locale z ed è datoe «Funzioni», $ 7, in questa stessa Enciclopedia ).

6) Cdalla formula

) ome si è già notato, le primitive delle I-forme su una superficie di Rie­mann Z possono essere multiformi. Si possono però rendere uniformi sul rivesti­mento universale Z di Z. Tale nozione di rivestimento è al centro della topologiaalgebrica. Data una superficie astratta Z (connessa) si chiama rivestimento (non

ove y è un «piccolo» ciclo (orientato positivamente) attorno a z«(«piccolo» si­ramificato) di Z una superficie L' munita di una proiezione I r : Z'~ Z che è

gnifica che y è contenuto in un intorno semplicemente connesso di z«). Se oIun omeomorfismo locale di fibra discreta. Ciò significa che l'immagine inversa

ammette residui non nulli v'è ostruzione locale all'uniformità della sua primitivamediante n di un aperto abbastanza piccolo A di Z è una «pila» di aperti di L'

F, poiché F presenterà singolarità logaritmiche,omeomorfi a A, Il caso banale è quello in cui L' è globalmente una «pila» di

Si noti a questo proposito uno degli aspetti cruciali della solidarietà locale/esemplari di Z, cioè il prodotto diretto di Z per una fibra discreta. Z' è alloranon connessa. Il caso non banale è quello in cui L ' è connessa. Per esempio

globale. identificando le coppie di punti antipodali di una sfera $«si fa di S~ un rivesti­TEQREMA DEI REsIDUI. La somma dei residui di una I- forma meromorfa su di mento connesso a due fogli del piano proiettivo reale.

una superficie di Riemann compatta Z è sempre nulla. La teoria dei rivestimenti fornisce un ottimo esempio di unità della matema­

Applicando tale teorema alla I-forma [ f ' (z) dz]/[ f (z) — c] si mostra facil­tica, cioè d'isomorfismo tra teorie i cui domini di oggetti sono molto diversi.

mente che una funzione f meromorfa su Z prende esattamente lo stesso nu­Essa è infatti formalmente identica alla teoria di Galois delle estensioni algebri­che dei corpi.

mero di volte ogni valore ce C. In particolare il numero di poli di f (contati con Rila loro molteplicità) è uguale al numero dei suoi zeri (contati con la loro mol­

'prendendo in esame le superfici di Riemann, esse possiedono rivestimentiche sono ancora superfici di Riemann. Peraltro esiste un teorema di classifica­

teplicità). zione delle superfici di Riemann semplicemente connesse.Venendo ora al problema dell'ostruzione globale all'uniformità, si eliminano

dapprima le ostruzioni locali considerando soltanto le I-forme meromorfe pri­ TEOREMA (Koebe). Ogni superficie di Riemann semplicemente connessa è ana­ve di residui. Si dimostra che questa condizione locale dipende dal livello dif­ liticamente isomorfa alla sfera di Riemann C (cioè alla retta proiettiva complessaferenziabile e si esprime affermando che il differenziale do' di co è la 2-forma Pl I<), oppure al piano complesso C, oppure all'interno A del disco unità di C.nulla. Tali I-forme diconsi chiuse e si chiamano esatte le I-forme chiuse parti­colari che sono i differenziali oI = df di o-forme (cioè la cui primitiva è uni­ Osservazione: La struttura analitica di A ne fa un modello del piano iper­

forme). Le forme esatte sono chiuse poiché d« = o. Le x-forme chiuse sono bolico (cfr. ) 2.I ). A ciò è dovuto il fatto che la geometria iperbolica è rientrata

dunque le I-forme localmente esatte.nell'universo standard di ogni matematico.

Il primo risultato è che l'integrale f„~ di una I-forma chiusa oI su un ciclo Perciò ogni superficie di Riemann si ottiene come quoziente di C, C oppure

y dipende solo dalla classe d'omologia di y ed è dunque nullo se y è il bordo diA rispetto a un gruppo di automorfismi della loro struttura analitica. In partico­

un disco di Z. L'ostruzione globale all'uniformità delle primitive delle I-formelare è questo il caso per le superfici di Riemann compatte. Il genere o corri­

chiuse proviene dunque essenzialmente dal fatto che l 'omologia di Z è nonsponde a C, il genere I (curve ellittiche) ai quozienti di C rispetto a dei reticoli,

triviale, cioè il suo genere non è nullo. Se y è un ciclo che non è un bordo, l'in­i generi g) I a quozienti di A rispetto a gruppi (discreti ) di automorfismi della

tegrale f oI si chiama un periodo di oI. Si ha il seguente teorema:sua struttura iperbolica (gruppi fuchsiani). Se allora si considera una I-forma

Y

Locale /globale 454 4.55 Locale /globaleor su una superficie di Riemann compatta Z, e se si suppone che sia chiusa, cioèche l'ostruzione all'uniformità della sua primitiva F sia globale e provenga dal­

Si consideri il grafico di f. Si tratta di una curva Cz del piano R'. Si vuole

l'omologia non triviale di Z, tale ostruzione scompare allorché si risale a Z. Cal­che le funzioni f e g rappresentate nella figura 8 siano equivalenti. Cosa c'è dicomune tra f e g? Qual è il dato qualitativamente invariante che determina fe­

colata in Z, la primitiva F di oi diventa globalmente uniforme. Dire che F è già nomenologicamente l'equivalenzaf g ?uniforme su Z è quanto dire che i suoi periodi sono nulli. Il lettore intuirà facilmente che tale dato si riduce all'informazione finita eOsservazione : Si è visto che nella concezione riemanniana z poteva essere con­

siderata solo localmente come una variabile indipendente e che globalmente zlocale che costituisce la «configurazione critica» di f, cioè:

era in effetti la proiezione d'un rivestimento ramificato z : Z~C. Si può dire a) il numero dei punti critici di f (ossia dei punti a tangente orizzontale diora che Z è i l luogo ove z r i torna ad essere globalmente una variabile indi­ Ct) e il loro tipo (massimo o minimo). Nell'esempio considerato, due mi­pendente. nimi m, e m, e un massimo Mi ,

b) l 'ordine m,(M i (ma di questi punti cr i t ici ;Per concludere la rapida rassegna dello straordinario rimescolamento di idee c) l'ordine f(m,) <f(ma) <f(M,) dei valori critici corrispondenti.

e di risultati generati dall'introduzione (da parte di Riemann) della dialetticaloca1%1obale nella teoria delle funzioni analitiche, andrebbe ancora ricordato

In base a una tale configurazione critica esiste un solo modo di ricostruire fil celeberrimo teorema di Riemann-Roch per il quale si rimanda agli articoli

a meno di equivalenze: la configurazione critica di f determina il suo tipo qua­litativo globale (fig. i1).«Geometria e topologia» e «Invariante» in questa stessa Enciclopedia. Certo, questa intuizione di cui i l lettore dovrebbe fidarsi s'imbatte subito

La generalizzazione di tale sintesi in dimensione superiore si è rivelata irtadi difficoltà (teoria delle superfici algebriche prima, degli insiemi algebrici poi )

— come del resto ogni intuizione — in notevoli difficoltà. I punti critici di f pos­e ha rappresentato la punta avanzata di tutta la geometria algebrica contem­

sono infatti essere piu complicati che non dei semplici massimi o minimi (pos­sono essere degeneri : cfr. oltre). Nonostante tutto, tale intuizione radicata nel­

poranea.Può allora sembrare che l'assenza di solidarietà loca1%1obale nel caso diRe­

la fenomenologia della percezione è originaria per un nuovo tipo di dialetti­

renziabile tolga ogni speranza di stabilire in tal caso una sintesi di cosf vasta por­ca tra locale e globale, il quale è matematizzabile e spalanca un vero e propriouniverso.

tata teorica e concettuale. Ma si vedrà che ciò è completamente falso e che la to­pologia differenziale moderna conduce a una nuova dialettica del locale e del

Verrà dapprima mostrato che la nozione di t ipo qualitativo introdotta in

globale che, pur essendo molto diversa da quella cui è stato fin qui accennato,modo intuitivo corrisponde infatti esattamente al principio naturale d'identità,

non è meno armoniosa ed elegante.che tiene conto dei seguenti fatti : a ) f è un'applicazione tra uno spazio sor­gente e uno spazio bersaglio; b) il livello di struttura che si considera è quel­lo differenziabile.

L'opposizzone locale/globale nella teoria delle funzioni: il caso differen­Il punto a ) può essere abbordato in un contesto generale (in qualche misura

ziabzle.è universale). Sia C la categoria (cfr. l'articolo «Applicazioni » in questa stessaEnciclopedia) degli insiemi muniti di un certo tipo di struttura. Sia Hom (M, N)l'insieme dei morfismi f : M~N tr a due oggetti M ed N di C, ossia l'insieme

4.r. I l paradigma catastrofista. delle trasformazioni che rispettano la loro struttura. Quale sarà l'identità strut­

Sia f : R~R una funzione C di una variabile reale a valori reali. Si è vistoturale, cioè il grado di discernibilità di un elemento fs Hom(M, N)? Essa deve

al ) 5.r che se essa non è analitica non sussiste alcuna solidarietà globale dellesue determinazioni locali. In modo intuitivo si può dire che la sua consistenza«non si traduce in formule»: non esiste espressione simbolica (algoritmo) chepermetta di calcolare f. Naturalmente i metodi del tipo sviluppo di f in serie diFourier permettono di approssimare f. Ma ciò non scioglie il nodo «filosofico»consistente nel fatto che l'identità di f è ideale (non costruibile). Si può dunquesubito ipotizzare che il principio d'identità concreto proprio di f sia qualitativo,cioè strettamente piu debole del principio d'identità classico e deve dunque es­sere definito come una relazione d'equivalenza (che verrà indicata con ) sullospazio $ delle funzioni P da R in R. Bisogna perciò concettualizzare quest'equi­ Figura 8.valenza che deve essere naturale.

Equivalenza qualitativa di due funzioni.

Locale/globale 456 457 Locale /globale

«corrispondere» al grado di discernibilità degli elementi della sorgente (M) e Osservazione : Ciò che s'è detto vale solo per quei diffeomorfismi di R che

del bersaglio (N) di f. Orbene, l'indiscernibilità degli elementi di un oggetto X si ottengono per deformazione dell'applicazione identica di R. Se si accettanodi C è misurata dalle «simmetrie interne» di X, ossia dal gruppo degli automor­ i diffeomorfismi di R ot tenuti per deformazione della simmetria x~ — x, viene

fismi di X, o in altri termini dal gruppo delle permutazioni di X che lasciano in­ globalmente invertito sia l'ordine dei punti critici, sia quello dei valori critici,

variato l'insieme delle interrelazioni strutturali tra gli elementi di X. Si arriva sia entrambi. L'essenziale è però che un diffeomorfismo non può invertire tali

dunque in modo naturale alla seguente definizione. Sia GM (rispettivamente ordini Parzialmente e Passare Per esemPio dall'ordine mt<MI <mz<1VI» all'or­

Gv) il gruppo degli automorfismi di M (rispettivamente di N). Il prodotto di­ d ine mt<M»< »<MI .

retto G = GM x Gz opera in Hom (M, N) e definisce in esso delle classi d'equi­valenza. Ciò ch'è stato dunque battezzato il tipo qualitativo di f è semplicemente il

DEFINIzIoNE. Sianof e g due elementi di Hom(M, N). f e g sono equivalenti suo tipo differenziabile. Questa nozione cruciale chiarisce e riduce in maniera

( f g) se esistono un automorfismo q>e G> e un automorfismo I]I eGM tali che il sostanziale lo scarto, di cui al ) 5. I, tra la struttura locale di una funzione dif­

diagramma ferenziabile e il suo sviluppo di Taylor. Sia fe%. I troncamenti successivi diM N T f che esprimono la migliore successione di approssimazioni locali dif me­~ l l > diante polinomi diconsi getti di f in xp. Sebbene T,, f non rappresentif in xp,M ~ N può ragionevolmente avvenire che f sia localmente equivalente ad uno dei suoi

getti. In tal caso si afferma chef è di determinazione finita in xp. Se per esempio

sia commutativo, cioè tale che g = ) of o r(I f' (xp) go, si può dimostrare chef è determinata dell'ordine I in xp: mediante uncambiamento differenziabile di coordinate, f si scrive in un intorno di xp nella

Passando allora al punto b), poiché il livello di struttura considerato è quello forma f(x) = f(xp)+ (x xp) f (xp) • Analogamente, se xp è un Punto critico d'or­differenziabile, si devono considerare il gruppo Diff R dei diffeomorfismi di R dine z (punto critico non degenere), f è determinata dell'ordine z in xp: median­(cioè degli automorfismi della struttura differenziabile di R) e l'azione di G = te un cambiamento differenziabile di coordinate f si scrive in un intorno di xp= Diff Rx Diff R sullo spazio $ delle funzioni 8 d i R i n R: f , g e%saranno nella forma f(x) = f(x,)+ (x — xp) [f (xp)/z].equivalenti se esistono <AI, I]I e Diff R tali che g= $ o fo t(I '. Orbene, è facile ve­ La nozione di determinazione finita, che può essere generalizzata, è program­dere che ciò che è comune a una classe d'equivalenza, o in altre parole ciò che matica. Nel caso differenziabile si cerca di « trasferire» nei cambiamenti di coor­è invariante rispetto all'azione di G, è esattamente la configurazione critica delle dinate lo scarto tra il differenziabile e l'analitico-algebrico e si analizza «ciò chefunzioni. Piu precisamente, se xp è un punto cr i t ico di f, la serie di Taylor resta» dopo tale passaggio. Nei casi favorevoli, ciò che resta è algebrico e per­T, f di f in x p i n i z ia (a parte i l termine costante f(x,)) con un termine mette dunque il calcolo. Ecco uno dei tanti esempi. Sia X un campo di vettori(x xp) [ f (xp)/n!]. L' intero n dicesi ordine del punto critico. I d iffeomorfi­ 8" su una varietà differenziabile M Ciò significa che ad ogni punto x di Msmi mantengono l'ordine dei punti critici e il segno di f"(xp) (cioè la qualità si associa un vettore X (x) tangente ad 1VI in x e che varia in modo differenzia­di minimo, di massimo o di punto di ffesso anche degenere) come anche l'ordine bile al variare di x. Dato un punto O di 1VI, si vuoi sapere se, a meno di equi­rispettivo dei punti critici e dei valori critici. valenze, X è localmente di forma semplice in O. Se X(O)+o, i l classico teo­

rema d'esistenza delle soluzioni di un'equazione differenziale del prim'ordineafferma che X è equivalente nell'intorno di O ad un campo costante. Se X (O) =

Cr = o, cioè se O è un punto singolare del campo X, si tratta di sapere sotto qualicondizioni X è localmente determinato dal proprio getto d'ordine I ossia equi­

f(Mr) valente al campo lineare X di coordinate

f(m,)f(m,)

(ove (x„ . .., x„) sono coordinate locali di M in O ed X, le coordinate di X ). Intal caso si dirà che X è linearizzabile (in O). Sia A la matrice n x n

m, M, m,

Figura Iy. A = '(O) .La configurazione critica di f determina globalmente il suo tipo qualitativo.

Locale/globale 45g 459 Locale /globale

È facile dimostrare che i suoi autovalori A„ . .., A„sono degli invarianti del tipodifferenziabile di X. Si ha allora il seguente risultato: 4 2. Stabilità e trasversalità.

TEQREMA DI PDINGARÉ-sTERNBERG. Se per ogni n-pia (i„ . . . , i „ ) d interi tali Un primo problema è quello di trovare dei criteri intrinseci e geometriciche

che i,+...+i „ ) z , e se per ognz' j e ( I, ..., n) si ha A; — piz.)tu~o, allora X è l i­caratterizzino la stabilità strutturale definita per ora in modo puramente «ester­

nearizzabile (in O).no» rispetto a uno spazio globale P. Si riprenderà il caso in cui l' è uno spazio difunzioni differenziabili f : M~ R di una varietà differenziabile M nella retta reale

[Per la dimostrazione di tale teorema e delle sue conseguenze ci si può rife­ (teoria di Morse). Si accennerà invece qui a un problema risolto da Whitney cherire a Roussarie I975]. dà origine al «programma di Thom-Smale» sullo studio delle singolarità delle

applicazioni differenziabili (per i legami con la struttura di M cfr. oltre, p. 4pz ).Ma si può andare ben piu lontano. Lo spazio $ è infatti munito d'una topo­ Si analizzino ora dal punto di vista « fenomenologico», ossia qualitativo, le

logia, detta topologia P, adattata al l ivello differenziabile, ossia la topologia applicazioni differenziabili f : R'~R» del piano in sé. Una talef associa a undella convergenza uniforme di f e di tu t te le sue derivate sui compatti di R. punto x = (x,, xa) di R' un puntof(x) = (f,(x„ xa), f , (xt xa)) di R . Localmen­Orbene dal momento in cui si dispone su un insieme di una topologia e di te due casi sono possibili: f è un diffeomorfismo oppuref non lo è. Nel primouna relazione d'equivalenza è possibile definirvi una nozione di stabilità strut­ òf;caso la jacobiana j (x) di f in x, cioè la matrice z x z: — '(x) ( i , j = I z) m a­turale.

l ) )

.I

DEFINIzIQNE. Si dzce chefe $ è strutturalmente stabile se esiste un intorno dz'trice dell applicazione tangente D~f : T,R ' ~ T R ,~R di f in x ( c f r. l 'articolo

f per la topologia di $, tutti gli elementi del quale sono equivalenti ad f.«Differenziale» in questa stessa Enciclopedia ), è invertibilé, cioè a determinantenon nullo. Si dice allora che x è un punto regolare di f. Se x è regolare, f è local­

In altri termini, f è strutturalmente stabile se il suo tipo qualitativo «resiste» mente equivalente all'applicazione identica Id : R»~Rz ed è dunque in un cer­

a piccole deformazioni. to senso localmente banale. L'«informazione» che caratterizza fenomenologica­

Sia allora K l'insieme degli elementi di $ strutturalmente instabili. K dicesi mentef non può dunque provenire che dai punti in cuif non è un diffeomorfismol'insieme di biforcazione (o l'insieme catastrofico) globale di $. Oui s'introduce locale, cioè dai punti in cui la jacobiana non è invertibile. Tali punti diconsi pun­

una nuova idea chiave: K è un sottospazio discriminante che classifica i tipi ti singolari o punti critici di f. Si ritrova dunque, in un piu largo contesto, l'idea

qualitativi stabili degli elementi di $. È in effetti intuitivo che se si vuole pas­ di «configurazione critica». Ma la struttura singolare di f può essere estrema­sare da un tipo stabile a un altro, il principio di continuità esige a priori che si mente complicata e può percorrere tutti gli stadi che vanno dalle applicazioni

passi per un tipo instabile intermedio, cioè che si attraversi K: K decompone massimamente singolari quali le funzioni costanti alle applicazioni ovunque rego­

%+K in «cellule» aventi per bordo K ed associate ai tipi stabili. Almeno nei ca­ lari quali i diffeomorfismi globali del piano. La grande idea dovuta a Whitney è

si semplici, K avrà una geometria relativamente tipica. Il problema sarà dun­que di vedere in qual misura la decomposizione di $ in orbite di G (cioè in clas­si d'equivalenza) può «leggersi» sulla geometria di K (che è evidentemente G­ — — --Punto d'increspaturainvariante). Cosi nasce un nuovo paradigma, il paradigma catastrofista, che dauna parte riposa sullo stato globale «eccitato» (nel senso del ) I) dell'universomatematico costituito dalla topologia differenziale moderna e dalla teoria delle ~-- — — - Punto di piega

singolarità, dall'altra dà adito a una fusione totalmente nuova dei principi della l

filosofia naturale (cfr. l'articolo «Catastrofi» in questa stessa Enciclopedia). Laforza di tale paradigma proviene dal fatto che offre la prima interpretazione ma­tematica globale e coerente di un fenomeno universale che la scienza classica ha Csempre tentato di rifiutare e che la filosofia, al contrario, ha sempre fatto di tutto

f(~) ~ Punto dt cusptde

per conservare, cioè quello della trasformazione delle forme. ~-- - -Punto di piega

Se ne indicherà ora qualche aspetto.a)

b)

Vigul"à IO.

I due modelli canonici del teorema di Whitney: a) piega, b) increspatura.

Locale/globale 46o 46I Locale/globale

allora quella di limitarsi alle applicazioni strutturalmente stabili e di dimostrare ma generica una proprietà soddisfatta su un insieme residuale) (cfr. il citato arti­che il vincolo di stabilità è abbastanza forte per classificare le possibili singo­ colo «Geometria e topologia», p. 685).larità di f. Ecco due estreme conseguenze di questo fondamentale teorema. Si consideri

T EQREMA DI wHITNEY. S e f è un'applicazione differenziabile strutturalmente dapprima il caso di applicazioni differenziabili f : M~ R . S ia n la dimensionestabile del piano nel piano: d i M e (x„ x 2, ..., x„) un sistema di coordinate locali in xe M. Sia x un punto

critico, cioè òf/òx, = . . . = òf/òx„ = o in x (tale proprietà è intrinseca, ossia nona) il luogo critico di f (cioè l'insieme dei punti critici di f ) è una curva regolare dipende dal sistema di coordinate scelto ). Si consideri la matrice simmetrica

Z (eventualmente vuota) di R2; delle derivate seconde di f in x, detta hessiana dif in x,b) l'immagine di Z mediantef è una curva C di R' che ammette come sole sin­golarità possibili punti di regresso isolati y;;

c) se xè un punto di Z la cui immaginef(x) appartiene a C ­ (y;), f è local­H(x) = (x)

mente equivalente in x al modello canonico (XI x2 ) ~ (xr x 2);d) se x è un punto di Z la cuiimmagineè uno dei y,,f è localmente equivalente Si dice che x è un punto critico non degenere di f se H(x) ha rango mas­

in x al modello canonico (XI x2 ) ~ (xr xIx2+x2). simo n.

È abbastanza facile visualizzare i modelli canonici c ) e d) di tale teorema. TEOREMA, Genericamente i punti critici di un'applicazione f : M~R sono nonBasta «storcere» la sorgente R2 (supposta immersa in R») in modo chef diventi degeneri ed isolati.

una proiezione. Nel primo caso si ottiene una catastrofe detta catastrofe piega Dimostrazione: Localmente g' (M, R) ha coordinate (XI ... x>) per M, ye nel secondo una catastrofe detta catastrofe cuspide o catastrofe increspatura per R e (FD ..., F„) per la fibra. Sia S I il sottospazio di j (M, R) degli I-getti(fig. IO). (xs, ..., x„, y, o, ..., o), x è punto critico se e solo sej f(x)e S,.Il contenuto e il valore del teorema di Whitney si chiariscono nell'ambitodei getti (cfr. l'articolo «Geometria e topologia», p, 684, in questa stessa Enciclo­ LEMMA. x è non degenere se e solo sej 'f è trasversoin x ad S,.pedia). L'idea fondamentale è allora che la stabilità di f s'esprime mediante pro­ Dimostrazione: j' f è l 'applicazione (differenziabile) che associa al puntoprietà di trasversalità (ibid., p. 688) delle immagini j»f(R 2) rispetto a certi sotto­

(XD , Xn) di M il puntospazi degli spazi di getti P(R 2, R2).

Ciò che può essere battezzato «programma di Thom» consiste nel generaliz­

(x„..., x„, f(x), — (x), ..., — (x)òf òfzare l'analisi fin qui vista alle applicazioni difFerenziabili tra varietà arbitrarie enel cercare modelli canonici per le singolarità stabili (generalizzazione dei puntic) e d) del teorema di Whitney ). Gli strumenti algebrici fondamentali sono co­ di j ' (M, R). La sua jacobiana in x è dunque la matrice a zn + I righe ed n co­

lonne :stituiti dal teorema di preparazione di Malgrange e dalla teoria della stabilitàdi Mather [tali argomenti si trovano esposti per esempio in Golubitsky e Guil­ I O

lemin Ig78 e Poenaru I974j. O I

4.3. Genericità della stabilità.

Dopo aver studiato certi criteri intrinseci di stabilità strutturale, è naturale o

domandarsi se tale proprietà soddisfa l'esigenza intuitiva secondo la quale ogni òfforma instabile può essere stabilizzata mediante piccole deformazioni. Si sa già òx,che, per definizione, la stabilità strutturale è una proprietà aperta. Si tratta ora ò»fdi sapere se è una proprietà densa. Questo problema è importante per il fatto òx',che la non-densità può indicare dei limiti essenziali al concetto di stabilità.

Questo problema è dominato da una parte da una proprietà topologica ge­nerale degli spazi funzionali che intervengono in questo tipo di riflessione, pro­prietà secondo la quale un'intersezione numerabile di aperti densi è un sotto­insieme denso (detto residuale) e dall'altra dal teorema di trasversalità di Thom, ò2f ò2fsecondo cui generalmente le proprietà di trasversalità sono generiche (se si chia­ òx,'

Locale /globale 46z 463 Locale /globale

Se u = (ui ... Q„) è un vettore tangente ad M in x, la sua immagine mediante TEQREMA DI MATHER. Le applicazioni strutturalmente stabili di una varietàl'applicazione tangente aj 'f è dunque il vettore di coordinate: di dimensione n in una varietà di dimensione p sono dense se e solo se

( òf òf ò'f ò'f ò'f ò'f a) p )n +4 e p (7(p n ) + 8' " ' " ' ò x , ' ­ òx„" ' òx,' '

­òx,òx„ " '" ' ò x „òx, ' "

òx»"= b) o <p — n<3 e p<7(p — n)+9

c) p=n — I e p<8d) p = n — z e p(6

òf òfu> ui+ ... + Q~) HQ e) p<n — 3 e p<7.'òx, ' òx„

In particolare per p = i (caso f : M~R ) , n = z e p = z (caso f : R'~R~),Se x è critico, dire chej 'f è trasverso in x ad S, significa che si possono ottenere p) zn (caso delle immersioni ) le applicazioni strutturalmente stabili sono dense.in tal modo tutti i vettori (u, o, m). Ma ciò significa precisamente che l'equa­ Osservazione: Se s'indebolisce il tipo differenziabile nel tipo topologico, al­zione Hu = re è risolubile per ogni vettore w e dunque che H è invertibile, os­ lora la stabilità strutturale è sempre una proprietà generica.sia di rango massimo in x.

Dato questo lemma, la prima parte del teorema è una conseguenza diretta4.4. Geometria discriminante e catastrofi elementari.del teorema di trasversalità. Quanto alla seconda, essa discende dal fatto che

poiché $, ha codimensione n, sej ' f è trasversa ad S', j' f ( $ , ) è anche di co­ Si vedrà ora in che modo viene affrontato, nel quadro del paradigma cata­dimensione n e dunque di dimensione o. strofista, il problema dell'instabilità. S'è visto che l'insieme di biforcazione glo­

Osservazione: Se x è un punto crit ico di f, f (x) dicesi valore critico di bale K dello spazio l' «geometrizza» la tassonomia delle forme stabili. Il pro­f. Si fa vedere con metodi analoghi che genericamente i valori critici sono di­stinti.

blema è dunque di analizzare, almeno localmente e se possibile globalmente,tali geometrie discriminanti,

Si consideri ora il caso delle applicazioni differenziabili f : M~ N ove N, Sia dunque fc K una forma instabile. Bisogna descrivere la geometria di Kinvece di essere di dimensione piccola come R, è di dimensione «grande» ri­ nell'intorno di f. La situazione «ideale» sarebbe la seguente:spetto a quella di M. Si può sperare che esisteranno sufficienti gradi di libertàaffinché : a) f diventi genericamente un'immersione, ossia che in ogni punto di a) La classe d'equivalenza G (f) di f è una «sottovarietà»(in generale di di­M l 'applicazione tangente di f sia iniettiva (questa è una nozione locale) ; mensione infinita ) di $ di codimensione finita (detta codimensione di f ).b) f diventi un' immersione iniettiva, od anche un'immersione regolare (em­ b) Esistono localmente dei supplementari W di G(f), ossia delle sottova­bedding) (questa è una nozione globale). rietà di dimensione uguale alla codimensione di f e trasverse a G(f) in

Tale è ad esempio il contenuto del seguente teorema di Whitney che può es­ f (si avrà dunque G ( f ) p W = ( f )). Tali supplementari si diranno sezio­sere ottenuto come corollario del teorema di trasversalità: ni trasverse.

c) La geometria della traccia di K su W, c ioè la geometria della coppiaTEQREMA DI IM M ERsIQNE (Whitney). Se dim N ) z dim M, le applicazioni (W, Kir ­— WgK) resta invariante allorché W varia nell'insieme delle

differenziabili di M in N sono genericamente delle immersioni. sezioni trasverse. (W, Kir) si dirà modello trasverso di centro organizza­tore f.

Analogamente si dimostra che se dim N ) z d im M + i le applicazioni dif­ d) Localmente K è i l prodotto diretto dell'orbita G (f) e di Kir (fig. II).ferenziabili f : M~ N so no genericamente immersioni iniettive. Ciò non vuoidire tuttavia chef sia un'immersione regolare poiché l'immaginef(M) di M me­ In generale la situazione è molto piu complicata e la sua analisi si rivela gran­diante f può essere talmente «ripiegata» su se stessa in N che la topologia in­ demente difficile. Ma nel caso delle applicazioni f : M~R d i codimensione pic­dotta su f(M) da quella di N può non essere omeomorfa a quella di M Si può cola si sono potuti dimostrare i punti a )-d). La cosa piu difficile è dimostrareperò dimostrare che se f è un'immersione iniettiva propria (cioè se l'immagine il punto c), nella misura in cui ci si pone nel campo reale ove a priori potrebbeinversa mediantef di ogni compatto di N è un compatto di M ), allora f è neces­ succedere che, quando W varia, certe parti di Kir diventino immaginarie. Il teo­sariamente un'immersione regolare. Se esistono dunque delle applicazioni pro­ rema di preparazione di Malgrange già citato è essenziale per la dimostrazione,prie di M in N, i l teorema di Whitney garantisce l'esistenza di immersioni re­ I modelli trasversi di funzioni reali di codimensione inferiore o uguale a 4golari di M in N . sono stati chiamati da Thom catastrofi elementari (cfr. l'articolo «Catastrofi»

Ecco infine il risultato, completo e notevole, sulla densità delle applicazioni in questa stessa-Enciclopedia). Eccone un esempio.stabili. Sia f : M ~R una funzione instabile. Si può mostrare che esistono due cau­

G(f) K465 Locale/globale

r/ /se essenziali d'instabilità per le funzioni: r ) alcuni punti critici sono degeneri;

// 2) alcuni valori critici sono uguali.

//

/È allora possibile rendere f stabile mediante piccole deformazioni: a ) facen­

Kz do «esplodere» i suoi punti critici degeneri in tanti punti critici non degeneri/ che li rigenerano per «collasso» o per « implosione» ; b) separando i valori critici.

Si ottiene cosi un insieme finito di stabilizzazioni distinte di f uti l izzandofunzioni instabili intermedie. Tali successivi gradi di stabilizzazione possonoessere « letti » direttamente sulla geometria di un modello trasverso di K in f, sot­to forma di una stratificazione.

Figura rr . Si consideri per esempio l'applicazione instabile f : R~R data daf(x) = x'.

Struttura locale ideale di K nel l ' intorno d'una forma instabile di codimensione finita. Essa ammette l'origine come unico punto critico degenere. Il suo grafico C> èuna curva di Rz che ammette nell'origine un punto di flesso «appiattito» (fig. iz).La derivata di f vale 5x 4 e diventa, per piccole perturbazioni, un'equazione ge­

Cr nerale di quarto grado che può genericamente possedere quattro radici comples­se a due a due coniugate, due radici complesse coniugate e due radici reali di­stinte, oppure ancora quattro radici reali distinte. Questi tre casi corrispondonoai tre tipi fondamentali di funzioni stabilizzate di f presentati nella figura I3.

Poiché f non può piu diventare singolare per piccole deformazioni (infattila proprietà di stabilità è una proprietà aperta e per questo il processo di stabi­lizzazione è irreversibile), è ovvio che ogni intorno sufficientemente piccolo di

Figura iz. f è costituito da funzioni stabilizzate e da funzioni di transizione parzialmentestabilizzate (tab. i) ove gli m; (rispettivamente gli Mt) indicano i minimi (rispet­Grafico di f (x) = x'.tivamente i massimi ) non degeneri.

Fin qui si tratta soltanto di tassonomia (lista di casi). Bisogna ora vedere co­me la morfologia discriminante K permette di geometrizzare tale tassonomia. Lasingolarità x' è una catastrofe elementare; perciò i punti a ) e d) (p. 463) sonovalidi e basta dunque considerare un modello trasverso (W, K it) (fig. i4 ). Sipuò dimostrare che xs è una singolarità di codimensione 3.

La sezione trasversa W ha dunque dimensione 3. Kiv geometrizza la tasso­nomia nella misura in cui :

Nessuna radice reale Due radici reali Quattro radici reali a) K< è una superficie che decompone W in sette cellule aperte disgiunteFigura i3 . corrispondenti ai sette tipi di funzioni stabilizzate di f;Tipi fondamentali di funzioni stabilizzate di f(x) = x ' . b) i gradi d'instabilità intermedi possono essere «letti » sulla stratificazione

di Kiv che rende fenomenologica la decomposizione di Kiv in orbite sottol'azione di G. Piu precisamente Kii si compone di strati di dimensione 2(ossia di codimensione i ) in corrispondenza alle instabilità di codimen­sione i che garantiscono le transizioni i -2i I 2 » 2i 3 2» 3 3 4 4. 5 4 6,5-2, 6-2, 5-7, 6-7, 7-2. Questi strati si incollano lungo strati di dimen­sione i (cioè di codimensione 2) corrispondenti alle instabilità di codi­mensione 2 che garantiscono le transizioni I 2i 2z 3 2i 3 4 5 2s 3 4 6,4-5-6-7, 2-5-7, 2-6-7, Infine tali strati si incollano nel punto f, centroorganizzatore della morfologia ;

c) la morfologia Kii è invariante quando si contrae W. Dal punto di vistaFigura i4.topologico si tratta di una morfologia tipo «cono» di vertice f.Modello trasverso della singolarità xs, detta coda di rondine.

Locale /globale g66 467 Locale/globale

Tabella r. Osservazione; È chiaro in che cosa la stratificazione di K — che, si ricordi,Funzioni stabilizzate e parzialmente stabilizzate di transizione. coincide in questo caso con la decomposizione di K in G-orbite — è fenomeno­

logica: per disegnare K„, «occorre e basta» disegnare la sua stratificazione, leNessun punto critico. 5-21 Per collasso di ms ed Ms. linee di autointersezione e i suoi spigoli di regresso. Benché in apparenza ano­

dina, questa osservazione ha una grossa portata filosofica poiché mette in luceUn massimo e un minimo. il fatto che le morfologie discriminanti che geometrizzano le tassonomie evi­Vi sono due possibilità: ms < m1 < M1 < Ms. denziano un'intuizione originaria. Inoltre, per l ' ipotesi ontologica della teoria

delle catastrofi questa intuizione originaria viene ad essere donatrice di signi­21

ficato.

21 6-4 m ,<m,<M,< M , . Il modo con cui Kiv geometrizza la tassonomia dei successivi stabilizzati dif è rappresentato nella figura rg, che va attentamente esaminata.

Flesso semplice. Transizio­ne tra 1 e z. Vi sono due pos­ 6-2, Per collasso di m, ed M,.sibilità (r-z, e 1-zs) a secon­ 4.g. Dispiegamento universale.da che collassi la coppia m„M» oppure la ms, Ms. In ciò che precede W è una sezione trasversa, in $, dell'orbita G(f) di f.

Due minimi e due massimi.Tale caso, di complessità +

M ™' m1 < ms < M1 < Ms. D'altronde, poiché W è una sottovarietà di $ di dimensione n=codim f, essaè diffeomorfa ad un intorno U dell'origine di R", grazie ad un diffeomorfismo

massimale, è unico. Si sup­ rp : U~ W. Siano allora u = (u» ..., u„) le coordinate di U e (g» ..., g„) le im­Per collasso di ms ed M,.porrà ch' esso corrisponda al­ 7-2 magini mediante cp dei vettori unitari di U (si può supporre che U contenga la

QM,l'ordine : sfera unitaria di R"). Ogni funzione g di W si scrive g = f+uigi+ ... +u„ga = f„.

W si può dunque interpretare come una famiglia f„d i funzioni parametrizzate7-5 m ,<m,< M , = M,. da U. In generale si chiama dispiegamento di f ogni famiglia f, parametrizzata

32 Transizione tra 3 e z. Vi so­ da uno spazio di controllo (T, o) tale che fo = f. Il d ispiegamento ora conside­no due possibilità: rato e che «esternalizza» in qualche modo la struttura di $ nell ' intorno di f è

7-6 m, =m,( M , < M , . in una certa misura il «miglior» dispiegamento di f, poiché permette di rico­Per collasso di m, ed Ms struire tutti gli altr i .

TEQREMA. Ogni dispiegamentof, di f si puo ottenere come immagine reciprocaI-21-za-3 Due punti di flesso

3-z,. Per collasso di m 1 ed M1 di fu mediante un'applicazione $ : T~ U unica al prim'ordine.

fu prende il nome di dispiegamento universale di f, proprio perché risolve il

+M,21-3-4-5 Un punto di flesso all'altezza precedente problema universale.

m ,<m,(M , < M , . di m1 (becco). Un problema tecnico e difficile è allora quello di trovare un modello cano­nico di dispiegamento universale sul quale sia possibile far calcoli. Nel caso

,, QM,z,-3-4-6 Un punto di flesso all'altezza della singolarità x si dimostra che un modello canonico e f„ = x +u,xs+u,x'+

m,<m, = M,<M,. di M,. +u»x. Ciò permette di costruire Kir con facilità.L'esistenza di dispiegamenti universali permette d'altra parte di mostrare

4-5-6-7 m,=m, < M , = M, che la teoria della stabilità delle applicazioni f : M~R è indissociabile da quellam1 < ms < Ms < M1. delle applicazioni f : M~ N . Di re infatti chef„è un dispiegamento universale

257 Collasso di M1, ms e Ms(cu­ di f equivale a dire che l'applicazione F : M x U~R x U, che porta (x, u) inspide duale). ( f„(x), u), è la piu semplice applicazione di questo tipo che sia strutturalmente

4-5. m,=m,< M , ( M , . stabile.z-6-7. C ollasso di m„ M1 ed ms

(cuspide).

Locale /globale 468 469 Locale/globale

4.6. La dialettica locale/globale nei dispiegamenti.

I dispiegamenti delle singolarità forniscono un nuovo paradigmadi dialetticatra il locale e il globale. La nozione di stabilizzazione (parziale o totale) intro­duce una relazione di preordine o di incidenza tra singolarità. L'asimmetriadi questa relazione, esprimente in qualche modo l'irreversibilità dei processi distabilizzazione, può sembrare un po' paradossale. Essa discende dal fatto chela proprietà di stabilità è aperta. Se dunque per «esplosione» di un punto criticoo per separazione di valori critici di f si stabilizza f in f, per deformazione in­finitesimale, non si può «tornare» da f, ad f che per deformazione finita. Me­diante deformazioni infinitesimali si può soltanto, una volta raggiunta f „ o t te­nere di nuovo f„ Poiché fs è stabile.

La dialettica locale/globale inerente al concetto di dispiegamento si esprimeallora col fatto che un modello trasverso ad una singolarità contiene modelli tra­sversi di tutte le singolarità incidenti a questa. Si consideri per esempio un pun­to di transizione g del tipo z-p : ~ ne l casof(x) = x . g possiede come sola in­

22 stabilità un punto di piega, ossia un punto di flesso semplice. Orbene, un puntodi flesso semplice ammette come modello trasverso il modello unidimensionaledella figura r6. Ma una qualunque sezione trasversa a K~ in g (cioè ogni arcotrasverso in g allo strato di g) fornisce un tale modello (fig. z7).

Si consideri analogamente un punto h del tipo z-6-7, h possiede come unicainstabilità una cuspide; essa ammette come modello trasverso il modello bidi­mensionale della figura r8. Ma un tale modello è fornito da una qualsiasi se­zione trasversa a Kg in h (cioè una qualsiasi sezione piana trasversa in h allostrato unidimensionale di h ) (fig. r9).

Un modello trasverso (W, K>t.) di f s'interpreta dunque come un incolla­mento di modelli trasversi delle singolarità incidenti ad f. Come dispiegamentodel centro organizzatore f, (W, Ktt.) è una entità locale. Come incollamento didispiegamenti piu semplici, (W, Ktt) è invece un'entità globale. Se tale mo­dello venisse rappresentato, secondo quanto proposto da Zeeman, come una«parola» (globale) composta di «lettere» (locale), si concluderebbe che in talecurioso alfabeto ciò che è «parola» composta è indistinguibilmente «lettera» ir­riducibile. La dialettica locale/globale, associata al concetto di dispiegamento,

Figura r5. l 'igura r6.

Geometrizzazione della tassonomia delle successive funzioni stabilizzate di f(x) = x s . Dispiegamento universale d'un punto di flesso semplice.

x6

Locale /globale 47o 47t Locale jglobale

fornisce dunque un paradigma in cui la nozione classica di livelli gerarchici ele opposizioni presunte universali semplic %omplesso, compost%rriducibile,

I I I I I 'I

loca1%1obale, atom%mmasso, component %istema, ecc. diventano non per­tinenti. Infatti questo paradigma geometrizza in una certa misura quello dellamonadologia leibniziana.

La teoria di Morse come passaggio dal locale al globale.

Dopo aver indicato alcuni aspetti del paradigma catastrofista, si riprende ora

Figura r7. la sua idea centrale, ossia che, nel caso differenziabile, il vincolo di stabilità

Ogni sezione trasversa di Ks in g è un modello trasverso di g. strutturale permette di ripassare dal locale al globale, ma con modalità tutta di­versa da quella del prolungamento analitico. Il caso piu chiaro e piu tipico atal riguardo è fornito dalla teoria di Morse e dalle sue applicazioni.

g.z. Funzioni di Morse e presentazioni per anse.

Si è visto che le applicazioni differenziabili f : M~R s ono genericamentequelle a) che ammettono solo punti critici non degeneri isolati ; b) che possiedo­no valori critici tutti distinti. Tali funzioni si chiamano funzioni di Morse (suM). Se ci si limita a considerare varietà M compatte al fine di evitare le insta­bilità dovute all'eventuale accumularsi dei punti critici all'infinito, si può dimo­strare che le proprietà a) e b) sono caratteristiche della stabilità strutturale.

TEQREMA. Sia M una varietà compatta.f : M~R è s t rutturalmente stabilese e solo se è una funaione di Morse. Essa ammette allora un numerofinito di punti

Figura r8. critici non degeneri aventi valori critici tutti distinti.Dispiegamento universale di una cuspide. Su di una varietà compatta esistono dunque due sole cause d'instabilità per

le funzioni : il degenerare di punti critici e il coincidere di valori critici. La primadà origine per dispiegamento alle catastrofi dette di biforcazione e la seconda al­le catastrofi dette di conflitto.

Si vedrà ora che le funzioni di Morse sono intimamente legate alla strutturaglobale della varietà M. Sianof una funzione di Morse su M (di dimensione n)ed xe M un punto critico di f. Poiché x per definizione è non degenere, lo svi­

I I l I lluppo di Taylor T„(f) di f in x inizia (dopo il termine costantef(x)) con la for­ma bilineare non degenere e simmetrica

l n (}2fh' Hh = $ (x)h;h ;

ove h = (h„..., h„) è un incremento di x e H l'hessiana dif in x. Per un risultatoclassico di algebra lineare una forma bilineare simmetrica non degenere è dia­gonalizzabile. Mediante un cambiamento lineare di coordinate si può dunque

B" scrivere T, (f) sotto la forma T (f) = f(x) — (h',+ ... +hz)+hz+, + ... +h„+termi­Figura t o. ni del terzo ordine. Il numero k di quadrati preceduti dal segno — non dipendeUna qualsiasi sezione trasversa di Ks in h è un modello trasverso di h. dal sistema di coordinate scelto e si chiama indice del punto critico.

Locale/globale 472 473 Locale /globale

Ma si può invero andare molto piu lontano nell'analisi della struttura locale di collamento ed introdotto il «linguaggio» della transizione dal locale al globalef nell'intorno di un punto critico non degenere, Un famoso teorema di Morse costituito dal linguaggio coomologico. Nella misura in cui le entità globali preseafferma infatti che i punti critici non degeneri sono determinati dell'ordine 2. in esame saranno localmente equivalenti ad entità locali standard, esse saranno

TEOREMA (Morse). Sia x e M un punto critico non degenere d indice k didette localmente triviali.

f : M~ R . Esistono in M coordinate locali tali che f si può scrivere nell'intorno dix nella forma canonica: f(x+h) = f(x) — (h,+... +h>,)+hi,+,+ ...+h„. 6.t. Varietà differenziabili e livelli di struttura.

Sono dunque disponibili modelli locali canonici per i punti critici di una Fin da quando fu intuitivamente introdotta da Riemann, la nozione di varie­funzione di Morse. Si tratta di vertici (indice n), oppure di bacini (indice o), tà conteneva due idee chiave che sovvertirono totalmente l'intuizione spazialeoppure di colli. Inoltre M può essere rappresentata nella forma di un «incolla­ classica :mento» di tali modelli. Uno degli aspetti piu manifesti del nuovo tipo di soli­darietà tra locale e globale già definito è che se n(k) è il numero di punti critici

r) si possono localizzare le geometrie standard di R" e di C" e riglobalizzarlerl in modo non standard ;

d'indice k di f, la somma alternata g ( — i)»n(k) è uguale alla caratteristica 2) si possono trattare come «punti » entità che non sono punti geometrici.k = i A tal fine basta che queste entità ammettano gradi di l ibertà interni che

d'Eulero-Poincaré y (M) di M (cfr. l 'articolo citato «Geometria e topologia»).Orbene, y (M), che è l'invariante globale fondamentale di M, non dipende da f. possano variare come punti geometrici.

Ancora una volta si constata che l'omologia del substrato influisce sulle entità Tali idee rese esplicite da Hermann Weyl nel caso delle superfici di Riemannderivate di tale substrato (in questo caso, sulle funzioni differenziabili a condi­ (varietà olomorfe di dimensione i ) sono alla base del concetto di varietà, giàzione che queste siano strutturalmente stabili). presentato negli articoli «Applicazioni », «Curve e superfici », «Geometria e to­

Uno degli aspetti piu interessanti della solidarietà locale/globale caratteri­ pologia» di questa stessa Enciclopedia.stica delle funzioni di Morse è nella possibilità di ricostruire topologicamente la Per tener conto dell'idea chiave 2) si parte da uno spazio topologico M local­varietà substrato M per successivi incollamenti di anse associate ai punti cri­ mente omeomorfo ad uno spazio standard R". Tale spazio dicesi varietà topo­tici della funzione. L'analisi di tali presentazioni mediante anse e delle loro de­ logica di dimensione n. Per definire strutture piu «rigide» su M (differenziabi­formazioni è quindi equivalente a quella dei cammini nello spazio $ delle ap­ li, analitiche, algebriche) si osserva che M, essendo localmente omeomorfa adplicazioni differenziabili f : M~R de composto in cellule dall'insieme cata­ R", si ottiene incollando degli aperti U;, detti carte locali, omeomorfi ad aperti

strofico globale K (il cui complementare $«è proprio l'insieme delle funzioni di U,' di R", tramite omeomorfismi di incollamento (o di transizione), tutti tra loroMorse). Genericamente, tali cammini attraversano trasversalmente gli strati K, coerenti, detti cambiamenti di carte locali. L'idea è allora d'imporre condizionidi codimensione r in un numero finito di punti e genericamente deformando supplementari a tali omeomorfismi di transizione. Cosi, rafforzando successi­t ali cammini si attraversano al piu gli strati K, d i codimensione 2 di K . L o vamente le condizioni imposte ai cambiamenti di carte locali, ne deriva una ge­studio dettagliato di tali attraversamenti è all'origine di alcuni fra i piu signi­ rarchia di livelli di struttura il cui livello base è quello topologico. Questo sem­ficativi ed interessanti risultati della topologia differenziale moderna: ad esem­ plice punto di vista orienta la teoria verso una serie di importantissimi problemi

pio il teorema di h-cobordismo di Smale e il teorema di pseudo-isotopia di il cui studio ha costituito uno dei principali motori della matematica di questoCerf (e le loro estensioni dovute a Laudenbach e Chanciner [cfr. Hatcher e secolo.Wagoner rg73]) che costituiscono delle tappe decisive per la dimostrazione della Il primo problema è quello della classificazione delle varietà. Si tratta di «mi­congettura di Poincaré (cfr. il $ r3 dell'articolo «Invariante» in questa stessa surare» quello che separa globalmente una varietà da uno spazio standard. L'esi­

Enciclopedia), stenza di una gerarchia di livelli conduce a domandarsi dapprima quale sia illivello zero (classificazione topologica delle varietà: cfr. l'articolo «Geometria etopologia», pp. 66o-72).

6. Str u t ture localmente triviali. Una volta chiariti certi strumenti che permettono di abbordare la strutturadel livello topologico, il problema della classificazione sbocca naturalmente nella

Nelle tre sezioni precedenti si è fornito uno schema dei due casi tipici ed seguente strategia; data una varietà munita d'una struttura d'un certo livello, sieterogenei di passaggio dal locale al globale riguardanti le funzioni. Nei due ca­ cerca di capire in che modo tale struttura vincoli i l ivelli superiori. Si può ad

si si è constatato che la dialettica locale/globale era indissociabile dal modo in esempio partire da una varietà topologica M e cercare di classificare le strutture

cui il substrato delle applicazioni era esso stesso definito come incollamento di differenziabili su M che inducono la sua topologia. Questo difficile problema hamodelli locali. In questa sezione verrà un poco approfondita la nozione di in­ assunto una notevole importanza a partire dai lavori di Kervaire e Milnor sulla

Locale /globaleLocale/globale 475

zioni di fibra tipo F bisogna dunque anzitutto definire il gruppo G degli auto­struttura differenziabile delle sfere (teoria delle sfere esotiche) : su certe sfere to­ morfismi ammissibili di F. D'altra parte se y è un cappio omotopicarnente odpologiche esistono strutture differenziabili diverse dalla struttura standard. omologicamente triviale, sembra intuitivo che la fibrazione ristretta a y deve

Inoltre, il problema della classificazione di tali strutture è in gran parte al­ potersi deformare nella 6brazione triviale F„~ (a) e dovrà dunque essere glo­gebrizzabile. balmente triviale. Ci si aspetta perciò che la non-trivialità di rr : E~M pr ovengaSi può anche partire da una varietà differenziabile di dimensione pari e cer­

da un delicato collegamento tra la struttura del gruppo G e l'omotopia o l'omo­care di classificare le strutture olomorfe compatibili con la sua struttura diffe­logia di M. In tal senso le 6brazioni l.t. integrano l'essenziale delle applicazio­renziabile. Ad esempio s'è visto che le curve ellittiche (super6ci di Riemann ni della topologia algebrica allo studio delle proprietà globali delle varietà. Que­

compatte di genere i ) sono tori, ossia quozienti di R' mediante reticoli. Tutti ista integrazione può del resto essere interpretata come una generalizzazionetori sono diffeomorfi, ma le curve ellittiche sono classi6cate mediante un inva­ dell'analisi delle applicazioni di una varietà in un'altra. Sia infatti f : M~N

riante unidimensionale detto invariante modulare per cui si rimanda al citato una tale applicazione. Il suo grafico C< è una sezione della fibrazione trivialearticolo «Curve e superfici ».rr : M x N~M, vale a dire un'applicazione C> . M~M x N che manda x in (x,Un altro tipo di problema indotto dalla definizione stessa di varietà è quellof(x)), tale che tr o C> ­— Id»i. Le sezioni globali di una qualsiasi fibrazione l.t.di sapere in che misura un oggetto ottenuto per incollamento di modelli localiit : E~M, ossia le applicazioni rs : M~E ta l i che w o ri= ldAr, possono dunqueè identificabile a un sotto-oggetto d'un oggetto standard globale, Si tratta delessere interpretate come applicazioni generalizzate. Uno dei problemi fonda­problema delle immersioni regolari e piu in generale delle immersioni. In tale mentali della teoria delle fibrazioni I.t. concerne la costruzione di sezioni globaliambito particolarmente importanti sono i teoremi di t ipo Whitney visti al(quelle locali esistono per de6nizione).

) 4.3, i problemi della teoria dei nodi (i mmersioni regolari di M = S' in R ) eSi consideri per esempio una varietà differenziabile M d i d imensione n.

quello del rovesciamento della sfera S' in Rs.Lo spazio tangente T di M in x varia differenziabilmente con x e definisce unafibrazione I.t. rr : TAr ~ M detta fibrato tangente a M. Una sezione di rr è sem­

6.z, Fibrazioni localmente triviali. plicemente un campo di vettori differenziabile su M. Se Tir fosse un fibratotriviale si potrebbero costruire dei campi «costanti » su M. Ma ciò non avvieneIl caso forse piu importante di strutture localmente triviali è costituito dallein generale. Si sa infatti che esistono varietà come la sfera S» sulle quali ognifibrazioni localmente triviali la cui nozione è stata sviluppata negli anni '3o neicampo di vettori s'annulla necessariamente in certi punti (detti punti singolari ).lavori pionieristici di Whitney, Hopf e Stiefel. Molto spesso, per risolvere un Ciò signi6ca che ogni sezione di Tir interseca la sezione nulla e che T~ non è

problema o anche soltanto per porlo, si è condotti, data una varietà di base di perciò globalmente triviale. Questa è una conseguenza di un teorema di soli­tipo w (differenziabile, analitica, algebrica, ecc.), ad associare ad ogni punto darietà locale/globale analogo a quello visto in teoria di Morse. Ad ogni puntoxe M un'entità F, che varia in modo T in funzione di x. Si dice allora che F, singolare isolato di un campo X su M si può associare un numero chiamato ilè la fibra al di sopra di x e che l'insieme E delle fibre F costituisce una fibrazio­

suo indice. Il teorema dice che se M è compatta e se tutti i punti singolari di Xne (di base M), rr : E~M, di f ibra it i (x) = F . sono isolati (allora sono in numero finito ), la somma degl'indici è uguale allaMolto frequentemente la variazione di F in funzione di x è tale che in uncaratteristica di Eulero-Poincaré di Mintorno abbastanza piccolo U di x, E ristretto ad U possiede la struttura di un

Allorché il fibrato tangente T~ d'una varietà M è globalmente triviale, siprodotto diretto U x F di U per una 6bra tipo F, ove la fibrazione s'identifica dice che M è parallelizzabile. Ciò signi6ca che si possono trovare n sezionilocalmente alla fibrazione, detta triviale, ir : U x F~ U essendo rr la proiezionecanonica. Si dice in tal caso che la fibrazione tr : E~M è l ocalmente triviale Xi • .. X di T»s globalmente linearmente indipendenti, cioè tali che (X, (x),

..., X„(x)) sia una base di T per ogni xe M In altri termini si può spostare dif­(l.t.). rr si ottiene dunque per incollamento di modelli locali U x F. Se M è con­ ferenziabilmente un riferimento di T,. La r icerca di criteri che assicurino chenessa, tutte le fibre F sono w-isomorfe alla fibra tipo F e ciò che caratterizza ttM sia parallelizzabile è un problema difficile, interamente risolto nel caso delleè dunque il modo con cui essa si discosta dalla fibrazione globalmente triviale sfere da Frank Adams [ tr16z].M x F~M. Ecco allora che si tratterà di elaborare un linguaggio generale atto

a «misurare» questo scarto. TEOREMA. Le sole sfere parallelizaabili sono S, S» ed S'.Per fare ciò verranno ora introdotte due idee intuitive. Sia y : a~b un cam­

Tale risultato profondo e notevole è intimamente legato all'esistenza dellemino sulla base M. Si parte dalla fibra F„e si segue la sua T-variazione lungo yfibrazioni di Hopf delle sfere mediante sfere. Il suo corrispondente algebrico è6no alla fibra F». Se y è un cappio (a = b) si ritorna su F,. In tu i t ivamente lail risultato che afferma che esiste struttura di corpo su R so lo quando n= z

fibrazione ristretta al «cerchio» y non è triviale in quanto Fa tornerà su se stessa,ma «ruotata»: F, torna globalmente in sé, in generale però non vi torna local­ (numeri complessi), n = 4 (quaternioni ) e n = 8 (numeri di Cayley ). Le sfere

mente. Essa vi ritorna tramite uno dei suoi automor6smi. Per analizzare le fibra­ parallelizzabili sono le sfere unità di tali corpi.

Locale/globale 476477 Locale /globale

Per precisare il concetto di fibrazione l.t. (differenziabile), si considerino di K un'applicazione $; j i. ' .U,p Ujg U>~ G, ecc. Il maggiore interesse di taleuno spazio di base M che è una varietà differenziabile, uno spazio totale E, una costruzione è di mettere in evidenza l'operatore cobordo che associa a una p­proiezione st : E~ M, una 6bra tipo F e un gruppo G di diffeomor6smi di F. catena una (p+ i )-cocatena detta il suo cobordo. Se ad esempio p = (cp,),,i è unaSia I l = (UI)j,i un sistema di carte locali di M che localmente trivializzano o-cocatena, il suo cobordo òq> è la i-cocatena & che associa ad ogni i-simples­i t : E~M . Ciò significa, in primo luogo, che sono assegnati dei diffeomorfismi so (i, j) di K l 'applicazione &,, = rp, 'rpj (G essendo un gruppo, si possono com­di trivializzazione y; sugli U; che rendono commutativi i diagrammi: Porre le aPPlicazioni a valori in G ). Analogamente, se 8 = (&jj ) è una i-cocatena,

il suo cobordo ò& è la z-cocatena $ che associa ad ogni z-simplesso (i, j, k) di KUjxF

' vc '(U) l'applicazione gjji ­— &<P;,Bj>. Se & è anch' esso un cobordo, 8. = òy, alloraò& (pp (pi(p~ (pj(p~y (pp I . S i ha dunque ò = I .

U; Osservazione Affinché ciò che precede sia naturale bisogna che il gruppo Gsia commutativo. Si usa allora una notazione additiva e si ottiene S" = ­ &"Per ogni xe U;, p, definisce pertanto un diffeomor6smo di cambiamento di fibra i j j i >

(p,, : F F = st ' (x). &ij =(pj — pj, gi,i. ­— &;;+S,„.+&..., e ò' = o.

In secondo luogo, significa che i <pj soddisfano alla condizione d'incolla­ La relazione fondamentale ò~ = o, analoga a quella incontrata a proposito

mento «Sei j eI sono tali che U,A U p p, a l lora per ogni xe UIA Uj, S,;(x) =dell'omologia (cfr. il $ 4.g dell'articolo citato «Geometria e topologia»), per­

= y,,o cPj : F~F è un e lemento di G»(che varia in modo differenziabile con mette di definire i gruppi di coomologia H~(%., G) del ricoprimento ll a coeffi­x se G è un gruppo differenziabile).

cienti in G. He ("ll, G) è il quoziente del gruppo delle p-cocatene a cobordo nullo

È allora banale verificare che se i, j, k@I sono tali che U;A UIA U>P 8, (dette p-cocicli) rispetto al sottogruppo delle p-cocatene che sono cobordi [per8,;, &;<, e S;I. sono legati dalla relazione fondamentale &,"SI@<j ­— I (si noti che

maggiori dettagli si veda il classico Godement ig64 ].A parte le difficoltà dovute alla non-commutatività, si può affermare che

Questa relazione permette di esprimere quanto precede in modo piu con­ dare una fibrazione I,t. è essenzialmente equivalente ad assegnare un I-cocicloa coefficienti in G. Si ha in effetti il teorema:cettuale, in termini che condurranno alla coomologia di Cech. Il ricoprimento

aperto i l = (Uj),,i d i M i n duce una struttura combinatoria K detta simpli­ TEoREMA. se & = (&; ) è un i-cociclo a coefficienti in G, esiste, a meno di equi­ciale sull'insieme I degl'indici. Gli o-simplessi sono gli elementi di I. G li I ­ valenze, uno ed un solof i brat l.t., di fibra F e di gruppo G, le cui &," sono le appli­simplessi le coppie (i, j) tali che UIA Ujp p . I z - s implessi le terne(i, j, k) cazioni d i ncollamento.tali che UIA U,A Uip g , ecc. Si possono poi addizionare formalmente i sim­plessi. Il complesso simpliciale K viene detto scheletro del ricoprimento "1l. In tale descrizione la proprietà di trivialità globale si rivela essere d'ordine

Esso esprime il modo con cui per M si pone il problema dell'incollamento: essenzialmente coomologico.

se M fosse uno spazio standard, % potrebbe ridursi a un unico elemento e K TEQREMA. La fibrazione E è triviale se e solo se l'i-cociclo è un cobordo, cioèsarebbe allora triviale. L'altro dato del problema è il gruppo strutturale G. Per se e solo se esistono delle <p; : U, ~ G tali che &,j = cp,. 'qxogni aperto U di M si indichi con l' (U) l'insieme delle applicazioni (differen­ziabili se G lo è) 8 : U~G. Se &e I (U) e Vc: U, & induce per restrizione a V Osservazione: L' I -cociclo & che de6nisce E ha sempre l'aspetto di un co­un elemento ~9 ~ z di l' (V). Dicesi prefascio su M a valori in G un tale dato. bordo poiché, per definizione, le S,j sono della forma rp, 'q>,. Le p; non sono pe­Si tornerà su questo concetto al $ 7.i. Se s è un simplesso di K, ad esso si as­ rò aPPlicazioni di U, in G. Per xc U,, Pj (x) non è un automorfismo di F ma unsocia il gruppo I , . = l'(g l l ) ove +@t è l'intersezione(non vuota) degli aperti isomorfismo tra F ed F ; esattamente in ciò consiste tutta la differenza.

S S

di ~ll il cui indice appartiene ad s. Si de6nisce cosi quello che si chiama sistemadi coefficienti che permette allora di definire naturalmente la nozione di co­ La teoria delle fibrazioni I.t. si semplifica notevolmente quando ci si limita

catena.ai fibrati detti principali, ossia ai fibrati di fibra G e di gruppo strutturale G ope­rante su se stesso per traslazioni. Ad ogni fibrato I.t. si associa un fibrato prin­

DEFINIzIQNE. Una p-cocatena associa ad ogni p-simplesso s un elemento del cipale definito dal medesimo I­cociclo ; inoltre, per quello che precede, un fibra­gruppo l'„, to I.t. è caratterizzato, a meno di equivalenze, dal suo fibrato principale associato

Una o-cocatena associa dunque ad ogni o-simplesso ieI un'applicazione e dall'azione del suo gruppo strutturale sulla fibra tipo.

Pj : Ut~G. Una I -cocatena associa ad ogni I-simPlesso(i, j) di K un'aPPlica­Se la teoria dei fibrati principali è relativamente semplice ciò è dovuto al fat­

zione 8j : U,A U j G. U n a z -cocatena associa ad ogni z-simPlesso(i, j, k)to che esiste un criterio semplice di trivialità.

TEQREMA. Un fibrato principale è triviale se e solo se ammette una sezione.

479 Locale/globaleLocale/globale 478

in questo nuovo senso; si tratta di una classe che dipende solo da ir e vieneTale risultato permette di capire il nesso tra il fatto che le sfere S', S» ed detta classe caratteristica di coomologia di E [cfr. Steenrod 195I ].Si siano parallelizzabili e il fatto che esistano strutture di corpo su R', R«ed R». A partire dagli anni '5o il concetto di classe caratteristica è stato oggetto di

sviluppi considerevoli e si è rivelato uno strumento essenziale alla compren­Si tratterà ora del linguaggio coomologico che è per eccellenza il linguaggio sione della dialettica locale/globale.

di transizione dal locale al globale nella misura in cui permette di misurarnel'ostruzione.

Inizialmente si consideri il caso semplice in cui il gruppo strutturale G è 6.g. Linguaggio categoriale dell'incollamento.

discreto. Tal è in particolare il caso delle fibrazioni l.t. elementari che sono i ri­ Per concludere questo paragrafo sulle strutture localmente triviali si noti chevestimenti non ramificati. Si supponga che la base M sia connessa per archi e la nozione di incollamento può tradursi in termini puramente categoriali. Unasia y : x»~x, un cammino y (t) = x„ tc I d i M «R i salendo» nello spazio to­ tale traduzione è interessante poiché permette di trasportare la nozione di in­tale, si può seguire la f ibra sopra y at t raverso una famiglia d'isomorfismi collamento a situazioni in cui l ' intuizione geometrica viene meno.h, : F~,~F c Se G è discreto, il principio del rilevamento delle omotopie ga­ Come s'è visto, una varietà topologica è uno spazio topologico M munito dirantisce che tale « traslazione» della fibra è unica e dipende soltanto dalla classe un ricoprimento aperto 'ù = (U;);,i i cui aperti U; sono omeomorfi ad apertid'omotopia di y. Se in particolare ; è un cappio, hi : F „ F ~, è un e lemento di R". Per definire poi le strutture di livello superiore su M s'impongono certidi G. Si definisce cosi un morfismo gu . Ir, (M) ~ G che dicesi la classe caratte­ vincoli supplementari agli omeomorfismi di transizione. Dal punto di vista ca­ristica di E y è «caratteristica» nel senso seguente: tegoriale, ciò equivale a considerare la categoria Top degli spazi topologici e la

TEQREMA. I ) Due fibrati aventi lo stesso gruppo discreto sono associati, ossia categoria piccola 9K dei modelli locali i cui oggetti sono gli aperti di R" (o didi ugual fibrato principale, se e solo se le loro classi caratteristiche sono uguali. C") e i morfismi sono gli isomorfismi locali differenziabili (o analitici ).z) Per ogni morfismo y : w i(M) ~G esiste un fibrato principale E di gruppo G In generale, data una categoria P, una categoria (piccola) di modelli localitale che gE ­— y. 8K e un funtore inclusione I : 9K~C, si tratta di definire gli oggetti globali di

C ottenuti per incollamento di modelli locali. Tale costruzione [per una espo­In tal caso la classificazione dei fibrati è ricondotta allo studio puramente sizione dettagliata della quale si veda Appelgate e Tierney i966-67], oltre ad ave­

algebrico dei morfismi y. re grande generalità, riconduce i problemi di incollamento all'analisi di strutturecoRQLLARIo. Se M è semplicemente connessa, ogni fibrato di gruppo G è puramente categoriche associate all'esistenza di coppie di funtori aggiunti.

triviale.

Osservazione: Ciò mostra che l'ipotesi G discreto è essenziale. S' è sempli­ Fasci e coomologia dei fasci.cemente connessa ma il suo fibrato tangente (avente gruppo strutturale il gruppolineare non discreto GL (z)) è non triviale. Nel paragrafo precedente ci si è occupati del passaggio dal locale al globale

Nel caso dei fibrati principali di gruppo qualsiasi, le classi caratteristiche si ottenuto per incollamento di spazi substrati. Ciò ha condotto al concetto di fibra­deducono in dimensione ) I d a l la successione esatta di omotopia. to localmente triviale e di sezione come anche al problema di prolungare le se­

La nozione di classe caratteristica è l'inizio della teoria coomologica dei fibra­ zioni. Prima ci si era interessati al passaggio dal locale al globale ottenuto perti l.t., la quale misura l'ostruzione al passaggio dal locale al globale e in parti­ incollamento di funzioni. Esiste un intimo legame tra i due punti di vista. Si ècolare l'ostruzione alla costruzione di una sezione globale. Si supponga che la visto, ad esempio, nel caso analitico, che il prolungamento analitico di una fun­base M di dimensione n sia assegnata sotto la forma di un complesso cellulare zione olomorfa data localmente determinava il proprio spazio substrato. È dun­K, cioè triangolata da un numero finito di poliedri convessi pieni, di dimen­ que augurabile disporre d'un linguaggio unitario e generale che sintetizzi i duesione n. Per costruire una sezione globale di un fibrato l.t. rc : E~ M l' idea sarà punti di vista. Tale è il fine della teoria dei fasci di cui si daranno le definizionidi supporla data sulle p-facce di K e di cercare di prolungarla alle (p+ i)-facce. di base.Si tratterà poi di misurare l'ostruzione ad una tale estensione. L'ostruzione al­l'estensione ad una cellula è descritta da un opportuno cociclo della fibra. Ladifficoltà proviene dal fatto che la coomologia della fibra, anche se sempre iso­ 7.I. Fasci e spazi étalé.

morfa a quella della fibra tipo F, varia con la fibra. Si deve quindi considerare Nella teoria dei fasci il concetto primitivo è quello di «sezione». L'idea è diil fibrato l.t. che esprime tale variazione ed estendervi la teoria della coomologia definire in modo generale gli assiomi cui devono soddisfare certe entità affinché(coomologia a valori in un fibrato di coefficienti). L'ostruzione alla costruzione esse meritino il nome di sezioni ; poi di costruire uno spazio « fibrato» (che nondi una sezione globale di ir viene allora misurata da una classe di coomologia

Locale /globale y8I Locale/globale

sarà in generale un fibrato l.t. ) le cui sezioni si identifichino con le sezioni date. Sia lf, il filtro degli intorni di x, Poiché la categoria degli insiemi ammette limitiPer poter parlare di sezioni, bisogna dapprima disporre di uno spazio di ba­r induttivi, si può costruire il limite induttivo

se M che sia uno spazio topologico. Ad ogni aperto U di M si associa un insiemeE, = lim (I'(U), l'(i)).di sezioni su U che verrà denotato 1 (U). Il primo vincolo è allora che sia defi­ i : V~V c ' E~

nita la nozione di restrizione di una sezione. In altre parole se Vc: U è un sotto­aperto di U, bisogna poter associare ad ogni elemento fe 1'(U) un elemento E~ è la fibra in x dello spazio Ei che si cerca. Sia ED la somma insiemistica deglif ( v e l'(V) e ciò in modo che a) f ( < ­— f, b) se P'c: Vc U, (f [ <)(ii; ­— f ) >- (tran­ E~ per xe M. EE è per definizione dotato d'una proiezione iri- . EE~M Siasitività della restrizione). Questo vincolo si esprime molto facilmente in termini f@l'(U) una sezione del prefascio 1' su U. f possiede un'immagine f (x) in E„di categorie. Sia % la categoria piccola i cui oggetti sono gli aperti di M ed i per ogni xc U, immagine detta valore di f in x. Si viene cosi ad associare afmorfismi le inclusioni di aperti. Affinché la nozione di restrizione sia definita, una sezione (nel senso insiemistico) f di Er sopra U. Si definisce allora la topo­occorre e basta che i l' (U) costituiscano un funtore della categoria 9K~ duale logia di EE come la piu fine topologia che rende tutte le f continue.di 9K nella categoria E degli insiemi (cfr. il ) z dell'articolo «Dualità» in questa

TEOREMA. Per la topologia di EE or ora definita la proiezione iri- . Ei ~M d i­stessa Enciclopedia). Da cui la seguente definizione: venta un omeomorfismo locale.DEFINIzIQNE. Si chiama prefascio su M un funtore controvariante di 9K in S. DEI'INIzIQNE. Viene chiamato spazio «étalé» su M ogni proiezione continua

ir : E~M c he sia un omeomorfismo locale.E chiaro che i prefasci formano una categoria, precisamente la categoria

(9H.~, 5) dei funtori di %~ in K. Si è dunque costruito uno spazio étalé EI che rappresenta l', i l c ui f a­Sia dunque 1 un prefascio su M. È chiaro che se l' è il prefascio delle se­ scio delle sezioni l ' d icesi fascio associato a 1.

zioni di M in uno spazio totale E<, esso soddisfa alle due seguenti proprietà:TEQREMA. Se il prefascio l' è un fascio, allora r = r.

(F,) S i a (U„);, I una famiglia di aperti di M l a cui unione è U e siano Nella maggior parte dei casi i fasci che intervengono in geometria sono na­f, f 'e I' (U). Se le restrizioni di f ed f' agli U, sono uguali, allora f turalmente muniti d'una struttura algebrica, i 1' (U) essendo gruppi, anelli, mo­ed f' sono uguali (se f = f' localmente, alloraf = f' globalmente). duli, ecc. e le applicazioni di restrizione essendo dei morfismi per tali strutture.

(Fz) Per ogni i eI sia f;e 1 (U,). Se le f; sono compatibili, cioè coincidono Un caso fondamentale è evidentemente quello dei fasci di funzioni sulle va­sulle intersezioni U;g U, che sono non-vuote, allora esiste una se­ rietà. Se ad esempio M è una varietà differenziabile (rispettivamente olomorfa),zione fc l' (U) tale che f ~<i ­— f, per ogni ieI. il fascio delle applicazioni differenziabili (rispettivamente olomorfe ) f : U~R

(rispettivamente f : U~C) ove U è un aperto di M, è un fascio di anelli dettoDEFINIzIQNE. Un prefascio su M è unfascio se esso soddisfa gli assiomi (Fi) il fascio strutturale di M e denotato 0„,<. Molte proprietà globali di M si posso­

ed (Fz). no «leggere» su GAI.Se i fasci hanno assunto una cosi grande importanza, ciò dipende dal fattoOra che si dispone d'una definizione assiomatica dei fasci, si tratta di sapere che offrono un'interpretazione funzionale del passaggio dal locale al globale alla

se ogni fascio astratto è rappresentabile come il fascio delle sezioni d'un «fi­brato» Ir : E ~M .

quale si possono trasferire «fibra a fibra» le nozioni fondamentali dell'algebra(cfr. il ) 6.z del citato articolo «Geometria e topologia»).Sia "GAI la categoria degli spazi topologici «al di sopra» di M, ossia la cate­

goria i cui oggetti sono le applicazioni continue tr : E~M ed i morfismi i dia­grammi commutativi p.z. Coomologia dei fasci.

fE ~ F Come si è visto a proposito delle fibrazioni localmente triviali, la coomologiagp a valori in un fibrato di coefFicienti è lo strumento fondamentale per misurare le

M ostruzioni al passaggio dal locale al globale. È dunque naturale cercare di pro­lungarne la definizione ai fasci ; esistono essenzialmente due modi per introdurre

Le inclusioni Uc:M definiscono banalmente una inclusione I : SH.~'tp'. Si la coomologia a valori in un fascio. Uno, detto coomologia di Cech, privilegia ilnoterà che si riottiene cosi la situazione del ) 6.3. modo in cui la base X è ottenuta per incollamento, mentre l'altro privilegia l'a­

Per soddisfare (F,) si effettua un passaggio al limite atto ad assicurare che spetto algebrico del problema. Si tratta poi di confrontarli e di cercare condi­

due sezioni uguali in un intorno di xc M sono effettivamente localmente uguali. zioni necessarie e sufficienti (sia relative allo spazio di base sia ai fasci conside­

Locale/globale 48z 483 Locale/globale

rati ) affinché essi coincidano (teoria delle successioni spettrali ) [tali argomenti non banale nella misura in cui le soluzioni possibili di f = o (mod p') (suppo­delicati sono esposti in dettaglio in Godement ig64; si veda anche l'articolo nendo ch'esistano per ogni pe J ed ogni s) o) non hanno a priori alcuna ragione«Invariante» in questa stessa Enciclopedia]. di essere tra loro compatibili.

La coomologia dei fasci offre uno strumento notevolmente comodo e po­ Uno dei primi grandi risultati in tal campo è il teorema di Minkowski sulletente per l'analisi delle proprietà globali degli oggetti geometrici. forme quadratiche.

nTEQREMA (Minkowski). Sia f(x „ . . . , x„) =g c,;x;x~ unaforma quadratica a

1, j=1

8. L' o pposizione locale/globale in aritmetica. coefficienti razionali. Se la congruenza f= o (mod p') ammette una soluzione non

banale (ossia diversa da (o, ..., o)) per ogni pe J e ogni s) o, e se l'equazionef = o

Dopo aver esposto schematicamente certi aspetti della dialettica locale / ammette una soluzione reale non banale, allora l'equazione diofanteaf = o ammette

globale in geometria, si vedrà perché e come tale dialettica può operare anche in una soluzione razionale non banale.aritmetica ed in modo non metaforico. Questo è chiaramente d'importanza capi­tale. Infatti a partire dal momento in cui la dialettica locale/globale si rivela im­ Si vedrà ora perché tale teorema è paradigmatico del passaggio dal locale almanente ai «substrati » ideali costituiti da un lato dallo spazio e dall'altro dai nu­ globale in aritmetica. Per questo è utile ricordare la nozione di numero p-adi­meri, tutto fa credere che i metalinguaggi (categoriali) di incollamento sono co dovuta a Hensel: si t ratta di numeri rappresentati sotto la forma di serie

in certa misura universali e devono perciò avere a che fare con un'immanenza g a„p" a coeflicienti a„nel corpo finito F„ (cfr. il citato articolo «Divisibilità»).logica. Su questo argomento si tornerà nella conclusione. n =O

Hensel doveva lavorare modulo p' facendo tendere s all'infinito e doveva dunquer iuscire a controllare il «passaggio al limite» delle congruenze modulo p'. Di8.r. Divisibilità, congruenze e numeri p-adici. qui l'idea di trasportare all'aritmetica il paradigma di approssimazioni successi­

Alcuni tra i problemi piu fondamentali e difficili dell'aritmetica sono i proble­ ve costituito dallo sviluppo di Taylor, cioè di rappresentarsi la successione dellemi diofantei, consistenti, data un'equazione algebricaf (x„..., x„) = o a coefficienti congruenze modulo p come la successione dei troncamenti successivi d uno svi­interi o razionali, nel trovarne una soluzione intera o razionale. Il piu famoso di luppo infinito. Orbene, se si tiene presente tale analogia non tanto da un sem­tali problemi è senza dubbio la congettura di Fermat, il quale afferma che per plice punto di vista tecnico quanto da un punto di vista concettuale, si consta­n)3 l 'equazione diofantea x"+y"=z " è pr iva di soluzioni intere non banali. ta subito ch' essa conduce all'idea notevole che un numero intero n sia in certo

Il piu importante metodo di risoluzione delle equazioni diofantee consiste qual modo una «funzione» sull'«insieme dei punti» costituito dai numeri pri­in approssimazioni successive basate sulla nozione di congruenza. mi, funzione il cui valore in p è l'immagine di n in F„e che la serie di Taylor,

Sia p un numero primo. È noto (si veda il ) g dell'articolo «Divisibilità» in la quale esprime la sua struttura «locale» nell'«intorno» di p, sia lo sviluppo

questa stessa Enciclopedia ) che l'anello quoziente F„ = Z/pZ è un corpo finito di p-adico di n.caratteristica p, canonicamente incluso in ogni corpo di caratteristica p. Lavo­ Dalla pubblicazione dei lavori pionieristici di Hensel questa immissione dirare in F„significa lavorare «modulo p». Sef(x„ . .., x„) = o è un'equazione dio­ un paradigma geometrico nell'aritmetica si è notevolmente chiarificata. Si con­fantea a coefficienti interi, ad essa verrà associata la sua riduzione modulo p sideri la successione di quozienti Z /p'Z. Essa costituisce un sistema proiettivo

f~(x„ . .., x„) = o ottenuta sostituendo i coeflicienti di f con le loro immagini in Z/p«Z Z/p 8 «Z . .. Z /pZ = F o .

F> e se ne cercheranno le soluzioni in F„. Si cercherà dunque dapprima di risol­ DEFrNrzroxE. L'anello Zz degli interi p-adici è il l im ite proiettivo di questovere la congruenza f(x„ . . . , x„) ­= o (mod p) che è molto piu semplice del pro­ sistema.blema iniziale.

Ma la congruenzaf = o (mod p) è un'approssimazione estremamente grosso­ Questa definizione equivale alla seguente: se n è un intero, ogni numero pri­lana dell'equazione diofantea f = o. Si è dunque portati a rendere piu fine tale mo p interviene con un certo esponente (in generale nullo ) nella decomposi­approssimazione da una parte facendo variare p nell'insieme J dei numeri pri­ zione di n in fattori primi. Quest'esponente dicesi valutazione di n in p e si de­mi, dall'altra cercando soluzioni modulo le potenze successive p' di p. Il proble­ nota v~(n), Se v„(n) = o, n è primo con p. Se si pone per convenzione v„ (o) =

ma diventa ovviamente quello di dominare il «passaggio al limite», quando s di­ = +~, è facile verificare che la valutazione p-adica v> soddisfa le due proprietàventa infinito, di tali approssimazioni sempre piu fini . fondamentali :

Se (a„..., a„) e Z" è una soluzione intera di f = o, è chiaro che si avrà f(a„..., a„)­= o (mod p') per ogni numero primo pc J ed ogni s)o . S i t ratta di ( i) v„(xy) = vn(x)+ v„(y)

(x,y)eZsapere sotto quali condizioni esiste una reciproca. Tale problema è altamente (z) v„(x+y) ) Inf (v (x), v~(y))

Locale/globale Locale/globale

Ciò implica che l applicazione che ad n E Z associa il numero ~n~„=exp( — v„(n)) per ulteriori dettagli, si ricordi solo che è proprio la localizzazione dei corpi diè una norma su Z, detta norma p-adica soddisfacente a una disuguaglianza piu classe alla base della introduzione delle nozioni di ideli ed adeli. L'importanzastretta della disuguaglianza triangolare, la disuguaglianza ultrametrica dell'introduzione dei gruppi di ideli e di adeli proviene dal fatto che essi sono

naturalmente muniti d'una struttura di gruppo topologico localmente compatto.(g) /x+y / „< Max(/x/„, /y f~). Si possono dunque applicare loro i risultati dell'analisi armonica e generalizzare

Osservazione: La proprietà d'ultrametricità non è affatto intuitiva, giacché cosi in un quadro unitario le tecniche analitiche introdotte da Dirichlet e Rie­

essa non è archimedea. Per la norma p-adica i multipli di un numero n sono di mann in aritmetica (teoria delle funzioni zeta e delle funzioni L).norma inferiore a quella di n, mentre per la norma standard (valore assoluto)sono di norma superiore.

9. La sintesi della geometria algebrica.TEQREMA. L'anello ZE degli interi p-adici è il completamento di Z per la norma

p-adica. La geometria algebrica moderna è la sintesi di molti punti di vista. Anzituttoessa continua le ricerche (dovute essenzialmente alla scuola italiana) per gene­

Se si passa ora da Z a Q è facile estendere la valutazione p-adica ponendo ralizzare i risultati di Riemann in dimensione superiore (cfr. l'articolo «Curvev>(n/m) = v>(n) — v>(m). Ciò definisce la norma p-adica ~ ~„di Q e il comple­ e superfici »). Inoltre essa cerca di trasportare a livello algebrico le tecniche e itamento di Q per ~ ~„dicesi corpo Q„dei numeri p-adici. Z s'identifica con concetti propri del livello analitico e ciò in modo astratto, valido per ogni corpoun sottoanello denso di Z~ e Q con un sottocorpo denso di Q„ (che ha dunque di base, cioè non limitandosi ad utilizzare il fatto che nel caso della geometriacaratteristica o). algebrica su C, il livello analitico è sempre soggiacente al livello algebrico. In­

Questa descrizione dei numeri p-adici in termini di valutazioni e di norme è fine essa cerca, soprattutto dopo i lavori di André Weil, di prolungare il puntocapitale poiché si può dimostrare che le sole norme su Q sono la norma stan­ di 'vista di Dedekind-Weber integrando le questioni aritmetiche.dard (valore assoluto) e le norme p-adiche. Ciò permette di precisare in che I suoi strumenti essenziali sono da un lato l'algebra commutativa che tra­senso i numeri primi sono i «punti » di uno «spazio substrato» sul quale i nu­ duce in termini algebrici i concetti fondamentali della geometria e permette dimeri diventano «funzioni ». Questo spazio substrato ideale E, proprio dell'arit­ controllarli con il calcolo (punto di vista introdotto da Hilbert e sviluppato so­metica di Q, è costituito dai punti — chiamati anche posti di Q — che sono le va­ prattutto da Noether e Zariski ) e d'altro lato (soprattutto dopo i lavori di Gro­lutazioni ultrametriche v~ per p e J (posti finiti ) e il valore assoluto (posto «al­ thendieck) il linguaggio categoriale della coomologia dei fasci.l'infinito» ). Q è un'entità globale associata a questo spazio substrato E. Ciò per­ La sintesi effettuata in geometria algebrica è straordinaria sia per la diversitàmette di capire in che senso il teorema di Minkowski è in definitiva un teorema delle tecniche sia per l'unità dei metodi. Si può dire che per sua stessa naturadi passaggio dal locale al globale. la geometria algebrica si situa al crocevia della matematica contemporanea. Sa­

TEQREMA (Minkowski). Sia f una forma quadratica su Q. Sef = o ammetterebbe completamente utopico pensare di presentarne gli elementi in qualche

una soluzione non banale su R, e se, per ogni p c P ,f = o ammette una soluzione non pagina, anche solo quelli che si riferiscono all'algebrizzazione della dialettica

banale su Q„, allora f = o ammette una soluzione non banale su Q. In altri termini, locale/globale e del concetto d'incollamento. Ecco perché per un panorama di

se f = o ammette in ogni posto di Q una soluzione locale essa ammette una soluzionetali risultati si rinvia da un lato agli articoli specifici di questa stessa Enciclopedia

globale. via via indicati e dall'altro al trattato ormai classico di Dieudonné [t97y].

8.z. Legge di reciprocità, adeli, ideli. z o. Co nclusione.

Per estendere il teorema di Minkowski al caso di un corpo di numeri alge­ Per concludere questa incursione nel campo dei diversi aspetti dialettici del­brici qualunque, Hilbert ha riformulato la legge di reciprocità quadratica di Lé­ l'opposizione locale/globale si ritorna ora sul problema del linguaggio, della suagendre-Gauss (discussa alla p. iz9 del citato articolo «Dualità») come teorema sintassi e della sua semantica. Uno degli apporti epistemologici piu significa­di passaggio dal locale al globale ; per dimostrare tale teorema egli ha ritrovato il tivi dell'approfondimento matematico delle molteplici connessioni fra le opera­problema dei corpi di classe posto da Weber: si tratta di un esempio partico­ zioni di localizzazione e di globalizzazione pare, a chi scrive, essere la possibi­larmente luminoso di ciò che Jean Dieudonné chiama l'unità della matematica lità di riformulare il problema teorico della lingua. Se si tiene conto del fattomoderna. che il problema posto dall'implicazione reciproca fra la lingua e l'intuizione spa­

Rimandando al ) t.g del citato articolo «Dualità» e al ) g di «Divisibilità» ziale è uno dei piu antichi problemi filosofici, appare di estremo interesse capire

Locale /globale 486 487 Locale /globale

perché e come le «geometrie» associate all'opposizione locale/globale possano DEFINIzIQNE. La categoria dei fasci su un sito è detta topos,sfociare in problemi di semantica e di grammatica. La possibilità di applicare questo concetto generale dei fasci a situazioni

Poiché si tratta di problematiche in larga parte inesplorate, ci si limiterà solo astratte deriva da un teorema di Jean Giraud che caratterizza categorialmentead alcune considerazioni di carattere generale. Si vuole unicamente sottolineare i topoi fra le categorie.come esistano attualmente due approcci che paiono promettenti. Uno di essi I due esempi essenziali di topoi sono forniti da un lato dalla categoria 5— dovuto essenzialmente a Lawvere e Tierney — fa sfociare nella logica i meta­ degli insiemi e, dall'altro, dalla categoria dei fasci $z su uno spazio topologico T.linguaggi dell'incollamento introdotti da Grothendieck nella teoria degli schemi. Si tratta naturalmente di topoi molto diversi. L'osservazione fondamentale diL'altro — quello della teoria delle catastrofi — fa sfociare nella schematizzazione

Lawvere è che la logica dei predicati della teoria degli insiemi può essere com­delle strutture sintattiche elementari (sia grammaticali sia semantiche) la teoria

pletamente riformulata in termini categoriali a partire dalla struttura di toposdelle singolarità differenziabili e dei loro dispiegamenti. Risulta dunque che tutti di S. Di qui l ' idea veramente profonda di considerare ogni topos come l'am­e due i punti culminanti della dialettica locale /globale — quello della sintesi fra bito naturale di una «logica interna» ad esso canonicamente associata. Passan­il punto di vista di Riemann e l'aritmetica, e quello del «programma di Thom­ do dalla categoria degli insiemi S alle categorie dei fasci su spazi topologici, siSmale» — «riconducono» la geometria alla sintassi, allacciandosi in modo speci­ può estendere in modo cospicuo la nozione di linguaggio logico. Si può cosifico ad uno dei due aspetti fondamentali del problema, il primo sugli automa­ formulare quello che vi è di troppo «rigido» nella teoria classica degli insiemi.tismi logico-sintattici di iterazione, il secondo sugli archetipi morfologici ai qua­ Come osserva Lawvere [ I972, pp. 3, 4], «il topos piu "astratto" è la usuale ca­li tali automatismi si applicano. Per ora si tratta solo di una constatazione un tegoria degli insiemi S e delle applicazioni nella quale, per cosi dire, lo svilup­po' enigmatica. Tuttavia l'autore del presente articolo ritiene che forse dietro

po [degli insiemij è stato congelato in modo che i morfismi X~ Y siano intera­di essa si profila una revisione profonda del nostro modo classico di concepire

mente determinati da come operano sugli elementi "globali" od " e terni" d ii rapporti tra linguaggio e realtà. X... Non essendovi qui alcuno sviluppo negli oggetti di S, non vi è alcun impe­

dimento all'esistenza di funzioni di scelta, ed anzi in un certo senso l'assioma diIo.i. Logica e teoria dei topoi. scelta caratterizza i modelli della teoria degli insiemi fra i topoi», Per contro, se

si considerano i topoi che sono categorie di fasci su uno spazio topologico oppureCome si è visto, un prefascio su uno spazio topologico X è un funtore con­ categorie di prefasci su quelle categorie particolari che sono gli insiemi preor­

trovariante della categoria piccola 9K degli aperti di X nella categoria degli in­ dinati, si può ad esempio localizzare la quantificazione («è localmente vero che»)siemi. Si può dunque generalizzare tale nozione a una categoria% qualunque. oppure far variare la nozione di verità in funzione degli «stadi del sapere» (se­Per poter allora parlare di fascio e cioè di prefascio che soddisfa le condizioni di mantica intuizionista dei mondi possibili ). Come osserva ancora Lawvere Pbid.,incollamento (Fi) e (Fa), basta disporre in % d i una nozione di ricoprimen­ p. 3], «si può dire in conclusione che la nozione di topos sintetizza in forma og­to aperto. Per questo non è affatto necessario che 9K sia la categoria degli aperti gettiva categoriale l'essenza "delle logiche di ordine superiore"... senza assiomadi uno spazio topologico; infatti i r icoprimenti aperti RJ(U ) degli aperti U di di estensionalità. Tale fatto conduce ad una naturale e utile generalizzazioneuno spazio topologico X sono caratterizzati dalle proprietà fondamentali: della teoria degli insiemi consistente negli "insiemi che si sviluppano interna­

a) III . U~ Ue%(U) .mente". In un fondamentale esempio della geometria algebrica lo sviluppo può

b) Se (Us)s,<e JA(U) e (U.„;),,y e JR(UI) per ogni ic I , a l lora (UI) , „ . . . y cpensarsi avvenire lungo un parametro che varia sugli "anelli di definizione" ; inun fondamentale esempio della logica intuizionista, il parametro è interpretato

JA (U).c) Se (U;)s,ieRJ(U) e se V U, allora (UIA V);,Ic%(V). come variante negli "stadi del sapere" ».

Nella categoria 9k degli aperti di X, l' intersezione di due aperti U; e V di U Io.z. Teoria delle catastrofi e ipotesi localista.è semplicemente il prodotto fibrato U, x V e la nozione di prodotto fibrato è

puramente categoriale. Se 9K è una qualunque categoria che ammette prodotti Alcune ricerche recenti fanno presumere che la teoria dei topoi offra un am­fibrati, si può allora definire una topologia su% (detta topologia di Grothendieck) bito naturale per comprendere gli automatismi sintattici delle lingue naturali.associando ad ogni oggetto U di 8K un insieme R(U) di famiglie di morfismi Tuttavia il fenomeno linguistico non si riduce al livello della generatività gram­(U;~ U);, I dette famiglie ricoprenti che verificano la traduzione categoriale de­ maticale. Esso include almeno due altri l ivelli: I ) quello semantico; 2 ) quellogli assiomi a), b) e c). Una categoria munita di una topologia di Grothendieck è delle morfologie sintattiche elementari di base che servono di ingresso agli au­

detta sito. I siti sono, per definizione, i «substrati» dei fasci e ciò permette di tomi generativisti.

generalizzare in modo notevole le tecniche coomologiche della teoria dei fasci. Il problema della semantica è troppo vasto per essere affrontato in questa

Locale /globale 488 Locale/globale

sede. Passando allora al punto z), il problema posto dall'esistenza di un nucleo Fin dall'epoca dei grammatici della scuola di Bisanzio si è sovente ipotizza­di morfologie sintattiche archetipe che servano di ingresso alle trasformazioni to che per risolvere tale quadruplice problema si doveva assolutamente teneresintattiche è apparentemente molto semplice ma incappa in notevoli difficoltà conto delle possibili interazioni spaziali tra attanti concreti. Tale ipotesi, dettadi modellizzazione. In breve si tratta del seguente problema. Tutto porta a cre­ ipotesi localista, significa che ogni caso è passibile di una doppia interpretazione :dere che esistano, a livello delle strutture linguistiche profonde, degli schemi una propriamente grammaticale e l'altra locale, cioè spaziale. Fino ad ora peròelementari di interazioni attanziali aventi carattere universale. La manifestazio­ tale ipotesi — la cui storia è splendidamente narrata nel classico La catégorie desne linguistica superficiale di questi schemi è l 'esistenza di casi (nominativo, cas di Hjelmslev [xqg5-g7] — non ha mai potuto essere convalidata formalmenteaccusativo, dativo, ecc. ) caratterizzati da desinenze, come in latino, oppure da e con ciò stesso fondata. In effetti l ' ipotesi localista cerca di dare un senso ri­preposizioni, come nella maggior parte delle lingue europee. Appare dunque goroso alla nozione di colocalizzazione dei posti articolati da un centro organiz­naturale supporre che, al di là della diversità degli indicatori dei casi, specifici zatore (nodo verbale). Ciò presuppone però che si sappia formalizzare il con­di ogni lingua, esista un nucleo di casi profondi e universali. Che cosa è un flitto fra posti, ossia il processo dialettico di unione e di differenziazione dei posticaso profondo? A priori si deve asserire che si tratta di un posto in uno schema in uno schema d'interazione. E chiaro infatti che «l'identità» dei posti non puòd'interazione di posti. Per esempio il verbo 'dare' lessicalizza in italiano uno provenire dai posti stessi ma solo dal loro rapporto dialettico.schema d'interazione fra tre posti: quello del destinatore (nominativo), quello A questo punto interviene il paradigma catastrofista. La teoria delle cata­del destinatario (dativo) e quello dell'oggetto trasmesso (accusativo). Nume­ strofi è la prima teoria adattata a problemi del tipo di quelli posti dall'ipotesi lo­rosi lavori hanno mostrato che esistono ben pochi schemi elementari universali calista, giacché essa fornisce i primi modelli di conflitto dialettico e classifica led'interazione e che a ) tali schemi paiono aver fornito le «matrici » della strut­ interazioni elementari archetipe fra attanti spaziali. Fsiste una interpretazionetura casuale di tutti i verbi; b) tali schemi sembra operino sia a livello stret­ sintattica delle catastrofi elementari [descritta alla fine di Thom i i l7z ed utiliz­tamente grammaticale sia a livello (semantico) delle cosiddette strutture nar­ zata a scopi semantici in Petitot rqpp ] la quale fornisce una deduzione a priorirative. (si potrebbe anzi dire trascendentale) degli universali casuali, La teoria delle

Il problema diviene allora quello di modellizzare, o meglio di dedurre da singolarità s'innesta cosi, in modo imprevisto, sulla linguistica, fornendo unaprincipi generali, schemi d'interazione casuali astratti, corrispondenti al nucleo risposta profonda e coerente ai punti i )-4).evidenziato dagli approcci casuali (Tesnière, Fillmore, Anderson, ecc.). Si trattadi una questione assai delicata, giacché non si può assimilare una relazione ca­ A partire da alcune osservazioni generiche sulla semantica, si è attraversato

suale a una relazione nel senso logico del termine e partire da relazioni binarie l'universo dei vari aspetti matematici dell'opposizione locale /globale per con­di base per costruire, mediante combinazioni, relazioni piu complesse. La no­ cludere sulle difficoltà inerenti alla schematizzazione delle forme linguistiche.zione di relazione casuale è una nozione per la quale l'opposizione semplice/ I a possibilità di percorsi epistemologici di questo tipo è la premessa di un nuovocomplesso è non pertinente. Certamente fenomeni linguistici quali l 'esistenza tipo di implicazione fenomenologica della matematica che, forse, permetteràdegli incoativi mostrano come alcune interazioni casuali possano ridursi ad in­ di trasformare in modo profondo il nostro rapporto con la scienza. Qualunqueterazioni piu semplici. Ciò non toglie però che a un altro livello ogni interazione ne sia lo sviluppo, è però evidente che l'opposizione locale /globale deve d'oracasuale elementare (cioè lessicalizzabile con un unico verbo ) sia irriducibile. in poi essere considerata come una delle categorie fondamentali della ragionD'altro lato se si trasformassero le relazioni casuali in relazioni logiche, nulla pura. [J. i'.].impedirebbe di renderle a mano a mano piu complicate. È tuttavia un fatto diovvia esperienza (e linguisticamente universale) che la «valenza» dei verbi (se­condo la metafora chimica usata da Tesnière per immaginare il numero di posticasuali articolati da un nodo verbale) è fortemente limitata (circa 4). Adams, F.

rv6z ve c tor fields on spheres, in «Annals of Mathematics», Lxxv , p p . 6os-sz.In conclusione si può dire che il problema posto dall'esistenza di un nucleo Appelgate, H., e Tierney, M.

di schemi astratti di interazioni casuali ha quattro aspetti: [I 966-67] Cat e gories vuith Models, in Seminar on Tr ip les and Categorical Humolvgy Theory,springer, Berlin - New York rg6 v, pp. r 56-z4y.

x) capire come tali interazioni possano essere congiuntamente riducibili ed Dieudonné, J.

irriducibili ; 1974 Cours de geométrie algébrique, Presses Universitaires de France, Paris.?977 Panorama des mathématiques pures. Le choix bourbachique, Gauthier-vi l lars, Paris.

z) capire a cosa è dovuta la loro pregnanza (universalità) ; Eco, U.g) capire perché la loro complessità è fortemente limitata; 1975 Trattato di semiotica generale, Bompiani, Mi l ano.4) capire come esse hanno potuto servire da «matrici » e «catturare» tutte le Godement, R.

morfologie sintattiche elementari. r g6y To p ologie algébrique et théorie des faisceau~, Hermann, Paris.

Locale /globale 490

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Comparsa all'interno delle matematiche (cfr. anche catastrofi, differenziale,funzioni, geometria e topologia, invariante, spettro), l'opposizione locale/globale(cfr. opposizione/contraddizione) ha assunto una portata generale nell'ambito dellafilosofia (cfr. filosofia/filosofie) e della scienza. Nella filosofia essa permette di enun­ciare in modo nuovo e di proporre soluzioni originali a numerosi problemi (cfr. coppiefilosofiche), come quello del tutto e delle parti (cfr. totalità, dialettica), degli univer­sali/particolari, dell'unità e molteplicità (cfr. uno/molti). Nelle teorie (cfr. teoria/mo­dello) della conoscenza, l' opposizione locale/globale è presente in modo particolarein quanto problema dell' induz ione/deduz ione ; essa si può reperire anche nella se­mantica e in generale ovunque si ponga il problema del significato (cfr. senso/signi­ficato). Nella scienza ci s'imbatte in questa opposizione non appena si affronti i l p ro­blema delle leggi (cfr. legge) scientifiche e quello del determinismo (cfr. determinato /indeterminato) ; essa inoltre è al centro della cosmologia contemporanea (cfr. cosmo­logie, universo, spazio/tempo; e ancora : astrologia, astronomia, mondo, natura,caos/cosmo, ordine/disordine).

I 044

Sistemi di riferimento

La nozione di sistema di riferimento è d'importanza fondamentale sia perla matematica sia per la fisica. Essa è però divenuta talmente ovvia che spessosi dimentica che è tra le piu ricche e feconde della geometria. Se può essere altempo stesso cosi basilare eppure cosi ovvia, è perché si tratta di una nozioneche non concerne direttamente la realtà dei fenomeni, bensi le condizioni di pos­sibilità della descrizione dei fenomeni stessi, e la caratteristica delle grandi teorie èla possibilità di dedurre una parte importante della realtà dei fenomeni dallostudio matematico approfondito delle condizioni di possibilità della loro descri­zione.

Se ci si proponesse un'esposizione esaustiva di questa nozione proteiforme,si dovrebbe ripercorrere tutto il sapere matematico e quello fisico poiché nonvi è praticamente alcun dominio di tali scienze in cui essa non intervenga inmaniera costitutiva. Una simile esposizione sarebbe dunque un doppione dimolti altri articoli di quest'Enciclopedia ai quali si farà a mano a mano cenno,senza ulteriori specificazioni, in questo articolo, in cui ci si limiterà a riesamina­re, in modo lacunoso ed incompleto sia a livello fisico-matematico sia a livellostorico, solo alcuni aspetti della problematica del riferimento.

r. La n ecessità del riferimento.

Il verbo 'riferire' si usa tanto nella forma transitiva ('riferire qualcosa') quan­to in quella riflessiva ('riferirsi'). In entrambi i casi inquadra un problema diposizione, una strategia finalizzata a definire un posto. Il suo contesto generale èperciò caratterizzato dall'esistenza di uno spazio E («substrato» delle posizionie dei posti possibili ), di un oggetto O (l'oggetto cui si vuole assegnare una po­sizione) e di un soggetto S (agente della strategia di ricerca).

A partire da questo contesto generale, si possono distinguere tre tipi empi­rici di situazione di riferimento, tra loro radicalmente diversi:

r) Anzitutto vi è il caso in cui E è uno spazio contrassegnato, reso eterogeneo.da punti o da zone fenomenologicamente distinguibili. La strategia consi­sterà allora essenzialmente nel «reperire» tali punti di r i ferimento. Perfare ciò occorre che il soggetto S abbia una visione relativamente globaledello spazio E.

z) Vi è poi il caso in cui il soggetto S non può disporre d'una visione rela­tivamente globale dello spazio L<', a prescindere dal fatto che lo spazio Esia o non sia contrassegnato ossia che esistano o meno punti di riferimen­to. In tal caso il soggetto diventa «miope», non potendo che riferirsi lo­calmente, cioè rispetto a ciò che gli sta attorno, a breve distanza, e nonrispetto a tutto lo spazio E. Una tale situazione potrebbe chiamarsi labi­

Sistemi di riferimento ro46 I 047 Sistemi di r i fer imento

rintica. La strategia di riferimento presuppone in tal caso una strategia denza biunivoca con un modello base standard, ossia il prodotto diretto R" didi uscita dal labirinto (cfr, «Centrato /acentrato», «Labirinto»). n esemplari della retta reale R, il quale, contrariamente ad E, è munito di un

g) Vi è infine il caso in cui il soggetto è dotato di una visione globale dello sistema di riferimento canonico, cioè quello composto dai vettori e;= (o, ..., o,spazio E (cioè trattasi di un osservatore), in cui però lo spazio E è «non­ i, o, ..., o) (con il numero r nella i-esima posizione), i = r, . . . , n .contrassegnato», non possiede cioè punti di r i ferimento, è uno spazio Non s'insisterà mai a sufficienza sulla rottura provocata dall'introduzioneomogeneo. Questo è il caso di un navigatore su un oceano, oppure di chi delle coordinate cartesiane. Essa è all'origine di tutta la geometria algebrica epercorre un deserto. differenziale moderna (cfr. del resto «Geometria e topologia»). Eccone subito

Quest'ultima situazione è alla base della nozione di sistema di riferimento. alcune conseguenze le cui diramazioni sono divenute sostanzialmente coesten­

Infatti è proprio nel caso in cui, essendo E uno spazio omogeneo, l'osservatore sive al campo geometrico.

non dispone di alcun punto di riferimento inerente ad E, che si rende necessario Sia R un riferimento cartesiano di E. Il fatto che ogni punto x di E diven­

l'uso di un riferimento nel senso di un sistema di coordinate. ga, mediante R, «codificato» da una n-pia ordinata di numeri reali permetted'introdurre delle descrizioni algebriche ; ciò significa immergere la geometria inquella rivoluzione dell'ordine simbolico ch'è stata il perno dello sviluppo dell'al­

z. La f e condità concettuale della nozione di riferimento.gebra. Allorché si dispone della nozione di variabile si può dire che un punto xdi E è rappresentato dai valori delle n variabili x„x~ , ..., x„. Avendo poi a di­

Se si volessero valutare le radici antropologiche, culturali, rappresentative esposizione la nozione di funzione si può affermare che un «luogo» di E (cioèl'insieme dei punti di E soddisfacenti a certe proprietà o generati applicando

simboliche della nozione di riferimento bisognerebbe rintracciare in tutta la sua una certa regola) è rappresentato da un certo numero di equazioni f(x„...,complessità fenomenologica e la sua densità storica la conquista del concetto di x„) = o. Disponendo infine delle nozioni di differenziazione si possono tradurrespazio a ciò che Husserl chiamava la Lebenswelt. Si sarebbe cosi condotti da un le proprietà infinitesimali (in particolare tangenziali ) dei «luoghi» di E. Cosi,lato all'analisi antropologica della rappresentazione dello spazio nelle diverse attraverso le nozioni cruciali di variabile, di funzione, di derivata e di differen­culture (in particolare nelle società primitive in cui lo spazio è locale e simboli­ ziale si è spalancato l'immenso universo del trattamento simbolico degli oggetticamente strutturato dall'opposizione sacro/profano : cfr. «Religione», «Pur%m­ geometrici di E. Ciò ha permesso non solo di riesprimere e di risolvere conpuro», «Sacro/profano»), dall'altro all'analisi della sua genesi psicologica, come metodi uniformi (come quelli, ad esempio, dell'eliminazione) i problemi classi­anche all'analisi della desernantizzazione cosmologica dello spazio (passaggio dal­ ci della geometria euclidea, ma ha permesso anche di aprire orizzonti radical­l'astrologia all'astronomia) e all'analisi dell'equivalenza, a suo tempo rivoluzio­ mente nuovi la cui investigazione metodica e concettuale è ben lungi dall'esserenaria, dello spazio celeste e dello spazio sublunare, nonché all'analisi dei rappor­ compiuta.ti tra spazio pittorico prospettico e rappresentazione topografica delle relazioni La «codificazione» dei « luoghi » di E mediante sistemi di equazioni f(x„...,narrative, all'analisi della cartografia, ecc. Tutti questi problemi, cosi delicati, x~) = o vincolerà irreversibilmente una parte della geometria alle funzioni «cal­sono stati profondamente e largamente dibattuti; si potrà far riferimento a due colabili», cioè alle funzioni il cui valore può essere calcolato con applicazioniesempi classici: l'opera di Koyré From the Closed R'orld to the Infinite Universe successive di operazioni algebriche di base. Tali funzioni sono le funzioni poli­[rclg7j e la summa impressionante di Duhem [19I3-16] (cfr. anche « Infinito», nomiali. Sia A l'anello dei polinomi in n variabili su R, A =R [x,, ..., x„]. Se P«Mondo» e «Universo»). è un elemento di A e R un sistema di riferimento cartesiano di E, è possibile

associare ad ogni punto x = (x i ... X„ ) di E il valore P(x) di P in x. Si possonoz.r. Le coordinate cartesiane. dunque considerare i sottoinsiemi V di E definiti dall'annullarsi di un sistema

P„ . .., Pt. di polinomi. Un tale sottoinsieme si dice algebrico e la nozione di in­Allorché si delinea il problema di fornire un riferimento in uno spazio omo­ sieme algebrico è la nozione primitiva della geometria algebrica (cfr. «Geome­

geneo, cioè privo di punti di r i ferimento, cioè di punti fenomenologicamente tria e topologia», «Curve e superfici », « Invariante»).distinti, la nozione di sistema di coordinate diventa necessaria. Supponendo che Assegnare un sistema di riferimento è una condizione che rende possibile lalo spazio E sia munito di struttura euclidea, è possibile definire i riferimenti co­ descrizione simbolica degli oggetti geometrici, ma tale condizione è estrinseca,me i sistemi massimali di n rette passanti per un medesimo punto, a due a due È a priori evidente che gli oggetti geometrici di E sono indipendenti dalla scel­ortogonali (riferimenti cartesiani ). Se si assumono poi delle unità di misura su ta di ogni sistema di riferimento o anche (punto di vista complementare) che,ciascun asse, ogni punto x di E diventa «riferito» rispetto ad un tale riferimento se sono dati un oggetto X di E e un cambiamento di riferimento R~R' e se sicartesiano R dando le sue n coordinate (x,, x,, ..., x„) cioè assegnando una n-pia considera l'oggetto X' con una descrizione rispetto ad R' identica a quella diordinata di numeri reali. Grazie a tale procedimento, E è posto in corrispon­ X rispetto ad R, allora X e X' sono oggetti equivalenti. Tale evidenza a priori

Sistemi di riferimento ioy8 lo49 Sistemi di riferimento

porta al problema della classificazione degli oggetti della stessa natura, in parti­ tro C. Se R = (x, y) è un sistema di riferimento cartesiano di E, le coordinatecolare a quello della classificazione degli insiemi algebrici definiti da un'equa­ cartesiane x, ed y, di C sono date dalle formule :zione P(x) = o di grado d fissato (coniche o cubiche nel piano, quadriche nellospazio tridimensionale, ecc.). Come si vedrà meglio piu avanti, quest'idea d'in­ 3

pm,x, Pmly,varianza per cambiamenti di riferimento è fondamentale poiché genera gli og­ t= l t = lxgetti e si trova all'origine del principio fisico di relatività (cfr. del resto l'omoni­ c 3

mo articolo). g m„«=l

z.z. Alcuni tipi di coordinate. Mobius ha battezzato ni„m», m3 coordinate baricentriche di C. È facile verifi­care che

La nozione di r iferimento cartesiano è l'esempio originario di sistema di l) facendo variare le «masse» m„m», m3 si possono generare tutti i punticoordinate. Ma la nozione di sistema di coordinate ha subito nel corso della di E ed i punti all ' infinito soddisfano alla condizione m,+ma+m» = o ;storia sviluppi, diversificazioni e generalizzazioni considerevoli. Ne verranno z) fissato C, le sue coordinate baricentriche sono definite a meno di un fat­ora citate alcune aventi livelli concettuali molto diversi fra loro. tore di proporzionalità kgo.

Sia R un riferimento cartesiano di uno spazio euclideo E, ad esempio il pia­no. Le famiglie di rette aventi rispettivamente equazioni x = a e y = b (ove x e L'inconveniente di tale definizione è ch' essa presuppone di aver fissato uny sono le coordinate rispetto a R ) formano un sistema (o «rete») di curve orto­ sistema di riferimento cartesiano in E, mentre la struttura proiettiva di un piano

gonali. Per ogni punto di E passa una e una sola curva di ogni famiglia e queste proiettivo è una struttura piu debole di quella affine d'un piano affine che vi èdue curve s'intersecano ortogonalmente in tale punto. Piu in generale, un siste­ immerso. Si può rimediare a questo inconveniente identificando il piano proiet­

ma composto da due famiglie di curve intersecantisi trasversalmente, dipen­ tivo P' con l'insieme delle rette di R' passanti per l'origine e private dell'origi­denti ciascuna da un parametro e ricoprenti ciascuna tutto il piano, può essere ne stessa. Viene cosi definito un punto di P3 mediante una terna (X, Y, T) di treconsiderato come un sistema di coordinate: le coordinate di un punto sono i coordinate dette omogenee le quali a ) non sono mai tutte e tre nulle, ed inoltrerispettivi valori dei parametri di ogni famiglia per l'unica curva della famiglia b) sono definite a meno di un comune fattore di proporzionalità kvco. Se Tdo,che passa per quel punto. Un esempio standard di un tale sistema è dato dalle si può allora associare alla terna (X, Y, T) il punto di un piano cartesiano Ecoordinate polari (r, &) del piano associate al sistema dei cerchi centrati nell'ori­ di coordinate, rispetto a un sistema di r i ferimento R, x = X /T, y = Y/T. Segine e delle rette passanti per l'origine. Si noti che tale sistema ammette l'origi­ (AX, k Y, k T), A /o, è un'altra terna di coordinate omogenee per lo stesso puntone come punto «singolare», poiché la coordinata angolare è ivi indeterminata. di P3, il punto di E che corrisponde a tale terna è proprio il medesimo poichéNello spazio a tre dimensioni, si hanno le coordinate cilindriche ottenute ag­ kX X k Y Ygiungendo alle coordinate polari del piano una coordinata cartesiana per la ter­za dimensione; altro esempio si ha con le coordinate di Eulero date dal sistema AT T k T Tdi sfere centrate nell'origine e, su ognuna di tali sfere, delle coordinate angolari Si ottiene cosi una biiezione tra E e il complementare in P' della «retta al­«geografiche» di longitudine e latitudine. l'infinito» di equazione T=o .

La nozione di riferimento cartesiano è legata alla struttura euclidea degli spa­ Se allora P (x, y) = o è l'equazione di una curva algebrica C di E, ad essazi considerati. E noto però che, per ottenere risultati generali sugli insiemi alge­ si può canonicamente associare un'equazione omogenea atta a definire una cur­brici, si è stati condotti da un lato ad aggiungere i punti all'infinito (proiettiviz­ va algebrica proiettiva C' che prolunga C in P3. Se ad esempio C è una conica dizazione), e dall'altro a considerare i punti a coordinate complesse. Nella geo­ equazione ax3+bya+c = o, le si associa l'equazione a(X/T)'+b(Y/T) +c = o,metria proiettiva complessa del xix secolo si sono affrontati due punti di vista ossia l'equazione omogenea aX 3­+b Y3+cT'= o.radicalmente opposti. Da una parte quello della geometria detta «sintetica» che In altri termini„ la geometria algebrica proiettiva in P" è l 'analisi deglirifiutava ogni algebrizzazione mediante l'uso di coordinate, dall'altra quello della insiemi algebrici definiti mediante polinomi omogenei dell'anello dei polinomigeometria algebrica che voleva adattare a questa nuova struttura le tecniche pro­ <Po X i , ...,X„].prie della geometria cartesiana. Questo secondo punto di vista si è sviluppato Ma la nozione di sistema di coordinate è di portata ben piu generale. Essagrazie all'introduzione delle coordinate omogenee da parte di Mobius, Plucker e interviene infatti ogniqualvolta si voglia rappresentare un'entità dipendente daCayley. certi parametri come un punto di uno «spazio» di dimensione corrispondente.

Si considerino ad esempio, in un piano euclideo E, tre punti u,, u, e u3 non Per questo tale nozione è legata all'enorme generalizzazione del concetto di spa­allineati. Siano essi dotati di «masse» m„m3 ed m3 e se ne consideri il baricen­ zio che s'è prodotta nel corso del xtx secolo. Eccone qualche esempio.

Sistemi di riferimento I 050 I05 I Sistemi di riferimento

In meccanica un sistema di N punti materiali può essere rappresentato da sentazione di enti derivati da P" come punti di sottovarietà di P+ di dimen­un punto di uno spazio a 3N dimensioni e, se questi punti sono vincolati da sione superiore, la cui geometria ne traduce le proprietà, è sorto progressiva­condizioni, da un sottospazio di tale spazio. Nella teoria di Fourier una funzio­ mente uno dei metodi fondamentali della geometria algebrica.ne periodica può essere considerata un punto di uno spazio funzionale di di­mensione infinita e i suoi coefficienti di Fourier diventano, secondo questa in­terpretazione, le sue coordinate rispetto al sistema di riferimento costituito dal­ Il passaggio del globale al locale.le funzioni trigonometriche (cfr. per esempio «Calcolo»).

In geometria proiettiva bidimensionale, se si considera l'equazione omoge­ A partire dalla rottura compiuta da Riemann relativamente al contenuto danea X,x, +X 2x2+ X»x3 = o, essa rappresenta l'equazione di una retta di coordi­ dare al concetto di spazio, i matematici hanno iniziato a considerare spazi gene­nate omogenee (X„X 2, X3) se le x; variano e le X; restano fisse, e l'equazione ralizzati costituiti da enti qualsiasi dipendenti da un certo numero (finito o in­del punto di coordinate omogenee ( x„x „ x 3 ) (considerato come inviluppo delle finito ) di parametri o gradi di libertà. Gli spazi hanno allora preso a proliferare,rette passanti per esso) se le X; variano e le x, restano fisse (principio di dualità dalle varietà differenziabili agli spazi funzionali.di Plucker). In generale, in uno spazio proiettivo P" si dispone di coordinate Tale generalizzazione del concetto di spazio ha assunto due grandi direzio­omogenee duali per i punti e per gli iperpiani. Nasce cosi il problema di tro­ ni: da una parte quella degli spazi ottenuti per incollamento di pezzi di spazivare coordinate omogenee per le sottovarietà di dimensione I (d ( n — I. Si con­ standard (R4 o C") e dall'altra quella degli spazi ottenuti estendendo alla di­sideri ad esempio uno spazio proiettivo P3 di coordinate omogenee (x„x 2, x3, mensione infinita (in particolare alla dimensione numerabile) la struttura di spa­x4) per i punti e ( X1 X2 X3 X 4) per i piani. Sia A la retta passante per due zio vettoriale e la teoria degli operatori lineari.punti x e y di P3 e si consideri la matrice z x 4 Per trattare gli spazi ottenuti per incollamento di pezzi di spazi standard, e

(;: ;:) cioè le varietà differenziabili, analitiche o algebriche, s'è dovuta introdurre lanozione di coordinate locali, ossia localizzare la nozione di sistema di riferimen­to (cfr. «Locale/globale»). Si ricordi per esempio che una varietà differenziabile

Siano p,, i sei minori p,;=x ;y,— y;x, i, j= I, . . ., 4, i/ j , p ,, = — p;;. È facile ve­ reale di dimensione n è uno spazio topologico M r icoperto da aperti U,, dettirificare che, mediante i p,, considerati come coordinate omogenee, la retta A vie­ carte locali, omeomorfi ad aperti V; di R" mediante omeomorfismi y, ai qua­ne rappresentata da un punto di P«. Ma poiché i p,, soddisfano la relazione li s'impone di dar luogo a funzioni di incollamento ri1, o 1i1; : qt(U,g U,)~( ) P14P 23+P24P31+P««P12 ~@1(U,A U,) che siano differenziabili. Se U„è una carta locale di M si pos­

sono trasportare ad U,, tramite l'omeomorfismo q>„— ', le coordinate di V, e si«lo spazio» delle rette di P3 è in effetti rappresentabile mediante la quadrica Q ottengono in tal modo le coordinate locali della carta (U„p t) . Ogni sistema didi P» d'equazione ( I ). I p,, si chiamano coordinate plucl«eriane delle rette di P3 coordinate locali (x„x „ . . . , x„) di M in un intorno di xe M definisce un siste­e la geometria di g diventa la geometria dei sistemi di rette di P3. Piu in gene­ ma di riferimento (una base) nello spazio vettoriale T M dei vettori tangentirale, le sottovarietà lineari di dimensione l di P" si possono rappresentare con i ad M in x. Tali r iferimenti tangenti variano al variare del punto x consideratopunti di una sottovarietà algebrica (non lineare) di uno spazio Pn di dimensione e quindi, contrariamente a quanto succedeva nel caso degli spazi standard R",superiore (teoria delle grassmanniane). C" o P", non possiedono alcun carattere globale. Inoltre non si è neanche sicuri

Non soltanto le sottovarietà lineari di P" possono essere considerate punti di poter spostare differenziabilmente un sistema di riferimento tangente lungodi una sottovarietà algebrica di P-v. Infatti [cfr. Dieudonné 1974] la nozione di M. Infatti, ciò equivarrebbe a dire che su M è possibile costruire n campi dif­coordinate pluckeriane può estendersi fino a trattare come punti di una varietà ferenziabili di vettori tangenti linearmente indipendenti in ogni punto x di Malgebrica proiettiva tutte le sottovarietà algebriche (non lineari ) di P". Sia in e ciò implicherebbe che il fibrato tangente TM~M di M fo s se trivializzabileeffetti V una sottovarietà algebrica di dimensione l di P". Per la dualità tra pun­ cioè diffeomorfo a un prodotto diretto Mx R". Allorché TM è tr ivializzabile,ti e iperpiani di P" si può considerare un sistema S di l + I iperpiani di P" co­ si dice che M è parallelizzabile. È eccezionale che una varietà differenziabileme un punto di (P")'+'. Si fa allora vedere che il sistema S la cui intersezione sia parallelizzabile. Si sa per esempio che le sole sfere parallelizzabili sono S',ha elementi in comune con V forma un'ipersuperficie di (P")'+ di equazione S3, S' (teorema di Bott-Kervaire-Milnor: cfr. l'articolo «Locale/globale»).Fv ­— o, ove Fv è un polinomio irriducibile omogeneo nelle coordinate omoge­ Il fatto però che M non sia in generale parallelizzabile non vieta di spostarenee degli iperpiani di S. I coefficienti di F>, si chiamanocoordinate di Cho«o di V i riferimenti tangenti su M Spostando un sistema di riferimento su M lungoe permettono di rappresentare V come un punto di und spazio P.v la cui dimen­ un cappio, si può ritornare al punto di partenza con un riferimento differente.sione dipende da I e dal grado di V. In altri termini, si può considerare il fibrato dei riferimenti su M e, anche se

Cosicché, mediante lo sviluppo della geometria in P", mediante la rappre­ esso non ammette sezioni globali, considerarne delle sezioni, rilevando su di esse

Sistemi di ri ferimento I052 I053 Sistemi di riferimento

cammini di M. La coomologia di tale 6brato è determinante per la coomologiadi M a valori nei fibrati vettoriali, punto di vista che sviluppa la teoria dei fibrati

y.i. Cambiamenti di riferimento e gruppi di Lie.principali inaugurata da Cartan nel suo metodo detto del (sistema di) riferimen­to mobile. La classe dei sistemi di r i ferimento di uno spazio astratto E definisce una

L'uso delle coordinate locali è ineliminabile in geometria differenziale e struttura geometrica su E. I cambiamenti di riferimento entro questa classe co­riemanniana. Esso sta alla base di tutti i calcoli e permette di de6nire delle en­ stituiscono un gruppo, il gruppo invariante della struttura e, a partire dal pro­tità cosi importanti quali la curvatura di una varietà, la parentesi di Lie di due gramma di Erlangen di Klein, si definisce una geometria mediante il suo gruppocampi vettoriali, l 'azione di una connessione aHine, ecc. (cfr. « Invariante» e invariante e le proprietà intrinseche degli enti di questa geometria sono le pro­«Relatività»). Tuttavia, poiché la geometria di una varietà è intrinseca, cioè in­ prietà invarianti rispetto a tale gruppo.dipendente dalle coordinate locali scelte, bisogna sempre presentarne i risultati Si è stati dunque condotti in modo naturale ad analizzare la struttura gene­in modo invariante. Le coordinate locali servono ad esprimere e a calcolare, ma rale dei gruppi di cambiamenti di riferimento e in particolare la struttura deidevono poter essere eliminate. gruppi classici dei cambiamenti di base negli spazi vettoriali (gruppi lineari),

delle isometrie negli spazi euclidei (gruppi ortogonali ), o degli automor6smi dispazi complessi o simplettici (gruppi unitari o gruppi simplettici ). Questi gruppi

Cambiamento di riferimento, invarianza e relatività. hanno doppia struttura. Da un lato sono gruppi (struttura algebrica) e dall'altrosono varietà algebriche, analitiche o piu generalmente differenziabili (struttura

Il fatto che in uno spazio nel quale nessun punto è fenomenologicamente geometrica). Costituiscono l'oggetto della teoria detta dei gruppi di Lie, teoriadistinguibile (cioè in uno spazio privo di punti di r iferimento ) non ci si possa sviluppata essenzialmente da Lie, Klein, Ki l l ing e soprattutto Cartan; si trattariferire che mediante un sistema di coordinate, che un tale sistema sia arbitra­ senza dubbio di una delle teorie piu complete ed estetiche della matematicario e che perciò gli enti derivati da tale spazio debbano aver senso a prescin­ (cfr. « Invariante»).dere dalla scelta del sistema di riferimento, è un'evidenza a priori tra le piu fe­ In fisica la struttura del gruppo d'invarianza dello spazio-tempo diventa de­conde di tutta la matematica e soprattutto di tu tta la fisica. È anzi doveroso terminante di oggetti nel senso già visto a proposito dell'apriorismo kantiano.notare che in fisica questa evidenza possiede lo statuto di un autentico principio In fisica si considerano non solo i cambiamenti di riferimento geometrici e sta­a priori dell'esperienza che è determinante per l'oggettività 6sica e per la struttu­ tici, ma anche quelli dinamici, cioè quei riferimenti che si spostano gli uni ri­ra dei suoi oggetti. Questo fatto non è sufFicientemente ricordato, eppure esso è spetto agli altri. In relatività galileiana-newtoniana si suppone che lo spazio­epistemologicamente decisivo poiché mostra che la fisica ha confermato, al di tempo g sia il prodotto di uno spazio euclideo tridimensionale e di un asse deilà di ogni attesa, il profondo significato dell'apriorismo kantiano. Si tratta, a tempi (tempo universale). Tra tutti i r iferimenti possibili di 5, si ammette cheparere di chi scrive, di un'osservazione essenziale per una rivalutazione dei rap­ esista una classe 9, la classe dei sistemi di riferimento detti inerziali, rispetto aporti tra la scienza e la filosofia critica. L'apriorismo kantiano non dev' essere cui le leggi della fisica possono esprimersi in modo invariante. Se R è un ele­interpretato come un assoluto d'origine logica ma come un condizionamento mento di 9, tutti gli elementi di 9 si ottengono sia per cambiamenti geometricidell'esperienza possibile. Esso ha la funzione di dedurre alcune intuizioni dei (traslazioni nel tempo, traslazioni e rotazioni nello spazio) sia per traslazioni diprincipi sintetici dell'esperienza il cui sviluppo matematico permette di assor­ velocità uniforme (cfr. «Relatività»). Sia G il gruppo detto di Galileo dei cam­bire progressivamente la descrizione dei fenomeni. In altre parole, tale funzione biamenti di riferimento inerziali. Le leggi della 6sica devono essere invariantinon è per nulla incompatibile con l'esperienza, anzi : essa concerne il ruolo della rispetto all'azione di G e ciò impone loro vincoli fortissimi.matematica ne]la teoria e consiste nell'assegnare a quest'ultima unafinalità (una La forza miracolosa della fisica fondamentale risiede in gran parte nel fattoteleologia) che non è quella di una semplice modellizzazione ma di un'identifica­ ch' essa ha saputo stabilire una solidarietà tra la struttura del gruppo d'invarian­zione progressiva della matematizzazione dell'esperienza con lo sviluppo matema­ za dinamica dello spazio-tempo e alcuni attributi e proprietà fondamentali dellatico del suo inquadramento a priori [cfr. Petitot I98o ; nonché «Categorie /catego­ materia. Infatti, all'invarianza per traslazioni nello spazio sono associati l'im­rizzazione» e «Teoria /modello»j. L'apriorismo kantiano è dunque inscindibile pulso di una particella e la sua conservazione, all'invarianza per rotazioni sonodallo sviluppo concettuale della matematica. associati il suo momento cinetico e la sua conservazione, all'invarianza per tra­

Questa teleologia razionale dell'identificazione dell'oggettività con lo svilup­ slazioni nel tempo sono associate la sua energia e la sua conservazione. Si sapo matematico del suo inquadramento a priori è forse piu che mai manifesta d'altronde che la relatività ristretta einsteiniana ha avuto origine dalla constata­nella storia del principio di relatività. Si deve dunque richiamarne brevemente zione che le equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico non erano in­qualche elemento e ciò sarà fatto partendo dall'ottica generale dell'invarianza varianti per il gruppo di Galileo. Il loro gruppo d'invarianza è il gruppo delleper cambiamenti di riferimento. trasformazioni di Lorentz. Guidato da un profondo senso dell'a priori del prin­

Sistemi di riferimento I 054 'o55 Sistemi di riferimentocipio di relatività, Einstein è stato condotto a fare di questo gruppo d'invarian­za dell'elettromagnetismo il gruppo d'invarianza di tutta la fisica e dunque in

xi =Vi ( ) = i(VJ(t) " p „ ( t ) ) . I l vettore tangente v a C in X avrà dunque percoordinate i numeri

particolare della meccanica. La celebre equivalenza tra massa ed energia non èche una conseguenza diretta del cambiamento del gruppo d'invarianza, ossia del­la geometria di 5 (cfr. l'articolo «Relatività»).

In generale, se G è il gruppo d'invarianza dello spazio-tempo 5, la strutturageometrica di questo gruppo diventa determinante per quelle che prendono il

Si denoti u.'; il numero (òx,'/òx,)(o). Utilizzando la regola della somma degli in­dici, si ottengono dunque le espressioni

nome di particelle elementari di questo spazio-tempo, cioè per la meccanicaquantistica che è ad esso associata. Infatti, in meccanica quantistica un sistema (z) A,' = n',~,.viene rappresentato mediante lo spazio H (che, per ragioni di carattere gene­rale, si può supporre essere uno spazio di Hilbert ) delle sue funzioni d'onda.

Ma il vettore tangente v ha un'esistenza intrinseca indipendente dalla scelta

È peraltro a priori evidente che, poiché la scelta di un sistema di riferimento d elle coordinate locali. Le relazioni (z) di trasformazione delle coordinate di vè relativa (concerne l'osservatore e non il sistema ), il gruppo G deve operare

per cambiamento di coordinate locali esprimono proprio tale esistenza intrin­

su H. In a l tri termini, H è una rappresentazione di G. Dire che il sistema è seca. Esse la esprimono determinando un tipo di variazione di queste coordi­

elementare equivale dunque a dire che tale rappresentazione è irriducibile. La nate, cioè una varianza. Si è dunque condotti ad affermare che ogni sistema

teoria delle rappresentazioni irriducibili di G (eventualmente esteso mediantedi n numeri x„. . . , x„che si trasforma mediante la regola di trasformazione

(z)gruppi di simmetrie interne ) diventerà dunque il principio di classificazione delle

per cambiamento di coordinate locali, definisce un oggetto che ha uguale va­

particelle elementari (cfr. «Particella» e «Simmetria»). Si vede allora che mentrerianza delle coordinate di un vettore tangente ad M Si d irà che un tale sistemaè un tensore controvariante d'ordine r in x .

in partenza era evidente,il principio di relatività è divenuto costitutivo per la strut­tura della materia. Solo nell'atomismo greco in cui gli atomi sono concepiti come Ma le coordinate X; di v sono le coordinate relative a un r i ferimento in

la manifestazione dei sottogruppi finiti (irriducibili a sottogruppi di rotazioneT,M canonicamente associato alla scelta(x„ . .., x„) di coordinate locali. Per de­

del piano) del gruppo di rotazione di Rs, si ritrova l'idea che le simmetrie dello finire questa base la cosa piu semplice è considerare v come un operatore di de­

spazio-tempo determinano la struttura degli oggetti che vi evolvono, cioè, piu rivazione sulle funzioni differenziabili su M (cfr. «Differenziale» e «Infinitesi­in generale, che un principio di relatività del sistema di riferimento è ontolo­ male»). Se f è una tale funzione, allora l'azione di v è definita dalla formula

gicamente costitutivo.(3) vf = Z <; —.

òx„.4.z. Campi tensoriali, covarianza e relatività generale. La base di T,M r ispetto alla quale sono definite le coordinate X, di v è dunque

Quando si considerano varietà differenziabili, per cui la nozione di riferi­ definita dagli n operatori (à/àx;) = ò'. Questi operatori hanno una varianza chemento vale solo localmente come riferimento tangente, il principio d'invarianza non è quella di un vettore tangente. Si operi infatti un cambiamento di coor­

per cambiamenti di riferimento diventa un principio di covarianza per cambia­ dinate locali. In base alle regole di differenziazione, si ha:menti di coordinate locali. òf - ò f ò x , - ò x , .

Sia x un punto di una varietà differenziabile M di dimensione n e (x„..., x„) (4) —,= g cioè à" = g — ~à'.un sistema di coordinate locali in x (x ha dunque come coordinate (o, ..., o) e

òx,. = , , òx, òx, ~,, òx,'può essere notato o). Sia C una curva differenziabile di M passante per x. In Si denoti P' il numero (àx;/òx,'). Le relazioni (4) diventano le relazioni (5) :termini di coordinate locali, C è definita da equazioni parametriche x;= ~1~,(t),ove le p.; sono funzioni differenziabili della variabile reale t soddisfacenti per (5) ò " = j à ' .

esempio a cp;(o) = o. Il vettore tangente v a C in x ha come coordinate i numeri La base ò~ ha dunque una varianza duale di quella di v. Si dice ch' essa è la

«,r=(";,) . varianza di un tensore covariante d'ordine r in x .Il fatto che la varianza di (ò') sia duale di quella di (X.;) permette allora

Se ora si fa un cambiamento di coordinate locali considerando delle funzio­facilmente di esprimere l'invarianza di v. Si ha infatti v = X;ò'. Per cambia­mento di coordinate locali v è trasformato in v' = X'ò" = o'.X.~'à' in virtu del­

ni differenziabili x,' = x,'(x„. .., x„) che inducono un automorfismo lineare del l s / l t

piano tangente T,M (cioè soddisfano alla condizione d'invertibilità che lo jaco­le (z) e (5). Si ha dunque v' =x',P,'X,òt. Ma <x';P,' = i poiché la matrice (P,') èl'inversa della matrice jacobiana (zs) e, poiché X,.ò" = v, si ha v ' = v: v è inva­biano g = (òx,'/àxt)(o) sia non nullo), la curva C sarà definita dalle equazioni riante.

Sistemi di riferimento to56 ro57 Sistemi di riferimento

Si consideri ora la base (dx„..., dx„) dei differenziali in x, cioè la base dello bisogna introdurre la nozione di connessione affine e sviluppare la teoria dellaspazio cotangente T~M. Sempre grazie alle regole di differenziazione si ha derivazione covariante (cfr. «Relatività»).

" òxlSe si ritorna ora alla relatività einsteiniana, si vede che essa riposa intera­

dx,' = g — 'dx,, mente sui seguenti principi, alcuni dei quali sono puramente a priori, mentrej t ò x t altri dipendono solo da dati sperimentali di basilare importanza:

cioè dx,'.= as.dx.. La base (dx.;) è dunque un tensore controvariante d'ordine t t) Lo spazio-tempo 5 è una varietà differenziabile: dato intuitivo fonda­in x, ossia un sistema avente la stessa varianza delle coordinate di un vettore mentale.tangente. Ciò implica che l'entità ò'dx, è un'entità invariante. Tale entità è z) Questa varietà è a quattro dimensioni: dato intuitivo fondamentale.molto semplicemente l'operatore d = ò'dx, che fornisce il differenziale di una 3) In é~ esiste la possibilità di misurare ; è dunque una varietà riemanniana:funzione f secondo la regoladf =(òf/òx,)dx,. dato pratico primitivo.

Sia ora to = a'dx.; una t-forma differenziale in x, c ioè un elemento dellospazio cotangente T~M. Il sistema degli (a„) è un tensore covariante d'ordine r.

y) Gli enti fisici devono essere descritti da entità di varianza ben definita (edunque da campi tensoriali ) dalle quali si possono dedurre entità inva­

Si può dunque costruire un'entità invariante considerando la somma a'X, ove rianti (principio a priori ).(X;) è il sistema delle coordinate di un vettore tangente v. Ma to è una forma 5) Localmente 5 ammette il gruppo di Lorentz come gruppo invariantelineare su T~M e questo numero invariante non è altro che il valore u (v) di (principio di relatività).tù su V.

Si può notare che in tal modo si definisce la varianza di due tipi di enti,6) Vi è un equivalenza tra massa gravitazionale e massa inerziale (esperien­

quelli di t ipo «sistemi di coordinate» come (X;) oppure (a") e quelli di t ipoza cruciale) e dunque tra gravità ed inerzia. (principio di relatività gene­rale).

«base (di uno spazio vettoriale di enti ) associata alla scelta di un sistema dicoordinate locali» come (ò"') oppure (dx.;). Se (X) è un sistema del primo tipo Nell'articolo «Relatività» o nel classico Gravitation di Misner, Thorne e

e (u) un sistema del secondo tipo che sia di varianza duale, allora Xx è un'en­ Wheeler [tg73], si vedrà lo sviluppo che, sebbene classico, continua ad affasci­tità invariante (come v = X „ò ' o t o =a'dx; ). Se (X) è un sistema del primo nare per il suo contenuto teorico, dell'idea fondamentale che l'equivalenza de­tipo e (a) un sistema del primo tipo ma di varianza duale, Xa è un numero gli osservatori (cioè l'invarianza per cambiamenti di sistema di riferimento e diinvariante (come per to = a'dx,, v = X;ò' e to (v) = X;a'). Se y è un sistema coordinate locali) è costitutiva della struttura dell'universo.del secondo tipo e z un sistema del secondo tipo ma di varianza duale, allorayz è un operatore invariante (come per d = ò'dx;).

Si vede dunque che sulle varietà differenziabili la nozione di cambiamento Sistemi di ri ferimento adattati.di riferimento fa sorgere tipi di varianza e mediante ciò crea entità invarianti,cioè oggetti. Tali oggetti sono i tensori. Ad ogni punto x di M s i può dunque Dati uno spazio E e una certa entità dipendente da tale spazio, è spessoassociare un'algebra tensoriale. utile considerare dei riferimenti o delle coordinate locali in E adattate all'en­

Un tensore può però evidentemente variare con x. Si è dunque condotti a tità in questione. Ciò permette infatti di descrivere tale entità in maniera par­considerare campi tensoriali s u M, c ioè sezioni dei fibrati vettoriali su M l e ticolarmente semplice. In matematica esistono un'enorme quantità di proce­cui fibre sono gli spazi di tensori di un certo tipo. In analogia al calcolo diffe­ dure di questo tipo. Ci si limiterà a citare brevemente quattro esempi di naturarenziale sulle funzioni, si può anche sviluppare un calcolo differenziale sui ten­ molto diversa.sori. Ma il problema è un po' piu complicato in quanto, se a un tensore si appli­cano le regole classiche di differenziazione, non si ottiene, in generale, un tensore. Sistemi di riferimento adattati in geometria differenziale.

Si consideri per esempio una funzione f : M~R. S ia (x,, ..., x ) un sistemadi coordinate locali in xeM L e derivate parziali(òf/òx„.) di f sono le coordi­ Dati una curva piana C e un punto x di C, si può considerare il sistema dinate di un tensore covariante d'ordine r, che per prodotto con un tensore con­ riferimento costituito dalla tangente e dalla normale a C in x. Se S è una su­trovariante d'ordine r (X;), dà lo scalare Xf = X;(òf/òx;) che è la derivata di f perficie in Rs e x un punto di S, si può analogamente considerare il riferimentorispetto ad X. Ma è facile vedere che le derivate seconde(ò'f/òx;òx,) non sono costituito dalla normale in x a S e, nel piano tangente a S in x, gli assi princi­le coordinate di un tensore. Poiché anche le derivate d'ordine superiore di una pali della conica che descrive la curvatura (cfr. «Differenziale»).funzione non possono essere definite in modo invariante, si è stati condotti adintrodurre la nozione di getto (cfr. «Locale/globale» e «Geometria e topologia»).

Per poter elaborare una teoria invariante della differenziazione dei tensori,

Sistemi di riferimento ro58 I 059 Sistemi di ri ferimento

ferenziale chiusa e regolare u. In generale E sarà il fibrato cotangente di unavarietà di configurazione M.5.z. Sistemi di r i ferimento adattati in algebra lineare.

Per il teorema di Darboux, se x c E, esistono sempre dei sistemi di coordi­

Sia E uno spazio vettoriale di dimensione n e u un endomorfismo di E. È nate locali di t ipo (p, q), q= (q„..., q~) e p = (p„ . .., p„) per cui u prende la1C

noto che l'analisi spettrale di u consiste nel cercare una base di E in cui l'espres­ forma standard u = p dp ;h dq;. Tali sistemi «adattati» a o1 si chiamano siste­sione di u (la sua matrice) diventi il piu semplice possibile. Si può dunque par­ r, =1

lare di base «adattata» ad u. mi di coordinate simplettiche e i cambiamenti di coordinate simplettiche si chia­

Similmente, se rq è la matrice di una forma quadratica, la ricerca degli «as­ mano trasformazioni canoniche. Si tratta delle trasformazioni che lasciano in­

si principali» è la ricerca di una base adattata ad A. variante la z-forma u.

Questo procedimento può essere generalizzato agli spazi vettoriali di fun­ È noto che un sistema hamiltoniano è allora definito da uno hamiltoniano

zioni ed agli operatori lineari che sono gli operatori integro-differenziali. La ri­ su M cioè da una funzione «energia» H : 1VI~R (differenziabile). Ad H vienecerca di riferimenti adattati ad alcuni di questi operatori diventa allora la ricer­ associata la 1-forma dH che è il suo differenziale. Ma la z-forma u stabilisce

ca di funzioni particolari, come le funzioni trigonometriche e le funzioni spe­ un isomorfismo tra vettori tangenti e vettori cotangenti di E e si può dunque,

ciali (cfr. «Spettro»). tramite o1, associare a dH (e dunque ad H ) un campo di vettori su E, dettoflusso hamiltoniano, le cui traiettorie sono date dalle equazioni canoniche diHamilton :

5.3. Sistemi di riferimento adattati in teoria delle singolarità. dq ò H dp òHdt òp dt òqSia f : M~R u na funzione differenziabile a valori reali definita su una va­

rietà differenziabile di dimensione n. Sia x» un punto critico non degenere di Per costruzione, la z-forma co è invariante per l'azione del flusso (e dunquef (cfr; «Locale/globale»). Il teorema di Morse dice che esiste un sistema di anche o1" che è la forma «volume» di E: teorema di Liouville) ; cosi pure lo ècoordinate locali (x1 ,, X„ ) in x» (ivi x» ha dunque coordinate (o, .„, o)) tale lo hamiltoniano H (conservazione dell'energia).che f assuma la forma particolarmente semplice Per cercare d'integrare le equazioni di Hamilton riportate sopra, il proce­

dimento consiste nel cercare integrali primi ossia invarianti del flusso indipen­denti da u e da H. In fatti esiste un teorema fondamentale, dovuto a Liouville,che afferma che se si conoscono n — 1 integrali primi (cioè n — 1 funzioni

(il numero r di termini quadrati preceduti dal segno negativo è l'indice del pun­ F; : E~R le cui parentesi di Poisson(F;, H) con lo hamiltoniano H sonoto critico ). Tale risultato significa due cose. Da un lato che mediante un cam­ identicamente nulli ) i quali, da un lato sono tra loro indipendenti ed indipen­biamento di coordinate locali si possono annullare, nello sviluppo di Taylor di denti da H (cioè tali che in ogni punto x di E i d i f ferenziali dF; e dH sianof in x, tutti i termini di grado ) z (in un punto critico non degenere f è de­ linearmente indipendenti ) e dall'altro sono tra loro in involuzione ed in involu­terminata dal suo getto di ordine z ). Inoltre che, poiché la hessiana di f in x zione con H (cioè tali che le parentesi di Poisson (F;, F,) e (F;, H) siano iden­è di rango massimo, è possibile, mediante un cambiamento lineare di coordi­ ticamente nulle ), allora le equazioni di Hamilton s'integrano per quadrature.nate, assumere come sistema di riferimento il sistema dei suoi «assi principali». Piu precisamente, se le condizioni del teorema di Liouville sono soddisfat­

In generale, dato un punto singolare di un'applicazione f : M~N t r a due te, se a = (a„..., a„ ,) è un sistema di valori per le F;, e se e è un valore divarietà differenziabili, si cercheranno sistemi di coordinate locali sia nel domi­ H, il sottoinsieme V, „, di E definito da H = e e F; = a, (i = 1, ..., n — 1) è unnio M sia nel codominio N per cui l 'espressione dif diventi la piu semplice sottoinsiemein«rariante rispetto al flusso hamiltoniano. Poiché le F; e H sonopossibile. Il teorema di Whitney sui modelli canonici delle singolarità delle ap­ indipendenti, V««è in effetti una sottovarietà regolare di E. Se per di piu essaplicazioni differenziabili strutturalmente stabili tra varietà di dimensione z ne è compatta e connessa, considerazioni di natura puramente geometrica impli­è un tipico esempio. cano ch' essa è diffeomorfa a un toro n-dimensionale T. Il moto su T è allora

quasi periodico, il che significa che, se (q„ . .., p„) sono le coordinate angolari5.g. Variabili azione-angolo in meccanica hamiltoniana. di T, le equazioni di Hamilton si r iducono a drfr/dt = Q, ove Q è una n-pia

che dipende da a e da e.In meccanica hamiltoniana (cfr. in particolare «Geometria e topologia», VI, Un tale sistema avente n integrali primi (tra cui H ) indipendenti e in invo­

pp. 7I3-23) è dato uno spazio delle fasi munito d'una struttura simplettica, cioè luzione si chiama sistema integrabile. Si può allora mostrare che in un intorno diuna varietà differenziabile E di dimensione pari zn munita di una z-forma dif­ V, „, E è un prodotto diretto di V,, (cioè di T) per un aperto U di R". Si ha

»6*

Sistemi di riferimento to6o to6r Sistemi di ri ferimento

dunque un sistema di coordinate (Q, ci>) in cui le equazioni di Hamilton si scri­ fatti, $ essendo munito della topologia adeguata alla struttura differenziabile,vono dtf/dt = Q, dQ/dt = o, e s'integrano dunque immediatamente ottenendo è possibile definire le forme strutturalmente stabili di $ come le forme f che am­Q = cost e ci>(t) = ci>(o)+At. Tali coordinate non sono in generale simplettiche. mettono un intorno di forme g tu t te equivalenti ad f. Se U è l ' aperto di $È però possibile trovare altri integrali primi I;, funzioni delle F,, tali che le composto di forme stabili, il chiuso ad esso complementare K — detto insiemecoordinate (I, ti>) siano simplettiche. Le coordinate simplettiche (I, ti>) si chia­ catastrofico globale di $ — è un sottospazio di À classificante i tipi stabili. Talemano variabili azione-angolo [cfr. Arnol'd tq74]. Se le coordinate simplettiche insieme catastrofico K essendo inerente ad $ (intrinseco), il problema del rife­sono «adattate» alla z-forma co che definisce la struttura simplettica di E, l e rimento in $ diventa duplice: r ) dare una posizione agli elementi di $ rispettovariabili azione-angolo sono coordinate simplettiche «adattate» allo hamilto­ a K (aspetto puramente qualitativo del riferimento) ; z) data una classe V defi­niano H. nita da K, dare una posizione agli elementi di V in V mediante l'uso di coor­

dinate (aspetto quantitativo del riferimento ).Nei modelli trasversi delle singolarità di t ipo catastrofi elementari, va sot­

6. Si s temi di riferimento e classificazioni. tolineato (cfr. «Locale/globale») il carattere «misto» tra l'aspetto qualitativo delriferimento (basato sulla morfologia di K e sul modo con cui separa lo spazio)

I pochi, drammaticamente lacunosi richiami che precedono, mostrano la e l'aspetto quantitativo del riferimento stesso (basato sull'uso delle coordinate).straordinaria «fecondità» delle nozioni di sistema di riferimento e di coordina­ [J P].te. Esse hanno però preso origine da una situazione in cui lo spazio di base con­siderato è omogeneo, cioè privo di punti di riferimento. Ora, com'è stato notato,il problema del sistema di riferimento si pone anche in spazi «eterogenei », ossia

Arnol'd, V. l .marcati o contrassegnati. Fino ad ora questo aspetto del problema del riferimen­ 1974 Motcmaticeskie metodi klatsiceskoi mehanihi, Nauka, Moskva (trad. it. Edi tori Riuni t i ,to era rimasto estraneo alla matematica. Per concludere, si desidera fare una Roma ig7g).

breve osservazione sulla recente presa di coscienza di tale problema. Dieudonné, J.

Un metodo radicalmente diverso di riferire un oggetto è quello di riferirlo 1974 Court de géométrie algébrique, Presses Universitaires de France, Paris.

non allo spazio ma agli oggetti di ugual natura. I l pa radigma ora non è piu Duhem, P.[1913->6] Le s ystème du monde; histcdre dei dvctrines cosmolagiques de Platon à Copernic, t oquello di un osservatore di fronte all'omogeneità dello spazio ma è quello della voli., Hermann, Paris 1913-59.

classificazione. Si tratta del paradigma dello strutturalismo. Esso consiste nel Koyré, A.dare una posizione a un'entità in uno «spazio strutturale», cioè uno «spazio» 1957 From the Closed Wo> ld to the Infinite Universe, Johns Hopkins Presa, Bahimore (trad.

categorizzato in classi mediante un sistema di diAerenze, di soglie, di scarti it. Feltrinelli, Mi lano >.g741).

differenziali (cfr. «Sistematica e classificazione»). Se gli enti considerati sono Misner, C. W. ; Thorne, K. S. ; e Wheeler, J. A.1973 Gravitation, Freeman, San Francisco.discreti, tale paradigma si sviluppa in teorie logico-combinatorie. Ma se questi

Petitot, J.enti dipendono da parametri continui, la situazione cambia radicalmente. Il con­ >ggo Pe r un nuovo criticismo, in «L'uomo, un segno»> IV, n. 2"3.cetto di classificazione acquista un contenuto geometrico e diventa suscettibiledi un'analisi geometrica profonda dalla quale la teoria delle catastrofi ha trattonuove possibilità di modellizzazione.

Si ricordino dunque (in riferimento all'articolo «I,ocale /globale») alcune La ricognizione antropologica (cfr. anthropos) della rappresentazione dello spazioprerogative del paradigma catastrofista. Si considerino «forme» descrivibili in nelle diverse culture (cfr. cultura/culture) — in particolare nelle società primitive (cfr.termini di applicazioni f : M~N tr a due varietà differenziabili. Tali «forme» primi t ivo) ove lo spazio è locale (cfr. locale/globale) e simbolicamente (cfr. segno,costituiscono uno spazio funzionale ,'F. Ùuesto spazio è intrinsecamente eteroge­ simbolo) scandito dall'opposizione/contraddiz ione di sacro/profano — e l'indagineneo. Infatti è naturale considerare che due forme f e g siano equivalenti, che della genesi psicologica delle nozioni spaziali e del loro apprendimento mettono in luce

esse abbiano lo stesso tipo diAerenziabile, se si può passare dall'una all'altra la rilevanza dei sistemi di r i ferimento nella modellizzazione (cfr. modello) del reale.

mediante cambiamenti di coordinate nel dominio (M) e nel codominio (N) o, in La ricerca di un punto di riferimento in un viaggio sugli oceani o nella costituzione delle

altri termini, se esistono un diffeomorfismo tl di M e un dif feomorfismo g eli varie cosmologie (slittate progressivamente dall'astrologia all'astronomia), l 'analisidella spazialità pittorica con gli studi sulla prospettiva (cfr. disegno/progetto), le varieN ta li che si abbia g = $ cf o ci> t. In questa definizione di equivalenza entra rati>gurazioni della terra che via via vengono approntate dalla cartografia (cfr. atlante)

in gioco il principio di relatività del riferimento negli spazi M ed N. È però sono tutte alla base della nozione moderna di sistema di riferimento che con Descartes eessenziale notare che l'uso del principio di relatività del riferimento implica che Leibniz è venuta svolgendo un ruolo chiave per le matemat iche, consentendo l'artico­il problema del riferimento stesso si pone in modo totalmente diverso in $. In­ lazione sistematica dello studio delle varie funzioni, la nascita del moderno punto di vista

Sistemi di riferimento I062

differenziale, rilevanti sviluppi del calcolo stesso (cfr. anche infinitesimale). Con igrandi progressi dell'astrazione matematica (cfr. astratto/concreto) dell'Ottocento, inparticolare con la rottura concettuale promossa da Riemann, la considerazione di spazigeneralizzati costituiti da entità qualsiasi dipendenti da un numero finito o infinito di pa­rametri ha potenziato in modo formidabile lo studio — in chiave di geotnetria e topolo­gia — di moltissimi problemi matematici. Nel contesto della fisica ha contemporanea­mente preso corpo la definizione degli oggetti fisici come invarianti (cfr. invariante) ri­spetto ai cambiamenti di riferimento, al punto che l'esigenza che una legge fisica non di­penda da un particolare sistema (scelto in modo arbitrario, dunque convenzionale; cfr.convenzione) è stata incorporata nelle teorie fisiche di base (cfr. teoria/modello) comela relatività (cfr. anche spazio-tempo) e i quanti (cfr. anche conservazione/invarian­za e per altri aspetti particella). Ma se enormi progressi intellettuali si sono compiutinell'analisi dei sistemi di riferimento per spazi omogenei, anche gli spazi eterogenei pos­sono venir contrassegnati dagli opportuni «riferimenti » mediante un sistema di scarti dif­ferenziali, di soglie (cfr. soglia). Si ritrova cosi l'antico problema della sistematica eclassificazione: quando le entità considerate sono discrete (cfr. continuo/discreto)questo paradigma si svi luppa in una combinatoria logico-linguistica (cfr. logica,linguaggio e anche codice, immagine) ; se invece dipendono da parametri continui, laclassificazione acquisisce un carattere geometrico, come è nei casi modellizzati dalla teoriadelle catastrofi.

4i9 Stabilità/instabil i tà

Stabilità/instabil i tà le variabili in gioco come grandezze osservabili. Scelte alcune di queste gran­dezze come parametri da determinare con l'osservazione, alcune altre risulte­ranno determinate dall'equazione in funzione delle prime, ed i loro valori o pro­prietà osservabili saranno le predizioni del modello. Poiché non è detto che

r. I d i v e rsi aspetti del problema. tutte le variabili in gioco siano osservabili, chiedersi se l'equazione è «in realtà»una «legge della natura» oppure solo una simulazione matematica è privo di

Non esiste una definizione rigorosa di stabilità che comprenda tutti i casi senso in questo contesto ; un dato modello può solo essere verificato con l'espe­in cui questa parola è usata nella ricerca scientifica contemporanea. Nei lavori rienza, confrontando le predizioni con le osservazioni.dei matematici si trovano invece molte definizioni — nel senso molto preciso che Però questa descrizione «ingenua» del rapporto tra esperienza e matema­il termine 'definizione' ha nella matematica contemporanea — di stabilità, di tizzazione è molto diversa dallo svolgimento storico della ricerca scientificasolito distinte tra loro da aggettivi, come per esempio 'stabilità orbitale, asin­ nell'età moderna, e la differenza principale è proprio il problema della stabilità.totica, strutturale, numerica, assoluta, ecc.' oppure dal riferimento a un autore: Poiché i dati «osservati» sono il risultato di misure sperimentali e di manipola­'stabilità di Lagrange, di Ljapunov, di Andronov-Pontrjagin, di Thom, ecc.'. zioni matematiche di questi, e perciò non sono mai esatti, ma approssimati perNei lavori dei fisici e degli ingegneri si trova invece spesso una nozione di sta­ il duplice effetto degli errori di misura e delle approssimazioni introdotte perbilità non pienamente formalizzata, specificata di volta in volta da espressioni semplificare i calcoli. Non solo: l'equazione stessa non è mai un prodotto ar­del tipo «stabilità rispetto alle piccole perturbazioni dei dati xe». bitrario del nostro intelletto, ma è il risultato di esperienze precedenti: nel caso

L'unico metodo conosciuto per ricondurre ad unità le svariate decine di piu semplice il modello contiene dei parametri « interni » che non sono misu­definizioni diverse, che compaiono nei piu disparati ambiti della matematica rati dall'espèrienza in corso, ma sono il risultato di un'esperienza precedente,pura ed applicata, è quello di ricorrere a una definizione di stabilità /instabilità e perciò sono essi stessi noti con un certo margine di approssimazione. Nel casodi carattere metamatematico. È necessario che il lettore sia avvertito del fatto piu complicato concettualmente, è la stessa forma matematica del modello (perche i ragionamenti metamatematici di questo tipo, portati avanti da Thom e dal­ esempio : funzione, cioè equazione in termini finiti ; equazione differenziale li­la sua scuola (cfr. del resto le osservazioni finali dell'articolo «Matematiche» in neare o non-lineare, a derivate ordinarie o parziali, problemi con dati iniziali oquesta stessa Enciclopedia, VIII, pp. 873-75), non sono affatto bene accetti a al contorno o misti, equazione alle differenze finite ad un passo o a piu passi,tutta la comunità scientifica. Eppure sembra che sia ormai tempo di far uscire ecc.) che è stata scelta in base alla sua validità dimostrata da esperienze prece­questo dibattito dagli ambiti specialistici, non solo perché con le definizioni denti. Allora a maggior ragione le predizioni del modello sono solo approssimate ;«alla Thom» si sono ottenuti risultati ormai cosi importanti da costituire pra­ e l'errore prevedibile nella predizione è l'effetto cumulativo di tutte le approssi­ticamente una branca nuova della matematica pura ed applicata, ma soprat­ mazioni — nelle misure, nei calcoli e nella teoria stessa — insite nel modello. Setutto perché non sono state proposte serie alternative al tentativo di unifica­ tale errore prevedibile è abbastanza piccolo, per esempio dell'ordine di gran­zione della nozione di stabilità fatto dalla scuola «catastrofista», se non quella dezza dell'errore sperimentale nella misurazione della grandezza predetta, al­di restare nella Babele precedente. Certo i ragionamenti di questo tipo hanno lora il modello è utilizzabile ; altrimenti che il modello predica l'esperienza si puòun prezzo, che molti trovano eccessivo: quello di mettere in risalto piu ciò verificare solo per caso. Ma come si fa a determinare — o meglio a maggiorare­

che non si sa, i problemi aperti, i metodi scorretti ed illegittimi che si usano e l'errore di predizione>non si riescono a correggere, di ciò che si sa ed è «sistemato» in modo soddi­ Determinare un limite massimo per gli errori di predizione introdotti dasfacente. Questo prezzo — è bene che sia subito chiaro — sarà pagato anche in ciascuna delle approssimazioni dei tre tipi detti — errori di misura, semplifica­questo articolo. zioni dei calcoli, schematizzazioni del modello matematico — è il problema della

In sintesi, una definizione matematica di stabilità /instabilità potrebbe es­ stabilità; in particolare il modello sarà stabile se l'errore di predizione dipen­sere questa: una proprietà definita nell'ambito di una struttura matematica è derà in modo continuo dalle approssimazioni introdotte, ossia se sarà possibileuna proprietà di stabilità o instabilità se essa individua, in senso positivo o rendere arbitrariamente piccoli gli errori di predizione pur di rendere arbitra­negativo, l'attitudine di un oggetto matematico della struttura stessa ad essere riamente precise le misure, i calcoli ed il modello stesso. Se poi queste preci­eventualmente impiegato in qualche modo come modello della realtà. sioni siano raggiungibili in pratica, con i mezzi attuali (per esempio se i tempi

Per evitare equivoci metafisici è bene precisare che 'modello della realtà' di calcolo sono ragionevoli usando la generazione attuale di calcolatori ), è unviene qui inteso in senso strettamente empirico ed operativo (si veda l'articolo problema diverso, che si può far rientrare o meno nel termine 'problema di sta­«Modello» in questa stessa Enciclopedia ). Un modello può essere costituito da bilità' (cfr. l'articolo «Calcolo» in questa stessa Enciclopedia).un'equazione — nel senso generalizzato di relazione tra diverse variabili a valori Perciò per ogni tipo di modello matematico (equazione in termini finiti,in oggetti di una teoria matematica data — e dall'interpretazione di alcune tra equazione differenziale ordinaria o alle derivate parziali, principio variazionale,

Stabilità/instabil i tà 420 42 I Stabilità/instabil ità

rappresentazione di gruppo, C~-algebra, varietà riemanniana, equazione alle dif­ dia l'articolo «Moto», IX, pp. gg6 sgg.). Se i corpi sono puntiformi oppureferenze, alle differenze finite, integrale, integrodifferenziale, ecc. ) e per ogni perfettamente sferici, rigidi e omogenei (cioè se si trascura l'effetto dell'asim­tipo di approssimazione introdotta (nei dati iniziali, nei dati al contorno, nei metria delle loro forme ), e si suppone che non vi sia alcun attrito, le equazioniparametri interni del modello; errori di arrotondamento, di troncamento nu­ differenziali che descrivono il moto dei corpi secondo la teoria newtoniana simerico, di troncamento di serie di Taylor, di Fourier, ecc.) si può dare una cor­ dicono «problema degli n corpi della meccanica celeste», dove n è un numerorispondente definizione di stabilità. Non stupisce perciò che tali definizioni intero maggiore di r.nella letteratura siano varie decine; anzi sono assai meno di quelle che potreb­ Si supponga per incominciare che i corpi siano solo due, dei quali uno fissobero essere, semplicemente perché alcuni problemi di stabilità sono chiaramen­ nell'origine O del sistema di coordinate in cui si studia il moto, e l'altro abbiate di una tale difficoltà da sfidare l'immaginazione di tutti i ricercatori contem­ una posizione variabile col tempo P= P(t) ma sia vincolato a un piano fissoporanei. («problema piano»). Queste ipotesi, che servono alla semplicità dell'esposizio­

Ma proprio perché la « teoria della stabilità» non è un singolo problema ma­ ne, non mutano la natura del problema dei due corpi. Allora la seconda leggetematico ma una collezione potenzialmente infinita di problemi, dei quali solo di Newton dice che l'accelerazione (derivata seconda della posizione P rispettoquelli piu elementari sono stati studiati, ciò che è caratteristico dei problemi al tempo ) sarà proporzionale alla forza esercitata su P da O: F = m(dsP/dts).di stabilità è che la risposta alla domanda «Questo modello è stabile?» non è Ma poiché tale forza F sarà rivolta verso O (forza centrale) e di grandezzamai cosi netta come ci si potrebbe attendere dal risultato di una rigorosa ri­ inversamente proporzionale al quadrato della distanza r tra P ed O, essa saràcerca scientifica. Il rapporto tra la stabilità e il suo contrario, l'instabilità, è esprimibile meglio usando il vettore e„di lunghezza r rivolto da O verso P,sempre dialettico e storicamente determinato dallo stato della ricerca non solo cioè definito da P = re„. Allora si avrà F = — (Mm/r~) e„, dove M è una costan­matematica ma anche sperimentale. Perché se un modello è instabile rispetto te, e le due espressioni di F uguagliate daranno l'equazione fondamentale dela una previsione, che risulta perciò illegittima, può essere stabile rispetto a modello dei due corpi :un'altra previsione, di natura piu qualitativa, meno precisa; per esempio l'in­stabilità stessa può essere stabile, e quindi costituire una previsione legittima: d'P M

(x) — = e.questo è il tema della teoria della stabilità piu raffinata, la teoria delle catastrofi r

(cfr. in questa stessa Enciclopedia l'articolo «Locale/globale», in particolare allepp. 4g4-px del volume VIII ). Oppure può aversi stabilità rispetto ad alcune ap­ Pertanto nel piano in cui si svolge il moto è naturale usare un sistema di coor­

prossimazioni e non rispetto ad altre ; capita troppo spesso che due tipi diversi dinate polari r (distanza di O da P ) e & (angolo della retta OP a una direzionedi stabilità si escludano a vicenda. Capita perciò che il problema della stabilità fissa). Si tratta ora di dedurre dall'equazione (r) le soluzioni P(t) possibili,di un modello sia chiuso e riaperto a piu riprese nella storia della scienza per senza fare uso di altro che della matematica, in particolare delle proprietà for­

effetto di progressi in campi apparentemente molto lontani della ricerca. d . d d dfmali dell'operatore derivata — ; per esempio la linearità di —, — (f+g) = ­ +Percorrere questa enorme varietà di teorie e problemi di stabilità non è pos­ dt' dt' dt dt

sibile né qui né in alcuna trattazione ragionevole ; tuttavia sarebbe inutile prose­ ag d dg d f+ —, e la formula di Leibniz ­ (f g) = f — +g —.guire senza fare degli esempi concreti di modelli matematici e di problemi di dt' dt d t dtstabilità ad essi collegati, anche se per fare esempi matematicamente non banali Poiché, al variare di t, e„ruota ma resta di lunghezza r, la sua velocità èe storicamente significativi occorre un certo apparato matematico (e qualche parallela al vettore e> ad esso perpendicolare (in senso antiorario ) e proporzio­nozione di fisica). La maggior parte di questo articolo sarà perciò dedicata a nale alla velocità angolare d8/dt : (d/dt)(e„) = (d&/dt) e>. Perciò (per la formulaun solo esempio, la cui storia ormai tricentenaria e la cui complessità matemati­ di Leibniz),ca sono sufficienti ad illustrare una parte notevole dei problemi di stabilità in­ d dr dScontrati dalla scienza moderna. — (re„) = ­ e„+r — e>.

dt " dt " dt

Poiché anche e> ruota con velocità angolare d&/dt, (d/dt)(e>)= — (d&/dt)e„z. Il p roblema dei due corpi. e perciò, usando ancora la formula di Leibniz,

d' d r dr d8 dr d& d & / d&hForse il piu celebre di tutti i modelli matematici del mondo fisico è quello — (re„) = ­ e„+ e>+ ­ — e>+r — e> — r( — ) e,.;dt' " dt' " dt dt dt dt d t idt)che descrive un sistema di corpi celesti — per esempio il sistema solare — come

corpi che interagiscono tra loro soltanto con la reciproca attrazione gravita­ confrontando con l'equazione (x), e separando la componente radiale (cioè pa­zionale, seguendo le leggi di Newton (cfr. del resto in questa stessa Enciclope­ rallela a e„) e tangenziale (cioè parallela a e>) dell'accelerazione e della forza,

Stabilità/instabil i tà 422 4z3 Stabilità/instabil i tà

si ottengono due equazioni, le quali, considerate nel loro insieme, risultano equi­ 1Vla allora è possibile abbassare ancora di uno l'ordine del sistema (4) e (5) ;valenti alla (r) : infatti dalla (6) si può ricavare dr /dt:

dr(p) — = + ~sE — a V (r )

dtdr d& d &

(3) zd d +e il sistema costituito dalla (7) e dalla (5) ha ordine z, con due sole variabili

dt dt dt' dinamiche, r e S, e due integrali primi, E e j, che dipendono dalle condizioniSi noti che il sistema cosi ottenuto è ancora costituito da due equazioni del se­ iniziali ma non variano col tempo.condo ordine (contenenti le derivate seconde) ; il sistema è perciò di «ordine» 4 A questo punto si può integrare per quadrature il sistema costituito dalla (g)nel senso che le variabili dinamiche (quelle le cui derivate compaiono nelle e dalla (7); infatti l 'ordine del sistema può essere ulteriormente abbassato diequazioni) sono quattro: r, & e le loro derivate dr/dt, d8./dt. Il passo successivo uno eliminando la variabile indipendente (il tempo) ; applicando i teoremi dellafa uso della nozione fondamentale di integrale primo, indipendente dal tempo, funzione inversa e della funzione composta si trova infatti che se si considera &vale a dire di una funzione della posizione P (t) e della velocità (dP/dt)(t), come funzione di r anziché di t si ha :h(P, dP/dt), tale da assumere un valore che, al variare di t e con esso di P(t), dS(dP/dt)(t), resta costante; cioè d 9 d t

d dp (8) — = — = +— h P(t),— (t) = o. « « r'V aE — a V(r)dt ' dt dt

Il primo integrale primo fu scoperto (dalle osservazioni ) da Keplero ed è l'in­ Ora la (8) è un'equazione di ordine r a variabili separabili (si veda l'articolotegrale delle aree, o momento angolare / =r ' (d&/dt). Infatti «Differenziale» in questa stessa Enciclopedia) la cui soluzione è semplicemente

d j dr d& , d«& data dall'uso dell'operazione inversa della derivazione, cioè dell'integrale— = zr ­ — +r' — = r (primo membro della (3)) = r o = o.dt dt dt dt ' j ds

(()) & — ~ = +Perciò la (3) afferma proprio che j è un integrale primo, per ogni moto go­ , „ssv aE a V ( s ) ­vernato da una forza centrale: allora sostituendo la costante j a r»(d8/dt) nella dove o) è una costante d'integrazione.(z), il sistema di equazioni diventa In linea di principio la formula (g), accompagnata dall'analoga «quadra­

d»r f ' M tura» che si può ricavare dalla (7)(4)

dsd& (xo) t — t«= +

(s) ,, ~ E a V (s ) ­

'

dt r '(dove t» è un'altra costante d'integrazione), costituisce una soluzione del pro­

cioè è stato ridotto all'ordine 3, poiché alla variabile dinamica d&/dt è stata so­ blema dei due corpi, poiché consente di calcolare — eseguendo gli integrali — lestituita la variabile non dinamica, costante, lungo una soluzione, j . funzioni & = S(r), t =t (r) e quindi — effettuando un'inversione — r = f,(t),

Un altro integrale primo è l ' integrale dell'energia, che si trova per ogni & =8(r(t)) = f«(t) cioè la soluzione P(t) come funzione del tempo in coordi­equazione della forma (4) in questo modo: si cerchi una funzione V(r), detta nate polari.energia «potenziale», tale che la (4) diventi d'r/dt»= — (dV(r)/dr). U(r) si tro­ Vale la pena però di osservare che la «quadratura» (c)) possiede una formava allora integrando il secondo membro della (4), e risulta U(r) = (g /zr )­ molto particolare, poiché la funzione integranda al secondo membro è abba­— (M/r) a meno di una costante. Allora stanza semplice: allora è possibile esprimere l'integrale (g) jn termini f initi

r d r ' mediante la funzione trigonometrica inversa «arco il cui coseno è... » in questo(6) E= T + V = ­ — + V(r) modo :

è un integrale primo : r& — u= +arcosdE dr d r dr dV dr /d r dVi M'dt d t dt » d t d r dt idt» dr j zE+- y

Stabilità/instabilità 4z4 4z5 Stabilità/instabilità

Da questa formula, per inversione (cioè ricavando r in funzione di &), si ottiene due corpi (che è stato presentato nella forma datagli da Bernoulli nel raro,la nuova formula quando le riserve sul calcolo infinitesimale che avevano imbarazzato lo stesso

Newton, costringendolo a una presentazione ibrida, potevano ormai essere su­j ' /M

(rz) r­zEja

perate dagli scienziati piu all'avanguardia) è che la ragione principale di talesuccesso nel predire i risultati osservativi è che tale soluzione possiede straor­

r + r+ , cos(8 — 6)) dinarie caratteristiche di stabilità.Infatti si supponga che le osservazioni astronomiche diano i valori delle

che è l'equazione — in coordinate polari — di una sezione conica di eccentricità «osservabili» posizione e velocità al tempo t = o. (In realtà non è proprio cosi,e~ =(r+z'~)//M~, cioè un'ellisse per o<e< r ; una circonferenza per e= o; una poiché le osservazioni astronomiche forniscono solo posizioni e non velocità;parabola per e = r, un ramo di iperbole per e) r . a questo caso ci si può però ricondurre con vari metodi, studiati da Laplace,

Allora la legge della traiettoria (xz) assegna la curva su cui si muoverà la Gauss e altri ). Da queste è possibile calcolare gli integrali primi E, j, u, r~ consoluzione P (t), mentre la legge oraria (ro) assegna i tempi di percorrenza le formule viste; ora, usando le stesse formule al contrario, dati E, g, u, t~ èdella traiettoria stessa. Si noti che l'equazione (xz) (oppure (rx)) si può inter­ possibile calcolare il valore di P (t), e se occorre dP/dt, a un tempo arbitrariopretare come la definizione di un terzo integrale primo m, indipendente dal t/ o , usando formule esplicite come la (rz) e dando soluzioni approssimate adtempo, o>= u(P,dP/dt), mentre la (xo) definisce l'integrale primo dipendente equazioni che contengono integrali come la (xo) (o in realtà risolvendo l'equi­dal tempo t~= t~(P,dP/dt,t) che è pure costante al variare di t. Perciò la co­ valente «equazione di Keplero»). Il calcolo della predizione P (t) può esserenoscenza di tre integrali primi indipendenti dal tempo E, g, o> e di un quarto eseguito con la precisione voluta, pur di dedicare un tempo sufficiente — e del re­integrale primo dipendente dal tempo, t~, determina esattamente la soluzione: sto ragionevole — ai calcoli. Ora però i parametri da cui dipende la soluzione­in questo caso poi i tre integrali primi E, j, u sono noti esplicitamente come cioè il parametro M (massa del corpo attirante) e gli integrali primi E, g, co, t~­combinazioni di funzioni elementari, mentre t~ è ricavabile solo tramite l'in­ sono funzione delle osservabili posizione e velocità iniziali, che sono note solotegrale (ro) di cui non si conosce un'espressione finita mediante funzioni ele­ con una certa approssimazione. Si supponga allora che le condizioni iniziali os­mentari. servate siano diverse da quelle «vere»: allora i valori calcolati dagli integrali

Prima di passare a considerare un piu complicato problema degli n corpi con primi saranno diversi da quelli «veri»: però E, j, u, t~ sono funzioni continuen) z, conviene soffermarsi un poco sulle straordinarie caratteristiche della so­ dei dati P, dP/dt, cioè variano di arbitrariamente poco purché P, dP/dt varinoluzione, qui frettolosamente presentata, del problema dei due corpi. La prima in misura opportunamente piccola: piu rigorosamente (si prenda per esempiocaratteristica stupefacente di questa soluzione è che il procedimento seguito j) per ogni numero reale s) o, esiste un numero reale 8)o che dipende da s,per ottenerla è molto semplice, relativamente all'importanza del problema; tut­ tale che se le «osservazioni» differiscono dalle posizioni e velocità «vere» pertavia tale semplicità è solo apparente, perché essa è ottenuta dando per scon­ meno di 8, allora il valore calcolato di j di fferisce da quello «vero» per menotate le proprietà delle operazioni di derivazione e integrazione, cioè di quel cal­ di s (cfr. l'articolo «Infinitesimale» in questa stessa Enciclopedia ).colo infinitesimale che si fondava, non solo all'epoca di Newton ma ancora A sua volta il valore predetto di P (t) a un dato istante t = t, dipende in mo­per tutto il Settecento, su principi incerti e poco accettabili dal punto di vista do continuo dagli integrali primi E , j, u , t ~ (e dal parametro M ). Allora ladel rigore logico (cfr. su questo aspetto gli articoli «Calcolo», «Differenziale» e « funzione composta» che a partire dalle «condizioni iniziali » al tempo t = o for­

«Infinitesimale» in questa stessa Enciclopedia), e che ancora oggi costa non nisce la predizione al tempo t = t, è pure continua, e quindi la predizione è vici­poca fatica per essere appreso in tutto rigore da chi intraprende studi scientifici. na quanto si vuole alla «realtà» purché le osservazioni siano abbastanza buone.Ma l'importanza storica decisiva del problema dei due corpi consiste proprio Questo primo e piu semplice tipo di stabilità, la «continuità rispetto alle con­nel fatto che il successo strepitoso ottenuto dalla soluzione di Newton del pro­ dizioni iniziali», non è una proprietà caratteristica delle equazioni (r) del pro­blema (nel predire i r isultati osservativi dell'astronomia del sistema solare) blema dei due corpi, rna è una proprietà di ogni equazione differenziale ordina­costrinse gli scienziati — dopo un breve periodo di resistenza — ad accettare i ria dotata di un secondo membro che soddisfi opportune ipotesi di «regolarità»,procedimenti del calcolo infinitesimale come atti a costituire modelli matematici per esempio che sia «lipschitziano» (cfr. in questa stessa Enciclopedia l'articolodella realtà, malgrado la stessa incertezza dei fondamenti logici, incertezza che «Differenziale», IV, pp. 763 sgg.) ; questo però fu dimostrato in modo rigorosofu sciolta solo r 5o anni dopo da Cauchy e dai suoi successori. In particolare, il solo nell'Ottocento.modello della realtà fisica basato sulle equazioni differenziali ordinarie come la Ma le equazioni del problema dei due corpi possiedono un altro tipo di(r) — derivate seconde delle posizioni uguali alle forze impresse — s'impose co­ stabilità che è invece molto raro, tra le equazioni differenziali, anzi quasi uni­me il modello matematico della realtà per eccellenza («meccanicismo»). co: ci si l imiti a considerare, tra le traiettorie descritte dalla (rz), quelle con

Allora ciò che importa mettere in rilievo della soluzione del problema dei e = r + [(zE j)/z] < r, cioè le orbite ellittiche. Poiché l'ellisse è una curva chiu­

Stabilità/instabilità gz6 4.27 Stabilità/instabilità

sa, se P(t) percorre un'ellisse ripasserà successivamente dallo stesso punto dopo dizione (e solo a t ' l' e rrore in direzione perpendicolare alla traiettoria) perciòun certo tempo T (detto «periodo»), cioè P(T+ t) = P(t). Se le condizioni ini­ nessun calcolatore, per quanto potente, può essere usato per calcolare numeri­

ziali variano di poco, P (t) percorrerà ancora un'ellisse vicina a quella prece­ camente un'orbita per piu di qualche migliaio di periodi. Questo ha effetti im­dente, e l'orbita sarà ancora periodica nel senso che P (Ti+ t ) = P(t) con un portanti anche sulla ricerca teorica.periodo T i diverso, sebbene di poco, da T. Ma la predizione che l'orbita siaperiodica sarà soddisfatta lo stesso; per di piu tale orbita, ripetendosi infinitevolte, non si avvicinerà all'origine a meno di una distanza minima e neppure 3. Perturbazioni ed equazioni di Hamilton.si allontanerà mai al di là di una distanza massima, che possono essere ricavateentrambe dalla ( iz ). Perciò, per un tempo arbitrariamente lungo nel futuro o Ma il vero problema di stabilità del problema dei due corpi è un altro, e cioènel passato, il corpo P non potrà sfuggire all'infinito né collidere con l'altro quello della stabilità rispetto alle modifiche del modello fisico, alle «perturba­corpo che lo attira, posto in O; e per di piu la validità di tale previsione non è zioni» nella terminologia classica. Si supponga cioè che oltre all'attrazione delalterata da un errore — abbastanza piccolo — nella determinazione delle con­ corpo posto in O agisca su P un'altra forza, piccola ma presente a ogni tempo t.dizioni iniziali. Per esempio si può supporre che il corpo in O non sia sferico, per cui la

Non solo: ma se l'errore nelle condizioni iniziali è abbastanza piccolo, l'or­ sua attrazione gravitazionale non è sempre rivolta verso il centro geometrico O

bita prevista P (t) differirà da quella «vera» P (t), ma le due ellissi saranno vi­ (problema del satellite ) ; oppure si può supporre che i corpi in gioco sianocine, con distanza massima che tende a o quando la differenza nelle condizioni tre, ciascuno dotato di massa e quindi capace di attirare ciascuno degli altriiniziali tende a o. Quest'ultima proprietà va talvolta sotto il nome di «stabilità due (problema dei tre corpi ).alla Lagrange» o «stabilità orbitale». Viceversa non è vero che se l'errore nelle Per comodità di esposizione si usa anche prendere come esempio il caso incondizioni iniziali, P (o) — P(o), e cosi (dP/dt)(o) — (dP/dt)(o), tende a zero, cui vi siano tre corpi, di cui due — P, e P~ — dotati di massa finita mi, ms e uno

allora P(t) — P(t) tende a zero per ogni t. Infatti se le condizioni iniziali sono Ps considerato come «particella di prova» cioè attratto da P„P~ ma privo di in­di poco errate, il periodo predetto Ti sarà diverso da quello vero To e perciò fluenza su di essi; allora Pi e P, si muoveranno su orbite soluzioni del proble­P(t) sarà si su di un'ellisse vicina a quella su cui si muove P(t), ma col pas­ ma dei due corpi, come ad esempio due circonferenze con centro in O e raggi in­

sare del tempo si troverà in una posizione sempre piu distinta (in angolo ri­ versamente proporzionali alle rispettive masse(problema ristretto dei tre corpi ).spetto all'origine) da quella in cui si trova P (t) allo stesso istante t : gli errori si Per intendere questo problema come «perturbazione» del problema dei dueaccumulano col tempo lungo l'orbita, mentre vi è stabilità per gli errori perpen­ corpi in cui vi sono solo P i fisso in O di massa m, = M e Ps, basta supporredicolari all'orbita stessa. Si dice perciò che il problema dei due corpi non è che P, abbia massa m~ molto piu piccola di m,; cioè si fa tendere a zero il «para­«stabile secondo Ljapunov». metro perturbativo» li, = ms/(m,+ms). Ci si chiede allora se valga una qualche

Questo ha conseguenze molto importanti nelle applicazioni : se gli errori com­ forma di stabilità rispetto al variare di p,, cioè se per valori di p, abbastanzamessi nel misurare il periodo di una soluzione del problema dei due corpi si piccoli l'orbita di Ps, pur non essendo piu esattamente una conica, per esem­accumulano nel tempo come errori di previsione della posizione futura, è vero Pio un'ellisse, conservi la ProPrietà di non avvicinarsi né a Pi né a Ps a meno

viceversa che ripetendo la misurazione su piu periodi consecutivi si accumula di una distanza costante, e di non sfuggire all'infinito.informazione sul valore esatto del periodo. Studiare questo problema di facile enunciazione richiede però un apparato

Perciò le grandezze legate al periodo dei pianeti del sistema solare (come matematico notevole, indicato tradizionalmente come «teoria delle perturba­la durata di un anno, e la grandezza M ad essa collegata, cioè la massa del Sole zioni». L'idea base è quella di esprimere le equazioni di moto del problemamoltiplicata per la costante di gravitazione universale, ovvero la costante di dei due corpi, e quindi anche del problema «perturbato», in un sistema di coor­gravitazione universale in unità astronomiche in cui la massa del Sole è i ) dinate tali che le soluzioni del problema «imperturbato» abbiano forma parti­sono le grandezze fisiche note con maggior precisione. (Per contrasto, si può colarmente semplice, espresse per esempio da funzioni costanti o lineari delnotare che la costante di gravitazione universale in unità di misura terrestri è la tempo. Allora l'effetto delle perturbazioni sarà quello di far variare lentamentecostante fisica peggio nota, con neppure tre cifre significative certe). le grandezze che non sono piu costanti e di variare di poco le velocità che non

D'altro canto l'accumulazione degli errori lungo la traiettoria ha effetti sono piu costanti. Se tali variazioni sono abbastanza piccole, l'orbita di Ps con­molto negativi nel calcolo numerico; se si cerca di calcolare la traiettoria di un serverà un comportamento «stabile» (per esempio evitando le collisioni con P,corpo celeste partendo dalle equazioni differenziali che generalizzano la (i) e e Pa) per un periodo di tempo abbastanza lungo, e si presterà ad essere cal­

integrandole numericamente con un veloce calcolatore elettronico della gene­ colata mediante opportuni procedimenti di approssimazione.razione oggi in uso, l'errore finale lungo la traiettoria sarà «probabilmente» Quali siano Ie grandezze conservate dalle soluzioni del problema dei dueproporzionale a t do ve t è l'intervallo di tempo a cui si vuole estendere la pre­ corpi è chiaramente indicato dalle formule (3), (6) e (g) : sono cioè il momento

Stabilità/instabilità 4z9 Stabilità/instabilità

angolare j, l'energia totale E e l'angolo co che indica la direzione del pericentro : mo, e la terza coincide con la (4), Però la formulazione (xg) ha due vantaggiqueste tre grandezze definiscono una conica di eccentricità, semiasse e orienta­ fondamentali. Il primo è che se si vuole aggiungere l'effetto perturbativo dellozione dati. La quarta coordinata che occorre dovrebbe essere una funzione li­ sdoppiamento della massa i posta in O nella coppia di masse i — p, e p, poste inneare del tempo I = n(t — tz), dove n può anche dipendere dagli altri integrali P, e P, che si muovono attorno ad O, basta calcolare l'energia potenziale gra­primi. Si tratta di vedere se esiste un tale sistema di coordinate, atto a descri­ vitazionale dei due corpi e sostituirla al termine ­ ( i /q,) = — (i/r) che espri­vere tutte le soluzioni (o almeno quelle ellittiche ) del problema dei due corpi, meva l'energia potenziale gravitazionale di un solo corpo: ossia basta aggiun­e in che modo è possibile scrivere le equazioni di moto del sistema perturbato gere alla hamiltoniana ( i4 ) una funzione perturbatrice R,in tale sistema di coordinate.

La soluzione, anzi le soluzioni, via via piu eleganti e raffinate, di questo I I — p, iz(6) R (q q P P t ) ­ — ­

problema, sono il risultato di quell'arco di circa cent' anni di studi che oggi èconsiderato l'epoca della meccanica celeste «classica», da Clairaut a Jacobi. dove r„rz sono le distanze di Pz da P„Pz rispettivamente.Non si può certo ripercorrere tale strada, che può essere seguita sui trattati

Il secondo vantaggio consiste nella possibilità di effettuare trasformazioni«classici» (Laplace, Jacobi, Tisserand, Brouwer e Clemence): ci si l imita a di coordinate in modo relativamente semplice: basta assegnare una «funzionecitare la forma moderna della teoria delle trasformazioni delle equazioni della

generatrice» S = S(q,L) (L un vettore L = (L„L „ .. . , L„,)) ; poi mediante lemeccanica. Questa si applica alle equazioni differenziali che sono poste nellaformuleforma «di Hamilton» (cfr. in questa stessa Enciclopedia l'articolo «Differenziale»,

IV, ) 3 .3), cioè che sono definite da una «funzione hamiltoniana» H(q, p) p, = ­ (q L)òqh

(q, p sono vettori: q = (q„..., q ), p = (pi, ..., P~)) mediante le formule: g = r , z , . . . , mòS

dq; òH' = òL(q' )

dh òp ,.( i3 ) z = I> 2» . .. m . s i definisce una trasformazione canonica dalle vecchie coordinate q e mo­

dp; òH menti p alle nuove coordinate 1 e momenti L (sotto opportune condizioni didt ò q, regolarità e non-degenerazione, che non vale la pena di precisare qui [cfr.

Goldstein x9go]).Le equazioni del problema dei due corpi si possono porre in tale forma pur di Il vantaggio di una trasformazione «canonica» consiste nel fatto che nel nuo­scegliere come coordinate q„qz delle coordinate di P nel piano, per esempio vo sistema di coordinate 1, L le equazioni di Hamilton ( i3 ) si scrivono an­le coordinate polari r, &, e come p„p, i momenti coniugati, in questo caso la cora come equazioni di Hamilton :velocità radiale dr/dt e il momento angolare g = rz(d&/dt): allora la funzionedi Hamilton del problema dei due corpi è d l, ò K

dh ò L ,( i4 ) H(qi qz Pi Pz)= Pz+ zj ( i8 ) j = r ,z, . . . ,mdL. òK

dt òl,.ossia, come si verifica dalla ( 6), H(q„q„p„ p , ) = E è l'integrale primo dell'e­nergia. (Si è «normalizzata» la massa del primario M a i, supponendo di ef­ dove la nuova hamiltoniana K si ot t iene semplicemente sostituendo le nuovefettuare un opportuno cambiamento di unità di misura ). Le equazioni di Ha­ variabili nella vecchia funzione di Hamilton H, ci oè K (l,L) = H(q(1,L),milton sono allora: p(1,L)) (teorema di Hamilton). Non solo: poiché la funzione S può essere

scelta arbitrariamente, si può cercare una «funzione generatrice» S tale dadql Pz— = p s oddisfare a opportune condizioni ; per esempio si può imporre a K d i d i ­

dt qz pendere solo dai nuovi momenti L e non dalle 1, il che impone alla S di soddi­dp, ò p' , r Pz sfare all'equazione (detta di Hamilton-Jacobi)

odh òS

( i9) H q,— (q,L) = K(L)Tutto questo è naturalmente solo un modo diverso di scrivere cose note, poi­ ' òq

ché le pr ime due delle (r>i) sono proprio le definizioni dei due momenti che è un'equazione alle derivate parziali. Se una funzione nota S = S(q,L) èpi = dr/dt e pz = r (d&/dt), la quarta esprime il fatto che p,=g è un integrale pri­ soluzione della ( i9 ), allora è nota la trasformazione definita dalle (rp) che ri­

Stabilità/instabi1ità 43o 43 I Stabilità/instabi1ità

duce il sistema di equazioni (r3) alla forma (x8) con però K = K(L), cioè e le nuove coordinate I„ lz si ottengono quindi applicando la regola(x7) : in par­òK/òl»= o, e cioè alla forma ticolare

òS — L, dq,dL,. I, = =q,+— = Odt

òL, Lzj =r , z , . . . , m q' ,zK(L,)+ ­ — — ,

dl; òK— '= ­ (L)d h òL , Queste formule possono apparire complicate, ma in realtà la (zr) coincide conla (7), che esprime la velocità radiale, poiché (òS/òq») = p , = {dr/dh) ; e la (zz)nella quale si legge che i nuovi momenti L sono tutti integrali primi e le coor­è esattamente la (il ), per cui lz è proprio l 'angolo oi che esprime l'orienta­dinate I. variano linearmente col tempo : mento dell'ellisse. Allora, scelta la funzione K (L,), si definisce una trasforma­

L, = cost zione canonica in cui lz, L„L 2 sono integrali primi, e I, = n (t — t~) è una funzione

I, = o>x(L) t+cost j = r, z, ..., m lineare del tempo con n = (dK/dL,) (L,). A questo punto per scrivere le equazio­

K(L) ni del moto perturbato basta aggiungere alla hamiltoniana una funzione pertur­batrice, come per esempio la (x6) per il problema ristretto dei tre corpi (ma il

L; procedimento vale per qualunque perturbazione gravitazionale) ; allora, poichéil che è esattamente quello che occorre per lo sviluppo di una teoria perturba­ la trasformazione canonica non cambia la funzione hamiltoniana (non ne cam­tiva. bia il valore nei punti corrispondenti per la trasformazione), la nuova hamilto­

Purtroppo l'equazione (rg) è assai difficile da integrare: poiché la (xg) è niana nelle variabili I„ lz, L», L, saràun'equazione differenziale «alle derivate parziali» di S e non «alle derivate or­dinarie» come la (x3), è in effetti assai piu difficile integrare la (xq) che la (»3), (z3) K(L,)+R =H (q», qz, p», p,)+R,e il numero di problemi «hamiltoniani» per i quali si conosce una soluzione dove naturalmente R deve essere espressa in funzione di I„ I„ L „ L2 e t . Lecompleta dell'equazione di Hamilton­Jacobi non supera la mezza dozzina. E equazioni di Hamilton del moto perturbato nelle nuove variabili saranno al­tuttavia sono questi «sistemi integrabili» quelli che possono essere posti alla lora:base di una teoria delle perturbazioni: il problema dei due corpi rientra ap­ dL, òR dL, òRpunto fra questi. Data infatti la funzione di Hamilton (x4), l'equazione di Ha­ dt òl, dh òl,milton-Jacobi corrispondente è (z4)

dl, òR d l, ò R— '=n +(zo) ­ — + —, ­ — — = K(L„L,) dh òL , d t ò L

Le (z4) vanno solitamente sotto il nome di «equazioni di Delaunay»; si notiche può essere risolta per «separazione di variabili», cioè cercando una solu­che a parte il termine n = òK/òL„ tu t ta la parte restante dei secondi membri

zione S(q»,qz, L»,L2) che sia somma di una funzione della q» e di una funzione tende a o per p tendente a o; infatti per p, = o, R è nulla come si vede dalladi qz: S = S ,(q„L„ L 2)+Sz(qz,L» Lz) da cui la (zo) si separa in due equa­ definizione (»6) (se p,= o, P, ha massa r e sta in O, mentre Pz non esercita al­zioni «ordinarie» per la semplice ragione che le due parti dipendenti solo da q, cuna infiuenza), d'altro canto R è una funzione continua di p.. A questo puntoe solo da qz del primo membro della (zo) devono essere entrambe costanti: si supponga che p, sia piccolo ma diverso da zero: per esempio nel sistema so­òS2/òqz ­— pz = cost. Per cui si può assumere che Lz =pz, visto che pz è un lare i due corpi piu importanti sono il Sole e Giove, con la massa di Giove cheintegrale primo ; e inoltre è r/r047 circa di quella del Sole, per cui si può descrivere abbastanza bene il

òS, L2 moto di un piccolo pianeta come la Terra come un problema ristretto dei tre(zr) = + z K (L) 4­— — — ' . corpi con p, = o,ooog5. Nel sistema di Delaunay {z4) i secondi membri sono

q» piccoli (salvo la «costante» n), dello stesso ordine di grandezza di p,: l'effettoA questo punto è ancora del tutto arbitraria la scelta della funzione K (L», Lz) accumulato in un tempo molto lungo di queste «piccole» perturbazioni puòper cui si può scegliere per semplicità K = K(L,) ; S r isulta allora per inte­ essere tale da cambiare le quantità L, (quindi K(L») = E, l'energia) e Lz (cioègrazione diretta : j, i l momento angolare) di quantità arbitrariamente grandi, oppure no? Non

Lz 1/2 si può ottenere una conclusione del genere soltanto dalla «piccolezza» dei se­S = q L,+ z K (L )+ ­ — ­ dq, condi membri dell'equazione (z4). Sapere infatti che la derivata di una gran­

Stabilità/instabilità 43z 433 Stabilita/xxxstabxlxta

dezza è piccola con p,, si supponga per esempio — p,< (df/dt) <p., non impedi­ ticolo «Geometria e topologia», VI, ) 5. x) descritta da due parametri, per esem­sce affatto che f(t) — f(o) abbia un valore dell'ordine di x purché t sia dell'or­ pio li, lz.

dine di x /p.. Poiché l'età del sistema solare è pari a circa 4,6 miliardi di anni Per comprendere la geometria di una tale superficie, si può osservare che

(nelle unità qui usate, t arriva a circa 3 miliardi), questo non dice molto sulla delle due coordinate che la descrivono, lz è un angolo, il che significa che se l,

stabilità del sistema solare. Ma c'è di peggio: è vero che la funzione perturba­ viene incrementato di zar (cioè di un angolo giro ), ferme restando l i , L„ L z ,trice R (x 6) è nulla per p.= o, ma non è vero che R sia piu piccola in valore asso­ il punto cosi rappresentato nello spazio delle fasi resta lo stesso. Ma anche l, è

luto di cix, con c una costante opportuna, e meno ancora questo è vero per le sue definito a meno di un periodo: infatti le soluzioni ellittiche (E<o) sono pe­derivate. In termini fisici, l'effetto prodotto dalla piccola massa in P, è piccolo riodiche rispetto al tempo, cioè quando t cresce a t+ T, la soluzione ripassacon la massa se si resta al di là di una distanza minima da Pz, ma tende all'infi­ dallo stesso punto e con la stessa velocità (cioè dallo stesso punto dello spazionito per rz (distanza da Pz) tendente a zero qualunque sia p. maggiore di zero. delle fasi). Ma nell'intervallo di tempo T, l, cresce di nT, e perciò anche unCosi Giove, pur essendo mille volte meno massiccio del Sole, esercita tuttavia incremento di Tn di I, r iporta allo stesso punto perché lz, L„L, siano costantiun'influenza che è maggiore di quella esercitata dal Sole sui corpi abbastanza come lo sono su di un'ellisse fissa. Basta perciò che nT= zar perché l i possavicini, per esempio sui suoi quattordici e piu satelliti, che infatti gli ruotano pure essere considerato un angolo. Ora la funzione K (L,) è arbitraria, perciòattorno. si può scegliere in modo tale che n (L i) = (dK/dL,)(L,) = zn/T: basta porre

Naturalmente se il corpo Pz percorre un'orbita che — per un tempo piccolorispetto a x /p,— resterà vicina all'ellisse soluzione per p,= o, le forze indotte dal­ ( S) ( x) = — —, ( i ) = — , .

l'attrazione di P, non avranno sempre la stessa direzione, per cui il loro effetto l l

non si accumulerà del tutto nel tempo. Si può allora tentare di calcolare un ef­ In effetti la (z5) altro non è che la terza legge di Keplero: «I quadrati deifetto perturbativo «medio» di Pz> È chiaro che mediare rispetto al tempo, periodi sono inversamente proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori», vi­cioè calcolare degli integrali del tipo sto che in questo modo risulta che L, 'è il semiasse maggiore dell'ellisse. Con

questa scelta, li e lz sono angoli (definiti a meno di multipli di zxr) e perciò laL,(t) dt varietà di livello H = E, pz =g è un toro, prodotto di due circonferenze (cfr.

ti to t, fig. x).e simili, comporta appunto di conoscere la soluzione L, (t) nell'intervallo tra te Questo risultato geometrico è stato ottenuto sfruttando le particolari pro­

e ti, per cui non è possibile un approccio diretto. prietà delle soluzioni ellittiche del problema dei due corpi ; ma in effetti esso hacarattere assai piu generale, come hanno dimostrato Arnol'd e Jost. Qualunquesistema hamiltoniano con una hamiltoniana H (qi qz pi pz) a «due gradi di li­

4. Variabili azione-angolo e principio della media. bertà» (cioè q, p in Rz), dotato di due integrali primi H ed F « funzionalmenteindipendenti» (cioè che non sono esprimibili l 'uno come funzione dell'altro ),

Perché si comprendessero i fondamenti — e le lacune — dei metodi perturba­ ammette «varietà di livello» di dimensione z regolari. Ebbene, se tali varietà di

tivi del paragrafo precedente, fu necessario acquisire una visione geometrica livello sono compatte (cfr. per la definizione l'articolo «Geometria e topologia >)

globale della natura dei problemi integrabili (come quello dei due corpi) e del­ in questa stessa Enciclopedia: in pratica occorre che soluzioni aventi quei dati

l'effetto delle perturbazioni; il che avvenne solo nella seconda metà del secolo valori fissi H ed F non possano né andare all'infinito né avvicinarsi indefinita­

scorso. mente a «singolarità» della funzione hamiltoniana come la collisione r =o nel

Si ritorni alla hamiltoniana (x4) dei due corpi che, come si è visto, defini­ problema dei due corpi ), allora esse sono necessariamente dei tori, e per di piusce un sistema di Hamilton (x 5) dotato di due integrali primi : l'energia H = E esiste un sistema di variabili dette azione-angolo a cui ci si può ricondurre con

e il momento angolare pz = j . una trasformazione canonica, tali che le variabili azione L„L , de f iniscono il

Si supponga allora di considerare non una particolare soluzione delle (x5),ma la totalità delle soluzioni che hanno valori fissati di E, j — e quindi di L„Lz — nel sistema di coordinate definito dall'integrazione dell'equazione di Ha­milton-Jacobi, Queste soluzioni formano una superficie; non si tratta di unasuperficie nello spazio ordinario, poiché lo spazio delle fasi in cui si svolge ilmoto ha quattro dimensioni, cioè è parametrizzato da quattro numeri realix, y, (dx/dt), (dy/dt) oppure r, &, (dr/dt), (d&/dt) oppure l„ lz, L„L , ; si t rat­ Figura i .

ta però di una varietà a due dimensioni (cfr. in questa stessa Enciclopedia l'ar­ La varietà di livello è un toro, prodotto di due circonferenze.

Stabilità/instabil i tà 435 Stabrbtà/»nstabxlxtà

toro su cui ci si muove, e le variabili angolo l„ l» parametrizzano il toro, con grange) : si consideri il sistema mediato dato da variabili j = (gr, .„,gm) cheequazioni di moto nel nuovo sistema di coordinate della forma soddisfino a equazioni

dl, dl,tp,(L„L,) — '= u,(L„L ) dg, r l' òR,

EP(26)

(29) =J dir

dt (2K) j~ òlrdL dL,— = o — = odt dk e simili per j», ..., jm, dove il secondo membro è ottenuto «mediando» su di

un toro T (del teorema di Arnol'd-Jost) il termine del primo ordine in p.È facile verificare che le (26) equivalgono a supporre che la nuova hamiltoniana della «perturbazione». Ora, se le lj sono variabili angolo definite a meno di mul­n elle variabili 1, L deve essere della forma K K (L ] L») indipendente da l, tiPli di 2rr, Rr deve essere una funzione Periodica di Periodo 2n in ciascunaed I». È anche chiaro che il teorema di Arnol'd-Jost assicura proprio la forma delle variabili lj, perciòdel sistema hamiltoniano richiesta per l'applicazione di una teoria perturba­tiva. Anche se, per semplicità, ci si è limitati al caso m = z di due coordinate, '~ òR

dlj = R (2Tf > l»» lm> L (», L m) R ( O> l»» lm > Lr» L m) odue momenti e due integrali primi, va citato che il teorema di Arnol'd­Jost va­ fp Kle pure per qualsiasi sistema hamiltoniano con hamiltoniana H (q, p) con q, pvettori a m componenti, purché vi siano m integrali primi H, F», ..., Fm funzio­ e quindi il secondo membro della (29) è in realtà nullo, e le jj sono costanti.nalmente indipendenti, con la condizione aggiuntiva che questi «commutino Adesso si confrontino le soluzioni del sistema perturbato (28) e quelle del si­tra loro», cioè che se si prende uno qualsiasi di essi come hamiltoniana, il si­ stema mediato (29), confrontando le variabili azione Ij soluzione del primo consistema hamiltoniano che ne risulta abbia gli stessi integrali primi H, F», ..., le variabili azione mediate jj soluzione del secondo, nell'ipotesi che le condi­Fm. In questo caso le variabili azione Lj sono m, quelle angolo lj pure m> e le zioni iniziali siano le stesse, jj (o) = Ij(o). Allora il principio della media so­«varietà di livello» se compatte sono tori n»-dimensionali, cioè il prodotto di m stiene piu o meno che le jj sono una buona approssimazione delle Ij mediatecirconferenze [cfr. Arnol'd e Avez r967], su di un tempo abbastanza lungo, cioè la media su di un toro approssima bene

Allora per ogni sistema hamiltoniano «integrabile nel senso di Arnol'd e la media temporale [cfr. Arnol'd r974] : in altri termini l'andamento delle va­Jost», cioè con abbastanza integrali primi che commutano tra loro, si può de­ riabili azione I. nel tempo è approssimabile bene (al primo ordine in p.) con unfinire una teoria delle perturbazioni trattando le hamiltoniane perturbate come andamento secolare espresso dalle jj piu termini periodici. Volendo formalizzareuna serie di potenze in un parametro perturbativo : si potrebbe dire che per un tempo molto lungo (dell'ordine di r /p,) vale la mag­

giorazione — cp»(jj (t) — Ij(t)( cp.' per c una costante opportuna.(27) H(1 L p.) = Hp(L)+pRr(1 L)+ p R»(1 L)+... Tale «principio» non può essere accettato senza dimostrazione, anche perché

è chiaro che il ragionamento su cui sembra basarsi è circolare: se le variabilidove Hp è la hamiltoniana del sistema integrabile, ridotta alla forma dipen­ azione non cambiano troppo al trascorrere del tempo, mentre le variabili an­dente solo dalle L (come nel sistema hamiltoniano (26)). Allora le equazioni di golo girano rapidamente, allora mediare sui tori è molto simile a mediare ri­Delaunay definite dall'hamiltoniana (27) sono della forma spetto al tempo, e perciò a meno di termini periodici le variabili azione Ij sono

dLj òRr » òR, costanti come le g., e quindi le Ij variano di poco. In effetti tale «principio»non è affatto un teorema, anzi si conoscono dei controesempi, anche se «in

(28) molti casi » il principio funziona. Per rendersi conto del perché un simile «prin­dlj òH p òR r » òR»

òLj( ) ~ ò L . + l " òL,.+­cipio» fosse accettato come metodo per decidere sulla stabilità dei problemi dimeccanica (specialmente celeste) occorre fare uso della tecnica degli sviluppiin serie trigonometriche (o di Fourier, come oggi si chiamano; ma LagrangePer dare un senso al procedimento delle (27) e (28), che altrimenti è puramente ha lavorato molti decenni prima di Fourier con questi metodi. Per le serie di

formale, occorre supporre che p. sia piccolo; per esempio, come nel caso delFourier si veda in questa stessa Enciclopedia l'articolo «Calcolo», II, pp. 443-45).

problema ristretto Sole-Giove-Terra, p. sia circa r /rooo; allora i termini che Poiché la « funzione perturbatrice» R, è una funzione periodica degli angolihanno a fattore p.» sono «piu piccoli» di r milione di volte di quelli principali, lj, si può supporre che essa si decomponga come somma di armoniche pure,e cosi via, e perciò sono « trascurabili» in una prima approssimazione alle solu­

cioè di funzioni del tipo (si considera per semplicità di notazione il caso m = zzioni del problema. di due soli angoli /„ l, )In questo contesto si può enunciare il principio della media (nella termi­nologia moderna ) o dei termini secolari (nella terminologia «classica» di La­ (3o) B»(L) exP(i(h/,+kl,))

Stabilità/instabilità 436 437 Stabilità/instabilità

con h,k numeri interi, e dove e+' =cos&+i sin& è la formula di Eulero, generale discusso nel paragrafo r. Infatti espressioni come la (33) sono com­usata qui semplicemente come notazione sintetica per le funzioni trigonome­ poste di termini che sono esplicitamente calcolabili, pur di svolgere esplicita­triche seno e coseno (cfr. in questa stessa Enciclopedia l'articolo «Funzioni», mente il procedimento di analisi armonica della funzione perturbatrice R„

VI, f) 7). Purché R sia una funzione periodica abbastanza regolare, essa sarà cioè pur di calcolare esplicitamente, magari a loro volta mediante sviluppi insempre esprimibile non come somma finita, ma come serie, definita dal passag­ serie, i coefficienti Bz<(Ly Lg). Perciò le soluzioni perturbate (a meno di o (i).))gio al limite su di una somma infinita di termini come (30) : sono esplicitamente calcolabili con approssimazione arbitrariamente piccola,

pur di avere la pazienza di calcolare abbastanza termini fino a trascurarne solo(3r) R,(l„ l „ L „ L, ) = g B„„(L„L,) exp(i(hl,+kl,)) di molto piccoli [per un'esposizione moderna di questo metodo, cfr. Brouwer

e Clemence r96r ].dove la somma è estesa a tutte le coppie di interi relativi h e k. Allora una delle Vale la pena di osservare che tale procedimento è esattamente lo stesso (sal­equazioni (28) si può scrivere derivando termine a termine (come si farebbe, vo la notazione, «analitica» anziché «geometrica») che veniva chiamato degliper la linearità dell'operazione di derivazione, per una somma finita) la serie epicicli nell'astronomia anteriore a Keplero e Newton (cfr. del resto in questa(3r) ; e dalla regola elementare di derivazione de"/dt = ie" si trova per esempio stessa Enciclopedia gli articoli «Modello», IX, pp. 4og sgg. e «Astronomia»),per L,: visto che ogni termine (3o) rappresenta una circonferenza percorsa con velocità

dL,(32) — '= — g B <) (Lr , L a) ihexP(i(hlr+kl~))+o(lc) uniforme, e l'orbita viene rappresentata mediante un numero finito di tali ter­

df (h,k)w(o,o) mini. Naturalmente i matematici del xrx secolo erano ben consci che troncareuna serie a un numero finito di termini rappresenta un'approssimazione, men­

dove la somma è estesa alle coppie (h,k) diverse dalla coppia (o,o) e o(p.) tre ciò non era probabilmente chiaro ad astronomi piu antichi; va notato peròinclude tutti i termini che contengono potenze di p, maggiori di r (e perciò che anche gli astronomi degli epicicli si riservavano di usare qualsiasi numero«piccoli »), di epicicli, e in pratica usavano un numero di termini non indifferente (parecchie

Ora, se si sostituiscono nel secondo membro della (3r) al posto di I„ l~ , decine).L) La le soluzioni costanti o lineari del problema non perturbato (26), si « tra­ Nello sviluppo della ricerca astronomica e meccanica, nell'epoca d'oro dellascura» un altro termine del tipo o (p.), come si può vedere usando il teorema meccanica celeste classica, questo procedimento di approssimazione per seriedella derivata della funzione composta. Ma allora il secondo membro risulta trigonometriche delle soluzioni fu usato con tenacia e ingegnosità sconosciutisomma di termini del tipo hiB>> (costanti ) per termini trigonometrici puri del ai frettolosi ricercatori d' oggi; senza peraltro fare uso di principi fondamental­tipo exp(i(hl,+k l,) t). Perciò la serie a secondo membro della (32) è una se­ mente diversi da quelli qui esposti. Per dare un'idea della mole del lavoro, èrie di funzioni trigonometriche del tempo (a meno di o (p.)) e quindi L, si può probabile che il record sia tuttora detenuto da Clemence, la cui teoria dell'or­ottenere integrando termine a termine (a meno di o(i),)) con la formula in­ bita di Marte contiene oltre mille termini trigonometrici. La concordanza conversa della precedente, cioè Je" dt = (r/i) e" +cost; le osservazioni astronomiche, per tutti i pianeti del sistema solare, delle predi­

hLy (t) = Ly (o) — P B » (L, (o), La (o)) zioni basate su questi calcoli, fu talmente buona che soltanto piccolissimi «re­

(a,a)>(o,o) "coi+ oos sidui», cioè differenze, di pochi secondi d'arco (un secondo d'arco, per inten­(33) dersi, è l'angolo sotteso dal diametro di una moneta da 5o lire a 5 chilometri di

exp(i(ho),+k(o,) t)+o(p,). distanza) restavano da spiegare alla fine del xtx secolo, e soltanto pochi fraNella (33) sta scritto appunto il principio della media, perché L, è espressa questi, tra cui il piu grosso era un residuo di 8 secondi d'arco per Mercurio,come un termine mediato — costante, come si è visto — piu termini periodici, superavano il valore medio degli errori osservativi [cfr, Tisserand r889-96].piu termini dell'ordine di p.o. Non ci sono termini secolari, cioè della forma Fu proprio l'aver spiegato questo termine la prima conferma della relativitàat+bt~+... che risulterebbero dall'integrazione di termini non trigonometrici generale. Val la pena di osservare, a questo proposito, che ancora oggi le effe­a+2bt+ ... ; infatti il termine con h = k = o, che conterrebbe una funzione del meridi dei pianeti producono, rispetto alle osservazioni, «residui » sistematici ditempo e' ' = r (costante), è assente; perciò per ogni arco di tempo L, è limi­ circa t secondo d'arco (il cosiddetto «effetto di opposizione»), malgrado il pro­

tato (a meno di o(p.)). gresso delle tecniche osservative e spaziali e dei metodi di calcolo basati sull'usoQuesto risultato, chiamato da Lagrange nel r776 teorema di stabilità del di grandi calcolatori.

sistema solare, sembrò a suo tempo la soluzione finale al problema della stabi­ Se vale la pena di soffermarsi su questa storia della meccanica celeste clas­

lità nei problemi del tipo «n corpi». Non solo, ma le soluzioni del tipo (33), sica non è solo perché questi metodi sono ancora attuali, visto che sono stati

oltre ad essere stabili nel senso di non tendere all'infinito, sono anche adatte solo in parte sostituiti, e in tempi recenti, da una nuova generazione di metodi

alla predizione di orbite di corpi celesti reali, e perciò «stabili» nel senso piu numerici basata sulla disponibilità di mezzi di calcolo automatico milioni di

Stabilità/instabil i tà 438 439 Stabilità/instabil i tà

volte piu veloci (cfr. del resto in questa stessa Enciclopedia la parte conclusiva possibile scegliere gli interi h, k in modo che la frazione — h/k approssimidell'articolo «Calcolo»). oi,/oi, molto bene (per esempio con il procedimento detto dello sviluppo in

Ciò che piu interessa è che questa parte della storia della matematica e della frazioni continue ), e quindi i l «denominatore» basi,+kois sia molto piccolo.fisica rappresenta un caso particolarmente paradossale dal punto di vista del Se tali «piccoli denominatori» sono presenti, la serie (33) sarà pure divergente;problema della stabilità. Infatti il procedimento perturbativo basato sugli svi­ e quel che è peggio, anche tale presenza di «piccoli denominatori» dipende daluppi in serie trigonometriche che è stato sommariamente descritto, è matema­ proprietà del numero irrazionale u, /oi, che non sono discriminabili da alcunaticamente del tutto illegittimo, e la sua conclusione è logicamente falsa. misura con precisione finita [cfr. Wintner r94r ]. La conclusione di questo ra­

Se ne può vedere il perché tornando per un momento con occhio piu critico gionamento sembra una vera disfatta della ragione e della scienza moderna,sulle formule (3z) e (33) : è vero che derivazione e integrazione sono operazioni tanto piu grave quanto piu grande era stato il successo pratico della meccanicalineari, cioè possono essere eseguite termine a termine se applicate alla somma celeste nelle predizioni astronomiche e quanto piu importante era stata propriodi due o piu funzioni; ma non è affatto vero che la stessa cosa vale per un nu­ questa teoria nell'affermarsi di filosofie meccaniciste o positiviste: poiché unmero infinito di termini, cioè per una serie. Cosi se si suppone che la formula metodo illogico fornisce predizioni praticamente utili, mentre un esame rigo­(3r) abbia senso, cioè che la serie che esprime Ri converga (il che è sempre roso del problema degli n corpi non fornisce alcuna indicazione pratica. Nonassicurato purché la funzione perturbatrice R, sia abbastanza regolare), ciò solo: ma il problema del rapporto razionale delle frequenze sembra risiederenon significa affatto che la serie a secondo membro della (33) converga, vista la nel problema imperturbato, a p. = o, cioè nella hamiltoniana K~(L), e non nellapresenza del fattore h/(ho>i +kois) che può diventare arbitrariamente grande: perturbazione: per esempio nel problema dei due corpi; o per lo meno è laora un teorema di calcolo differenziale (che naturalmente non era noto ai tem­ soluzione di «ordine o in p,», cioè del problema imperturbato,da cui si parte,pi di Lagrange) dice che la derivazione e l'integrazione di una serie termine a che determina quali sono gli indici critici h, k e quindi i termini critici B~i,termine sono possibili a condizione appunto che tutte le serie in questione con­ della funzione perturbatrice R, che producono effetti secolari o almeno ampli­vergano (uniformemente ), Perciò, se la serie a secondo membro della (33) di­ ficati. Fortunatamente fenomeni di questo genere sono ben noti in matematicaverge o ha comportamento irregolare, il secondo membro non ha senso e il e in fisica, sotto il nome di risonanze. Poiché questo termine è usato talvoltaprimo membro Li (t) non ha niente a che fare con lo sviluppo in serie che la in modo un po' miracolistico per «aggiustare» i casi in cui le teorie ordinarie

(33) sembra assegnargli ; in particolare può darsi benissimo che la vera soluzione falliscono (cioè sono instabili logicamente, diventano inconsistenti per effettoI i (t) contenga dei termini secolari at+bt g . . . ed eventualmente non sia nep­ di una piccola perturbazione), occorre soffermarsi con qualche attenzione supure limitata. questo termine.

Per vedere quale sia veramente l'ostacolo, si esamini i l «denominatore»hoii (L)+.képi~(L) : i termini che rischiano di far divergere la serie sono quelliin cui il «denominatore» è piccolo. Risonanze e orbite periodiche.

Ora il «denominatore» può essere addirittura zero per alcuni valori di he k, se il raPPorto tra oii (L) e oidi(L) è razionale; e Precisamente Per quegli h, k Per comprendere il senso della parola 'risonanza' si ritorni al caso di un si­tali che u~(L)/oi, (L) = — (k/h) e in tal caso il procedimento dello sviluppo in stema integrabile nel senso del teorema di Arnol'd-Jost; per esempio nel casoserie di Fourier non è legittimo, perché il termine exp (i(oi,hgoi~k)t) è co­ di due «gradi di l ibertà», un sistema in quattro variabili /„ ls, L i, Ls in cui L istantemente uguale a i e il suo integrale è appunto t, cioè un « termine secolare». e Ls siano integrali Primi, cioè la hamiltoniana sia funzione solo di L „ L , :Per prima cosa cioè per assicurare un senso allo sviluppo (33) occorre che H = Hp(Li Ls) Al lora le variabili angolo variano linearmente col tempo su diu,/oi, sia irrazionale per il caso considerato, per esempio per un certo pianeta. un toro fisso:

Si nota subito che affermare che una grandezza di un modello matematicodella realtà fisica, che dovrebbe svolgere il ruolo di osservabile (come si è visto dl, ò H , d l, ò H ,— '= — ' (L) — '= — ' (L)nel paragrafo z i periodi, e quindi le frequenze, sono facili da osservare), deve dt àL, C h òL ,essere irrazionale per l'applicabilità del modello stesso è, dal punto di vista della (34) dL, dL,stabilità, un vero suicidio scientifico. Infatti i numeri razionali e quelli irrazio­ — = o ­ — o

dt Chnali sono due sottoinsiemi dei numeri reali densi l'uno nell'altro, il che significaesattamente che per quanto piccolo sia l'errore di misura nelle osservabili oi, cioè:e us, è imPossibile decidere sulla base di tale misura se co,/u~ è razionale o ir­razionale. Inoltre non è affatto vero che purché oii /oidi sia irrazionale la (33) l, = ~, (L) t+ lio

(3S)è dotata di senso: se oii /oidi non è mai pari al quoziente di due interi, è però l~ = u, (L) t+ lzo

Stabilità/instabil i tà 44o 44i Stabilità/instabil i tà

Ora si suppone che su di un toro fissato le due frequenze oi, ed oiz siano Tale applicazione 0, se e dove è ben definita e regolare, prende il nome«risonanti» cioè in rapporto razionale tra loro di applicazione di Poincaré 0(Q) = Q,. Se ora P è un punto di S che sta su

( 6)oii (L) h di un'orbita periodica, dovrà avere la proprietà che O (P) = P, oppure 0 (0(P)) =

= Oz(P) = P, oppure Os(P) = P, ecc. perché prima o poi l'orbita deve ripassarepp,(L) k da P e perciò attraversare S in P. Viceversa, se P è un punto periodico per 0,

(h, k interi); si aspetta un tempo T ta le che li sia aumentata di h giri, cioè cioè O~(P) = P per qualche k intero / o, allora per P passa un'orbita periodica,oi,T = h zir; nello stesso temPo T, Per la (35) lz è aumentato di oozT = k 27t di periodo magari molto lungo se k è grande: infatti per ogni punto dello spaziocioè di k giri. Ma poiché l i, lz sono variabili angolo, il punto sul toro descritto delle fasi passa una e una sola soluzione delle equazioni, e perciò se la soluzionedai nuovi valori di l „ l , è lo stesso descritto dai valori a t =o cioè l,p, lzp. Poi­ P(t) ripassa da P(o) dopo il tempo T, P (o) = P(T), varrà pure per ogni t :ché questo ragionamento non dipende affatto dai valori in iziali l ip,lzp, ne P(t) = P(t+ T).risulta che dopo un periodo T tu t te le orbite sul toro ripassano dallo stesso Perciò il problema di trovare un'orbita periodica è ridotto a quello di tro­punto da cui erano partite. Perciò tutte le orbite situate sul particolare toro vare un punto unito per l'applicazione di Poincaré, oppure di una sua iterata,soddisfacente la (36) sono periodiche con lo stesso periodo T, cioè ripassano cioè a risolvere l'equazionedallo stesso punto a intervalli regolari, lunghi T. Si supponga ora di «pertur­bare» il problema integrabile, cioè di introdurre un parametro ii,: (38) O(P) — P= O

(37) H = Hp+P.R,+P.'R,+... o l'analoga con O~ al posto di 0.L'equazione (38) è un'equazione non-lineare vettoriale (sia l'incognita P

Cosa accadrà per p,go, ma piccolo, delle orbite periodiche? Per rispondere a sia il secondo meinbro stanno su $, varietà a tre dimensioni ) e perciò è difFicilequesta domanda occorre porsi per prima cosa un problema a monte: come si che se ne possano calcolare esplicitamente le soluzioni, anche ammesso di cono­trovano le orbite periodiche? La parola 'trovare' ha in realtà un significato vago scere esplicitamente l'applicazione di Poincaré. Si cerca allora di approssimaree ambiguo: in effetti si possono cercare dei teoremi che dimostrano l'esistenza, la soluzione mediante un procedimento di approssimazioni successive: per esem­sotto certe condizioni, di orbite periodiche e le loro proprietà; si possono cer­ pio se si prende come primo tentativo il punto Pp, risulterà O (Pp) +Pp' alloracare le orbite periodiche conducendo «esperimenti numerici» con un calcola­ come secondo tentativo si potrà provare con il puntotore; si possono cercare nel cielo fenomeni periodici, o apparentemente tali,che facciano pensare alle risonanze. Nella ricerca in meccanica celeste tutti e — 1

tre questi procedimenti hanno un loro valore, e i loro risultati s'intrecciano in (39) P, = Pp — (0 (P) — P) (0 (P ) — Pp).1 P gP P =P ~un modo inconsueto, se si considera quanto sono diversi gli strumenti (la puralogica, il calcolatore e il telescopio — o la sonda spaziale) che si utilzzano.

Si supponga allora di cercare le orbite periodiche di un sistema perturbato.L'idea fondamentale in questo campo risale a Poincaré [r89z-99], ed è quelladella «superficie di sezione»: si prenda un sistema come il (34) ; se nello spaziodelle fasi (in questo caso a quattro dimensioni) si fissa il valore di una coor­dinata angolo, per esempio I, = o, si definisce nello spazio delle fasi una ipersu­perficie S (a tre dimensioni ). Presa un'orbita che parte da un punto Q di S Qper t =o, dopo un certo tempo T la stessa orbita potrà ritornare a passare da

Pun punto Q, di S; se la velocità iniziale nel punto Q non è tangente alla S e lavelocità finale in Q, ha la stessa proprietà, allora l'applicazione 0 che associa Qia ogni punto Q di S il punto di «ritorno su $», Q„corrispondente, è regolare(quanto lo è l'equazione differenziale) e perciò si può calcolarne le derivate eapplicare i teoremi della funzione implicita e simili (cfr. fig. z; che però rap­presenta il caso a tre dimensioni, in cui S è una superficie).

Nel caso che S sia definita dal valore costante di una variabile angolo, co­me nell'esempio considerato l, = o, è chiaro che s'intenderà per ritorno su Sanche il caso in cui l i diventa uguale a zar (oppure — zit ), perché a l i = o e Figura z.

l, = zar corrispondono gli stessi punti. Il metodo della sezione.

Stabilità/instabilità 443 Stabilità/instabilità

La formula (39) può sembrare complicata, e lo è perché lo spazio su cui si ope­ la perturbazione, pur di usare un algoritmo di soluzione delle equazioni stesse,ra è una varietà a tre dimensioni; però si supponga per un attimo che la su­ facilmente implementabile su di un calcolatore (anche piccolo). Questo spiegaperficie di sezione abbia dimensione z, cioè sia una curva: allora la (39) dice a sufficienza perché sulle orbite periodiche è possibile effettuare esperimenti nu­che l'incremento da dare a Po per l'iterazione successiva è l'opposto del quo­ merici col calcolatore ; non spiega però a cosa serve, se cioè questi esperimentiziente tra il valore della funzione O(P) — P, calcolata in P~, e il valore della dimostrano qualche cosa. Infatti, per quanto ingegnose siano le tecniche disua derivata, calcolata pure in P~; cioè la (39) altro non è che la formula di calcolo numerico usate per ottenere soluzioni che approssimano da vicino laNewton-Raphson (si veda in questa stessa Enciclopedia l'articolo «Calcolo», soluzione esatta, non è mai possibile dimostrare con calcoli numerici che dueIl, pp. 465-66), che in effetti converge (con esponente di convergenza z, cioè numeri reali sono uguali, se non altro perché ogni calcolatore tratta numeri conmolto velocemente) anche nel caso multidimensionale purché il punto P~ sia un numero finito di decimali (commettendo cosi un errore di arrotondamento )abbastanza vicino a un punto periodico P, purché O sia una funzione abba­ e perché i procedimenti di discretizzazione impiegati per tradurre le equazionistanza regolare e soddisfi a condizioni di non-degenerazione che qui si omet­ differenziali in equazioni alle differenze finite producono a loro volta errori «ditono, e purché la (39) abbia senso per ogni iterazione. Nel caso unidimen­ troncamento» (cfr. in questa stessa Enciclopedia l 'articolo «Calcolo», II, ) 4).sionale la condizione perché la (39) abbia senso è che la derivata al denomina­ Poiché gli errori numerici si accumulano con il procedere dell'integrazionetore sia effettivamente invertibile, quindi diversa da zero ; nel caso multidimen­ numerica, per quanto precisa sia l'approssimazione della soluzione trovata persionale la derivata d(O(P) — P)/dP è una matrice, e perciò la condizione di in­ un intervallo finito di tempo, l'errore che si commette su di un intervallo illimi­vertibilità è che essa abbia determinante diverso da o se calcolata in P (e per­ tato di tempo è sempre illimitato (almeno per sistemi hamiltoniani ). Perciò,ciò anche nei punti vicini, per continuità ) : anche ammettendo che si trovi quella che, con tutta la precisione possibile pra­

d ticamente in un esperimento numerico, appare un'orbita periodica (cioè O(P)(4o) det ­ (O(P) — P)~p p= det(A(P) I ) + o ,

dp coincide con P fino a una certa cifra decimale), ciò non dimostra affatto cheO" (P) — P non cresca con k, magari diventando arbitrariamente grande.

dove A è la «matrice jacobiana» delle derivate parziali di O e I è la matrice La situazione però cambia radicalmente se si può dimostrare per una viaidentità (x sulla diagonale, o altrove ). Si noti che la (4o) è in effetti una con­ del tutto indipendente dall'esperimento numerico che vicino alp«orbita perio­dizione sull'orbita periodica che si sta cercando, poiché A deve essere calcolato dica numerica» P si trova un'orbita periodica vera P. In tal caso la conoscenzain P, punto unito cercato: un'orbita periodica che soddisfi alla (4o) si dice dif­ dell'approssimazione dell'orbita di P calcolata con un procedimento numericoferenziabilmente isolata. Perciò, in linea di principio e sotto condizioni spesso fornisce informazioni non solo su di un tratto finito dell'orbita stessa, ma suverificate, ogni orbita periodica «differenziabilmente isolata» può essere «tro­ tutta l'orbita per t qualunque: perché se l'orbita è periodica di periodo T, bastavata» come limite di un procedimento iterativo di Newton-Raphson, cioè in conoscerne (magari con una certa approssimazione) il tratto per t compresopratica approssimata arbitrariamente bene con un numero adeguato di itera­ tra o e T per conoscere(con la stessa approssimazione) tutta l'orbita per ogni t,zioni del procedimento (39). che non fa altro che ripetere infinite volte lo stesso percorso.

Si noti che la formula di Newton-Raphson (39) non richiede affatto di co­ Ora il fatto essenziale è che la condizione (4o), che definisce un'orbita pe­noscere O(P) per ogni P, ma solo per i punti successivamente incontrati nel­ riodica differenziabilmente isolata, garantisce anche che se un'orbita periodical'iterazione, P~, P„P~, ...; assieme però alla matrice jacobiana calcolata negli esiste per un dato sistema (per esempio quello integrabile, con parametro per­stessi punti; A (Po), A(P,), A(P.,), ... Questo è molto importante nel caso di turbativo p, = o) allora esiste per sistemi «vicini» (nel caso considerato, defi­un sistema perturbato (cioè con la hamiltoniana (37), con p,go) : infatti in nito dalla hamiltoniana perturbata (37), per p, abbastanza piccolo) [cfr. Siegeltal caso non è affatto detto che sia possibile conoscere O (P) in funzione di P e Moser z97z]. Questo deriva semplicemente dall'applicazione del teorema dellacon una formula esplicita ; però sarà sempre possibile calcolare un valore appros­ funzione implicita all'equazione (38) : naturalmente occorre la versione multi­simato di O (P~) per un singolo punto P~, per esempio usando un procedimento dimensionale del teorema della funzione implicita.di calcolo numerico d'integrazione delle equazioni differenziali di Hamilton Perciò nel caso di orbite periodiche differenziabilmente isolate del proble­con punto iniziale Po, e poi interpolando il valore O (P~) al passaggio attraverso S. ma imperturbato (p.= o) la persistenza di orbite periodiche anche nel problema

Non solo : ma integrando delle altre opportune equazioni differenziali, perturbato (p,+o) non è in dubbio. Nel caso del problema integrabile (34) ledette «equazioni alle variazioni», si possono calcolare numericamente anche i orbite periodiche però non sono isolate, ma addirittura formano interi tori,valori delle derivate parziali delle soluzioni delle equazioni differenziali di Ha­ come si è visto; tuttavia è possibile ridursi a considerare come isolate le orbitemilton rispetto alle condizioni iniziali, e perciò anche le derivate contenute in periodiche che soddisfano a particolari condizioni di simmetria. Per esempio,A(P~). Perciò il procedimento (39) è realizzabile in pratica, in modo approssi­ nel caso del problema dei tre corpi, si possono considerare solo le orbite chemativo, per qualsiasi sistema di equazioni differenziali, per quanto complicata sia soddisfano a questa condizione: quando i tre corpi P„P „ P a sono allineati, le

445 Stabilità/instabili tàStabilità/instabil i tà 444per poi tornare ad avvicinarsi indefinitamente alla stessa P (orbite «omoclini­velocità di tutti e tre sono perpendicolari alla linea dei tre corpi. Allora le orbiteche» nella terminologia di Poincaré). Perciò le due curve che sulla superficieperiodiche soddisfacenti a questa condizione sono differenziabilmente isolate di sezione individuano le due varietà, stabile e instabile, devono intersecarsi in­

per p. = o, e quindi esistono anche per p,/o [cfr. Szebehely rg']. finite volte. Lasciando la parola a Poincaré stesso, « tali intersezioni formano unaDi conseguenza per p,go i tori costituiti da orbite periodiche del problemasorta di treccia, di tessuto, di rete con maglie infinitamente strette ; ognuna del­imperturbato si sfasciano, lasciando posto a un numero finito di orbite periodi­

che isolate. le due curve non deve mai tagliarsi, ma deve ripiegarsi su se stessa in modomolto complesso per incontrare una infinità di volte tutte le maglie della rete.Ora un piccolo intorno di queste orbite periodiche isolate può essere studia­Si resterebbe allibiti dalla complessità di tale figura, che non cerco neanche dito con il classico procedimento della linearizzazione: in pratica se O~(P) = P,

per un punto vicino a P, P, si ha O~(P) = P+A" (P)(P — P) 4-o(P — P), dove tracciare» [r8gz-gg, III, p. 38g].Nella figura 3, violando il consiglio di Poincaré, si è cercato di dare un'idea

A(P) è la matrice jacobiana delle derivate parziali dell'applicazione di Poin­ della complicazione della situazione in presenza di orbite omocliniche. In que­caré, che rappresenta la linearizzazione dell'applicazione stessa in P, cioè il sto caso si assiste al massimo possibile di instabilità: non solo l'orbita per P èsuo differenziale, e il simbolo o rappresenta come al solito i termini del secondoorbitalmente instabile, e cosi tutte le orbite nelle due varietà, stabile e instabile ;ordine nella differenza P — P. Poiché è relativamente facile studiare il compor­ma neppure tale instabilità è una predizione stabile. Infatti la rete di cui parlatamento di un'applicazione lineare, si tratta in sostanza di decidere se la pre­Poincaré è infinitamente fitta, eppure non riempie alcun aperto sulla sezione ;senza del termine o(P — P) cambia il carattere di stabilità orbitale (nel senso di niente impedisce che per alcuni punti arbitrariamente vicini alla varietà insta­Lagrange, definito al paragrafo z ) dell'orbita periodica P. Il risultato piu nettobile passino orbite periodiche, magari stabili. Anzi, a questo proposito vale lain questo campo è dovuto a Ljapunov, il quale provò che, nel caso di un si­pena di citare la congettura (sempre di Poincaré) che le orbite periodiche sia­stema hamiltoniano, se l'orbita per P è instabile anche nell'approssimazione li­no dense in tutto lo spazio delle fasi.neare, allora è instabile anche nel sistema completo. Purtroppo anche nel caso, del resto frequentemente verificato, che nella re­In tal caso perciò esistono orbite che si allontanano da P, e anche orbite che

si avvicinano a P indefinitamente, formando una «varietà stabile» e una «va­ gione di instabilità «generata» da un'orbita omoclinica (cioè in realtà causata

rietà instabile». da una risonanza, con la sua capacità di accumulare nel tempo piccole forze

Ora la difficoltà consiste nel decidere che cosa accade delle orbite della va­ producendo grandi effetti ) si trovi un'orbita periodica con applicazione di Poin­caré linearizzata stabile, non è cosi facile concludere come nel caso instabile cherietà instabile per t ~ + ~. Il fatto che esse si allontanino sulle prime da P non l'applicazione di Poincaré completa ha lo stesso comportamento. Perciò la re­significa che si allontanino fino all'infinito; perché può capitare che la varietàgione instabile, percorsa da punti omoclinici, può o meno contenere delle « isole»stabile incroci la varietà instabile, cioè che una stessa orbita si allontani da Pdi stabilità attorno alle orbite periodiche linearmente stabili.

Come è chiaro da questa descrizione, sia pure sommaria, le regioni di riso­nanza corrispondono a famiglie di orbite la cui complessità di comportamento èreale; le difficoltà logiche prodotte dalle risonanze, come per esempio la diver­genza delle serie perturbative (33), non sono un difetto della teoria ma il ri­ffesso nella teoria dei sistemi hamiltoniani di enormi complicazioni insite nelcomportamento delle soluzioni e inerenti alla natura del problema, non solodal punto di vista matematico, ma anche dal punto di vista fisico.

Dalla percezione di queste difficoltà, e non solo dalla mania di usare il cal­colatore ad ogni costo, nacque la moda degli «esperimenti numerici» su equa­zioni di Hamilton.

6. La t eoria di Kolmogorov-Arnol'd-Moser.

Allora si immagini di compiere un esperimento col calcolatore su di un si­stema perturbato a due gradi di libertà: si prenda su di una sezione S un certo

Figura 3. numero di punti P e si seguano le successive immagini dell'applicazione diPunti omoclinici, cioè intersezioni di una varietà stabile con quella instabile relativa Poincaré 0~(P). Si può rappresentare la situazione in due dimensioni, anche

allo stesso punto fisso sulla sezione.

Stabilità/instabilità 447 Stabilità/instabilità

se S ha dimensione 3, perché si può «eliminare» una variabile, cioè ricavarla ria è la stessa. Infatti proprio nelle regioni caotiche, con il procedimento delle

dalla relazione che lega tra loro le variabili fornite da un integrale primo; per equazioni (38) e (39), si possono trovare delle orbite periodiche differenzia­esempio la funzione di Hamilton è un integrale primo se non dipende diretta­ bilmente isolate, che sono facilmente identificabili con quelle la cui esistenza èmente dal tempo: si può usare una rappresentazione in coordinate polari, in dimostrabile per «continuazione» per p. piccolo.

cui Per esemPio ls è l'angolo e Ls il raggio, suPPonendo che L, sia «eliminato». Non solo : ma alcune di queste orbite periodiche sono a loro volta circondate

Per @ = o non occorre il calcolatore, naturalmente, perché l'immagine di un da «isole», cioè da regioni «ordinate» in cui i punti successivi O~(P) si dispon­punto P si ottiene ruotando P di un angolo neo>s/ur, dove ur, ms sono le fre­ gono su «curve» invarianti, o per lo meno su corone circolari cosi strette da

quenze sul toro invariante su cui sta P: perciò se us/ur è razionale O (P) al non consentire di decidere se il loro spessore sia reale o prodotto dall'accumu­

variare di k passa solo per un numero finito di punti, se <or/m~ è irrazionale lazione dell'errore numerico.

O~(P) al variare di k «riempie» una circonferenza Ls = cost (cioè i punti otte­ Questo esperimento, che è stato presentato in forma ipotetica, è in effettinuti per iterazione successiva di O sono tutti distinti e formano un insieme den­ un tipo di esperimento realmente condotto da molti ricercatori partiti da pro­so nella circonferenza ) (cfr. fig. 4). blemi apparentemente diversi — dal moto delle particelle elementari in un ac­

Se invece p. è piccolo ma diverso da zero, l'esperimento col calcolatore dà celeratore del tipo ad anello, al moto delle stelle nella Galassia, alla dinamicaun risultato che dipende dal punto iniziale scelto P in modo molto complicato. del sistema solare — con grande interesse e polemiche, abbastanza inconsuete

In alcuni casi i punti O~(P) sembrano individuare una curva, come a p,= o, nel mondo scientifico, su cosa veramente venisse provato dai risultati ottenuti.

poco diversa da una circonferenza L, = cost. In altri casi i punti O~(P), al cre­ Le regioni «ordinate», apparentemente composte da curve invarianti, erano

scere di k, sembrano per un po' girare lungo quella che potrebbe anche essere realmente regioni in cui un nuovo integrale primo definiva superfici di livellouna curva, ma poi — di solito all'improvviso — la «curva» comincia a oscillare e su cui le orbite devono giacere? Tale congettura, apparentemente suggerita

si «disfa» sotto gli occhi dello sperimentatore, mentre i punti O" (P) si muovono dagli esperimenti numerici, contrastava con i risultati di Poincaré e di Bruns

in modo molto irregolare entro un'intera regione del piano. Osservare l'orbita sull'inesistenza di integrali primi oltre a quelli già noti. Anche non ammet­

Ot(P) mentre viene calcolata su di un terminale video è veramente stupefa­ tendo l'esistenza di nuovi integrali primi, è però vero che nelle regioni ordinatecente se non si è preparati da una robusta base teorica ad accettare le stranezze esistono delle curve invarianti per O, le quali separano lo spazio delle fasi in re­

dei sistemi hamiltoniani. gioni sconnesse tra loro, e quindi assicurano un comportamento stabile delle or­All'interno delle regioni «caotiche», in cui le orbite non sembrano giacere bite, almeno nel senso che la regione in cui si muovono è ben delimitata>

su curve invarianti, non vi è però un disordine uniforme, come per esempio Malgrado alcune polemiche negli ambienti specialistici, l'evidenza contro

un comportamento «ergodico», cioè un moto irregolare che però segue leggi l'esistenza di nuovi integrali primi era piu che sufficiente sin dai tempi di Poin­

statistiche semplici come quella che la probabilità di passare da ogni area unita­ caré, e la ragione è proprio la «biforcazione delle separatrici» descritta nel pa­ragrafo precedente : infatti tali fenomeni sono certamente impossibili in presen­za di un ulteriore integrale primo. Bisogna però riconoscere che un enunciatonetto del tipo «questo sistema hamiltoniano con p, = tot non ha altri integraliprimi differenziabili» non è mai stato dimostrato.

Il teorema di Poincaré, e in maniera piu netta il teorema dimostrato in se­guito da Siegel, dicono una cosa meno precisa, che per alcuni è soddisfacente eper altri meno: cioè che nello spazio totale dei sistemi hamiltoniani (cioè nellospazio delle funzioni H ) quelli che sono dotati di integrali primi indipendentida H formano un insieme «magro» in qualsiasi ragionevole topologia. Ciò si­gnifica che, dato un sistema dotato di un integrale primo funzionalmente indi­pendente dalla hamiltoniana, è sempre possibile «perturbarlo», rendendolo pri­vo di integrali di tale tipo, con una perturbazione arbitrariamente «piccola», equesto risultato non dipende da quale delle molte definizioni di piccolezza delleperturbazioni si usa. Il senso intuitivo di questa affermazione è che la probabi­lità che un «generico» sistema hamiltoniano abbia un altro integrale primo èzero, ma purtroppo questa affermazione non si può rendere rigorosa senza de­

Figura 4. finire in modo preciso che cosa significa «generico». La formalizzazione del con­

Tracce dei tori invarianti a p, =o su di una sezione. cetto di generico in effetti è possibile, ricalcando i metodi della geometria alge­

Stabilità/instabilità 449 Stabilità/instabilità

brica con una tecnica introdotta da Thom (si veda in particolare in questa stes­ Adesso sostituendo gli sviluppi in serie (4r), (4z), (44) nella (4g) ed eseguendosa Enciclopedia l'articolo «Locale/globale», VIII , pp. 46o sgg.), però tale for­ un po' di conti, si ottiene :

malizzazione fa appunto perdere il carattere intuitivo del discorso che si an­ òHù òSIdava facendo. Forse l'unica interpretazione intuitiva dei teoremi di non-inte­grabilità è quella « fisica» : l'esistenza di un integrale primo distinto dalla hamil­

(45) Hp (L )+ij [Rr(1 L )+ g J +o(lc) = K(L );

toniana è instabile rispetto alle perturbazioni, perciò se anche fosse presente perciò, per eliminare la dipendenza da p. nel primo membro a meno di terminiin un dato sistema hamiltoniano non sarebbe espressiva di una realtà che cer­ contenenti ij.~ (e perciò «piu piccoli»), basta annullare la parte tra parentesi;tamente è modellata solo in modo semplificato dalle equazioni usate. se si nota che (òH ù/òLj ) = cù, sono le frequenze del sistema imperturbato, si

Per queste ragioni l'indirizzo di ricerca piu fecondo si rivelò il secondo ci­ trova un'equazione che lega S, a R„e conduce su ogni termine delle rispettivetato, cioè quello di tentare di dimostrare che le superfici invarianti che appari­ serie di Fourier alla condizionevano tali negli esperimenti numerici erano reali.

In linea di principio la tecnica, che fu sviluppata da Birkhoff I I927], è la (46) B„+i gcùj hlj C>= ostessa usata per integrare i sistemi integrabili mediante una soluzione S dell'e­ j

quazione di Hamilton-Jacobi (r9). Se però la hamiltoniana H è complicata, da cui segue la soluzione «formale» espressa in serie di Fourier per Sr:non c'è alcuna speranza d'integrare esplicitamente, per «separazione di varia­bili» o altrimenti, l'equazione a derivate parziali (r9) ; resta solo la possibilità

iB~(L')(47) S,(1,L') = g exp(ih 1).

di trovare una soluzione mediante sviluppi in serie. Le serie impiegate sono ge­ hwùPcù j~j

neralmente del tipo detto di Linstedt, cioè serie doppie, di Taylor nel parame­ j

tro perturbativo p., e di Fourier nelle variabili angolo. Si è già visto uno sviluppo Con la (47) si è arrivati allo stesso punto a cui si era arrivati con la (gg) nel pa­di questo genere nel paragrafo 4 con le formule (27) e (3r ) : H viene sviluppata ragrafo 4; cioè a una serie che può benissimo divergere per la presenza del

in serie, con per termine iniziale la hamiltoniana di un sistema integrabile e «Piccolo denominatore» Pcùjhj, anzi è Priva di senso alla risonanza, cioè quan­termini successivi sempre piu piccoli (per p. piccolo) :

do il piccolo denominatore è zero. Perciò la serie (47) sarà certamente diver­(4r) H(I,L) = Ho(L)+pR,(I,L)+o(p) gente per certi valori di L' per i quali gli cù; = (òH ù/òL;)(L') assumono valori

con rapporti molto ben approssimabili con i razionali, e poiché tali numerimentre la funzione perturbatrice Rr è sviluppata in serie di Fourier, cosi come sono densi nei reali questo rende del tutto impossibile la convergenza delle seriei termini successivi :

(47) su di una regione aperta dello spazio delle fasi. Però se ci si limita a richie­(4z) R,(1,L) = P B>(L) exp(ih 1). dere che la convergenza si verifichi su di un particolare toro del sistema integra­

Zio bile, cioè per valori di L' — e quindi delle frequenze cù; — fissati, e per 1 qualun­Nella (4z) si è generalizzato la (8r) al caso di anche piu di due variabili angolo que, allora si può scegliere L' in modo che gli cùj siano non solo tali da non an­1, usando un «multi- indice» h, cioè un vettore a componenti intere h = (h„ nullare il piccolo denominatore (nel caso a due soli angoli, cù,/ tùs irrazionale),..., h„), ma il lettore non si faccia distrarre da questi trucchi del mestiere del ma anche tali da non renderlo troppo piccolo per valori bassi degli indici h;matematico e pensi semplicemente a funzioni trigonometriche dipendenti da e quindi da far convergere le serie.una combinazione di variabili angolo. Allora una t rasformazione canonica che Il procedimento dimostrativo è in effetti molto complicato, ed è basato suriduce H alla forma dipendente solo da nuove variabili azione L' è definita di una sorta di generalizzazione del metodo di Newton applicato a spazi fun­da una funzione generatrice S (1,L') che soddisfa all'equazione di Hamilton­ zionali [cfr. Moser r973]. Ci si limita a citare il risultato, nella forma piu sem­Jacobi plice, annunziata da Kolmogorov nel r954 e in seguito provato ed ampliato da

òS(4g) H 1,— (I,L')

)= K(L'). Arnol'd e da Moser: se le frequenze cù; sono tali che per ogni multi-indice

h+o

Se ora si suppone di sviluppare la funzione generatrice incognita S a sua (48) I g cùjhj l + ~volta in una serie di Linstedt, si ottiene con le solite notazioni j

S(1,L') = Q ljL,'+p,S,(1,L')+o(ij.) per qualche fissato c, d maggiore di zero, e inoltre la hamiltoniana impertur­bata Hù è regolare e non degenere nel senso che la matrice ò Hù/òL; òLj è

Sr(1 L ) = P Cp(L ) exp(ih' 1) a determinante diverso da zero, allora la serie (47) converge, per p, abbastanza

Stabilità/instabil i tà 450 45i Stabilità/instabil i tà

piccolo e cosi le analoghe relative alle potenze piu alte di p,. Perciò esiste una fun­ da orbite periodiche isolate. Perciò se le condizioni iniziali di un'orbita stanno

zione S = S(1,L'), solo per il valore dato di L' , e la legge di trasformazione su di una curva invariante, l'orbita starà sempre su tale curva invariante, e perdi piu le serie del tipo (33) oppure (47) forniscono un modo operativo di calco­

òS, , òS

(49) Lj (1>L ) lj( >(1>L )> lare l'orbita per un tempo arbitrariamente lungo con precisione arbitrariamentegrande. Se però le condizioni iniziali cambiano anche solo di pochissimo, può

con L' costante, definisce un'applicazione dal toro di variabili angolo l' nello accadere che l'orbita vada a cadere in una regione «caotica» generata da una ri­

spazio delle fasi di variabili (1,L) [cfr. Arnol'd rs)74]. sonanza, e perciò le predizioni basate sulle formule del tipo (33) o (47) non sonoPer comprendere il significato di questa applicazione definita dalle (4t)) oc­ stabili nel senso rigoroso del termine. Però se una «regione caotica» è a forma

corre osservare che nel sistema di hamiltoniana K (L') le L' sarebbero integrali di corona circolare, limitata all'interno e all'esterno da due curve invarianti,

primi. Ora tale sistema non può essere definito in grande, ma solo per valori un'orbita che parte in tale regione dovrà per forza restare confinata tra le due

fissati delle L,': allora a tali valori corrispondono dei tori invarianti che restano curve invarianti. Se la regione compresa tra due curve invarianti è molto sottile,

tali anche nel sistema di hamiltoniana H (l,L) e che sono parametrizzati dalle l'orbita che oscilla in tale corona sarà si instabile, nel senso che non sarà possi­

(4t)). Questi tagliano, nel caso a due gradi di libertà, le curve invarianti sulle bile controllare il suo movimento all'interno della corona, ma l'ampiezza di

superfici di sezione, che gli esperimenti numerici facevano ipotizzare. tale instabilità sarà determinata dall'ampiezza della corona e perciò molto pic­

Si tratta ora di trarre delle conclusioni dal punto di vista della stabilità: la cola. In altre parole si pone il problema inverso di quello che ci si era posti di

teoria di Ko lmogorov-Arnol'd-Mosci consente di ottenere risultati «stabili» fronte ai risultati degli esperimenti numerici : se il risultato è instabile, ma in pra­

nei problemi hamiltoniani perturbati, come per esempio quello dei tre corpi? tica l'instabilità è cosi piccola da confondersi con gli errori che si commettono

La risposta è, per l'ennesima volta, non cosi netta come si potrebbe sperare. nei calcoli, e molto piu piccola degli errori osservativi, allora il risultato è prati­

Per convincersene si ritorni un momento al caso di due sole variabili angolo, e camente stabile.

alla rappresentazione schematica della figura 5 visto che teoria ed esperimenti Anche questo risultato, positivo sebbene ambiguo, è però dotato di una

numerici convergono nell'indicazione di una struttura complicata delle solu­ validità limitata. Infatti se si torna al caso generale di zn variabili, n> z, i tori

zioni come quella disegnata. Anzi : di una struttura infinitamente complicata, di invarianti sono ancora presenti (in questo caso tori di dimensione n) z ) però

cui il disegno dà solo un'idea molto parziale (come diceva Poincaré). due tori vicini non delimitano una regione di spazio delle fasi che sia invariante,

Nessuna regione della superficie di sezione è completamente riempita da come nel caso di due circonferenze nel piano. Perciò le orbite che partono dai

curve invarianti, perché i razionali sono densi, e quindi tra due curve invarianti varchi, aperti dalle risonanze nel tessuto dei tori invarianti, possono passare tra

conservate dalla perturbazione vi sono sempre dei tori «distrutti» e sostituiti toro e toro e sfuggire lontano, dando luogo anche alle forme piu plateali d'in­stabilità, come per esempio sfuggire all'infinito o verso una singolarità (diffu­sione di Arnol'd ).

Perciò questa ricerca sulla stabilità del problema degli n corpi (e di tutta laclasse dei sistemi hamiltoniani «perturbati» ) non ha ancora avuto una conclu­sione. Per concludere con una battuta (ripresa da Roy ) il problema degli n

©) corpi, accusato di stabilità, è assolto per insufficienza di prove. Ma il processocontinua. [A. M.].'b

k og,QQ©s ), Arnol'd, V. I.

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ton N.J.

Non esiste una definizione rigorosa di 'stabilità' che comprenda tutti i casi in cuiquesto termine è usato nella ricerca scientifica contemporanea (cfr, scienza). Nei la­vori dei matematici si trovano invece molte definizioni di solito differenziate l'una dall'al­tra mediante vari attr ibuti , e l 'unico metodo praticabile per giungere all'uni tà è quellodi ricorrere a una definizione di carattere metamatematico (cfr. logica, linguaggio) ;questo modo di procedere non è però ugualmente ben accetto a tutta la comunità scien­tifica (cfr. paradigma, spiegazione).

Una proprietà definita nell'ambito di una struttura matematica (cfr. strutture ma­tematiche) è di stabilità o di instabilità se essa individua, in senso positivo o negativo,l'attitudine di un oggetto matematico (cfr. anche formalizzazione) della struttura stes­sa ad essere impiegato come modello della realtà(cfr. reale), ove 'modello' è inteso insenso strettamente empirico (cfr. empiria/esperienza) e operativo (cfr. operazioni,operatività). Ma un modello può anche essere costituito da un'equazione — nel sensogeneralizzato di relazione tra diverse variabili a valori in oggetti di una teoria matematicadata (cfr. teoria/modello, matematiche) — e dall'interpretazione di alcune variabiliin gioco come grandezze osservabili (cfr. osservazione, simulazione, legge, teoria/pratica). Determinare un limite massimo (cfr. soglia) per l'errore di predizione intro­dotto dall'approssimazione è il problema della stabilità; in particolar modo il problemasarà stabile se l'errore di predizione dipenderà in modo continuo dalle approssimazioniintrodotte (cfr. funzioni, continuo/discreto, ma anche dipendenza/indipendenza,calcolo). Va osservato che l' instabilità stessa può essere stabile, e quindi costituire unaprevisione (cfr. previsione e possibilità) legittima: questo è il tema della teoria dellastabilità piu raffinata, la teoria delle catastrofi (cfr. anche locale/globale, qualità/quantità).

In questo articolo ci si r i ferisce a quello che è forse il piu celebre di tutt i i modellimatematici del mondo fisico (cfr. fisica), quello che descrive un sisteina di corpi ce­lesti, come per esempio il sistema solare (cfr. astronomia, cosmologie, gravitazione,moto, pianeti, sole), e le considerazioni matematiche che vi intervengono (cfr. dif­ferenziale, infinitesimale, variazione) sono finalizzate a una descrizione quanto piupossibile adeguata.

963 Variazione

Variazione I due raggi, quello incidente e quello riflesso, sono tali che gli angoli che ciascu­no di essi forma con la normale allo specchio nel punto d'incidenza sono uguali.Inoltre i due raggi e la normale sono nello stesso piano.

Un problema piu difFicile s'incontra quando la luce passa da un mezzo a un

Il fisico sperimentale indaga la natura scoprendo via via i suoi fenomeni e altro, per esempio dall'aria all'acqua; anche qui si vede che la luce non si pro­

formulando le leggi che li descrivono. Il matematico ha la presunzione di ren­ paga in linea retta, ma nell'acqua il raggio s'inclina rispetto al suo percorso nel­

dere evidente perché un fenomeno ubbidisce a una legge piuttosto che a un'al­l'aria. Indicando con &s l'angolo che il raggio di luce nell'aria forma con la nor­

tra. Pertanto il matematico è spinto a considerare le ipotetiche variazioni delle male alla superficie di separazione fra l'aria e l'acqua e con &„ l'angolo che il

leggi 6siche. raggio di luce nell'acqua (raggio rifratto ) forma con la stessa normale, la rela­zione fra l'inclinazione dei due raggi è data dalla formula

sin &­' = k =costante.t. In d agine deifenomeni fisici mediante i metodi della matematica. sin&„

Nella maggioranza dei casi, i fenomeni fisici vengono descritti da applica­ Anche in questo caso i due raggi e la normale sono nello stesso piano.

zioni o funzioni (si veda l'articolo «Applicazioni » in questa stessa Enciclopedia). Ora, nell'ulteriore sviluppo della scienza, si richiede qualcosa di piu di una

Nei casi piu semplici queste funzioni rappresentano la con6gurazione di un og­ semplice formula. Dapprima sono state fatte delle osservazioni, poi si hanno

getto o l'evolvere di un fenomeno al variare del tempo. Ad esempio la con6gu­ delle misure che convalidano l'osservazione e quindi si ha una legge che com­

razione di equilibrio di una corda di un piano (x, y), fissata agli estremi (a, o), pendia tutte le misure. Ma la vera aspirazione della scienza è di trovare un mo­

(b, o) e sottoposta all'azione di forze che agiscono nella direzione dell'asse y,do di pensare che renda evidente la legge.

può essere descritta da una funzione y = f(x), xc [a, b] = I, dove f(a) = f(b) = o. Il ragionamento che rese evidente la legge sul comportamento della luce è

Il moto di una particella materiale (identificata con un punto P) è descritto da il principio di Fermat, chiamato anche principio del tempo minimo. L'idea di

una funzione che fornisce la posizione del punto nei vari istanti di tempo: Fermat è questa: fra tutti i possibili cammini che la luce può seguire per anda­

P = P(t). Questa funzione che descrive il moto si ottiene, almeno negli stadire da un punto a un altro, essa segue il cammino che richiede il minor tempo.

iniziali della scienza, interpolando diverse misure in tempi diversi. Si pensi alle In altre parole, se la luce va da un punto A a un punto B seguendo un certo

esperienze di Galilei sulla caduta dei gravi. cammino, ogni variazione fa impiegare alla luce un tempo maggiore.

Ma in uno stadio piu avanzato nasce l'esigenza di esprimere la legge del mo­ Da questo principio discende dapprima la legge della propagazione in linea

to non solo in base alle misure ripetute dell'esperienza; occorre trovare delle retta. È possibile veri6care che da esso discende anche la legge di riflessione

leggi generali che ci facciano conoscere le funzioni che lo descrivono. Nascono dello specchio. Nella figura s sono indicati due punti A e B e uno specchio

cosi le leggi generali della meccanica.Per poter esprimere queste leggi generali occorre considerare non solo le fun­

zioni che rappresentano il fenomeno, ma anche alcune particolari forme lineario di grado superiore che si ottengono da queste mediante le variazioni locali. r r

L'idea di variazione, che si può ritrovare fin agli albori del calcolo in6nite­simale, è alla base anche delle teorie piu moderne con diverse nomenclature.Oggi si parla piuttosto di incrementi, di differenziali, di test functions, ecc. ecc.Sono queste nozioni che permettono di dedurre le evoluzioni di un punto ma­

J(

teriale se il suo stato e la velocità al momento iniziale del moto sono noti. Ciò E ~~ C ~~ F M '

si collega alla teoria matematica delle equazioni differenziali ordinarie e al co­siddetto problema di Cauchy.

S'incomincerà con il prendere in esame un classico problema di ottica, ac­cettando l'osservazione che la luce procede in linea retta se non ci sono ostacolisul suo cammino e che i raggi non interferiscono l'uno con l' altro; e si studieràil comportamento della luce quando colpisce vari materiali. L'oggetto piu sem­ +B'

plice è uno specchio. Quando la luce ne colpisce uno, essa viene respinta in una Figura i .

nuova linea retta che varia quando viene cambiata l'inclinazione dello specchio. La somma delle lunghezze AE +EB è minima, perché è minima la somma AE +EB'.

Variazione 964 965 Variazione

piano MM'. Quale è il modo per andare da A a B nel piu breve tempo possi­bile> Evidentemente andare in linea retta da A a B. Ma si aggiunga la condi­zione in piu che la luce deve colpire lo specchio e ritornare nel piu breve tempopossibile.

Un modo potrebbe essere di andare il piu rapidamente possibile allo spec­chio e quindi andare in B, lungo il cammino ADB. Naturalmente si ha allorache il tratto DB è lungo. Se ci si sposta un po' a destra di D fino ad E, si aumen­ta leggermente la prima distanza ma diminuisce di piu la seconda, e cosi la lun­ghezza totale, e quindi il tempo impiegato nel percorso, è minore. Quale sarà ilpunto C per il quale il tempo è minimo> Lo si può determinare con una sem­plice considerazione geometrica.

Si consideri il punto B' simmetrico di B rispetto ad MM'. Poi si tracci il P C

segmento EB'. Quindi la somma delle due distanze AE +EB, che è proporzio­ Figura g.nale al tempo impiegato dalla luce per percorrerla a velocità costante, è anche

La curva rappresenta il tempo impiegato in funzione della posizione di P. Al puntola somma delle due lunghezze AE +EB'. Quindi il problema consiste nel deter­ C corrisponde il piu breve tempo possibile.minare il punto E in modo che la somma delle due lunghezze sia minima. Larisposta diventa cosi molto semplice: quando il segmento EB' è sul prolunga­mento del segmento AE; ciò avviene quando E è nell'intersezione C del seg­ Indicando con tt e t, i tempi impiegati a percorrere i cammini AP e PB emento AB' con MM'. Qui l 'angolo che AC forma con la normale è uguale a con t il tempo totale si ha:quello che CB' (e anche CB) forma con la stessa normale. Cosi l'affermazioneche l'angolo d'incidenza è uguale all'angolo di riflessione è equivalente all'af­ A P P B

(r) t =t t +ts = ­ + —.fermazione che la luce va allo specchio in modo tale da giungere in B' nel minor K

tempo possibile. Poiché la velocità della luce è costante, invece di rendere mi­nimo il tempo si è cercato di rendere minimo il cammino della luce. Si tratta dunque di trovare il punto P su r in modo che il tempo t corrispon­

Per la rifrazione, la luce non segue il percorso di minima distanza in quanto dente al cammino APB sia il piu piccolo possibile. Sia C la posizione del punto

la velocità della luce nell'aria è diversa (maggiore) dalla velocità che essa ha nel­ P che fornisce il valore minimo per t: questo significa che spostando su r i l

l'acqua. punto P dalla posizione C il cammino APB è percorso in un tempo maggiore.

Siamo cosi ricondotti a un problema della natura seguente. Siano assegnati, S'immagini di riportare su un grafico il tempo impiegato in funzione della

in un piano, due punti A e B da parti opposte rispetto a una retta r (fig. z). Un posizione del punto P. Si ottiene una curva del tipo indicato nella figura g. Al

punto mobile va da A ad un punto P della retta r con velocità v e da tale punto punto C corrisponde il tempo piu breve possibile. Con alcune semplici consi­

al punto B con velocità ro. Si cerca quale è il cammino che viene percorso nel derazioni di analisi matematica, alle quali si accennerà in seguito, risulta che il

minor tempo possibile. punto C è l'unico punto sull'asse r dove la variazione è nulla ed in corrisponden­za di esso è soddisfatta la legge di rifrazione della luce.

Il problema considerato è abbastanza semplice, perché i cammini della lucevengono individuati dalla posizione del punto P sull'asse r, cioè da una solavariabile in quanto la luce si muove in linea retta nell'aria e nell'acqua con ve­

pl locità costanti. Le considerazioni fin qui svolte spingono a soffermarsi sull'ana­lisi dei punti di minimo di una funzione f(x).

B'

z. Pu n t i stazionari di unafunzione.

BFigura 2. Sia f(x) una funzione reale definita in un intervallo I dell'asse reale. Ciò vuoiIl tratto AP è percorso con velocità o, il t ratto PB con velocità w. Il tempo totale è dire che a ogni numero reale x dell'intervallo I corrisponde un numero reale.

il minimo possibile. Introdotto un sistema di assi cartesiani (x, y), dopo aver fissato le unità di

Variazione 966 967 Variazione

misura su di essi si consideri l'insieme G dei punti (x, f(x)) al variare di x in I.Questo insieme che costituisce il grafico della funzione f(x) ha la proprietà cheogni retta parallela all'asse y incontra G in un punto al piu. Viceversa, un insie­

, P =' (x„f(x,)) me G che gode della suddetta proprietà determina una funzione j (x). I valoridi x per i quali la retta, parallela all'asse y, passante per il punto (x, o) incontraG è il dominio della funzione. Per semplicità si considereranno funzioni il cuidominio sia un intervallo I = [ a,b]ftx: a<x ( b), dove i punti x per cui a(x ( bsono i punti interni all'intervallo mentre a e b sono i due estremi.

Sia xo un punto interno all'intervallo I e P = (xp, f(xp)) il punto corrispon­O I o dente di G (fig. 4). S'immagini di fotografare l'insieme G inquadrando un ret­

tangolo intorno a P e ottenendo una diapositiva tale che il punto P sia nel cen­I"'igura 4. Figura 5. tro di essa (cioè nel punto d'incontro delle due diagonali ) (fig. g). Si proiettiG è il grafico di una funzione. P ha le coor­ Il rapporto di ingrandimento o«viene au­ ora questa diapositiva su uno schermo aumentando sempre di piu il rapportodinate (x«, f(x,)). mentato sempre di p iu . d'ingrandimento ot. Questi ingrandimenti rivelano, esaltandolo sempre di piu,

il comportamento dell'insieme G vicino al punto P. Accade nella generalità deicasi che questi ingrandimenti «tendono» a divenire sempre piu una linea rettapassante per il punto P, il quale rimane fisso nel procedimento di ingrandi­

o 4 O 2 mento (fig. 6). Questa retta che cosi si ottiene svolge un ruolo di primaria im­

2,5 X portanza nello studio della funzione f(x).Non è possibile nella pratica spingere l'ingrandimento oltre un certo valore,

ma non si hanno difficoltà teoriche a pensare che ciò possa avvenire. In questofatto è racchiusa l'idea di limite.

La retta alla quale si è giunti con questo procedimento ha un'equazione

y = f(xo)+m(x — xp), dove m misura l'inclinazione della retta stessa, cioè m =

=tg&, dove & è l 'angolo che la retta forma con l 'asse x. Questo numero m èla derivata della funzione f(x) nel Punto xp, cioè

a) ( ) f>( ) l ' f ( ) f (x o )

x~x» X — Xo

L'esPressione m (x — xp) è una forma lineare nella indeterminata x — xo eprende il nome di differenziale della funzione nel punto xo.

O I o o>5 La definizione matematica è la seguente :

Io X 20 X DEFINIzIoNE. L a funzionef(x) è differenziabile (cioè dotata di differenziale inun punto xo) se esiste una forma lineare, nella indeterminata h, m h tale che, posto

Pa+ (g) co(h) = f(xp+h) f (xp) m' h ,

risulti

I; I (h)Ih~o IhI

c) Di qui discendef(xo+l') f (xo) o»(h)

Figura 6.

Gli ingrandimenti « tendono» ad essere rettilinei. e quindi la (z).

Variazione 968 969 Variazione

La (g) fornisce un'informazione sulla variazione del valore della funzione mette una soluzione, nelle vicinanze del punto (xp, yp), dalla considerazione chef(xp+h) — f(xp) in corrispondenza della variazione h della variabile x nelle vi­ l'equazione lineare (di primo grado) (5) ammette sempre una soluzione unicacinanze di xp, cioè qualunque sia il secondo membro.

f(xp+h) — f(xp)=m • h+to(h) Si passi ora alle definizioni seguenti:

dove to(h) è molto piccolá rispetto alla variazione h. DEFINIzIoNE. Un a funzione f(x) possiede un minimo nel punto xp se per tuttiQuindi m.h descrive, in prima approssimazione, il comportamento della va­ i punti x che sono sufficientemente vicini ad xp si haf(x) ) f(xp).

riazione f(xp+- h) — f(xp) per h molto piccolo. DEFINIzIoNE. U n afunzionef(x) possiede un massimo nel punto xp se per tuttiLa definizione matematica del differenziale di una funzione in un punto xp i punti x che sono sufficientemente vicini ad xp si ha f(x) ( f(xp).

traduce proprio la considerazione intuitiva fatta all'inizio di questo paragrafo. A questo proposito si ha il seguente teorema:In un sistema di assi cartesiani con l'origine nel punto P e con gli assi pa­ralleli a quelli originari, l'ingrandimento di f(x), di rapporto pt, genera la fun­ TEQREMA. Se la funzionef(x) ha un punto di massimo (di minimo) in un pun­zione f(x) data da to xp interno allintervallo di de finizione dove esiste il differenziale, il suo differen­

ziale è identicamente nullo, cioè m = f' (xp) = o. In altre parole la retta y = f(xp)+f(x) =cr f x,y

' — f(x,) . +m(x — xp) è Parallela all'asse x.

Questa nuova funzionef altro non è se non la funzione dataf rappresentata in È essenziale nell'enunciato precedente che il punto xp sia interno all'inter­

un sistema di assi cartesiani quando le unità di misura sono ingrandite nel rap­ vallo di definizione della funzione. Ad esempio la funzione y =x considerata

porto pt. Il fatto che f(x) tenda per pt sempre piu grande alla retta y = m(x — xp) nell'intervallo [o, I] ha il minimo nel punto o dove il differenziale non è iden­equivale proprio alla condizione (y). ticamente nullo.

Si è considerato il differenziale in un punto xp, interno all'intervallo di de­ Si osservi che possono esservi dei punti dove il differenziale esiste ed è iden­finizione della funzione, ma è possibile introdurre il differenziale anche in un ticamente nullo, ma la funzione non ha né punti di massimo né punti di minimo.

estremo dell'intervallo come limite dei differenziali nei punti interni vicini al­ Questi punti si chiamano punti stazionari della funzione (cfr. fig. p). Quei par­l'estremo considerato. Il differenziale in un punto xp dipende ovviamente solo ticolari punti stazionari che sono anche punti di massimo o di minimo si chia­

dal comportamento della funzione nei punti vicini ad xp. mano punti estremanti.

All'inizio di questo paragrafo si è identificata una funzione f(x) con il suo Appare chiara l'importanza di saper calcolare le derivate (e quindi i diffe­grafico G, ma la realizzazione di G, data la funzione f(x), non è, in generale, un renziali ) delle funzioni. Ogni corso di analisi matematica fornisce le regole diproblema semplice, per cui si presentano degli interrogativi tendenti a chiarire calcolo delle derivate: si tratta di semplici regole che ogni persona che voglia

il comportamento della funzione nelle vicinanze di un suo punto xp, interno al­ utilizzare la matematica deve conoscere.

l'intervallo di definizione. A molti di questi quesiti si può dare una risposta per A titolo di esempio si ritorni al problema della rifrazione della luce conside­

mezzo del suo differenziale. Ad esempio, la funzione f(x) nel punto xp assumail valore yp, cioè yp = f(xp). Per valori di y vicini ad yp ci sono ancora valori x,vicini ad xp, dove f(x) =y? Il risultato al quale si giunge è evidente se visto sulgrafico di f(x).

TEOREMA. Se i l d ifferenziale di f(x) nel punto xp interno al suo intervallo didefinizione non è identicamente nullo, per ogni y vicino ad yp esiste un valore x,vicino ad xp, dovef(x) = y .

Si osservi che dire che il differenziale non è identicamente nullo equivale alfatto che l'equazione

(g) m h = k

ammette sempre una e una sola soluzione, qualunque sia k. In altre parole, sa­ Figura 7.pendo che f(xp) =yp, si può dedurre che l'equazione non lineare f(x) =y am­ P è un punto stazionario della funzione.

Variazione 97o 97' Variazione

rato nel ) r (fig. z). Siano p, q le distanze di A e B dalla retta r, A', B' le proie­ zione di una sola variabile in una forma che si presta bene a varie generalizza­zioni ortogonali di A e B su r, X la distanza di P da A' contata positivamente nel zioni che costituiscono aspetti tra i piu interessanti della matematica moderna.verso da A' a B'. Posto A'B' =l , i l tempo complessivo impiegato a percorrere Si vedrà ora come esse possono presentarsi in contesti piu generali.il cammino AP +PB è dunque, in funzione di x,

3. Funzioni di piu variabili.

Derivando f(x) si ha: Sempre rimanendo nel campo dell'ottica, si supponga di avere due specchiparalleli s, e ss con le superfici riflettenti rivolte l'una contro l'altra (fig. 8). Unasituazione di questo genere può succedere di trovarla nelle botteghe dei barbieri.Un raggio di luce, partendo da A, arriva a B dopo essersi riflesso prima su s, e

e questa derivata si annulla quando vale l'uguaglianza poi su s,. Fra tutti i cammini soddisfacenti a queste regole trovare quelli di lun­ghezza (e quindi di tempo) minima. I cammini «ammissibili » in questo proble­ma sono del tipo AP,PsB.

Dette xr e xz le distanze di Pt e Ps dalla retta PerPendicolare agli sPecchipassante per A, la lunghezza del cammino considerato è un numero che dipen­

la quale esprime che gli angoli 3, e 9, che AP e BP formano con la normale in de, fissati A, B e gli specchi, da x, e xs.P alla retta r soddisfano la relazione Si tratta quindi di considerare una funzione di due variabili x„ x s definita

in un quadrato Q = (o<x t <f, o<x , < l } (dove l è la distanza su uno deglisin&; v specchi di A da B ).sin 8 „s() Una funzione f (x„x, ) definita nell'insieme Q delle coppie (x„xs) tale che

o<x,< f , o< xs< l associa a ogni coppia(xt xs) un numero reale.Questa relazione esprime appunto la legge di rifrazione della luce e spiega che Introdotto un sistema di assi cartesiani (xt xs y ), si consideri l'insieme Gla costante k è il rapporto della velocità della luce nell'aria e nell'acqua. Essa è dei punti (x„xs, f(x„xs)) al variare di (xt xa) in Q. Questo insieme costituisceapprossimativamente r,33. il grafico della funzione; esso è un insieme dello spazio a tre dimensioni.

Si è considerato il teorema dei massimi e dei minimi; esso fornisce una con­ Analogamente al caso considerato nel ) z, il principio di Fermat conduce adizione necessaria perché una funzione abbia un punto di minimo interno al­ ricercare quelle coppie (x„xs) di Q dove la funzione f(x„ xs) è minima, cioèl'intervallo di definizione. Se si fa cadere la restrizione che xp sia interno all'in­

f(xnxs)) f (x~j xs) Per ogni coPPia (x„xs) vicina a (x„xs).tervallo, il risultato è il seguente: Questo problema, come nel caso precedente, si può risolvere facilmente con

TEQREMA. Se la funzione f(x), differenziabile in un intervallo I, ha in xp un considerazioni geometriche. Sia ss la retta simmetrica di sz rispetto allo spec­

punto di minimo, allora chio s„sia B' il simmetrico di B rispetto allo specchio s, e B" il simmetrico diB' rispetto alla retta ss(fig. 9). La lunghezza del cammino AP,PsB è uguale

(6) f (xp) (x 'xp) ) o Per ogni x c I. alla lunghezza del cammino AP,P,'B". Questo secondo cammino sarà minimoquando i punti AP,P,'B" sono allineati e di qui discende che i punti P, e Ps de­Quando xp è interno ad I, dalla (6) segue, poiché il fattore (x — xp) può cam­

biare segno, chef' (xp) = o. Se xp coincide con il Primo estremo a, segue, Poichéil fattore x — a è non-negativo, che f'(a) ) o. Se invece xp coincide con il se­condo estremo b, segue chef'(b) < o. Sl

Nell'enunciato di questo teorema si vede bene che nel caso di un punto xpinterno all'intervallo di definizione le variazioni «ammissibili» sono arbitrarie,mentre nel caso che xp cada in un punto estremo dell'intervallo di definizionesono ammissibili solo alcune variazioni. Nel caso che xp =a la variazione x — xppuò assumere soltanto valori positivi, mentre nel caso xp =b la variazione x — xp Ss

può assumere soltanto valori negativi. Figura 8.Sono stati cosi presentati alcuni risultati del calcolo differenziale di una fun­ sr ed ss sono specchi paralleli con le superfici ri flettenti r ivolte l 'una contro l 'altra.

Variazione 97z 973 Variazione

vono essere tali che in ciascuno di essi sia rispettata la legge di riflessione del­ Una funzione f(x) ha un minimo (massimo) in xs se f(x) ) f(xo) (<) perla luce. tutti i valori di x vicini a x„. Sussiste un teorema analogo a quello di p. 969:

Se invece dei cammini che vanno da A a B dopo due riflessioni si conside­ TEQREMA. Se lafunzionef(x) ha un minimo (massimo) in xs ed è ivi dif feren­rano cammini che vanno da A a B dopo tre o piu riflessioni, si è ricondotti in ziabile, il suo differenziale è identicamente nullo.maniera analoga a considerare funzioni di piu variabili.

La stessa situazione si presenta se ci si propone di considerare il cammino Sia f(x) un'applicazione di R" in R"; ciò vuoi dire che ad ogni n-pia x = (x»che la luce percorre per andare da un punto A a un punto B attraversando un xa, ..., x„ ) corrisPonde una n-Pla y = (y» ys, ..., y„). Si è cosi condotti a consi­numero finito di mezzi trasparenti ma di natura diversa. derare n funzioni f(x) = (f,(x), fs(x), ..., f„(x)). L'applicazione f(x) è differen­

Anche in questi casi si è condotti a considerare il differenziale di una funzio­ ziabile in xa se ciascuna funzione f,(x), i = i, z, ..., n, è differenziabile in xo. Ilne di piu variabili seguendo il suggerimento di quanto detto nel caso di una differenziale dell'applicazione f (x) è l'applicazione linearefunzione di una variabile.

Sia f(x), dove x sta per le n-pie (x l x s ., x„), una funzione a valori reali Q A,jhj i =i , z , . . . , ndefinita per tutti gli x vicini ad xo = (x„xs, ..., x,,). Si consideri la famiglia di j = l

funzioni, dipendenti da un parametro ct)o, che applica R" in R". I coefficienti A,j sono le derivate parziali òf;/òxj dellafunzione f; rispetto alla variabile xj calcolate in xo.

f(h) =~ f xe+­ — f(xs) Un teorema analogo a quello di p. 968 permette di affermare:

dove h = (h» hs> ..., hn) TEOREMA. Sia f(x) un'applicazione di R" in R ta le chef(xs) =yo. L'applica­Se per a tendente all'infinito queste funzioni tendono a una forma lineare zione sia differenziabile e inoltre il sistema lineare

(7) Ah Al h i + A s hs+ + A „ha N

Z A;jhj = k ; i =i , z , . . . , nla funzione f(x) si dice differenziabile in xo e la forma lineare (7) si chiama il = l

differenziale di f(x) in xo. Le quantità A» A„ . .. , A „, che dipendono da xs, ottenuto uguagliando il differenziale in xs alla n-pia k» ..., k„ammetta una e unasono le derivate parziali di f in xo e si indicano con i simbolif , f , , ..., f,, op­ sola soluzione per ogni valore di k» ..., k„. Allora il sistema non linearepure con i simboli

òf òf òf f,(x» x„. . . , x„) =y S = I > 2 » . . . n

òx,' òx,' ' òx„ammette un'unica soluzione vicino ad xo per ogni y vicino a ys.

~B"

l'

/P2' /Spazi di dimensione infinita.

S2/

// • B'

/La configurazione di un ente fisico non è sempre descrivibile con un nume­

//

/ro finito di parametri come accadeva negli esempi considerati nei paragrafi pre­

// cedenti.

//z La necessità di considerare spazi a infinite dimensioni si presenta nello stu­

Pl Sl dio di numerosi problemi di matematica e di fisica. Sempre rimanendo nel cam­A po dell'ottica, i problemi considerati precedentemente erano semplificati dal

fatto che si è assunta costante la densità dei mezzi (aria o acqua), per cui latraiettoria della luce, essendo rettilinea in ciascun mezzo, è individuata dalla po­

P2 sizione dei punti dove la luce cambia direzione. Ma la situazione sarebbe statadiversa se fosse stata considerata la luce proveniente da una stella, in quanto essa

$2 incontrerebbe mezzi di densità variabile; infatti l'atmosfera della Terra è rare­Figura >i. fatta in alto e densa negli strati bassi. La luce viaggia piu lentamente nell'ariaAnche in questo caso il problema del tratto ottimale (AP,P SB) è risolto con semplici

considerazioni di simmetria.di quanto faccia nel vuoto. La luce quindi, anziché decidere di arrivare in un

Variazione 974 975 Variazione

punto P in modo rettilineo, per impiegare il minimo tempo valuta quanto stare sizione di equilibrio della membrana per una data deformazione del suo con­nella regione nella quale va piu veloce; essa segue perciò una linea curva. torno.

Il principio di Fermat impone di considerare fra le curve che congiungono Assumendo che tutti i punti della membrana si spostino perpendicolarmen­due punti quella per cui il tempo T impiegato a percorrerla è minimo. Il tempo te al piano x, y, si indichi con u (x, y) lo spostamento del punto (x, y). La po­T non è piu un numero associato a un numero finito di parametri, ma un nu­ sizione di equilibrio della membrana è quella che fornisce il piu piccolo valoremero associato a tutto il comportamento dei cammini possibili congiungenti due possibile all'energia potenziale della deformazione fra tutte le deformazioni am­punti. Se si rappresenta con la funzione y (x) il cammino che la luce percorre missibili. Le deformazioni ammissibili definiscono un insieme di funzioni taliper andare da un punto A a un punto B si è ricondotti a cercare quella fun­ che u (x, y) =g (x,y) quando il punto (x,y) appartiene al contorno di Q. L'e­zione y (x) tale che A = (a, y(a)), B = (b, y(b)) e che minimizza l'integrale nergia potenziale di deformazione è data, in una buona approssimazione, dal

b cosiddetto integrale di Dirichlet(8) n( ) ~ r+y" (x) d,

a (ro) (u,'+u„') dx dydove n(x) rappresenta l'inverso della velocità della luce nel punto (x, y(x)).

Alcuni problemi di questa natura furono già posti sin dalle origini del cal­ dove u~ e u„sono le derivate parziali della funzione u (x, y) (cioè i coefficienticolo delle variazioni alla fine del xvn secolo da Newton e da Bernoulli. Newton del suo difFerenziale).nel r686 pose il problema del solido di rivoluzione di minor resistenza. È un Un altro problema analogo al precedente è il seguente. Invece di deformareproblema che ha una notevole importanza pratica, interessando in modo essen­ il contorno della membrana come precedentemente, si ponga un ostacolo sulziale la navigazione subacquea, l'aeronavigazione, la balistica. Quale è la forma piano x,y, ma al di sotto della membrana, tenendo fissi i punti del contornopiu conveniente da darsi a un sommergibile, a un dirigibile, a un proiettile, a della membrana e ci si domandi quale sarà la posizione di equilibrio della mem­un missile, perché essi, muovendosi nell'acqua o nell'aria, incontrino la minor brana in questa situazione, Il problema matematico è quello di ricercare il mi­resistenza possibile e quindi, con una data forza motrice, raggiungano la massi­ nimo dell'integrale di Dirichlet fra tutte le funzioni u (x, y) nulle al bordo di Qma velocità> Il problema matematico si può formulare nel modo seguente; de­ e che descrivono le configurazioni ammissibili, cioè quelle che fanno stare laterminare la curva piana che unisce due punti dati A e B e che, ruotando attor­ membrana al di sopra dell'ostacolo.no a un asse, appartenente al suo piano e passante per A, genera una superficiedi rivoluzione la quale, muovendosi, secondo il suo asse, in un mezzo omogeneo,incontri la minima resistenza. L,e equazioni differenziali del calcolo delle variazioni.

Per tradurre analiticamente il problema, si consideri nel piano determinatodall'asse di rotazione e dal punto B un sistema di assi cartesiani ortogonali aven­ Gli esempi considerati finora possono fornire un'idea del tipo di problemite l'asse x coincidente con l'asse di rotazione. Rappresentata allora mediante la che s'incontrano in calcolo delle variazioni.funzione y (x), con le condizioni y(a) = o, y(b) =y>, la curva da determinarsi, Sia V un insieme di oggetti di natura qualsiasi. La natura di questi oggettila resistenza incontrata dalla superficie di rotazione è data dalla formula può essere del tipo piu vario. Gli oggetti possono essere numeri, punti dello

6 spazio, curve, funzioni, superfici o anche moti di un sistema meccanico. Essi(9) R = k „dx, sono gli elementi dell'insieme V e saranno indicati con la lettera x.+y 2

Ad ogni elemento x dell'insieme V corrisponde un numero reale y ; sarà al­dove a e b indicano le ascisse dei punti A e B, k una costante, dipendente dalla lora definita un'applicazione di V in R (l'insieme dei numeri reali ). Queste ap­velocità della superficie in moto. Nello scrivere l'espressione di R si è supposto plicazioni sono chiamate anche funzionali. Se l'insieme V è l'insieme dei numeriche la resistenza sia proporzionale alla proiezione della velocità del moto sulla reali x, il funzionale è una funzione di una variabile. Se V è l'insieme delle cop­normale alla superficie. pie ordinate di numeri reali, il funzionale è una funzione di due variabili e cosi

Si consideri ancora un altro problema che interessa le applicazioni. Sia data via. Se V è un insieme di curve, un funzionale può essere definito associando auna membrana elastica, cioè una superficie elastica piana in posizione di ripo­ ciascuna di queste la sua lunghezza. Nel problema della luce e in quello di New­so, si flette liberamente e reagisce solo contro ogni tentativo di estenderla. In ton il funzionale consiste nell'associare a ogni curva che congiunge A con B i lposizione di riposo la membrana occupi un dominio Q del piano x, y. Si defor­ valore degli integrali (8) e (9).mi il contorno della membrana in una direzione perpendicolare al piano x, y e Il problema generale del calcolo delle variazioni è del tipo seguente: fra glisi indichi con g(x, y) lo spostamento del punto (x, y) del contorno. Allora anche elementi x di V trovare quell'elemento (o quegli elementi ) per il quale il valorel'interno della membrana viene deformato e ci si propone di determinare la po­ del funzionale è il piu piccolo possibile.

Variazione 976 Variazione977

All'inizio di questo articolo è stata richiamata una condizione necessaria per assegnati: u (x,y) =g (x, y) ; fra tutte queste funzioni cercare quella (o quelle)gli elementi che rendono minimo un funzionale, nel caso della funzione di una che rende minimo l'integraleo piu variabili, la quale condizione esprime l'annullarsi del differenziale dellafunzione. I(u) = F(x, y, u(x,y), u„(x,y), u (x,y)) dx dy.

E possibile trovare una condizione necessaria nei problemi piu generali del D

calcolo delle variazioni che assicuri che un elemento di V fornisca un valore Come prima, si supporrà che esista una funzione ammissibile che renda mi­minimo al funzionale> Questo si può fare nel caso che gli elementi di Vsiano nimo l'integrale I (u).delle funzioni e il funzionale sia un integrale. Si consideri il caso dei cosiddetti Si consideri la famiglia di funzioni, dipendenti da un parametro u., u(x, y) =

integrali semplici del calcolo delle variazioni, cioè si supponga che il funzionale = u(x, y)+cg(x, y), dove q(x, y) è una funzione differenziabile in D che si an­sia del tipo nulla sul suo contorno. Allora, come prima, la funzione

b

(zt) I(y) = F(x,y(x),y'(x)) dx I(u) = F(x,y,u+xe,u~+xe„u~+xe„) dx dy= q>(a)a

dove y(x) è una qualunque funzione dell'insieme V. La funzione F dipende deve avere un minimo per x = o. Poiché, anche in questo caso, o è un puntodai tre argomenti x, y, y'. interno dell'insieme di definizione della funzione p (x), deve essere <p'(o) =o ; di

L'elemento generico di V è una funzione y (x) di x definita per a(x ( b i v i qui segue con semplici calcoliderivabile, che assuma in a o in b valori assegnati. A parte queste condizionila funzione y (x) può essere arbitraria. Di questo tipo sono il problema della (rz) (F„q+F„q +F q „ ) dx dy= o.

luce e quello di Newton esposti nel $ 4. DSi supponga che esista una funzione fra quelle ammissibili che rende mini­ Questa relazione esprime ancora che per una funzione u, la quale fornisca il

mo il funzionale I (y). minimo di I(u), la variazione deve annullarsi,Si consideri la famiglia di funzioni (dipendenti da un parametro u) y(x) = Se la funzione u(x, y) che minimizza l'integrale I(u) è derivabile due volte,

=y (x)+aq(x), dove y(x) è una funzione derivabile che si annulla in a e b. un ragionamento classico dimostra che u deve soddisfare l'equazione differen­In tal modo tutte le funzioni della famiglia sono funzioni ammissibili. L' inte­ ziale alle derivate parziali (che viene chiamata equazione di Eulero)grale calcolato su tale famiglia diventa una funzione del parametro x

ò òb F F ­ — F = o.

I(y) =(p (x) = F(x,y+avi,y'+ecg') dx.a Per esempio il problema della posizione di equilibrio di una membrana, do­

Siccome si è supposto che y (x) fornisca un minimo dell'integrale I (y), la po aver deformato il contorno, corrisponde alla ricerca del minimo dell'inte­funzione q>(u) deve avere un minimo per x = o. Il suo differenziale in questo grale (zo) con le condizioni al contorno u =g .

punto deve annullarsi. L'equazione di Eulero ha la formaUn semplice calcolo fornisce, per ogni funzione vi nulla in a e in b, ò 'u ò ' u

b (rg) Au = ­ + ­ = o.o = V'(o) = Y'y(x y y')n+F„' (x y y')n'l dx. òx' òy'

a Quindi il problema di determinare lo spostamento subito da una membrana do­Questa condizione è l'analogo della condizione trovata per le funzioni di una po la deformazione del contorno si riduce a cercare una funzione armonica (cioèo piu variabili ed esprime che sull'elemento y (x) che fornisce il minimo dell'in­ soluzione dell'equazione Eu = o) che assuma i valori al contorno u =g. Se, in­tegrale deve annullarsi la variazione vece di deformare il contorno, si considera la deformazione della membrana per

b effetto di un ostacolo posto al di sotto di essa, non si è piu condotti all'equazione

[F„(x,y,y')r+F„' (x,y,y')q'l dx. di Eulero in quanto la famiglia y+@q non è formata da funzioni ammissibilia per ogni u,, e quindi non si può piu dedurre che q>'(o)= o.

Il procedimento precedente si estende anche al caso di un integrale multi­ Si denoti con g (x, y) la superficie superiore dell'ostacolo. L'insieme delleplo. Per semplicità si consideri il caso di un integrale doppio. Sia D un domi­ funzioni ammissibili è quello delle funzioni che soddisfano le condizioni a )nio del piano x, y. L'insieme delle funzioni ammissibili è definito dalle condi­ u (x, y) è differenziabile in Q, b) u(x, y) si annulla sul contorno di Q, c) u(x, y) )zioni a ) u(x, y) è differenziabile in D, b) i valori della u sul contorno di D siano )g (x, y) in Q. Si osservi che se u e v sono due funzioni ammissibili, la fun­

Variazione 978 979 Variazione

zione tv+(x — t)u =u +t(v — u) è ancora ammissibile se o<t ( r . C iò significa dove Q è un sottoinsieme di R" e Vu indica l'insieme delle derivate di u (x) eche l'insieme delle funzioni ammissibili è un convesso. f(x, u, p) è in generale continua con le derivate prime rispetto ai suoi argomenti.

Si supponga che la funzione u (x, y) fornisca il minimo dell'integrale (per Per considerare un caso semplice si supponga che le funzioni ammissibiliesempio) di Dirichlet per tutte le funzioni ammissibili. Sia v un'altra funzione consistano in quelle funzioni assumenti valori assegnati nel contorno òQ di Q.ammissibile; allora la funzione La prima condizione necessaria che deve essere soddisfatta da una funzione

estremante l'integrale I (u) è che la variazione prima deve annullarsi su di essa.q)(t) = ((uht(v — u)) + (u+t(v — u))„') dxdy Di conseguenza la funzione estremante deve soddisfare l'equazione di Eulero

D con date condizioni al contorno.ha un minimo per t = o. Ciò implica che Un'altra condizione necessaria è quella dovuta a Legendre la quale richie­

de che una funzione minimizzante deve soddisfare la condizione

(i~) (u, (v — u),+u (v — u)„) dxdy) oD g f„,„( x, u(x),Vu(x)) X,.X,) o.

t =l

per ogni v ammissibile. Questo risultato è analogo a quello del teorema di p. 970.Con una nomenclatura recente si può dire che la funzione u che rende minimo Essa esprime che la variazione seconda è non-negativa su una funzione minimiz­l'integrale soddisfa alla disequazione variazionale (rg). zante. Se nella condizione di Legendre il segno di uguaglianza vale solo quando

X = () „X„ . . ., X„) è nullo, l'integrale I (u) è detto regolare e l'equazione di Eu­lero risulta essere di tipo ellittico. Si osservi che, ad esempio, per n =z, fissato x,

6. Gl i sviluppi del calcolo delle variazioni. u, la funzionef(x, u, p„p,) come funzione delle componenti di Vu è una fun­zione che ha per linee di livello delle curve del tipo ellissi.

I problemi considerati nel paragrafo precedente rientrano in un importante Da questo punto di vista i problemi di calcolo delle variazioni si riducono

capitolo dell'analisi matematica: il calcolo delle variazioni. Lo sviluppo di que­ allo studio delle proprietà delle soluzioni di equazioni differenziali. Ma la pro­sto capitolo della matematica è strettamente connesso con quello della matema­ blematica può essere invertita, La risoluzione di un problema al contorno pertica stessa. un'equazione differenziale può essere ricondotta a un problema di calcolo delle

Fino alla fine del secolo scorso si ritenne ovvio che le soluzioni dei problemi variazioni. Un tentativo fatto prim, da Gauss nello studio dell'equilibrio di un

in considerazione esistessero; risolvere il problema significava trovare le solu­ campo elettrostatico e poi da Riemann in altre questioni di matematica pura fu

zioni in termini di formule esplicite o di costruzioni geometriche. Ad esempio, messo in crisi da Weierstrass nel i87o. Sia Gauss sia Riemann avevano ammes­

nel caso della riflessione della luce la risoluzione è data da una semplice costru­ so come evidente che esistesse una funzione dotata di derivate e minimizzante

zione geometrica e nel caso della rifrazione la risoluzione è data da una formula l'integrale (ro). Il lento superamento di queste critiche di Weierstrass fa parte

esplicita. della storia della matematica di questo secolo.

Questa presunzione, circa il modo di intendere risolto il problema, risultò, La prima questione fondamentale che si presenta è quella di sapere se esiste

nello sviluppo della matematica, piuttosto gratuita e spinse i matematici a dare una soluzione di un problema di calcolo delle variazioni o, per formulare il pro­

un significato piu ampio sul modo di intendere un problema risolto. blema in termini piu moderni, ci si deve chiedere se esiste qualcosa cui può es­L'evolvere del significato di risoluzione di un problema è una delle caratte­ sere attribuito il carattere di soluzione.

ristiche della matematica cui ha concorso anche lo sviluppo di vari strumenti Questo nuovo approccio alla teoria ha dato luogo ai cosiddetti metodi diretti

di calcolo sempre piu raffinati, quali i calcolatori elettronici. È infatti inuti le del calcolo delle variazioni. Essi si sono sviluppati in stretta relazione con la teo­

avere, supposto che esista, una complicata formula matematica se poi nel calco­ ria delle funzioni di variabili reali e con l'analisi funzionale.

lo numerico di essa si è costretti a calcolare dei valori approssimati. A questo L'idea dei metodi diretti è quella di mostrare dapprima che l'integrale è li­

scopo è piu interessante avere dei procedimenti che forniscono direttamente va­ mitato inferiormente, poi che esso è semicontinuo inferiormente rispetto a qual­

lori approssimati con un'approssimazione spinta quanto si vuole. che tipo di convergenza e infine che esiste una successione minimizzante di fun­

Il problema tipico del calcolo delle variazioni è, come si è accennato in pre­ zioni ammissibili che converge, nel senso richiesto, a qualche funzione ammis­

cedenza, quello di trovare una funzione u: R"vQ~R che minimizza o massi­ sibile la quale non è detto a priori che ammetta derivate. Chiaramente tale fun­mizza, in un insieme di funzioni ammissibili, l'integrale zione limite è una «soluzione» del problema considerato.

È importante sottolineare che la convergenza della successione minimizzan­

I(u) = f(x,u(x),Vu(x)) dx te non è data a priori ma la sua scelta dipende dal problema particolare. La scel­ta di una topologia conveniente e, di conseguenza, l'insieme appropriato di fun­

Variazione 98o98I Variazione

zioni ammissibili è il punto principale in molti problemi di analisi. Anzi, è que­sto punto di vista che, a giudizio di chi scrive, differenzia l'analisi da altri campi Il fisico sperimentale (cfr. fisica) indaga sulla natura alla ricerca dei fenomeni e delledella matematica. leggi che li descrivono (cfr. emppiria/saprrinnz, esperimento). Il matematico (cfr.

Da queste considerazioni si è giunti ad individuare quale è il piu opportuno matematiche) cerca le ragioni della scelta di una legge (cfr. convenzione, metodo,insieme di funzioni da considerare come ammissibili. Lo studio di questi in­ operatività, paradigma, scienza). In mol ti casi i fenomeni fisici sono descritti (cfr.siemi ha condotto a considerare quelli che vengono chiamati spazi di Sobolev. spiegazione, teoria/modello) da applicazioni o da funzioni che rappresentano leSenza soffermarsi qui sulla descrizione delle funzioni di questi spazi, è possibi­ configurazioni di un oggetto o l'evolvere di un fenomeno al variare del tempo (cfr. ci­le affermare che esse appaiono come le funzioni, le piu generali, che dànno si­ clo, tempo/temporalità). L' indagine sulla natura particolare di una data legge spinge

gnificato alla quantità (ro). all'idea di variazione. Quest'idea presente fin dall' inizio del calcolo infinitesimale (cfr.

In molti casi è possibile allora dimostrare l'esistenza della soluzione, a con­ anche differenziale) si sviluppa parallelamente al calcolo stesso. Molte considerazioni

dizione di dare a questa un significato molto generale.complementari (cfr. continuo/discreto, dipendenza/indipendenza, locale/globale,stabilità/ instabil i tà) confluiscono nel calcolo delle variazioni: la simmetria all'origine

Si è visto prima che una funzione minimizzante di un integrale è soluzione delle prime considerazioni geometriche (cfr. geometria e topologia) è afliancata dalledell'equazione di Eulero se si sa che questa possiede un certo numero di deri­ idee piu sofisticate della matematica moderna (cfr. strutture matematiche). Si vienevate. Questo non è il caso quando, per assicurare l'esistenza, si è costretti a ri­ cosi a costituire una vera e propria disciplina (cfr. disciplina/discipl ine) con problema­cercare la funzione minimizzante in spazi di Sobolev. tiche peculiari.

In questi casi appare di primaria importanza sostituire l'equazione di Eulerocon la forma che traduce l'annullarsi della variazione prima. I problemi al con­torno per equazioni differenziali, anche se non sono del tipo delle equazioni diEulero di un integrale, vengono cosi formulati in una forma debole che è sug­gerita proprio dall'annullarsi della variazione.

Ad esempio, il problema di determinare la soluzione dell'equazione Au =fche assuma i valori al contorno u =g è formulato nel senso seguente: trovareu tale che u =g su òQ e che soddisfi

(u„rp„pu„rp„) dx dy = fp dx p er o gni q> nulla su òQ.Q Q

Si presenta allora un nuovo problema: una soluzione debole di un proble­ma al contorno ammette derivate di ordine superiore se i dati del problema fan­no altrettanto> Questo è il problema della regolarizzazione delle soluzioni de­boli. Problemi dello stesso tipo si presentano nella teoria delle disequazioni va­riazionali, teoria strettamente connessa al calcolo delle variazioni.

In quest'ambito sorgono anche interessanti questioni sulla natura dell'in­sieme di contatto (cioè dell'insieme dei punti, ove, per rimanere all'esempio giàillustrato alla fine del ) 4, ostacolo e membrana si toccano).

In questa teoria possono infine formularsi alcuni problemi di frontiera li­bera. Si tratta di problemi dove il dominio nel quale si deve considerare il pro­blema non è noto a priori, ma deve essere determinato in modo da permetterealla soluzione di soddisfare dati sovrabbondanti sul contorno.

Problemi di frontiera libera si presentano in numerosi problemi di matema­tica applicata. Mi limiterò a ricordare quello dello studio di un fluido in mezziporosi, o quello della lubrificazione di un cuscinetto e infine quello della distri­buzione della velocità intorno a un profilo alare.

Il tentativo qui fatto di esporre i principali campi dell'analisi che sono con­nessi all'idea di variazione mostra un aspetto della ricerca matematica modernache è tuttora in pieno sviluppo. [c.s.].

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